sabato 17 novembre 2012

Meglio un credito Target, di niente


Mark Schieritz chiede ai tedeschi di non ascoltare i cattivi maestri alla Sinn: cari amici germanici, meglio un credito Target verso l'eurosistema, di un cerino in mano. Da Die Zeit.
H.W. Sinn analizza i bilanci della BCE e si impaurisce

E' il suo tema preferito: 2 anni fa Hans Werner Sinn, presidente dell'IFO di Monaco, per la prima volta ha notato delle stranezze nei bilanci della Bundesbank. Recentemente ha anche scritto un libro sull'argomento dove ha riordinato le sue tesi in un contesto piu' ampio.

Dunque, dopo l'introduzione dell'Euro il capitale straniero è fluito verso i paesi del sud Europa e lì ha alimentato una bolla enorme. Ma con l'arrivo della crisi questo capitale si è ritirato. Il sud Europa non si è pero' prosciugato, perchè la BCE è intervenuta. Ha rifornito i paesi in crisi con del denaro che nel sistema di pagamento delle banche centrali viene definito Target 2.

Paesi che come la Spagna ricevono denaro dalla banca centrale, generano delle passività Target 2. Paesi come la Germania che non dipendono dalla banca centrale accumulano al contrario dei crediti Target. Se l'Euro dovesse dissolversi, questi crediti - che nel caso della Germania sono oltre 700 miliardi di Euro - potrebbero non essere piu' esigibili. 

Se questo sia un male o un bene, resta pero' controverso.

Sinn argomenta che gli aiuti al sud impediscono i necessari aggiustamenti. I critici di Sinn, al contrario, ipotizzano che la BCE con la sua politica abbia comprato del tempo al sud Europa, tempo necessario per realizzare con successo le riforme - e che nel frattempo la competitività del sud sia migliorata.

Sinn sostiene che con l'aumento dei saldi il risparmio tedesco si stia svalutando e che i tedeschi siano derubati dei frutti del loro lavoro. Bisogna però sapere che un paese con un avanzo commerciale come la Germania accumula dei crediti verso l'estero. In pratica, i tedeschi rinunciano a guidare l'auto che  essi stessi hanno costruito, e la spediscono verso l'Irlanda. Per fare questo ricevono dei crediti nei confronti dell'economia irlandese, come ad esempio azioni o obbligazioni, che ad un certo momento nel futuro potranno essere scambiati con beni irlandesi, da consegnare in Germania.

Ma se il sud finanzia strutturalmente le importazioni con il credito della BCE, a fronte delle esportazioni non ci saranno piu' obbligazioni o azioni, ma un credito della Bundesbank nei confronti della BCE. E tale credito perderà ogni valore nel caso in cui l'Euro si dissolva, teme l'economista di Monaco.

I critici di Sinn ritengono invece che i tedeschi senza l'intervento della BCE avrebbero già perduto il loro denaro investito all'estero, perché questi paesi sarebbero finiti nel caos. Il sistema Target avrebbe addirittura garantito i risparmi tedeschi - perché un credito verso la BCE, è sempre meglio di nulla.

Per Sinn la Germania è diventata ricattabile, perché a causa dei rischi del sistema Target non può accettare in nessun modo la rottura della zona Euro. Secondo i critici di Sinn, i cittadini  in un modo o nell'altro saranno coinvolti. Prima della crescita impetuosa dei saldi Target, infatti, i crediti erano verso le imprese e le banche estere. Si tratterebbe allora solo di una riassegnazione dei crediti interni alla Germania, realizzata dalla banca centrale.

I crediti Target sono dunque essenziali per la comprensione della crisi - o irrilevanti. Materia sufficiente ancora per altri libri.

giovedì 15 novembre 2012

Il giorno in cui la Germania usci' dall'Euro


E se la Germania desse ascolto agli euroscettici ed uscisse dall'Euro? Risponde Die Zeit, che si diverte a descrivere gli effetti nefasti di una tale decisione: i tedeschi sono davvero ricattabili?

Che cosa accade se la Germania abbandona l'Euro? L'economista Gustav Horn descrive il dopo Euro - e anche Thilo Sarrazin ha un ruolo.

Un gioco: che cosa succederebbe se, come richiesto dal finanziere George Soros, la Germania uscisse dall'Euro?

Il parlamento tedesco approva con una maggioranza di due terzi l'uscita dall'Euro e la reintroduzione del D-Mark. Solo i Verdi votano contro. Il tasso di cambio è uno a uno. Il presidente della Bundesbank lascia il consiglio BCE con effetto immediato.

I mercati finanziari e dei cambi reagiscono immediatamente all'uscita della Germania. Dal resto dell'unione monetaria arriva in Germania un fiume di liquidità. La nuova valuta si apprezza del 50 % nei confronti dell'Euro. Un marco costa ora 1.5 €. Allo stesso tempo crolla il valore delle garanzie statali offerte per i fondi di salvataggio. La stessa cosa accade per i debiti e i crediti nati dal sistema Target della BCE: la Bundesbank chiede che siano saldati immediatamente. I rischi per il bilancio pubblico, almeno all'inizio sembrano scendere.

Circa 200 economisti celebrano la ritrovata libertà della Germania. Thilo Sarrazin dichiara in tv: "la Germania non ha bisogno dell'Euro".

Nel resto dell'Eurozona i mercati finanziari sono in difficoltà. La BCE dopo l'uscita della Germania ha immediatamente spostato la sua sede da Francoforte a Parigi. Nel frattempo annuncia acquisti illimitati di obbligazioni. In questo modo i banchieri centrali riescono a governare le quotazioni dei titoli. La nuova Banca Centrale Europea rimborsa tutti i crediti Target della Bundesbank con del denaro fresco di stampa. Calcolati in marchi, hanno perso un terzo del loro valore. La Bundesbank è costretta a contabilizzare una grossa perdita. Lo stesso accade con il rimborso dei fondi tedeschi conferiti all'ESM. L'indebitamento pubblico tedesco cresce di un valore corrispondente.

Dopo alcune settimane di sollievo dovute all'uscita dall'Euro, numerosi produttori di auto dichiarano che il loro fatturato nel resto d'Europa è crollato. Le auto tedesche per il resto d'Europa sono troppo costose. I costruttori chiedono la cassa integrazione e iniziano a licenziare.

Poco dopo, l'associazione degli industriali dichiara che l'economia tedesca a causa dell'apprezzamento del Marco non è piu' competitiva ed esorta i sindacati tedeschi ad accettare una riduzione dei salari. Dopo appena un trimestre, l'Ufficio Federale di Statistica comunica che gli avanzi delle partite correnti si sono dimezzati e che l'export verso il resto d'Europa è crollato. Thilo Sarrazin dichiara in un altro talk show che anche senza l'Euro si sente molto bene. Il suo reddito non si è affatto ridotto.

Nel resto d'Europa, gli altri paesi avranno piu' tempo per raggiungere gli obiettivi di risparmio e decidono di aumentare i loro depositi nel fondo ESM, per compensare l'uscita della Germania.

La Germania entra in recessione

Il Fiskalpakt viene sospeso e sostituito con un patto di stabilità. I paesi europei si impegnano a rispettare gli obiettivi di inflazione e a evitare che si formino degli squilibri nelle partite correnti. L'ESM diventa un Fondo Monetario Europeo (FME), con il compito di controllare il rispetto dei trattati da parte dei membri. I paesi che registrano un avanzo o un deficit delle partite correnti eccessivo, dovranno cedere una parte delle proprie entrate fiscali al FME.

La nuova BCE comunica che il suo obiettivo di inflazione resta invariato al 2%. La Bundesbank dichiara subito dopo che l'obiettivo di inflazione per la Germania è dell'1%, e aumenta i tassi. Il Marco continua ad apprezzarsi.

L'Ufficio Federale di Statistica comunica che la bilancia commerciale della Germania, a causa del crollo delle esportazioni, ha raggiunto il pareggio. La congiuntura in Germania si indebolisce ulteriormente. L'industria dell'export è in recessione e taglia in maniera massiccia posti di lavoro. Anche l'economia interna inizia a perdere slancio per i tassi troppo alti. Nel resto d'Europa la situazione economica a poco a poco si stabilizza. Thilo Sarrazin dichiara in tv: questo non ha nulla a che fare con l'Euro.

VW sposta le sue fabbriche

Martin Winterkon, a.d. di VW, fa sapere che l'azienda sposterà una grossa parte della sua produzione nel resto dell'Eurozona. "Il mercato tedesco è troppo piccolo per la nostra produzione, e abbiamo bisogno di tassi di cambio piu' sicuri", dice Winterkorn. Il valore delle azioni VW cresce vertiginosamente. BMW e Daimler confermano piani analoghi. Nei rinnovi contrattuali dei metalmeccanici, a causa della difficile situazione nell'industria, viene concordato un aumento dell'1%. Nel settore pubblico, una riduzione delle entrate costringe a tagliare il numero dei dipendenti pubblici. I rinnovi contrattuali portano ad un aumento di mezzo punto percentuale.

Un anno dopo l'uscita dall'Euro, la Germania si trova in piena recessione con una crescente disoccupazione. Nel frattempo anche la domanda interna è crollata: i bassi aumenti salariali e i licenziamenti stanno affossando i consumi. Sempre piu' aziende trasferiscono posti di lavoro nell'Eurozona, in Asia o negli Stati Uniti. La Borsa di Francoforte ha perso molta della sua importanza; quella di Parigi al contrario ha accresciuto la sua influenza. I capitali continuano ad uscire dalla Germania mentre i tassi di interesse tornano a crescere. La rivalutazione del Marco si è fermata.

Il drammatico appello degli economisti tedeschi.

La zona Euro nel frattempo si è stabilizzata e mostra almeno una debole crescita economica. Sta crescendo l'export dai paesi in crisi - soprattutto verso la Germania. VW pianifica l'allargamento dei suoi impianti in Spagna e prende in considerazione la costruzione di uno stabilimento aggiuntivo in Grecia.

Dopo 2 anni, la crescita nel resto dell'area Euro torna oltre il 2%. L'economia in Germania invece ristagna, la disoccupazione resta alta. Circa 200 economisti pubblicano un drammatico appello per aumentare la competitività della Germania. Il mercato del lavoro è poco flessibile, i salari troppo alti e le prestazioni sociali troppo generose per poter affrontare le sfide della globalizzazione. Grecia e Spagna sono in pieno boom, mentre l'economia tedesca è in difficoltà, scrivono 2 anni dopo l'uscita dall'Euro.

Thilo Sarrazin dichiara in un programma televisivo: "Non ho mai suggerito l'uscita dall'Euro, al massimo mi sono permesso di dire che non abbiamo bisogno dell'Euro".
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mercoledì 14 novembre 2012

Sinn: l'unione bancaria sarà un disastro


H.W. Sinn torna ad infiammare il dibattito sugli eurosalvataggi. Questa volta lo fa attaccando la nascente unione bancaria: il patrimonio dei tedeschi sarà usato per salvare le banche del sud Europa. Da WirtschaftsWoche
Dietro le tende fervono i preparativi per l'unione bancaria. Ma gli interessi tedeschi ancora una volta rischiano di essere dimenticati.

Dopo l'acceso dibattito estivo, sul tema dell'unione bancaria sembrava essere calato il silenzio. Ma la quiete è ingannevole, perché a porte chiuse la commissione EU, la Francia e i paesi del sud portano avanti con grande energia il progetto. La Germania ha posto come condizione per  salvare le banche in difficoltà con il denaro dell'ESM, l'istituzione di un'autorità di controllo. Per questa ragione si vuole dare vita quanto prima a qualcosa che rassomigli ad un controllo bancario. Il risultato potrebbe pero' essere davvero terribile.

Vi è innanzitutto il fatto che il controllo bancario sarà insediato presso la BCE. Il problema non è  la  irresistibile tentazione dei partecipanti di rifornire le banche in difficoltà - ma in verità da liquidare - con il denaro fresco appena uscito dalle stampanti. Ancora peggio: la BCE già da molto tempo finanzia in grande stile le banche in difficoltà, accontentandosi di dubbie garanzie. Jens Weidmann si è già lamentato sul tema con una lettera inviata a Draghi in febbraio.

La BCE potrebbe trovarsi davanti alla scelta: dichiarare fallita una banca privata, liquidandola e rinunciando ai crediti erogati verso di essa, oppure considerare la banca salvabile e in questo modo darle accesso ai mezzi del fondo ESM. E' intuitivo quale sarebbe la decisione della BCE. E' come se al venditore di un auto da rottamare, gli si desse il diritto decidere se la propria auto puo' superare la revisione.

Una adeguata rappresentanza dei paesi ancora sani all'interno della nuova autorità di controllo, potrebbe mitigare la catastrofe. Ma non sembra essere il caso. Segnali chiari ci fanno pensare che la struttura di controllo della nuova autorità di garanzia sarà organizzata come il consiglio BCE. Vale a dire: ogni paese avrà un singolo voto, indipendentemente dal fatto che sia grande o piccolo, e la Repubblica Federale Tedesca dovrà essere felice se riuscirà ad imporre le proprie decisioni a Malta.

La maggioranza dei paesi del Club Med, che da 2 anni e mezzo mette la Bundesbank all'angolo, resta incontrastata - e potrà quindi decidere, quali banche europee avranno accesso al salvataggio tramite le garanzie dell'ESM.

Sicuramente nell'ESM c'è una minoranza che puo' bloccare i provvedimenti, ma solo sulle decisioni importanti. E questo probabilmente non accadrà sulle singole decisioni, come ad esempio il salvataggio di una determinata banca. Nella formulazione del trattato ESM, la politica ha infatti provveduto per tempo: su alcune decisioni sarà sufficiente una maggioranza non qualificata.

In questo modo la strada per il salvataggio delle banche indebitate del sud Europa, con il denaro dei contribuenti dei paesi Euro ancora sani, sarà tutta in discesa. Anche da un punto di vista giuridico si vogliono eliminare gli ostacoli restanti. Cio' è evidente nella proposta della commissione EU per il risanamento e la gestione degli istituti di credito e delle società di investimento, su cui il collega Harald Hau dell'INSEAD ha richiamato la mia attenzione.

Nel documento, all'articolo 52, con un linguaggio poco comprensibile, si dice che lo strumento per la partecipazione dei creditori ai fallimenti bancari ("bail in tool") dovrebbe essere realizzato in modo da massimizzare il valore del credito e tranqullizzare l'investitore. Probabilmente anche la commissione EU vuole introdurre una forma di garanzia pubblica, tramite l'ESM, per le banche del sud Europa.

I creditori di queste banche non dovranno allora temere un ulteriore ampliamento degli attivi bancari, perché il fondo ESM offrirà un servizio di assicurazione del credito contro ogni default. Tenuto conto del fatto che la stessa commissione EU ha classificato la garanzia offerta dallo stato tedesco per le Landesbanken come una sovvenzione illegittima e quindi proibita (che tra l'altro ha portato al crollo della WestLB), questo cambiamento di orientamento è grottesco. Lo stato tedesco ha dovuto ritirare le garanzie statali alle banche nazionali.

Ma ora invece gli si chiede di salvare le banche fallite del sud Europa.

Se questo dovesse accadere, il risparmio dei paesi del Nord, sotto la protezione dei contribuenti degli stessi paesi, sarà guidato di nuovo verso il sud Europa, dove a causa delle precedenti esperienze negative, non si voleva piu' spostare. Gli investimenti sbagliati nel sud Europa, che hanno portato l'Eurozona sull'orlo della rovina, in questo modo potranno andare avanti.

Ancora una volta Bruxelles sceglie una strada sbagliata, senza che la politica tedesca e l'opinione pubblica se ne occupino tempestivamente. I tedeschi discutono accesamente sul tema del Betreuungsgeld (sostegno alle famiglie con figli), e non si accorgono che contemporaneamente il loro patrimonio viene messo a disposizione di altri. Quando finalmente si libereranno dal loro letargo spirituale e considereranno l'integrazione europea un tema di cui occuparsi, nell'interesse  dei loro figli e del loro futuro?

martedì 13 novembre 2012

Il ritorno alla stampante


Solito commento anti BCE, anti sud Europa, anti tutto, di Holger Steltzner, condirettore di FAZ.net. Tanto per far capire l'aria che tira. Da FAZ.net 
La Troika loda gli sforzi della Grecia. Non dice però' che il debito pubblico ellenico è di nuovo  allo stesso livello di quando è stato fatto il primo taglio del debito. Si dovrà stampare di nuovo denaro - ma solo per un breve periodo, si capisce.

Gli euro-salvatori si sono cacciati da soli in questa situazione complicata. Hanno lasciato che la BCE comprasse tempo, ma non lo hanno saputo usare. Anche se l'Eurogruppo si sforza di lodare i progressi della Grecia, nella lunga attesa che ha preceduto la relazione della troika non si è riusciti a trovare una soluzione. All'esterno si lodano solamente gli sforzi, le riforme e il bilancio pubblico: si tace tuttavia il fatto che il debito pubblico ha di nuovo raggiunto il livello del primo taglio del debito, con il quale erano stati coinvolti solamente i privati.

Atene si puo' finanziarie solamente con l'aiuto esterno. Ma dietro le quinte della Troika è in corso una disputa accesa, su come potranno essere colmate le differenze fra entrate e uscite. Il Ministro delle Finanze Schäuble (CDU) vuole semplicemente reinterpretare la definizione di sostenibilità del debito, definizione che da sempre è la base per la concessione del credito da parte del FMI. Il FMI al contrario pretende un nuovo taglio del debito detenuto dal settore pubblico, in possesso di quasi la totalità del debito di Atene. Schäuble vuole evitare questa situazione perché sul provvedimento dovrebbe votare il Bundestag, ma soprattutto il contribuente tedesco vedrebbe che la Grecia è diventata un caso di trasferimento permanente e il "salvataggio" infinito è molto caro.

La BCE si è venuta a trovare in una situazione impossibile. In agosto, contro la volontà della Bundesbank, ha versato alla Grecia miliardi di Euro, direttamente dalla stampante di denaro. Questo ha permesso ad Atene di sopravvivere in estate. Allo stesso tempo Atene ha potuto rimborsare un'obbligazione - che per pur caso - era detenuta proprio dalla BCE. Dal punto di vista della politica finanziaria la BCE ha scoperto il moto perpetuo per il finanziamento della crisi. Dopo che la BCE ha iniziato a finanziare gli stati in questo modo, non c'è da meravigliarsi se i politici vorranno proseguire. La stampante di denaro dovrà essere attivata ancora una volta - ma solo per poco tempo, si intende. La politica ha iniziato la creazione di un mondo finanziato dalla BCE, dove le necessarie riforme strutturali, anche in Francia, Spagna e Italia, saranno rimandate fino a quando anche l'ultima economia competitiva dell'Eurozona sarà a terra

lunedì 12 novembre 2012

Weidmann tifa Euro


Jens Weidmann, il banchiere piu' amato dai tedeschi, torna a farsi intervistare dalla Rheinische Post ribadendo la sua fede nella cultura della stabilità targata Bundesbank.
Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann intervistato dalla nostra redazione parla del pericolo di inflazione e delle azioni di aiuto per la vacillante Grecia.

RP: Lunedì i Ministri delle Finanze si riuniranno per decidere sugli aiuti alla Grecia. Gli aiuti devono essere erogati anche se il paese è economicamente al collasso?

Weidmann: La politica ha già deciso pubblicamente di continuare con gli aiuti  alla Grecia. Ma il denaro dovrà essere erogato solo se la Troika confermerà che il paese nel lungo periodo potrà sostenere il suo indebitamento e applicherà le riforme concordate. E questa conferma ancora non c'è.

RP: Molti esperti non vedono nessuna luce alla fine del tunnel.

Weidmann: Bisogna decidere: è una mancanza di volontà riformatrice o sono invece le influenze esterne a rendere la situazione in Grecia peggiore di quanto atteso? E' chiaro: gli aiuti hanno un senso solo se la Grecia farà quanto richiesto. Questo è un segnale importante non solo per la Grecia, ma anche per gli altri paesi in crisi. E' necessario mantenere la pressione sulle riforme, altrimenti non si faranno progressi e l'Eurozona diventerà una Transferunion. Allora la stabilità dell'unione monetaria sarebbe davvero in pericolo.

RP: La decisione della Troika sarà indipendente, anche se i leader politici si sono già espressi in maniera cosi' chiara?

Weidmann: Questo di fatto è un problema. Come si può valutare serenamente il raggiungimento degli obiettivi, se le conseguenze di un giudizio negativo spaventano così tanto? Sono tuttavia fiducioso: la Troika giudicherà la situazione onestamente, prima di approvare i pagamenti.

RP: I greci in 3 anni hanno già vissuto diversi tagli alle pensioni, il governo tedesco dovrebbe fidarsi...

Weidmann: E' vero, nel frattempo sono state approvate misure che fino a poco tempo fa non erano nemmeno presentabili. Capisco quanto sia difficile per le persone colpite. Ma la Grecia non poteva evitare tagli profondi. E senza gli abbondanti aiuti, i tagli sarebbero stati anche molto piu' duri.

RP: Le banche private e le assicurazioni hanno già rinunciato ad una parte dei crediti verso Atene. Sarebbe giusto, se ora anche i creditori pubblici accettassero un taglio del debito?

Weidmann: Gli stati e le banche centrali dell'Eurosistema  sono diventati creditori della Grecia durante la crisi - ma non prima della crisi ed in seguito ad una valutazione del rendimento, come avevano fatto invece banche e assicurazioni: il confronto in questo modo zoppica. In ogni caso: le banche centrali non possono rinunciare ai crediti verso la Grecia, questo sarebbe un trasferimento diretto e quindi un finanziamento degli stati, proibito dai trattati.

RP: E' vero che la BCE è il principale creditore della Grecia?

Weidmann: L'Eurosistema - vale a dire la BCE e le banche centrali nazionali - ha acquistato in maniera significativa titoli di stato greci, e in questo modo è diventato uno dei creditori piu' importanti. Cio' non ha risolto i problemi della Grecia. Al contrario ora abbiamo una discussione sulla partecipazione dell'Eurosistema a un taglio del debito. Tutto questo conferma le preoccupazioni che la Bundesbank ha avuto fin dall'inizio.

RP: Non sarebbe Più corretto, se fossero gli stati a rinunciare ai loro crediti?

Weidmann: Un taglio del debito da solo non risolve il problema. Che aiuto può dare un taglio del debito di Atene, se il paese fra 10 anni si troverà di nuovo al solito punto di oggi? La Grecia deve essere riformata radicalmente, per tornare ad essere piu' competitiva ed avere finanze sostenibili nel lungo periodo. Solo così un taglio del debito potrà essere di qualche aiuto.

RP: La Grecia fra 10 anni sarà ancora nell'Euro? E soprattutto fra 10 anni ci sarà ancora l'Euro?

Weidmann: L'Euro ci sarà ancora fra 10 anni, di questo sono sicuro. E' evidente che c'è la volontà politica di mantenere l'Euroarea integra. Questo avrà pero' anche delle conseguenze. Affinché l'unione monetaria resti una comunità stabile, le regole del gioco dovranno essere modificate e sui singoli paesi dovranno esserci maggiori controlli economici e finanziari. Il Fiskalpakt è un primo passo in questa direzione.

RP: Il presidente della BCE Mario Draghi è pronto a tutto pur di salvare l'Euro. Anche lei?

Weidmann: Tutti nel consiglio BCE ci battiamo per il successo di lungo periodo dell'Euro come moneta stabile. Insieme lottiamo per trovare la strada giusta: come possiamo dare il nostro contributo alla soluzione della crisi nell'ambito del nostro mandato, difendendo il valore del denaro? In seno al consiglio BCE siamo tutti d'accordo sul fatto che le nostre misure possano solo comprare tempo per i paesi in crisi. Le cause della crisi le può risolvere solamente la politica.

RP: Nel consiglio BCE lei è stato il solo a votare contro l'acquisto illimitato di obbligazioni dei paesi in crisi.

Weidmann: Vedo con crescente preoccupazione il fatto che l'Eurosistema si sia spinto sempre piu' nel campo della politica di bilancio. Ma per fare questo non siamo legittimati democraticamente. Inoltre cio' elimina la pressione sui governi, e rallenta lo zelo riformatore. Sicuramente nel nuovo piano di acquisto di titoli è stata indicata una forte condizionalità, ma la sua forza vincolante deve essere ancora dimostrata. In sostanza, la politica monetaria non deve finire nella scia della politica fiscale. L'esperienza ci insegna, che l'indipendenza della banca centrale è decisiva per mantenere il valore di una moneta stabile.

RP: Si dice che lei abbia preso in considerazione le dimissioni...

Weidmann: Non ho minacciato le dimissioni. Quando ho assunto l'incarico, sapevo che cosa mi attendeva. Che cosa avrebbero aggiunto le mie dimissioni? Un successore, che come me sostiene la cultura della stabilità Bundesbank, che ora si troverebbe nella stessa situazione e che risponderebbe alla sua domanda sulle voci di dimissioni.

RP: Si sente abbandonato dal suo ex capo, la cancelliera?

Weidmann: No, non è la mia impressione. Gli interessi e i compiti dei governi  e delle banche centrali non sono sempre gli stessi. Come banchieri centrali dobbiamo avere sempre la nostra bussola e non possiamo affidarci all'aiuto della politica.

RP: La CDU e la FDP chiedono che la Germania non abbia un solo voto nel consiglio a 23 della BCE, piuttosto un peso pari alla sua partecipazione del 27%. Una proposta sensata?

Weidmann: L'idea dietro la regola, un paese un voto, è che i membri del consiglio BCE non perseguano interessi nazionali, piuttosto agiscano a livello europeo e applichino una politica monetaria priva di rischi. Quanto piu' con il progredire della crisi abbiamo indebolito il secondo punto, e distribuito rischi sui contribuenti nazionali, tanto piu' la richiesta arriva con forza dall'opinione pubblica. La risposta corretta non è quella di modificare i diritti di voto, ma di tornare ad una politica monetaria piu' coerente.

RP: Molti temono che la BCE diventi sempre piu' italiana e che la crisi alla lunga sia pagata con l'inflazione. Lei vede questo pericolo?

Weidmann: Italiano, tedesco - questo dibattito ci porta nella direzione sbagliata. E' importante che i problemi siano risolti nei singoli paesi e che l'unione monetaria nel complesso diventi un'area stabile, affinché la politica monetaria si possa di nuovo concentrare sulle sue responsabilità primarie.

RP: I cittadini possono avere paura dell'inflazione?

Weidmann: Nell'immediato non c'è alcuna preoccupazione per un'inflazione piu' alta. Molti paesi europei sono in recessione, e anche l'economia mondiale non cresce piu con forza. Cio' smorza l'aumento dei prezzi. Per la Germania, la Bundesbank si aspetta un'inflazione non superiore al 2%. Nel lungo periodo dobbiamo pero' essere estremamente vigili. Tecnicamente il consiglio BCE è nella condizione in ogni momento, di ridimensionare la politica monetaria espansiva. Ma per fare questo abbiamo bisogno anche della forza politica.

domenica 11 novembre 2012

La trappola della povertà e il sogno del salario minimo


Die Zeit ci spiega il boom dei lavori a basso salario. Lo stato e il settore pubblico potrebbero fare molto per evitare la povertà in età avanzata, ma le priorità sono altre.

I bassi stipendi sono una causa di povertà in età avanzata. Quattro imprenditori ci spiegano perché pagano cosi' poco - e che cosa dovrebbe cambiare.

Chi lavora per Peter Kowol rischia la povertà in vecchiaia. Questo è chiaro anche a Kowol: "Il livello dei salari è al minimo", ci dice. "Per una pensione decente non può bastare". I suoi dipendenti guadagnano circa 6 € all'ora. Kowol ci dice che pagherebbe volentieri di piu':"Ma da dove potrei prendere il denaro per salari piu' alti?".

Il 65enne di Gottinga ha un impresa di taxi. Nel suo settore quasi il 90% degli occupati ha un basso salario. Secondo l'ufficio federale di statistica, in nessun'altro settore i bassi salari sono cosi' diffusi. E in nessun'altro settore ci sono cosi' tanti occupati che avranno una pensione da fame.

In questi giorni si discute molto di povertà in vecchiaia. Il Ministro del lavoro Ursula von der Leyen ha presentato il suo piano per una pensione aggiuntiva. Maggioranza e opposizione discutono come modificare il sistema pensionistico affinché milioni di persone non si trovino in una situazione di povertà in età avanzata. La scorsa settimana i vertici della coalizione di governo hanno approvato un progetto di riforma.

Ma piu' in generale, combattere la povertà in vecchiaia è il giusto punto di partenza per combattere la povertà? Non si dovrebbe iniziare da coloro che già oggi hanno uno stipendio basso? Chi vuole evitare la povertà in età avanzata dovrebbe guardare a quello che  già oggi succede nel settore dei taxi - o ad esempio dei parrucchieri. In seconda posizione nella triste classifica dei lavori peggio pagati.

Die Zeit ha chiesto agli imprenditori del  cosiddetto settore a basso salario perché pagano cosi' male i dipendenti -  e che cosa dovrebbe cambiare per far crescere i salari nel loro settore. Le risposte indicano: clienti, consulenti, imprese, lo stato - tutti potrebbero fare qualcosa.

Peter Kowol è il prototipo di un imprenditore di taxi. Possiede 2 auto e dà lavoro a 6 guidatori. La maggioranza dei 22.000 imprenditori di taxi in Germania sono dei piccoli imprenditori come lui. E come molti dei suoi colleghi Kowol si lamenta degli affari: "In media un guidatore in un turno di 8 ore incassa 120 €. Alla fine resta molto poco ". Kowol, come la maggioranza nel suo settore, non paga un salario fisso, piuttosto fa partecipare i guidatori al guadagno.

Che gli imprenditori si lamentino è normale. Gli operatori di taxi tuttavia possono fare ben poco per far andare le cose meglio: Kowol ad esempio non può aumentare i suoi prezzi. Proprio nel settore dei lavori a basso salario è lo stato a dettare le regole del business. Stabilisce i prezzi, quante imprese possono operare e quanti taxi possano circolare. "Cio' viene deciso dai singoli comuni, ognuno in maniera diversa", chiarisce Kowol. "Oltre al settore pubblico, non c'è nessun' altro settore che sia regolato piu' del mio".

Questo significa che non esiste un altro settore in cui potrebbe essere piu' facile per lo stato fare qualcosa per i lavoratori. I comuni potrebbero ad esempio riordinare le tariffe con un'ordinanza o ridurre il numero delle licenze. "Le singole imprese incasserebbero di piu' e finirebbero per pagare di piu' anche i loro conducenti" ci dice Kowol.

Il confine fra un salario normale e un basso salario secondo l'ufficio federale di statistica è di 10.36 € per ora. Cioè i due terzi dello stipendio medio pagato in Germania. Chi riceve meno di questa soglia, viene considerato un lavoratore a basso salario. Nel 2010 - non ci sono dati piu' nuovi - questa condizione riguardava un quinto dei lavoratori, ovvero 7 milioni di persone. Per alcuni lavoratori allo stipendio si devono poi aggiungere le mance, che non sono pianificabili e non sono utili per la pensione. I tassisti che in media guadagnano 6.85 € per ora sono nella parte piu' bassa della scala. 

I dipendenti di Wolfgang Löffler non possono tuttavia fare affidamento sulle mance. Vendono Sandwiches con tonno, pollo, verdure, fatti con pane integrale o bianco, lunghi 15 o 30 centimetri. I clienti per lo piu' pagano la cifra esatta. 20 lavoratori, fra cui 3 apprendisti (Azubis), lavorano nelle 3 filiali Subway, che Löffler gestisce nell'area di Stoccarda.

I non qualificati iniziano da Löffler con 6 o 6.5 € per ora. Ancora meno di quanto il contratto collettivo prevede come salario di ingresso: 7.5 € nell'ovest e 6.85 € nell'est. La maggior parte delle catene di fast food pagano secondo tariffa, fra queste McDonald’s, Burger King, Pizza Hut, Kentucky Fried Chicken. Solo Subway non lo fa. Alcuni anni fa i  350 imprenditori Subway, che gestiscono in Germania oltre 600 ristoranti, dovevano diventare membri dell'associazione di settore. Molti di loro hanno pero' rifiutato il vincolo della contrattazione collettiva. "Io allora ero a favore di un ingresso", ci dice Löffler.

Ma allora perché non paga di piu' i suoi dipendenti? "Perché io come singolo non posso farlo", dice. Secondo i suoi calcoli, alla fine non rimarrebbero utili. Con una filiale Subway,  un affiliato in franchising incassa fra 7.000 e 10.000 € per settimana. "30% se ne va per gli ingredienti, 25 % per i salari, 8% per gli affitti". A questo si aggiunge un canone settimanale dell'8%, che ogni partner deve sostenere. Il 4.5% fluisce in una cassa comune per la pubblicità. Solo la partecipazione al franchising Subway costa 10.000 €. "Non ci sono margini", ci dice Löffler.


Potrebbe aumentare i prezzi? "Abbiamo già cercato di farlo", risponde. Alcuni anni fa Subway ha aumentato i suoi prezzi. Non piu' i sandwiches singoli, ma solo come menu', insieme ad una bevanda, alle patatine o ai dolci". "Che il cliente ricevesse di piu' non aveva alcuna importanza. Quello che contava era l'aumento del prezzo", dice Löffler. I ricavi sono crollati, e la catena ha deciso di tornare ai vecchi prezzi. Löffler ha imparato una cosa: " Per i tedeschi, il cibo non deve essere costoso", ci dice.

Chi sente parlare Löffler ha l'impressione che i bassi salari nella gastronomia tedesca siano una legge di natura. In nessun altro settore c'è cosi' tanto lavoro precario come qui. Solo in questo settore lavorano piu' di un milione di occupati in ristoranti, caffé o take away. Quasi la metà dei lavori è un minijob.

Queste persone hanno la possibilità di sfuggire dalla trappola del basso salario? La soluzione di Löffler sembra un po' atipica per un imprenditore: "un salario minimo obbligatorio per tutti i lavoratori". Se tutti nel settore dovessero pagare salari piu' alti, anche i prezzi salirebbero. Se i prezzi salgono ovunque, anche i clienti dovrebbero accettarlo. Questa è la logica di Löffler.

Thomas Kemmerich ha un'altra opinione. "Con un salario minimo di 8.5 € dovrei aumentare i prezzi del 20% e licenziare il 10% dei dipendenti". Kemmerich, 47 anni, ha già commissionato uno studio sugli effetti del salario minimo nel suo settore. Il giurista guida una catena di parrucchieri: Masson, con 80 filiali, la metà dei quali in Turingia e le altre in Nordrhein-Westfalen. 

Kemmerich è un uomo corpulento e calvo. Lui stesso non si taglia i capelli. Nel 1989, subito dopo gli studi, è arrivato da Bonn ad Erfurt, come consulente per le imprese nel passaggio dal comunismo al capitalismo. Nel 1991 ha assunto la direzione di una "cooperativa di lavori manuali", ormai all'insolvenza. In breve tempo è diventato propietario di 20 saloni da parrucchiere. Nel frattempo ha preso anche l'accento della Turingia.

Masson non è una catena low cost, un taglio per donna costa 30 €, per gli uomini 18 €. Nonostante cio', i dipendenti di Kemmerrich all'inizio guadagnano 6 € l'ora in Turingia e 7.5 €  in Nordrhein-Westfalen. "Di piu' non sarebbe possibile dal punto di vista dei costi aziendali". Dai ricavi oltre agli stipendi deve sottrarre gli affitti, l'elettricità, le forbici e gli shampoo. Secondo i bilanci, negli ultimi 2 anni non ha fatto alcun profitto.

Dall'arrivo di Kemmerich nell'est, in tutta la Germania hanno aperto 20.000 nuovi saloni. Ma la gente ci va troppo di rado: "Oggi una donna in Germania in media va solo 5-7 volte all'anno dal parrucchiere, un uomo 7 volte", dice Kemmerich, "il 40 % dei tedeschi non va mai da un parrucchiere". Si fanno tagliare i capelli a casa al nero. Percio' la competizione per i clienti è molto dura. Cosi' Kemmerich continua a pagare i bassi salari, tipici dei parrucchieri.

Il vero problema del settore lo si capisce se si visita in un mattino di autunno la filiale di Masson alla stazione di Erfurt. Li' Moni, Nancy e Aillen mischiano i colori per i capelli e aspettano i clienti. Ne arrivano pochi. Si potrebbe anche dire: ci sono troppe parrucchiere per il numero di clienti. Sebbene le parrucchiere dell'est siano diventate le icone della lavoratrice a basso salario, la parrucchiera resta una scelta molto popolare per i tirocini (ausbildung). Al momento è al quinto posto - soprattutto all'est molte ragazze scelgono questo mestiere. Ci sono di fatto troppe parrucchiere: e questo spinge verso il basso i salari nel settore. 

La maggior parte dei lavoratori senza una formazione professionale (Berufsausbildung) riceve un basso salario. In questo gruppo il 53 % lavora per meno di 10.36 € per ora. Fra i lavoratori con un titolo universitario sono meno del 2 %. L'educazione è quindi la chiave per sfuggire alla trappola dei bassi salari. Ma l'esempio della parrucchiera ci mostra che anche con una formazione standard si ottiene un basso salario. Molte giovani ragazze potrebbero guadagnare di piu' con un lavoro dove la manodopera specializzata è veramente richiesta: infermiera, insegnante o meccatronica.

La concorrenza di massa non è invece il problema di Ingrid Niehaus. Almeno non diretto. "Il mio concorrente piu' agguerrito", ci dice l'imprenditrice, "non è il negozio all'angolo, è il cliente stesso". Niehaus gestisce una lavanderia. Con 16 dipendenti lava gli abiti, i vestiti e stira le camice. 

La sua piccola impresa nella periferia di Bad Bentheim la si riconosce già da lontano - dal vapore bianco che esce da un tubo e va verso il cielo. Molte lavanderie sono di piccole dimensioni, spesso aziende familiari. Niehaus ha appena lasciato la gestione dell'azienda al figlio. Nelle piccole aziende come quella di  Niehaus i lavoratori e gli imprenditori sono molto vicini. Non si accumulano enormi profitti e per questo si pagano bassi salari.

Da Niehaus le stiratrici e le lavandaie iniziano con 7.5 € all'ora, e arrivano al massimo a circa 9 €. Nel settore, con circa 70.000 dipendenti, si trovano anche salari piu' bassi. Alla domanda, se le cose potrebbero andare meglio, Niehaus parla del suo principale concorrente: "con un prezzo di 1.79 € per camicia molti clienti dicono, ok va bene. Ma se chiedessi 2.79 € o 3 €, le cose andrebbero diversamente". Almeno una parte dei clienti se ne andrebbe. 

I salari in questo settore sono bassi anche per questo motivo:  molto spesso il lavoro è troppo facile. Per stirare o piegare i vestiti non c'è bisogno di una formazione particolare. Allo stesso tempo molti degli occupati nel settore - spesso donne straniere - non trovano nessun'altro lavoro.

Dal 2009 per le lavanderie esiste anche un salario minimo. Al momento è di 7 € nell'est e di 8 € nell'ovest. Ma è valido - "per fortuna" come dice Niehaus - solo per le imprese che servono altre aziende, come Hotel, ospedali o case di cura. In questa parte del mercato dominano imprese con gigantesche linee di lavaggio e macchine piegatrici automatiche.

"Possono pagare meglio di noi aziende artigianali", ci dice una lavoratrice. "Ma si interessano solamente per il bussiness di massa, non certo per una macchia su un abito da sposa". In questi impianti industriali sono occupati pochissimi lavoratori. Una maggiore automazione spingerebbe verso un salario maggiore, sebbene la forza lavoro non sia scarsa.

La maggior parte degli economisti per questo motivo rifiutano i salari minimi: pensano che molti lavori facili scomparirebbero. I sostenitori, al contrario, pensano che ci sia un margine per l'aumento dei salari senza che questo causi la scomparsa dei posti di lavoro. E' difficile dire chi ha ragione. Secondo l'economista di Friburgo Bernd Fitzenberger, non sarebbe certo facile trovare il livello giusto: nella ricerca del giusto salario minimo, prima di trovarlo si faranno degli errori. Chi è daccordo, propone una introduzione prudente e per gradi del salario minimo. La stessa federazione sindacale tedesca, non chiede un salario minimo di 10 € , bensì di 8.5 €.

Questo ci dice: non esiste una leva potente da utilizzare per far uscire dalla trappola dei bassi salari e della povertà in età avanzata una larga parte della popolazione.

Chi è interessato alla coesione della società e vuole  pensioni adeguate, dovrebbe iniziare da piu' parti. Dall'orientamento professionale, come il caso delle parrucchiere mostra. Dalla formazione: senza una qualificazione spesso si trovano solo lavori mal pagati - o addirittura nessuno. 1 su 5  è infatti disoccupato. E' necessaria anche una migliore regolamentazione dello stato nei settori dove la concorrenza è limitata, come ad esempio i taxi. In questo settore un salario minimo non aiuterebbe molti lavoratori. In altri settori come le lavanderie, potrebbe aiutare un po' - non dovrebbe però essere cosi' alto, da far scomparire lavoro di facile esecuzione.

In ogni caso la povertà in età avanzata non è un problema da combattere alla fine della vita lavorativa. Si deve iniziare molto prima.

sabato 10 novembre 2012

Bolle e balle

L'atavica paura dell'inflazione tedesca e la fuga dei capitali dal sud Europa stanno alimentando il mercato immobiliare tedesco. Per gli esperti i prezzi nelle città sono già da bolla. Da Frankfurter Rundschau


I prezzi delle case nelle principali citta tedesche crescono molto piu' rapidamente degli affitti. E' un chiaro segnale di speculazione.

A Francoforte un appartamento costa circa 2.700 € al metro quadrato. Sono 500 € in piu' di 5 anni fa. A Berlino i prezzi sono cresciuti ancora di piu': nella capitale sono necessari 2.200 € al metro quadrato, quasi il doppio di 5 anni fa. 


Per molto tempo la spiegazione per l'aumento dei prezzi è stata semplice: la Germania ha bisogno di recuperare terreno, negli altri paesi i prezzi sono molto piu' alti. 

Economisti e politici non ne volevano sapere di una bolla dei prezzi. Ma gli esperti del Deutschen Institut für Wirtschaft (DIW) lanciano l'allarme: i prezzi degli immobili si sono completamente distaccati dall'andamento  degli affitti.

I ricordi del mercato americano

In un mercato degli immobili sano, i prezzi delle case e gli affitti crescono in maniera uniforme. Cio' ha senso, se lo si considera dal punto di vista di un investitore: se l'affitto è cresciuto, per lui avrà senso un prezzo di acquisto superiore. A Berlino il prezzo medio di affitto al metro quadrato per un appartamento è passato dai 5.5 € del 2007 ai 7.20 € attuali, circa un 30 % di aumento. Sono necessari circa 25 anni, prima che un investitore recuperi il prezzo di acquisto con gli affitti.

A Francoforte sono necessari circa 21 anni. Investitori professionali considerano un valore di 14 anni come sano, e molti di loro non stanno comprando nelle grandi città.

"Se i prezzi della case dovessero allontanarsi ulteriormente da quelli degli affitti, ci sarebbe la minaccia di bolle speculative", ci dice Konstantin Kholodilin, ricercatore DIW. A Monaco, Amburgo e Dresda lo sviluppo è simile. Gli esperti ritengono che la ragione di questa evoluzione sia nella politica di denaro facile della BCE: prestiti abbondanti e tassi bassi per il finanziamento degli immobili. "La forte crescita dei prezzi lascia ipotizzare che dietro di ciò ci sia la speranza di ulteriori aumenti dei prezzi e di un aumento degli affitti", ci dice Andreas Mense, economista all'università di Erlangen. Cio' ricorda il mercato immobiliare americano o spagnolo prima della crisi. Anche li' molti investitori avevano acquistato immobili solo perchè prevedevano aumento dei prezzi.

Fuori dalle città i prezzi scendono

In Germania tuttavia resta una grande differenza: le banche finanziano gli immobili in maniera abbastanza prudente. Richiedono un 25% di capitale proprio e accettano garanzie sugli immobili fino al 60%. Percio' non dovranno fare i conti con massicce insolvenze se i prezzi prima o poi dovessero scendere. Tuttavia il fenomeno è limitato alle grandi città, in campagna i prezzi stanno addirittura scendendo. 

Ci sono tuttavia segnali di speculazione sui mercati regionali: "i prezzi sono saliti oltre i livelli giustificati dai fondamentali di mercato". Prima di parlare di bolle speculative, sono comunque necessarie ulteriori analisi. 


Gli esperti di immobili come il Professor Steffen Sebastian di Regensburg, al contrario mettono in guardia da mesi: le grandi città sono in bolla. Di fatto è molto difficile riconoscere gli eccessi. Nonostante cio', il Ministero delle Finanze sta cercando di individuare gli eccessi. Per fare questo utilizzerà per la prima volta i dati del DIW.