sabato 1 aprile 2017

Schäuble: no al pozzo senza fondo!

Breve ma interessante intervista a Wolfgang Schäuble. Il Ministro delle Finanze tedesco risponde all'apertura fatta recentemente da Sigmar Gabriel (SPD) in favore di maggiori trasferimenti verso i paesi del sud: no ad una unione di trasferimento, l'UE non ha bisogno di piu' solidarietà. Si avvicinano le elezioni politiche di settembre. Da deutschlandfunk.de


DF: Herr Schäuble secondo lei, in questo momento è in gioco il futuro dell'Unione Europea?

Schäuble: le istituzioni europee si trovano sicuramente in una situazione difficile. Ma l'idea secondo cui l'Europa deve restare unita, e che solo se resta unita avrà un futuro, soprattutto in una fase storica in cui l'America sta discutendo se vuole e può' ancora avere uno ruolo di primo piano, è un'idea ancora molto forte che alla fine riuscirà ad imporsi. Ci saranno sempre delle crisi, ma dalle crisi usciremo piu' forti. Ora abbiamo alcune sfide da affrontare, e come europei, che ci piaccia o no, dovremo occuparci di più' dei nostri vicini: del Mediterraneo, del Medio Oriente, che poi sono il nostro diretto vicinato, esattamente come l'Ucraina, si tratta di compiti molto importanti per noi europei. Nessuno, né i francesi né i tedeschi da soli, potranno farcela singolarmente. Ma insieme ce la possiamo fare.

DF: l'Europa pero' costa. Sigmar Gabriel ha proposto che la Germania versi nelle casse europee piu' di quanto ha fatto fino ad ora. Sarà così possibile aiutare i paesi più' deboli, magari con l'effetto collaterale di togliere il vento dalle ali dei partiti populisti.

Schäuble: non è una questione di soldi, si tratta piuttosto di utilizzare il denaro nella maniera corretta.

DF: forse anche una questione di soldi, se si potesse investire di piu'...

Schäuble: mi scusi, l'Europa non soffre per una mancanza di denaro e ancora meno per una mancanza di debiti. Il punto è che gli stati membri non fanno quello che dovrebbero fare e che alcuni fanno troppo affidamento sugli altri. Per questo - lo dice la Commissione, la BCE, lo ripetono sempre tutti - è importante che ogni paese prenda sul serio i propri compiti, e trovi il modo di risolvere i propri problemi. Noi non possiamo farlo per un altro paese, noi tedeschi, nemmeno per la Grecia. Devono farlo i greci da sé.

Se diciamo che si tratta di soldi, inviamo un messaggio completamente sbagliato. Si tratta invece di fare in modo che i paesi facciano i loro compiti, e nel farlo noi li aiuteremo. Noi - lei stesso lo ha detto - abbiamo assunto dei rischi enormi nei confronti della Grecia. Ma le riforme strutturali, la trasformazione dell'economia, la messa in piedi di un'amministrazione pubblica efficiente in un paese che possa essere competitivo e vantare standard moderni, è compito dei greci. Noi possiamo anche aiutare i greci a raggiungere questo obiettivo. Ma se si dice, è necessario dare piu' soldi all'Europa, il problema non lo si risolve, si fornisce solo un incentivo sbagliato. E' stato un errore molto grave.

DF: Herr Schäuble, la domanda è se si tratta solo di parole. Conosce gli argomenti di Gabriel: la Germania nei momenti difficili ha fatto le riforme e per farle ha anche aumentato il debito. Per questo motivo, secondo Gabriel, la Germania oggi si trova in una buona situazione. Perché non dovrebbero farlo anche gli altri?

Schäuble: sicuramente loro sono responsabili per l'aumento del debito. Ma non è questo il punto. Non è che manchi il debito. Devono prima fare le riforme, i problemi vengono posti nell'ordine sbagliato. E fuori da ogni dubbio che noi tedeschi, piu' forti, dobbiamo aiutare i paesi economicamente più' deboli. Del resto anche i Laender piu' forti, Bayern, Baden-Württemberg, Hessen, ad esempio, pagano di piu' di quelli piu' deboli. Ma i Laender piu' deboli devono naturalmente darsi da fare per diventare piu' forti. Non ci puo' essere un pozzo senza fondo. Per questa ragione Sigmar Gabriel ha inviato un messaggio completamente sbagliato alla Grecia. Non sta aiutando la Grecia, piuttosto porterà i leader politici greci a pensare di non dover implementare le misure necessarie su cui si sono impegnati. Questo è il pericolo.

DF: si puo' obbligare i partner o gli amici a risparmiare?

Schäuble: noi non costringiamo nessuno, diciamo, come sempre...con tutto il rispetto, che la Grecia ha assunto l'impegno volontariamente. La Grecia ha detto di voler restare nell'Euro. E questo puo' farlo solo se ha un'economia competitiva. Per farlo la Grecia deve attuare le riforme promesse. Per farlo ha bisogno di tempo e noi stiamo dando questo tempo alla Grecia. Ma se il tempo concesso non  viene utilizzato per fare le riforme, perché sono scomode, allora siamo sulla strada sbagliata. Ancora una volta: il messaggio lanciato, peraltro contrario a tutto cio' che in Europa negli ultimi anni abbiamo concordato con qualsiasi governo greco, va esattamente nella direzione sbagliata. Non si tratta di avere troppo poco debito in Europa, piuttosto del fatto che alcuni paesi non hanno potuto o voluto applicare i  cambiamenti necessari che avrebbero dovuto mettere in campo per rendere le loro economie piu' competitive e meglio connesse nella moderna economia mondiale -  aiuti sì, ma non un pozzo senza fondo.

DF: l'UE come dovrebbe spendere i suoi soldi?

Schäuble: l'Ue dovrebbe spendere le sue risorse affinché in tutti i paesi membri, grazie agli investimenti giusti, le opportunità future siano migliori di quelle attuali. Per fare questo, siamo sempre disponibili a dare all'Europa piu' risorse. Ma il denaro in Europa deve essere speso in maniera corretta. Si tratta in primo luogo di assicurarsi che il denaro sia impiegato nella maniera giusta. Se abbiamo bisogno di piu' denaro, ad esempio per la difesa comune, allora la Germania è disposta a spendere di piu'. Non è questo il punto. Il dibattito sui contribuenti netti è stato iniziato dai Ministri delle Finanze socialdemocratici. Il punto è che il denaro in Europa deve essere speso correttamente. Dobbiamo farlo soprattutto se si tratta del denaro dei contribuenti. E' questo il nostro obiettivo. E se l'Europa in occasione dei suoi 60 anni ha come obiettivo una migliore gestione dei suoi compiti, poiché sono diventati ambiziosi, allora ciascuno in Europa, l'UE come i paesi membri, dovrà impegnarsi, e per questo siamo tutti insieme.

DF: mi scusi, siamo già in campagna elettorale?

Schäuble: no, per niente. Ma mi ha dato molto fastidio il fatto che Herr Gabriel abbia inviato alla Grecia un messaggio che non aiuta i greci, e che renderà piu' difficile prendere le giuste decisioni.

DLF: vorremmo sapere qual'è il suo messaggio verso l'Isola. Per lei qual'è l'obiettivo piu' importante dei negoziati sulla Brexit?

Schäuble: in primo luogo saranno i britannici a deciderlo. Considero la loro decisione sbagliata, ma dobbiamo rispettarla. Ora dobbiamo trovare una via giusta. Se la Gran Bretagna vuole continuare ad avere accesso al mercato unico, dovrà anche assumere gli obblighi corrispondenti. Se non intende farlo, ci sarà una separazione. E' un peccato per la Gran Bretagna. Cercheremo di ridurre al minimo gli svantaggi per la Gran Bretagna. Ma è chiaro: il resto dell'Europa non deve farsi contagiare. Non ci puo' essere una scelta: chi prende i vantaggi dell'integrazione del mercato comune europeo, deve naturalmente anche accettarne gli obblighi, come ad esempio la libertà di viaggiare e le garanzie previste dal mercato unico. Non potrà esserci l'uno senza l'altro.

DF: che cosa significa questo per l'atmosfera dei negoziati? Bastone o carota?

Schäuble: i negoziati saranno equi tenendo in considerazione gli interessi divergenti. Ma io non ho il minimo dubbio: Michel Barnier, che con il suo team ha ricevuto l'incarico per la gestione delle trattative dalla Commissione e dal Consiglio dei Ministri è ben preparato. Ne ho già parlato con lui piu' volte. I britannici sono dei negoziatori difficili, ma anche molto intelligenti. Si troveranno davanti una controparte onesta, dei partner negoziali che sapranno difendere gli interessi europei con la stessa energia con cui i britannici cercheranno di difendere i loro.

DF: Ministro Wolfgang Schäuble (CDU), molte grazie per l'intervista, e a risentirsi.

Schäuble: Bitte, gerne! Auf Wiederhören.

mercoledì 29 marzo 2017

La campagna per una bomba atomica tedesca

In Germania da qualche settimana è in corso una campagna mediatica in favore di una bomba atomica tedesca. A smuovere le acque sono stati alcuni articoli di peso sulla cosiddetta "stampa di qualità" (FAZ e Die Zeit) e una recente trasmissione di Panorama sulla ARD, il canale pubblico piu' importante (la RAI 1 tedesca). Di fronte a milioni di spettatori e in prima serata, i giornalisti della tv pubblica hanno tranquillamente argomentato in favore di una bomba atomica per la Germania. Ne parla Jens Berger sulle nachdenkseiten.de

bomba atomica tedesca

Dietro le quinte la campagna per una bomba atomica tedesca era già iniziata da tempo, la vittoria di Trump è stata solo l'occasione per rilanciare un dibattito assurdo e a lungo dimenticato per una bomba atomica in Germania. Di Jens Berger

Il sogno di Adenauer

Oggi si dimentica volentieri, oppure lo si ignora, che nella giovane Repubblica Federale non si dava affatto per scontato che la Germania non sarebbe mai potuta diventare una potenza nucleare. Konrad Adenauer, spronato da Franz Josef Strauß, avrebbe fatto molto volentieri della Germania una potenza nucleare. Il 25 marzo 1958 è il momento più’ alto di questa ambizione, e allo stesso tempo è anche la data che ne sancisce la fine. Dopo un lungo ed intenso dibattito, il Bundestag tedesco vota per proseguire il riarmo atomico della Germania all'interno della Nato. Non si sarebbe mai arrivati a questo risultato se Adenauer e Strauß fossero riusciti ad imporsi. Entrambi i politici dell'Unione desideravano disporre di una bomba atomica tedesca, sul cui impiego avrebbe deciso Bonn, e non Washington. Poiché un progetto "tedesco solista" non sarebbe mai stato approvato dalle superpotenze, si cercò un alleato nel debole premier francese Félix Gaillard, con il quale si era trovato un accordo per la costruzione di una bomba atomica franco-tedesca. Ci fu poi l'escalation del conflitto in Algeria e la Quarta Repubblica si trovo' sull'orlo di un colpo di stato militare, evitato solo con la salita al potere del generale Charles de Gaulle. Con la fondazione della Quinta Repubblica finisce anche la speranza tedesca di una bomba atomica in comune con i francesi. De Gaulle infatti non aveva mai pensato di far partecipare i tedeschi alla sua "force de frappe".

Nel 1960 la Francia lancia nel deserto algerino la sua prima bomba atomica ed entra a far parte del club delle potenze nucleari insieme agli USA, all'Unione Sovietica e alla Gran Bretagna. Nei mesi successivi De Gaulle chiede agli Stati Uniti di mettere sotto il controllo francese le bombe americane che stazionavano sul suolo francese. Gli Stati Uniti rifiutano la proposta e la Francia si ritira dalle strutture operative della Nato.

Il sogno di una bomba atomica tedesca fortunatamente non era destinato a diventare realtà. Al suo posto la Germania aveva ottenuto la cosiddetta "condivisione nucleare": le attrezzature tecniche della Bundeswehr possono trasportare e conservare le bombe americane - i codici di lancio tuttavia restano custoditi negli Stati Uniti. "Si permette al piccolo pagliaccio di suonare con la sua trombetta giocattolo accanto all'orchestra militare, e gli si fa credere che sia lui il tamburo maggiore" - cosi' Franz Josef Strauß commentava senza mezzi termini il concetto di "condivisione nucleare" nel suo libro di memorie. Strauß nel corso della sua vita non è certo riuscito ad imporre le sue idee, tuttavia dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia potremmo senza dubbio considerarlo fra coloro che avrebbero chiesto una bomba atomica per la Germania.

Il dibattito è di nuovo attuale

Come per magia, un dibattito a lungo dimenticato, da qualche mese è tornato attuale. Dietro le quinte, nei Think Tank e nelle conferenze tecniche sulla difesa, la bomba atomica tedesca era già stata tematizzata molte volte. Ora però il dibattito si estende - seppur timidamente - ed entra nello spazio pubblico.

Pochi giorni dopo la vittoria elettorale di Trump, il condirettore della FAZ Berthold Kohler scriveva "dell'impensabile", chiedeva una "revisione" della politica di sicurezza fino "ad oltrepassare una linea rossa che per il pensiero tedesco è inconcepibile" - "la questione di un proprio deterrente nucleare". Alla fine, scriveva Kohler, "non possiamo più' fare affidamento sulle garanzie americane mentre gli arsenali francesi e britannici nelle loro condizioni attuali sono troppo deboli. Mosca nel frattempo si sta riarmando". L'articolo di Kohler è simile ad una lunga serie di interventi sulla stessa linea. La Russia viene demonizzata e ogni volta si cerca di giustificare le ambizioni nucleari tedesche con il fatto che Putin già domani potrebbe intervenire nel Baltico, se non in Polonia o addirittura in Germania. Ci potremmo difendere da questo rischio solo se "noi" disponessimo di un nostro "deterrente nucleare".

Anche volendo immaginare un possibile equilibrio del terrore, questo ragionamento zoppica. L'assurdità secondo cui i russi sarebbero alle nostre porte e pronti ad impadronirsi dell'Europa, la si può' tranquillamente lasciare da parte. Kohler e co. dovrebbero tuttavia rispondere almeno una volta alle domande: perché le garanzie americane improvvisamente non sono piu' valide e per quale motivo abbiamo bisogno di una bomba atomica tedesca? Perché Gran Bretagna e Francia improvvisamente, da un giorno all'altro, sarebbero diventate inaffidabili?

Il primo colpo di Panorama

Il "via libera" per i falchi è arrivato dopo la dichiarazione di Trump, incompresa, sull'obsolescenza della NATO. Trump naturalmente non è un isolazionista a cui improvvisamente è venuta in mente l'idea che dopo la fine della guerra fredda non c'è piu' bisogno della NATO, oppure che la NATO deve essere trasferita in una nuova architettura di sicurezza che comprenda anche la Russia. Per Trump piu' che altro si tratta di chiedere piu' soldi agli altri membri dell'alleanza - un appello che agli amici del riarmo come Angela Merkel e Ursula von der Leyen non puo' che fare piacere. Una dichiarazione, quella di Trump, che non c'entra molto con le garanzie previste dai trattati Nato, ed è ancora meno utile come argomento per un'arma nucleare tedesca.




Il dibattito nel frattempo ha preso slancio. 2 settimane dopo le dichiarazioni di Trump, la trasmissione televisiva Panorama ha tirato il primo colpo giornalistico: ha portato la campagna davanti ad un pubblico di milioni di spettatori scatenando una valanga. Tre giorni dopo la trasmissione della ARD, improvvisamente, l'uomo forte della Polonia, Jarosław Kaczyński, in un'intervista rilasciata alla FAZ ha apertamente appoggiato la richiesta tedesca di una bomba atomica - "la potenza nucleare europea deve tenere il passo con la Russia", secondo il polacco. Un caso? Una coincidenza? Non proprio. E' molto più' probabile che la richiesta di Kaczyński sia stata attentamente orchestrata.

Il maggiore Terhalle - il dibattito si fa sempre piu' forte e sempre piu' assurdo

Quattro giorni dopo Kaczyńsky, i Think Tank hanno aperto "il dibattito sulla bomba nucleare tedesca". Thorsten Benner, del Global Public Policy Institute (GPPi) ha consigliato al governo federale tedesco, dopo le elezioni francesi, di rivolgersi al nuovo governo di Parigi e proporre una cooperazione in materia di nucleare militare. Lo studioso di scienze politiche e maggiore della Bundeswehr Maximilian Terhalle non crede che questa sia la strada giusta. L'ex addetto alla sicurezza politica e alla strategia del Ministero della Difesa, una settimana prima della trasmissione di Panorama, sul quotidiano Tagesspiegel, era riuscito a portare l'attenzione sul tema con delle tesi alquanto assurde e confuse. Putin vorrebbe "ribaltare il trauma del 1991" e convincere l'Europa, da Lisbona fino a Vladivostock, con il "suo nuovo ordine di pace" - come accaduto recentemente in Ucraina. Pertanto la Germania avrebbe bisogno di armi atomiche, con cui "potrebbe limitare militarmente il potere di Putin, con un deterrente nucleare". Il Tagesspiegel dove va a prendere i suoi autori? E' solo un caso? Una campagna? Una scelta intenzionale?

Si', questa è roba forte e sicuramente anche pianificata. I 2 giornalisti di Die Zeit Peter Dausend e Michael Thumann, con la loro richiesta di una "bomba UE", pubblicata appena due settimane dopo la famosa trasmissione di Panorama, sembrano già molto piu' seri rispetto a Terhalle. Ma è proprio questa la tattica: senza le filippiche di Maximilian Terhalle, anche le fantasie atomiche degli uomini di Die Zeit sembrerebbero completamente assurde - qualunque esse siano. Comunque, messe accanto a quelle di Terhalle possono sembrare anche moderate - come dovrebbe essere nel quadro della campagna, prese di per sé, sono delle assolute sciocchezze.

Il colonnello Kiesewetter - ovvero come ho imparato ad amare la bomba

La campagna per un riarmo nucleare della Germania non è affatto un gioco intellettuale per giornalisti con troppo tempo disponibile, oppure a libro paga dei produttori di armi. Tra i grandi sostenitori della bomba atomica tedesca c'è anche Roderich Kiesewetter, ex colonnello, deputato CDU al Bundestag, Presidente della Commissione d'inchiesta sulla NSA e appartenente a numerose organizzazioni di lobby.

Se fosse per Kiesewetter la nuova potenza nucleare tedesca dovrebbe nascere nel quadro delle forze nucleari francesi: la Francia dovrebbe mettere a disposizione dell'UE le sue forze militari e stazionarle in tutta Europa. La Germania in cambio dovrebbe partecipare al finanziamento. Ma questo sarebbe solo il primo passo, solo una fase necessaria alla rimozione del blocco mentale, secondo Kiesewetter. Ad un  vero e proprio deterrente appartiene una dottrina politica comune che permetta di utilizzare le armi anche in un conflitto non-nucleare. "Si tratta di armi politiche. Il loro uso deve essere impensabile", secondo il deputato della CDU. Secondo quanto da lui dichiarato, a sostenere le  ambizioni nucleari di Kiesewetter ci sarebbero alcuni "importanti" ministeri a Berlino, il quartier generale Nato e i governi di Polonia e Ungheria.

Panorama era solo l'inizio?

Qui non c'è solo una trasmissione di Panorama, c'è molto di piu'. Ci troviamo all'inizio di una campagna che sicuramente ci accompagnerà per molto tempo. Il profilo della campagna tuttavia non è ancora chiaro. I "soliti noti" dei Think Tank transatlantici per il momento restano coperti, mentre sono soprattutto i rappresentanti della „Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik“ (DGAP) a costituire la punta di diamante della campagna. Secondo Jana Pulgerin della DGAP è "sorprendente" che un tale dibattito sia condotto in pubblico: alla fine l'opinione pubblica tedesca è decisamente contraria.

Il tema della segretezza è come un filo rosso che attraversa tutte le dichiarazioni sull'argomento. Anche Roderich Kiesewetter preferirebbe non parlarne in pubblico, ed entrambi i giornalisti di Die Zeit ammettono tranquillamente che gli esperti di campagne elettorali consigliano di stare alla larga da questo tema. E' giusto che sia cosi', e così dovrebbe restare. Non c'è alcun dubbio sul fatto che in Germania ci siano ambienti molto influenti che aspirano ad avere una bomba atomica tedesca. Quanto questi piani siano sviluppati e se gli articoli citati, le trasmissioni e le interviste siano solo un anticipo della profondità che la campagna può' raggiungere ancora non possiamo saperlo. Come è difficile prevedere se la campagna appena iniziata prenderà realmente slancio solo dopo le elezioni politiche di settembre 2017. Resteremo sicuramente sul tema. Perché l'unico modo possibile per contrastare stupidaggini di questo tipo, e ancora piu' importante, per evitarle, è un'ampia contro-campagna.


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domenica 26 marzo 2017

La lotta di classe è qui

Ottima traduzione appena ricevuta da Claudio. Seconda parte di un bellissimo reportage che Die Zeit dedica allo straordinario successo elettorale di AfD a Bitterfeld, in Sachsen-Anhalt, e in molte altre zone dell'Est. A Bitterfeld alle regionali del 2016 AfD ha superato il 31%: un risultato che non puo' essere spiegato solo con la rabbia per l'ondata di migranti. Grazie Claudio per l'articolo! Si arriva da QUI


Dodici anni dopo, nell'agosto del 2015, la signora in tailleur è nuovamente davanti alle telecamere. Adesso è diventata Cancelliera. Era il tempo in cui centinaia di migliaia di profughi giunsero in Germania attraverso i Balcani in cerca di rifugio; in larga parte persone che inizialmente vivrebbero svolgendo lavoretti semplici o richiedendo sussidi sociali. La Merkel sembra più benevola del solito, come trasformata. Parla di empatia, chiede ai Tedeschi di non farsi guidare dai pregiudizi e dalla “freddezza”, dando il benvenuto ai migranti. Disse: “la nostra economia è florida, il nostro mercato del lavoro è solido ed è certamente in grado di assorbire nuovi lavoratori”. Poi aggiunse quello che Diana Riemann ancora oggi non è riuscita a capire. Disse: “ce la facciamo”.

Poco tempo dopo nei capannoni della Soex c'erano i primi migranti che smistavano vestiti usati. La Soex è stata una delle poche fabbriche della zona ad offrire lavoro soprattutto agli immigrati: i giornali locali hanno riportato la notizia con toni encomiastici. Diana Riemann tira fuori il suo Smartphone e mostra una foto della fabbrica: una stanza disadorna con un tappeto rosso a quadri, sul pavimento c'è un Corano. Ci racconta che di recente la dirigenza ha fatto allestire una sala per la preghiera per i rifugiati. “Se io dicessi: vado un attimo a pregare perderei il mio lavoro. Oso a malapena andare in bagno, poiché in contrasto con le norme di lavoro”. Noi abbiamo chiesto all'addetto stampa della Soex se è vero che le condizioni dei lavoratori Tedeschi siano peggiori di quelle degli immigrati ma la risposta è stata un secco “no comment”.

A detta della Riemann agli immigrati vengono concessi permessi a lavoro nel caso in cui debbano recarsi al Sozialamt o all'Ausländerbehörde (n.d.t. rispettivamente “ufficio assistenza sociale” e “ufficio immigrazione”). Anche lei una volta ha avuto la necessità di rivolgersi all'ufficio preposto per richiedere il sussidio per la casa. “A me però non è stato concesso di andarci durante l'orario di lavoro” ci rivela. In quel caso la Riemann aveva un urgente bisogno del sussidio ma non è riuscita a ottenerlo, per via di pochi euro di troppo nella busta paga.

Negli ultimi anni durante i dibattiti di economia e politica si è parlato spesso e quasi unicamente del fatto che in Germania il personale qualificato sarebbe sommerso di offerte di lavoro e che la priorità fondamentale delle aziende sarebbe quella di offrire ai propri dipendenti un equilibrio armonioso tra lavoro e vita privata (work-life balance). Di conseguenza, le uniche questioni ancora aperte vertono sul maggiore accesso ai ruoli dirigenziali per le donne e sulla possibilità di includere gli immigrati nel mercato del lavoro. Raramente sono stati presi in considerazione coloro di cui ci si dimentica facilmente per via della congiuntura economica positiva, ossia tutti quelli che, pur avendo un lavoro, risultano poveri, che anche nel 2016 devono aver paura di perdere il lavoro, che non vivono nella ricca e prospera Germania, bensì in uno di quei Comuni indebitati fino al collo. Queste persone sono state zitte per anni. Ora però alcuni di loro vedono nell'AfD un partito che possa dar loro una voce, mentre nei rifugiati vedono una minoranza che è riuscita a sottrarre la compassione di una Cancelliera dimostratasi fino ad allora poco sensibile alle loro istanze sociali. Ed è da qui che che scaturisce il loro risentimento.

Diana Riemann va in cucina a prendere il caffè. Quando torna dice: “a quelle bestie un altro po' il Sozialamt pulisce pure il culo.”

A chi?

“A quelle bestie”, fa una pausa. “Agli stranieri”.

Non sono forse esseri umani?

“No”, poi ci offre del caffè. “Volete un altro bignè?”

Quello che è accaduto in quel mercoledì di dicembre al tavolo della Riemann si ripete quotidianamente mille altre volte. Nei commenti dei giornali online e sui profili Facebook dei politici; anche su quello del deputato di AfD Daniel Roi, dove lui posta le proprie foto personali: davanti al Parlamento regionale del Magdeburgo, assieme ai volontari dei vigili del fuoco o a una manifestazione dei sindacati. Qualche volta condivide articoli dei giornali, di solito riguardanti terroristi e criminali stranieri, come ad esempio l'attentatore tunisino che ha fatto irruzione in un mercatino di Natale presso la Gedächtniskirche di Berlino oppure i giovani rifugiati siriani che avrebbero dato fuoco ad un senzatetto. Gli amici di Roi su Facebook scrivono commenti di questo tipo:

“L'Islam e tutto ciò che gli gravita intorno sono ripugnanti.”

“I topi non stanno solo nelle fogne, sono anche in mezzo a noi.”

“Non si può fare di tutta l'erba un fascio ma con l'influenza aviaria verranno spazzati via tutti quanti. Perché? Meglio così!”

Roi non rimuove i commenti dalla propria pagina, dice che non ha tempo per leggerli tutti uno per uno.

Se proviamo a chiedere a Diana Riemann da dove proviene l'odio che ha manifestato quel pomeriggio, lei ci parla della delusione e delle privazioni che l'hanno consumata ben prima che i profughi mettessero piede nella fabbrica della Soex.

Il patto proposto da Angela Merkel al congresso di Lipsia, la formula magica neoliberista, secondo la quale le buone prestazioni vengono sempre ricompensate con lauti guadagni, per lei non funziona: ha imparato un mestiere, si è dimostrata flessibile ogni volta che era necessario, si è sempre impegnata. Ma in cambio non ha ricevuto né benessere né sicurezza. Mentre gli stipendi di parecchi lavoratori come lei sono fermi al palo da anni, altri hanno ricevuto per molto tempo sempre di più anche quando commettevano errori: i banchieri, i cui istituti sono stati sussidiati con i miliardi dello Stato o i manager delle multinazionali che frodano i clienti e ciononostante portano a casa i bonus.

Adesso che Merkel ha “invitato” i profughi - così si esprime la Riemann – lei si sente doppiamente tradita. Dice di aver paura di perdere il proprio lavoro per poi dover concorrere con persone meno istruite di lei per i posti rimanenti. Racconta di aver notato poco tempo fa una un avviso nella bacheca della Soex: la ditta sta costruendo una fabbrica ad Abu Dabi. Da allora la Riemann è convinta che lo stabilimento a Bitterfeld verrà presto chiuso e non è l'unica a nutrire tale timore.

Nell'estate del 2016, pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Afd a Bitterfeld, alcuni sociologi dell'Università di Oxford condussero un sondaggio su incarico della fondazione Bertelsmann. Il loro obiettivo era di ricercare i motivi che in Europa spingono così tante persone a votare i partiti nazionalisti di estrema destra. Il risultato è stato dappertutto lo stesso. I sostenitori della tedesca AfD e dell'austriaco FPÖ, così come i britannici che votano Ukip e i francesi che supportano il Front National, hanno un sentimento comune: la paura della globalizzazione. In Germania il 78% di coloro che votano AfD hanno ammesso tale timore.


Quando le multinazionali straniere giunsero a Bitterfeld Helmut Kohl promise “paesaggi in fiore”1; quando i rifugiati si insediarono a Bitterfeld Angela Merkel promise che la Germania ce l'avrebbe fatta. “Kohl ci ha presi in giro e la Merkel ha dimenticato da dove viene” dice la Riemann. “Una volta lei era una di noi. Dovrebbe sapere che dalle nostre parti ci sono ancora tanti problemi per i quali non si trova una soluzione.”

A Bitterfeld le esigenze dei cittadini vengono bloccate sempre con la stessa frase: non ci sono soldi. Non ce ne sono per le scuole e per gli ospizi, né per le strade dissestate o per i parchi giochi. “Poi sento: per gli immigrati ci sono miliardi a disposizione, questo però fa a pugni con la realtà”, dice la Riemann.

Bitterfeld-Wolfen è il comune più indebitato della Sassonia-Anhalt, un esempio estremo per un problema assai diffuso: mentre l'economia tedesca nel complesso prospera radiosa, alcuni singoli Comuni se la passano decisamente male. E non solo nella Germania orientale, anche nella zona della Ruhr, in Renania Palatinato o in Saarland. Quanto questi Comuni si ritrovino a dover mendicare disperatamente la benevolenza delle multinazionali, e quanto siano impotenti di fronte alle leggi della globalizzazione, lo si può osservare a Bitterfeld-Wolfen.

In un campo alla periferia della città c'è un sito industriale con capannoni grandi quanto campi da calcio e torri in vetro e cemento armato. L'ingresso principale rimane aperto, la portineria è vuota. Nel parcheggio è cresciuta l'erba. Dei cartelloni fiancheggiano la strada: “impianto di produzione affittasi”.

Fino a pochi anni fa qui germogliava la speranza della Germania orientale: un enorme complesso industriale dove migliaia di lavoratori costruivano pannelli solari che venivano esportati in tutto il mondo. Quest'area veniva chiamata dagli abitanti di Bitterfeld “solar valley”; in quel periodo si aveva l'impressione che questa regione ce l'avesse davvero fatta. Le aziende che producevano qui avevano nomi che rievocavano il futuro, come Q-Cells, Sovello, Solibro e Calixo. La città aveva fatto loro una corte spietata attraverso basse imposte, forza lavoro altamente flessibile, finanziamenti multimilionari e uno svincolo autostradale costruito appositamente per il complesso industriale. Anche il governo federale fece la sua parte: approvò delle sovvenzioni per la produzione di energia solare affinché la richiesta di panelli solari crescesse. Le imprese arrivarono e portarono con sé migliaia di posti di lavoro.

Non passò molto tempo prima che delle multinazionali cinesi cominciarono a produrre – a prezzo più basso – lo stesso tipo di pannelli solari al punto da fagocitare le aziende di Bitterfeld e delocalizzare il lavoro. Migliaia di persone furono licenziate. “Fu un taglio netto” dice Daniel Roi, il quale ritiene che il discorso delle multinazionali non sia poi così dissimile da quello riguardante il lago Goitzsche: lo Stato sborsa milioni con l'intento di attirare i grandi capitali. Alla fine però alla collettività non spetta niente. “Il sistema capitalistico, che ormai non conosce più limiti, è fallito” dice lui.

Oggi gli abitanti di Bitterfeld hanno imparato a diffidare delle benedizioni della globalizzazione, così come nutrono parecchi dubbi circa il reale potere dello Stato: perché il governo non si tutela di fronte alle multinazionali cinesi? Perché continua a sovvenzionare la vendita di pannelli solari che non sono prodotti dai lavoratori tedeschi, bensì principalmente da quelli asiatici? La Merkel non aveva promesso che si sarebbe fatta carico del benessere e della sicurezza delle persone, a patto che queste si dimostrassero flessibili e diligenti?

Da allora gli abitanti di Bitterfeld si sono adeguati alle esigenze delle imprese, impostando la loro vita secondo il ritmo delle fabbriche. La società attuale che promuove lo sviluppo economico propaganda tra la popolazione la “dipendenza dai prodotti chimici” e ”l'assuefazione al regime su tre turni di lavoro”. La città ha chiamato le proprie strade con i nomi delle aziende e dei loro prodotti: Heraeusstraße, Guardianstraße, Stickstoffstraße (“via dell'azoto” n.d.t.), Farbstoffstraße (“via del colorante” n.d.t.). Ha perfino rinunciato a sé stessa pur di attirare le imprese. Nel 2007 vi fu una riforma distrettuale e Bitterfeld fu accorpata – contro la volontà dei cittadini – a Wolfen. Si fusero per poter essere più appetibili dal punto di vista commerciale. Si avvicinarono per mascherare il reciproco invecchiamento e disfacimento. Da allora molti centri della Germania orientale hanno nei loro nomi una caratteristica che prima si riscontrava solo nella zona occidentale: il trattino, come per esempio Dessau-Roßlau o, se preferite, Bitterfeld-Wolfen.

Durante gli ultimi anni ci sono state sempre nuove multinazionali che portavano posti di lavoro a Bitterfeld, ma questi lavori non erano mai sicuri. Ci sono stati politici locali che hanno fatto di tutto per attirare i colossi industriali. Ma ciò che si è rivelato al di là delle loro possibilità è stata la capacità di farli restare qui.

L'Afd non ha alcuna soluzione per tali problemi. Il suo manifesto economico è scarno e impreciso, in alcuni punti richiama la lotta di classe, altrove sembra aderire sfrenatamente ai dettami del libero mercato. Su una cosa sono però molto bravi: sanno ascoltare le persone come Diana Riemann, conoscono i loro bisogni, canalizzano la loro rabbia, di solito nella direzione più semplice di tutte, verso il basso, contro i migranti, contro coloro che hanno ancora meno di loro.

Se chiedete a Diana Riemann dell'SPD o della Linke, vi dirà che ha visto i loro rappresentanti in TV e che non capisce il loro linguaggio. Se invece le chiedete dell'AfD vi risponderà Daniel Roi. Lo ha conosciuto durante una manifestazione, protestavano insieme contro la chiusura di una scuola materna. Lei gli parlò dei suoi problemi e lui le diede il suo numero di cellulare.

Roi parla la sua stessa lingua, quel ruvido dialetto tanto diffuso nella zona meridionale della Sassonia-Anhalt. Lui è nato qui, a Wolfen-Nord, una sorta di colonia operaia in cui alla fine degli anni '80 vivevano all'incirca 35.000 persone. Oggigiorno 8.000 di loro vivono ancora li', in maggioranza pensionati. Con la sua Škoda passa davanti ai prefabbricati, a Kaufland (n.d.t. centro commerciale) e Nettomarkt (n.d.t. supermercato), poi scende dalla macchina e si incammina attraverso i canyon urbani. Donne anziane trascinano il loro deambulatore sull'asfalto squarciato, accanto ad un enorme cumulo di macerie le scavatrici sbriciolano il calcestruzzo lavato dei prefabbricati sventrati. Gli operai trascinano fuori le interiora degli edifici: tubi degli impianti di riscaldamento, tazze del gabinetto, pannelli isolanti. Un paio di anni fa la Società per l'edilizia residenziale della città innalzò i prezzi degli affitti, nonostante il quartiere fosse decrepito. In seguito a ciò alcuni cittadini fondarono un'iniziativa a difesa degli affittuari; il loro presidente siede oggi nel consiglio esecutivo dell'AfD.

Più tardi Roi si reca nel centro di Bitterfeld. I proprietari di alcuni piccoli negozi hanno fondato un comitato a tutela del centro città. Si lamentano del fatto che in centro i negozi siano vuoti e che intorno a Bitterfeld stiano spuntando grandi centri commerciali. Protestano contro le imposte che sono obbligati a pagare, mentre in Germania le catene di moda internazionali pagano pochissime tasse. Si scagliano contro i colossi on-line come Amazon che danneggiano i loro affari. Il presidente del comitato il prossimo anno vuole candidarsi al parlamento; con AfD.

Roi gironzola nella piazza del mercato che si tiene qui ogni mercoledì. Vi si trova formaggio olandese e panini con würstel della Turingia per 1,80 €. Lì in mezzo, vicino alla teca del pollame, un partito ha allestito un bancone, l'unico lungo e largo. È l'AfD.


1 N.d.t. L'espressione blühende Landschaften fu usata dall'allora Cancelliere Helmut Kohl in due circostanze (1990 e 1991) con riferimento alle prospettive economiche dei territori dell'ex Germania Est

sabato 25 marzo 2017

Salvataggi alla tedeska

In Germania le banche si salvano ancora alla vecchia maniera: con il denaro pubblico. HSH Nordbank è la banca zombie del nord salvata con il denaro pubblico dello Schleswig-Holstein e della città di Amburgo: per ora è costata al contribuente tra i 20 e i 30 miliardi di euro. La parte sana della banca sarà ovviamente ceduta ad un'altra banca pubblica, mentre lo smaltimento dei crediti deteriorati della bad bank avverrà in tutta tranquillità, senza la pressione della BCE e della Commissione, come invece sta accadendo per MPS e le banche venete. Il punto sulla situazione, da Die Welt


Se qualcuno gli chiede di HSH Nordbank, Georg Fahrenschon risponde con dei monosillabi. Come era facile immaginare, durante la conferenza stampa annuale tenutasi questa settimana a Berlino, il presidente delle Casse di Risparmio Tedesche (Deutschen Sparkassen- und Giroverbandes, DSGV) ha preferito non rispondere alle domande sulla vendita della Landesbank della città di Amburgo e dello Schleswig-Holstein e sui rischi connessi per le casse di risparmio. Gli è stato chiesto se NordLB [Landesbank pubblica di Hannover] vuole davvero comprare HSH Nordbank: "qui preferisco usare il jolly- telefonate direttamente ai proprietari della NordLB", ha risposto Fahrenschon.

Considerando i diversi scenari sul tavolo, il futuro di HSH Norbank resterà incerto ancora per mesi. Ci sarà un compratore, oppure no? E se si', saranno i cinesi oppure la Landesbank di Hannover? La banca sarà divisa in una good bank e in una bad bank? Le perdite alla fine saranno 20 miliardi oppure 40? L'ultimo atto della crisi finanziaria avrà un lieto fine oppure è lecito aspettarsi un disastro? E soprattutto: l'istituto finanziaro della Germania del Nord, causerà solo qualche scossa oppure scatenerà un violento terremoto nel sistema finanziario tedesco?

Quanti acquirenti ci sono veramente?

L'ultima domanda interessa il presidente delle casse di risparmio tedesche, Fahrenschon, piu' di tutte le altre. Perché sono proprio le casse di risparmio a garantire per le Landesbanken. Per questa ragione sia ad Amburgo che nello Schleswig-Holstein ci si augura che il processo di vendita iniziato a gennaio possa essere l'ultimo capitolo di una storia breve ma densa di perdite, soprattutto si spera che sia possibile trovare un compratore entro il febbraio 2018. La cosa piu' importante: i miliardi che fino ad ora il contribuente ha già pagato per il sostegno e il risanamento della banca devono essere gli ultimi. Ed è proprio quello che i politici dell'opposizione e i manager della banca temono.

Nelle stanze del potere si usano altri toni. Verso la fine di  febbraio il Ministero delle Finanze dello Schleswig-Holstein parlava di "numerose manifestazioni di interesse". Il senatore responsabile per gli affari finanziari della città di Amburgo, Peter Tschentscher (SPD), si era mostrato molto soddisfatto per la situazione. Secondo le informazioni di „Welt am Sonntag“, tuttavia, al primo appuntamento si sarebbero presentati meno di 10 potenziali compratori interessati - alcuni di questi presumibilmente solo perché volevano farsi un'idea sulla situazione dei conti della banca. Quanto in realtà la vendita potrebbe essere difficile lo mostra il caso della WestLB.

La banca era entrata in crisi a causa della crisi finanziaria e aveva messo il suo proprietario, il Land Nordrhein-Westfalen, in una situazione difficile, simile a quella in cui si trovano attualmente le 2 regioni del nord per via di HSH Nordbank. All'epoca si parlava di 50 possibili compratori interessati all'acquisto di WestLB. Alla fine erano rimasti solo in 5 e nessuno di questi ha poi deciso di comprare. Nel 2012 la banca è stata divisa in piu' parti e lo smaltimento dei crediti residui durerà probabilmente fino al 2027.

Un disastro per le regioni Amburgo e Schleswig-Holstein

I proprietari (pubblici) di HSH Norbank hanno deciso invece di risanare l'istituto. Amburgo e Schleswig-Holstein detengono il 90% della Landesbank, le parti residue sono di proprietà delle Casse di Risparmio dello Schleswig-Holstein e dell'investitore americano J.C. Flowers. I piani di risanamento non hanno mai preso il volo. Soprattutto perché il mercato internazionale dei trasporti navali non si è mai ripreso. La HSH Nordbank, ex leader mondiale nel finanziamento delle flotte marittime, è stata colpita in maniera particolarmente dura: il suo portafoglio di crediti verso le compagnie navali è stato svalutato piu' volte mentre in piu' occasioni i prestiti non esigibili erogati per l’acquisto di navi e petroliere sono passati in mani pubbliche. 


Per i Laender Amburgo e Schleswig-Holstein si tratta di un disastro economico. Il professore di economia di Kiel, Peter Nippel, nell'estate 2016 calcolava in 13 miliardi di euro la somma che gli azionisti pubblici hanno dovuto pagare dal 2009 al 2015 per sostenere la banca. Il portavoce della FDP nel Parlamento di Amburgo, Michael Kruse, parla di una perdita complessiva di circa 20 miliardi di euro dalla fondazione della banca avvenuta nel 2003.

La Linke, che da diversi anni chiede la liquidazione della banca, calcola in 27 miliardi di euro di costi per i 2 Laender. Per fare un confronto: il bilancio annuale della città di Amburgo è di circa 10 miliardi di euro, quello dello Schleswig-Holstein è di circa 11 miliardi di euro. In tutto le 2 regioni fino ad ora hanno incassato 354 milioni di euro di dividendi e 2.9 miliardi di euro di interessi che la HSH Norbank ha pagato per i 10 miliardi di garanzie pubbliche.

Le casse di risparmio dovranno garantire?

Dopo un lungo negoziato, Amburgo e Schleswig-Holstein sono riusciti ad imporre alla Commissione UE la possibilità di aiutare finanziariamente la banca. Poiché gli aiuti pubblici dati alle banche sono considerati una distorsione della concorrenza, alla fine del processo di risanamento HSH Nordbank dovrà essere venduta. Se non si riuscirà a vendere la banca entro il 28 febbraio 2018, la banca dovrà interrompere la sua attività e dismettere il suo attuale portafoglio crediti. In quel caso, anche i singoli settori della banca, ad esempio il business nelle energie rinnovabili o quello nel settore immobiliare, dovranno essere venduti. Ma anche la vendita dei crediti residui alla fine graverebbe con ulteriori miliardi di perdite sui bilanci delle 2 regioni.

La liquidazione di HSH Norbank potrebbe causare un terremoto nell'intero sistema finanziario tedesco: "le casse di risparmio tedesche hanno un problema serio, perché il fondo di garanzia delle Landesbank è gia al limite. Se questo dovesse restare senza risorse, sarà il fondo di garanzia delle casse di risparmio a dover garantire per la liquidazione della banca", dichiara il politico della FDP Kruse. "E questo potrebbe mettere in difficoltà la stabilità e la solvibilità di tutto il sistema delle Sparkasse tedesche".

Ma c'è anche qualcos'altro ad innervosire le casse di risparmio e il loro presidente Fahrenschon. Hanno venduto ai loro clienti  obbligazioni della HSH Nordbank per un totale di 7 miliardi di Euro, soprattutto in Westfalen-Lippe. Se HSH Norbank non dovesse essere piu' in grado di onorare questi titoli, i risparmiatori perderebbero il capitale e gli interessi. "Si tratta di obbligazioni a tasso fisso con l'obbligo per il possessore, nel caso peggiore, di partecipare alle perdite", dice Norbert Weber, ex dirigente bancario e membro del gruppo parlamentare della Linke nel Parlamento di Amburgo. "Le casse di risparmio dovrebbero riacquistare questi titoli, se non vogliono rischiare un grave danno di immagine per l'intero settore".

Kernbank e Bad Bank - due facce della HSH Nordbank

Mentre tutto intorno infuria la tempesta, HSH Norbank cerca di tornare ad una situazione di normalità. Dopo anni di scandali con perdite enormi, buchi finanziari e processi contro gli ex membri del consiglio di amministrazione, i vertici della banca desiderano solo una cosa: serietà negli affari per cercare di aumentare le chance di vendere la banca. Il CEO Stefan Ermisch si concentra soprattutto sulla promozione presso i potenziali investitori della "parte economicamente sana della banca". Si tratta delle attività legate agli immobili, al trasporto, alle energie rinnovabili, alla sanità e ai clienti aziendali.

I proprietari tuttavia dovranno vendere anche la bad bank. E' qui che infatti sono stati scaricati i prestiti in default dell'istituto, titoli tossici acquistati sul mercato immobiliare americano prima della crisi finanziaria mondiale, crediti verso le  compagnie navali ormai senza un valore e prodotti speculativi di qualsiasi tipo. La domanda è solo una: in che modo? In un pacchetto unico con la good bank, e questo sarebbe l'obiettivo primario delle regioni. Nel settore tuttavia lo si considera alquanto improbabile. Anche lo stesso CEO die HSH, Stefan Ermisch, dice apertamente di non credere a questa possibilità.

Ermisch lo ha già annunciato ad inizio dicembre: per la vendita della good bank e della Bad bank ha in mente 2 diversi tipi di investitori. Una bad bank come quella creata per smaltire i crediti deteriorati di HSH Norbank probabilmente sarà offerta agli hedge fonds americani. Norbert Weber della Linke crede che la banca stia cercando un taglio netto: "sono sicuro che la banca dovrà essere divise in due parti, anche da un punto di vista giuridico, prima di procedere alla vendita".

Da un lato si facilita la cessione della parte sana, dall'altro Amburgo e Schleswig-Holstein potranno concentrarsi sulla liquidazione della "bad bank", nel caso in cui non fosse stato possibile venderla entro il febbraio 2018. Anche Lüthje si aspetta una cessione separata: "La banca core sarà venduta. La bad bank probabilmente sarà gestita ancora per diversi anni direttamente dai 2 Laender - con l'approvazione della Commissione - in modo da riuscire a vendere a prezzi accettabili i vecchi prestiti".

Il sindaco di Amburgo, Olaf Scholz (SPD), riuscirà sicuramente ad ottenere l'autorizzazione necessaria da Bruxelles, dice Lüthje. "Herr Scholz è in grado di portare a casa un simile risultato". Che gli investitori interessati a HSH Nordbank siano meno di 10, secondo Lüthje, non è un problema. Cio' che conta, secondo lui, è il numero di quelli che resteranno dopo aver visto i libri contabili.

Alla core bank di HSH Norbank potrebbero essere interessate anche banche di altri paesi in cerca di un maggiore accesso al mercato tedesco ed europeo. Da mesi si specula sul fatto che un istituto cinese potrebbe rilevare la banca. Proprio in questa fase la Cina sta aumentando i suoi sforzi per acquistare aziende hi-tech tedesche. Perché non una banca direttamente in contatto con le aziende?

Nord LB sarà costretta ad acquistare?

L'ex dirigente bancario Bernd Lüthje, ex presidente del consiglio di amministrazione di WestLB, di cui ha guidato la ristrutturazione dei primi anni 2000, non crede a questo scenario: "le banche cinesi vanno laddove possono avere accesso diretto alle aziende di piccole e medie dimensioni. HSH Nordbank non è una banca specializzata in piccole imprese. Io credo che alla fine sarà NordLB [Landesbank pubblica di Hannover] a comprare la parte sana di HSH Nordbank".

Lüthje non è il solo a pensarla in questo modo. L'ipotesi che alla fine sarà NordLB a comprare HSH Norbankd, o almeno la parte buona della banca, è alquanto popolare fra gli esperti del settore. Il consiglio di gestione di NordLB ha tuttavia smentito piu' volte il suo interesse - alla fine del 2016 l'istituto di Hannover ha acquisito la Landesbank di Brema e deve ancora integrarla nel gruppo. NordLB si trova ora nei bilanci 10 miliardi nominali di crediti erogati al settore navale, un rischio notevole considerando gli sviluppi nel mercato dello shipping.

Le speculazioni su di una nuova acquisizione nel nord del paese non sembrano fermarsi: "è piu' che probabile che alla fine NordLB sarà costretta a comprare HSH Nordbank, perché è la volontà politica dei governi regionali rosso-verdi del nord", dichiara il politico della FDP Kruse. "Con questa soluzione sia il settore pubblico che le casse di risparmio potrebbero guadagnare tempo. Alla fine sarebbero i contribuenti a dover garantire con somme considerevoli. Anche scaricando una parte delle perdite sulla Bassa Sassonia il problema di fondo resterebbe irrisolto: la garanzia comune sui debiti".

Non c'è nessun piano B

Ma cosa potrebbero fare i proprietari se non si riuscisse a vendere la banca - né per intero né in 2 parti separate? "Non c'è nessun piano B", dice un influente politico di Amburgo, che ha seguito la vendita con attenzione.

E dipinge uno scenario ancora piu' cupo: le autorità finanziarie di Amburgo non sono affatto preparate per un processo di queste dimensioni: lo smantellamento e la vendita di una banca che un tempo aveva in portafoglio oltre 200 miliardi di Euro di attivi. I consulenti legali e gli avvocati, con le loro ricche parcelle, probabilmente alla fine saranno gli unici a trarne beneficio. 

Le condizioni per la vendita di HSH Nordbank sembrano essere molto diverse da quelle della vendita di WestLB: se la vendita di HSH Nordbank o di una sua parte dovesse fallire, ci sarebbe un lungo strascico, e se i crediti inesigibili della bad bank dovessero essere svalutati sotto la gestione delle 2 regioni, il conto finale per Amburgo e Schleswig-Holstein sarebbe molto piu' alto. Secondo Norbert Weber della Linke, "avremmo probabilmente altri 10 miliardi di euro di costi aggiuntivi per le 2 regioni".

domenica 19 marzo 2017

Berlino alimenta l'indipendentismo scozzese

Secondo German Foreign Policy, Berlino sta alimentando il separatismo scozzese per indebolire la posizione britannica e poter negoziare una Brexit favorevole agli interessi tedeschi. I mezzi per fare pressione: rapporti economici privilegiati con la Scozia e l'interferenza nelle questioni interne britanniche. Da german-foreign-policy.com


Per rafforzare i suoi legami economici con l'UE, la Scozia intende realizzare un centro per gli investimenti a Berlino; cosi' facendo, grazie anche all'appoggio tedesco, si stanno creando le condizioni per nuove tensioni interne alla Gran Bretagna. Il governo scozzese, secondo i commentatori, nel tentativo di trovare una protezione economica per il processo di separazione dalla Gran Bretagna, starebbe cercando l'aiuto tedesco. Concretamente: i governi regionali e quello federale di Berlino, in maniera mirata, stanno cercando di rafforzare i loro legami economici con Edimburgo. Lo scenario di fondo sarebbe il desiderio di aumentare la pressione su Londra in modo da poter ottenere una "soft Brexit". Opzione senza dubbio desiderabile per la tutela degli interessi tedeschi. I consiglieri del governo tedesco suggeriscono invece di utilizzare la Repubblica d'Irlanda per fare pressione nei negoziati sulla gestione del confine fra Irlanda e Irlanda del Nord; questo confine in caso di "hard Brexit" sarebbe una questione particolarmente delicata. Come merce di scambio Berlino vorrebbe utilizzare i cittadini UE già residenti in Gran Bretagna e quelli britannici residenti nell'UE: la Cancelliera Merkel ha infatti rifiutato di garantire i loro diritti di soggiorno prima dell'avvio dei negoziati. 

Sfruttare i contrasti

Subito dopo il referendum britannico sull'uscita dall'UE del 23 giugno 2016, a Berlino si iniziava a riflettere su come utilizzare i contrasti interni al Regno Unito per poter esercitare una pressione nelle trattative sulla Brexit. Dalle urne è uscita una maggioranza pro-Brexit, ma non in Scozia e Irlanda del Nord, dove rispettivamente il 62% e il 55.8% ha votato contro. Per Londra la situazione è complessa, perché in Scozia le aspirazioni secessioniste sono molto forti, mentre in Irlanda del Nord ci sono invece piani per la riunificazione con la Repubblica d'Irlanda; entrambe le regioni sono ampiamente sopra la media pro-UE, e la prospettiva di un'uscita non fa altro che alimentare le aspirazioni indipendentiste. L'idea era quindi quella di sfruttare il separatismo scozzese e i piani di riunificazione irlandesi per aumentare la pressione su Londra e quindi costringere il governo di Londra a fare concessioni - con un consiglio: se Londra si allontanasse davvero dall'UE perderebbe la Scozia. Per un certo periodo si è addirittura parlato di una ripetizione del referendum. In alternativa, si diceva, è necessario ottenere almeno una "soft Brexit".

Accettare la Scozia

In questa fase Berlino ha apertamente sostenuto il separatismo scozzese. Il presidente della Commissione per gli Affari Europei al Bundestag, Gunther Krichbaum (CDU), il 26 giugno dichiarava: "L'UE continuerà ad essere composta da 28 stati membri, perché io mi aspetto un nuovo referendum sull'indipendenza della Scozia, che questa volta avrà successo. Dobbiamo rispondere rapidamente alla richiesta di ingresso di un paese amico dell'UE"[1]. Sempre nella stessa direzione andava l'incontro dell'allora Presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz (SPD), con il capo del governo scozzese Nicola Sturgeon; con quell'incontro Sturgeon voleva discutere di come la Scozia, nonostante la Brexit, potesse ancora restare a far parte dell'UE. I primi di luglio si è aggiunto anche l'allora Ministro dell'Economia Sigmar Gabriel (SPD) dichiarando: "L'UE sarebbe sicuramente pronta ad accogliere la Scozia se questa dovesse uscire dal Regno Unito e chiedesse di entrare nell'UE" [2] In agosto Sturgeon è stata ricevuta a Berlino dal sottosegrario al Ministero degli Esteri Michael Roth, il quale in quell'occasione aveva dichiarato: "mi auguro che il Regno Unito riesca a trovare una strada che possa essere utile per l'Europa nel suo complesso". [3] A settembre, a Bad Aibling, in Baviera, in occasione di una riunione di partito, il capogruppo SPD nel parlamento regionale bavarese ha incontrato Angus Robertson, capogrupppo dello Scottish National Party (SNP) alla House of Commons. Robertson in quell'occasione ha annunciato di  voler analizzare le possibilità per far restare la Scozia nell'UE nonostante l'uscita britannica; il suo discorso è stato accolto con grandi applausi. [4].

Un centro per gli investimenti a Berlino

In questa situazione di forte incertezza Sturgeon è alla ricerca di un maggiore sostegno economico da parte della Germania. All'inizio di marzo ha incontrato a Edinburgo il Ministro dell'Economia tedesco Christian Schmidt per discutere, tra le altre cose, dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE. All'inizio della scorsa settimana il Ministro dell'Economia scozzese è stato ad Amburgo e Berlino per parlare di un possibile rafforzamento delle relazioni economiche. Edinburgo intende costruire a Berlino nel prossimo futuro un "Centro per l'innovazione e gli investimenti" che dovrebbe contribuire alla creazione di nuovi legami economici. La prossima settimana è previsto il viaggio in Scozia di una delegazione economica bavarese sotto la guida del Ministro dell'Economia bavarese Ilse Aigner. Lo sviluppo delle relazioni commerciali rafforza il legame della Scozia con l'UE, rende piu' probabile una separazione economica - e garantisce a Berlino maggiori opportunità per esercitare la sua influenza.

Confini sensibili

I politici di Berlino individuano opportunità per estendere la loro influenza anche nella questione nord-irlandese. Li' una hard Brexit potrebbe rivelarsi fatale, perché potrebbero esserci conseguenze sul confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda, secondo quanto riportato da una recente analisi della Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). La permeabilità di questo confine è di grande importanza per il processo di pace sull'Isola. Il libero transito delle persone fra la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord è regolato nel  Common Travel Area (CTA) del 1923; il trattato potrebbe facilmente restare invariato anche dopo l'uscita della Gran Bretagna. Tuttavia potrebbero esserci problemi per il Regno Unito, perché un confine senza controlli d'identità sarebbe una facile porta di ingresso per la migrazione indesiderata. Londra potrebbe quindi trovarsi in una situazione difficile, che giocherebbe a sfavore di una "hard Brexit". Sicuramente non è opportuno intervenire direttamente in Irlanda del Nord, e quindi in questioni interne al Regno Unito, ma nelle trattative è coinvolta anche l'Irlanda. L'UE avrebbe quindi "il diritto di tutelare nei negoziati per la Brexit gli interessi particolari del suo stato membro Irlanda", scrive la SWP.[6] Il confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda già nel luglio 2016 era stato oggetto di un colloquio fra la Cancelliera Angela Merkel e il primo ministro irlandese Enda Kenny.

Merce di scambio

Fra le complicazioni che Berlino sta cercando di mettere in campo per evitare un "hard Brexit" c'è anche la questione della tutela del diritto di soggiorno per i circa 3 milioni di residenti europei in Gran Bretagna. Anche se nell'establishment britannico nessuno intende negargli il diritto a restare, l'incertezza permanente non solo causa inquietudine fra le persone coinvolte ma alimenta un atteggiamento ostile nei confronti della Brexit. Il primo ministro May avrebbe quindi chiesto alla Cancelliera Merkel di pronunciarsi a favore del diritto di soggiorno sia per per i cittadini europei nel Regno Unito, sia per i 900.000 cittadini britannici che vivono nei paesi dell'UE a 27. Da quanto si legge, pare che Merkel abbia esplicitamente respinto la richiesta. Non sarebbe disponibile "ad indebolire la posizione negoziale dell'UE", cosi' si scrive citando fedelmente fonti vicine al governo tedesco.[7] In questo modo Berlino ha trasformato i 3 milioni di cittadini europei nel Regno Unito e i 900.000 residenti britannici nel continente in una merce di scambio.

[1] Jacques Schuster, Daniel Friedrich Sturm: Und zurück bleiben die verwirrten Staaten von Europa. www.welt.de 26.06.2016. S. dazu Das Druckmittel Sezession.
[2] Sigmar Gabriel: Egoismus macht Europa kaputt. www.noz.de 02.07.2016.
[3] Sturgeon in Berlin for Brexit talks with German minister. www.bbc.co.uk 09.08.2016.
[4] Bayerisch-schottischer Schulterschluss für Europa. bayernspd-landtag.de 21.09.2016.
[5] Kanishka Singh: Scottish independence support at highest ever levels, survey suggests. Polls find 46% of Scots back separation from UK. www.independent.co.uk 15.03.2017.
[6] Nicolai von Ondarza, Julia Becker: Ein differenzierter Brexit für das Vereinigte Königreich. SWP-Aktuell 11, März 2017.
[7] Oberhaus will Garantien. Frankfurter Allgemeine Zeitung 03.03.2017.