sabato 13 maggio 2017

Il nuovo Eliseo 2.0

Sigmar Gabriel propone un rafforzamento della cooperazione con la Francia ed un nuovo asse franco-tedesco fondato su di un Trattato dell'Eliseo 2.0. Der Spiegel pubblica i punti piu' rilevanti del nuovo documento appena lanciato dal Ministro degli Esteri tedesco. I mezzi messi a disposizione dai tedeschi tuttavia sembrano alquanto modesti. Da Der Spiegel


Nuove condizioni per la cooperazione

In un documento di cinque pagine dal titolo "Eliseo 2.0 - nuovo slancio per la cooperazione franco-tedesca" il Ministro degli Esteri Sigmar Gabriel ha sviluppato e raccolto alcune idee per un rafforzamento della cooperazione fra Parigi e Berlino. Lo riporta Der Spiegel nel suo ultimo numero. "Non appena Macron e il suo team si saranno insediati, dovremo sviluppare passo dopo passo un nuova agenda franco-tedesca per lo sviluppo dell'Europa", scrive il politico della SPD. "Dobbiamo riflettere insieme su come poter sviluppare un proseguimento del Trattato dell'Eliseo".

Gabriel propone che Francia e Germania tornino a cooperare piu' strettamente in alcuni settori chiave, tuttavia "l'avvio di questo processo non deve escludere gli altri stati membri dell'Unione". Le priorità saranno le iniziative "che non richiedono necessariamente una modifica dei trattati UE".

Miliardi di accantonamenti dall'energia nucleare

La componente centrale della proposta sono le politiche economiche e quelle per il mercato del lavoro. "Per impostare un percorso di crescita economica ed occupazionale, potremmo avviare un'iniziativa comune per gli investimenti sul futuro", si dice nel documento. Si tratta di investimenti "nel capitale di rischio per giovani imprese in fase di crescita, potenti reti digitali per l'internet veloce, efficienza energetica, una moderna infrastruttura di trasporto oppure la ricerca e lo sviluppo".

Il Vice-Cancelliere ha pensato anche a come finanziare il progetto. Propone di utilizzare i miliardi di Euro accantonati per coprire i costi del nucleare tedesco. "Perché non pensiamo di rendere disponibile una parte del fondo tedesco per il finanziamento dei depositi nucleari e lo smaltimento delle scorie, da completare con investimenti privati e pubblici dalla Francia?", scrive Gabriel. Tuttavia i fondi dovranno essere investiti in maniera sicura e in modo da fornire un ritorno sull'investimento. "Se individuiamo dei progetti che promettono un ritorno sul capitale, in questo modo potremo attrarre capitale privato aggiuntivo e quindi rafforzare l'effetto delle risorse pubbliche", cosi' la sua proposta.

"Se fallisce, falliamo anche noi e fallisce l'Europa"

Gabriel ritiene l'elezione di Macron come una grande opportunità per l'Europa. "Se Macron fallisce, falliamo anche noi e fallisce l'Europa". Secondo Gabriel alcune reazioni della CDU e della CSU alle proposte fatte dal nuovo Presidente sarebbero "grette ed egoiste". Sarebbe un grave errore "se alcuni in Germania rispondessero declinando tutte le proposte solo perché queste non vanno d'accordo con le loro tanto amate ideologie finanziarie ed economiche", cosi' scrive il Ministro degli Esteri.

Nel documento Gabriel appoggia le richieste di Macron di avere un Ministro delle Finanze europeo, un bilancio dell'Eurozona comune sottoposto al controllo parlamentare, "e standard comuni in materia di sicurezza sociale e fiscalità". Dopo che Macron ha proposto una linea decisamente pro-europeista, anche la Germania deve avere "il coraggio di ripensare la propria posizione nell'unione monetaria ed aprire la strada ad un compromesso franco-tedesco per una architettura stabile e duratura all'interno dell'unione monetaria".

Gabriel si auspica anche di poter discutere tutte le idee "senza riserve". Cosi' propone di ridurre il numero dei commissari europei. Germania e Francia dopo le prossime elezioni parlamentari europee" potrebbero ad esempio condividere una posizione nella prossima Commissione "con un posto di commissario comune occupato in alternanza fra i due paesi". Anche nelle organizzazioni internazionali come il Fondo Moneterio Internazionale sarebbe pensabile un seggio comune franco-tedesco.

mercoledì 10 maggio 2017

Il coro di Nein

Passata l'euforia per lo scampato pericolo, i tedeschi riprendono con il consueto coro di Nein: niente eurobond, niente unione di trasferimento. Alcuni commenti comparsi fra ieri e oggi sulla stampa tedesca: Frankfurter Allgemeine Zeitung, German Foreign Policy e Deutschlandfunk.de 



Il neo-eletto Macron non puo' certo sperare di ricevere dai tedeschi come regalo di benvenuto gli eurobond. Contro una messa in comune del debito si sono pronunciati il Ministro delle Finanze della Baviera Markus Söder (CSU), il vice capogruppo dell'Unione (CDU-CSU) Ralph Brinkhaus e il vice presidente della SPD Carsten Schneider. "La Francia ha bisogno di crescita, crescita che non puo' essere ottenuta creando ulteriore debito ma solo con vere riforme", ha detto Söder alla FAZ.

La Germania non deve cambiare la propria politica finanziaria. La politica di stabilità ha salvato l'Eurozona. "Gli Eurobond, come la messa in comune del debito oppure l'unione di trasferimento sarebbero dei segnali completamente sbagliati", ha detto il politico della CSU. Ogni paese dovrà onorare il proprio debito. Il contribuente tedesco non deve essere costretto a pagare per i debiti fatti dagli altri paesi. "Non è che abbiamo abolito i trasferimenti fra i Laender tedeschi per introdurli poi in Europa". Come Ministro dell'Economia Macron si era infatti pronunciato a favore dell'emissione di Eurobond.

"Non è politicamente sostenibile in Germania"

Anche il politico della CDU Brinkhaus non ha mostrato alcuna volontà di assecondare tali desideri di Parigi o Roma. "Continuiamo a rifiutare gli eurobond", ha detto alla FAZ. La messa in comune del debito nell'UE, non solo riduce la pressione a fare le riforme nei paesi in crisi, ma "per ragioni molto valide non è politicamente sostenibile in Germania", ha sottolineato Brinkhaus. Il politico della SPD Schneider ha detto: "Non abbiamo bisogno degli eurobond e ancora meno di una garanzia comune superiore a quella messa in campo attraverso l'ESM e dalla BCE".



Gli interessi tedeschi

Il giorno dopo le elezioni cominciano ad emergere le distinzioni. "Gli squilibiri internazioniali non possono essere rimossi premendo un tasto", cosi' ha detto a "Die Zeit" Dieter Kempf, Presidente della Federazione delle Industrie tedesche (BDI, la Confindustria tedesca), e ha proseguito, l'Europa intera beneficia delle eccessive esportazioni tedesche [10]. L'UE non ha bisogno "di nuove idee per una nuova Euro-unione di trasferimento, come invece aveva chiesto Macron in campagna elettorale", spiega il Presidente dell'Associazione delle Imprese Familiari, Lutz Goebel. [11] Sulla pretesa di Macron di creare un Ministro delle Finanze europeo, il Presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker lunedi a Berlino ha detto: "sarà un'impresa alquanto impegnativa". [12] Le richieste fatte da Macron sono già state avanzate dai suoi 2 predecessori: entrambi hanno combattuto, entrambi hanno fallito - nel tentativo di convincere il governo federale tedesco. [13] Un governo economico dell'UE non corrisponde agli interessi tedeschi, ha invece spiegato Dominik Grillmayer, dirigente presso il Deutsch-Französisches Institut di Ludwigsburg: "la Germania non trascurerà i propri interessi nazionali per perseguire l'interesse generale e salvare l'Europa" [14]. Vale a dire: per Berlino è piu' importante il benessere nazionale.

[10] Karin Finkenzeller: Ein Auftrag für Berlin. www.zeit.de 08.05.2017.
[11] Thomas Thieme: "Macron wird ein herausfordernder, aber konstruktiver Partner". www.stuttgarter-nachrichten-de 08.05.2017.
[12] Juncker ist skeptisch über Macrons "Euro-Finanzminister". www.bild.de 08.05.2017.
[13] S. dazu Das Spardiktat und Der Juniorpartner.
[14] Karin Finkenzeller: Ein Auftrag für Berlin. www.zeit.de 08.05.2017.



Il futuro Presidente francese Macron con le sue idee per una politica fiscale europea ha incontrato la resistenza dei tedeschi, il capogruppo dell'Unione al Bundestag Fuchs ai microfoni di DLF (Deutschlandfunk) ha escluso gli Eurobond. Il Commissiario UE Oettinger ha invece respinto la richiesta di un Ministro delle Finanze europeo.

Ai microfoni di Deutschlandfunk Fuchs ha ribadito che il governo tedesco continua ad essere contrario ai titoli di stato europei comuni, i cosiddetti eurobond. Ogni paese deve continuare ad essere responsabile per il proprio debito. Se accadesse il contrario, ogni paese inizierebbe a prendere tutto il denaro di cui ha bisogno fino a quando "non crollerebbe l'intero sistema", ha messo in guarda il politico della CDU. il Presidente delle Camere di Commercio, Schweitzer, si è espresso alle stesso modo sulla "Rheinischen Post".

Anche la proposta di Macron di dotare l'Eurozona di un proprio Ministero delle Finanze ha incontrato delle critiche. Il Commissiario UE Oettinger sulla "Rhein-Neckar-Zeitung" ha dichiarato che non considera questa proposta una buona idea. La Commissione UE ha già oggi il compito di supervisionare i bilanci europei, l'Eurogruppo decide sugli aiuti finanziari e l'ESM è disponibile a finanziarli. Al momento non ci sarebbe alcun motivo di cambiare quest'architettura.



lunedì 8 maggio 2017

Banchiere una volta, banchiere per sempre

La rapida ascesa dell'enfant prodige della politica francese fra banche d'affari e scuole d'élite raccontata da Der Spiegel.


Quando Marine Le Pen parla di Emmanuel Macron è chiaro dove vuole arrivare: un "banchiere dal cuore freddo", un "tirapiedi delle élite", ha detto il candidato del Front National mercoledì sera durante il duello televisivo. "Lei è un servitore delle banche, lei è il candidato della sottomissione".

Da sinistra sono arrivati attacchi simili: Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento "La Frances insoumise", spesso ha fatto riferimento al "potere del denaro" schierato con Macron - un'allusione ai ricchi sponsor dietro la sua campagna elettorale. 

Se c'è ancora qualcosa che potrebbe bloccare la strada verso la presidenza alla superstar politica, è proprio la sua immagine di candidato delle élite finanziarie, immagine che i suoi avversari intendono sfruttare fino all'ultimo metro.

Anche il suo curriculum si presta perfettamente per un attacco di questo tipo - come bersaglio per le critiche ma anche per le teorie complottiste piu' bizzarre: ha studiato presso la scuola delle élite École Nationale d'Administration (ENA), in seguito lavora per quattro anni presso la banca di investimenti Rotschild, nel 2014 ha addirittura preso parte alla conferenza del leggendario Bildeberg. Tutti nomi che fanno parte delle proiezioni piu' popolari fra gli amici delle teorie cospirative. 

Parallelo con Hilary Clinton

"Macron è il sogno bagnato di ogni sito complottista", scrive il blog finanziario americano Zerohedge, il quale tuttavia non disdegna simili teorie e rilancia. "Dietro personaggi del genere c'è qualcuno con un grande potere a tirare le fila", commenta l'autore anonimo in maniera alquanto misteriosa e suggerisce che Macron sarebbe al servizio di un altro potere: "per chi lavora veramente? Sono sicuro che i francesi sarebbero lieti di saperlo".

Queste voci in Francia si sono fatte sempre piu' forti. Le accuse ripetute all'infinito dagli avversari di destra, come di sinistra, hanno centrato l'obiettivo. Non era andata diversamente a Hillary Clinton, che nella campagna elettorale per le presidenziali americane era stata descritta come un burattino nelle mani delle banche di Wall Street. Con le sue conferenze ben pagate dal settore finanziario aveva in ogni modo fornito le munizioni giuste ai suoi avversari politici. 

E come è allora con Macron?

Il suo passato nel settore finanziario l'ha certamente influenzato. Qui ha maturato molti contatti importanti che ancora oggi gli sono molto utili. "E' uno di noi", ha dichiarato un banchiere tedesco di alto livello. 

Rapida ascesa

Quando nel 2008 Macron è stato assunto presso Rotschild, un suo amico di allora lo avrebbe messo in guardia dalle conseguenze che cio' avrebbe potuto avere per la sua tanto agognata carriera politica: "Sei consapevole che il banchiere non è un mestiere qualsiasi? E Rotschild non è una banca qualsiasi?", cosi il "Financial Times" ("FT") citando l'amico dell'epoca.

Ma per Macron questo non era certo un problema, come del resto la sua scarsa conoscenza del mondo finanziario. Dopo tutto non aveva studiato economia, ma filosofia. Tuttavia l'ascesa in banca dell'allora trentenne fu' incredibilmente veloce. "Non sapeva nulla, ma capiva tutto", scrive il FT citando un collega di allora. E a quanto pare aveva anche un potente sponsor: François Henrot, importante confidente del capo della banca David de Rotschild, si dice lo abbia raccomandato personalmente.

Nel 2010 Macron a soli 32 anni è diventato partner presso Rotschild, nessuno prima di lui aveva raggiunto un cosi' alto livello gerarchico a quell'età. Due anni piu' tardi ha fatto l'affare della sua vita: ha convinto il gigante alimentare svizzero Nestlé ad acquistare la divisione alimenti per l'infanzia della rivale statunitense Pfizer per quasi dodici miliardi di Euro. Pare che Macron stesso nell'affare abbia guadagnato diversi milioni di Euro. Il fattore decisivo nell'affare furono gli eccellenti contatti di Macron con l'allora capo di Nestlé Peter Brabeck-Letmathe.

Nuovo tentativo di fare le riforme

Nel 2012 Macron passa all'Eliseo - come vicesegretario dell'appena eletto Presidente François Hollande e contribuisce a preparare la sua svolta in politica economica. "Il mio nemico è il mondo finanziario", aveva detto Hollande in campagna elettorale - e fra le altre cose aveva annunciato un'aliquota fiscale del 75% per i redditi piu' alti. Eletto Presidente tuttavia Hollande ha abbandonato la linea politica della lotta di classe ed è passato ad una politica molto piu' vicina agli interessi dell'economia - grazie anche ai consigli di Macron. Nel 2014 Hollande lo nomina Ministro dell'Economia.

La maggior parte delle sue proposte di riforma, in particolare la deregolamentazione del mercato del lavoro, sono fallite a causa della resistenza interna. Adesso come Presidente vorrebbe cercare di riprenderle e portarle avanti. Il suo programma è fondamentalmente vicino agli interessi dell'economia: vuole ridurre la tassazione sui redditi da capitale, sulle cedole e sui dividendi, come la tassazione sulle imprese. Anche la settimana di 35 ore, che per molti francesi è sacra, deve essere rivista. Al contrario non considera una priorità l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie.

Ma Macron, dato il suo programma liberale è un rappresentante degli interessi dell'economia oppure un rappresentante del capitale finanziario?

Macron reagisce irritato quando viene descritto come un candidato dell'aristocrazia finanziaria. "Non potete ridurre la mia carriera a quella di un banchiere d'affari", ha risposto recentemente alla domanda impertinente di una giornalista. "La realtà del mio programma è un'altra".

domenica 7 maggio 2017

Governerà alla tedesca?

Telepolis racconta la speranza delle élite tedesche di avere un Presidente francese che finalmente possa governare alla tedesca. Fra i grandi sostenitori di Macron in Germania ovviamente non poteva mancare Daniel Cohn-Bendit, ex leader della sinistra radicale, attualmente al servizio degli interessi delle élite tedesche. Da Telepolis


Formalmente il ballottaggio si tiene solo il 7 maggio. Ma per gli osservatori internazionali le elezioni ci sono già state e ora tutti si chiedono se Macron sarà in grado di applicare le assurdità richieste dalla Germania in materia di politica del lavoro. 

"Cosi' bravo come presidente", era il titolo del "Journal Internationale Politik und Gesellschaft", accanto ad un ritratto di Emmanuel Macron, che non a caso sembrava una riedizione giovanile di Sarkozy.

Alla IPG (Internationale Politik und Gesellschaft) non si discute piu' se Macron vincerà o meno il secondo turno contro Le Pen, ormai ci si chiede solo se il nuovo arrivato, senza partiti alleati, nelle elezioni parlamentari riuscirà ad avere una maggioranza in Parlamento. I consiglieri politici sono preoccupati di cosa potrebbe accadere se Macron dovesse governare senza una propria maggioranza:

"Se dovesse mancargli una propria maggioranza parlamentare, ci sarebbero allora 3 opzioni. Primo, uno dei grandi partiti politici potrebbe avviare una coalizione con Macron. Sarebbe una novità per la politica francese, sin dalla fondazione della Quinta Repubblica da parte di Charles de Gaulle. In secondo luogo sarebbe possibile un sostegno alla sua politica senza un accordo di coalizione formale e terzo, come eccezione, la già sperimentata coabitazione, nella quale il Presidente governa con un Primo Ministro sostenuto dai partiti di opposizione. "

Il mito dei partiti inconciliabili in Francia

In questi giorni si è parlato molto della presunta peculiarità francese, e del fatto che non ci sarebbero accordi possibili fra i partiti francesi. Diversi commentatori elettorali non si sono fatti mancare la vuota metafora della Rivoluzione Francese, a cui Macron di fatto dovrebbe dare avvio.

Non sorprende che anche la conservatrice Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS) abbia fatto ricorso a questa formulazione. Cio' che qui viene rivenduto come Rivoluzione Francese è esattamente l'opposto: la Rivoluzione Francese è stata primo di tutto la rivolta del terzo stato, l'emergere di una classe borghese, esattamente l'opposto della piccola mentalità reazionaria prussiana, che in Germania invece si stava facendo largo.

Ogni volta che dei cittadini consapevoli scendono in strada, si torna a parlare della Rivoluzione Francese. Un concetto che dovrebbe significare non aver paura dell'autorità, né in fabbrica, né in ufficio oppure nella società in generale. Quello che invece Macron dovrebbe fare, secondo la KAS, la Bild-Zeitung e compagnia, è proprio lo smantellamento di questa immagine della Rivoluzione Francese.

Dovrebbe finalmente realizzare le riforme nell'interesse dell'economia tedesco-europea, quelle stesse riforme che Hollande e i suoi predecessori non erano riusciti a mettere in pratica. Chi preferisce sottolineare che Macron non appartiene a nessuna delle tradizionali famiglie politiche, allora molto probabilmente si auspica che per lui i tradizionali think-tank del pensiero liberale possano avere piu' rilevanza di quanto potrebbe accadere con un presidente che ha bisogno di ottenere il consenso del suo stesso partito.

Anche il fatto che i partiti in Francia avrebbero un ruolo inconciliabile con gli interessi del capitale, diversamente da quanto accade in Germania, deve essere considerato un mito. Anche in Francia, infatti, dopo le elezioni, Hollande ha continuato ad applicare la politica che fino ad allora era stata portata avanti da Sarkozy e dai conservatori. Tutte le premesse di Hollande di rendere l'UE piu' sociale, sono state disattese.

Non ha cercato di combattere l'austerità tedesca alleandosi con i paesi della periferia europea. Quello che ancora di piu' ci si aspetta da Macron è che governi in nome del liberalismo economico e soprattutto combatta, sia nelle strade che nelle aziende, anche in maniera repressiva, la resistenza opposta dai sindacati di base.

Cohn Bendit e gli interessi dell'Europa tedesca

Fra i sostenitori di Macron della prima ora c'è anche il Verde Daniel Cohn-Bendit, un politico di lungo corso che è riuscito a mantenere su di sé l'aurea della ribellione del 1968. Anche allora si trattava piu' che altro di un mito. Cohn-Bendit è passato rapidamente alla nuova sinistra, trasformando il suo radicalismo anti-stalinista di sinistra in un grande amore per l'occidente.

Ben presto l'occidente si è trasformato nell'UE. E da un paio di decenni Cohn-Bendit puo' essere considerato, nella sua splendida veste verde, come un propagandista degli interessi imperialisti tedeschi. E' accaduto anche martedì sera alla Schaubühne di Berlino dove Cohn-Bendit, insieme a numerosi giornalisti franco-tedeschi, ha discusso delle elezioni francesi e delle loro possibili conseguenze.

La discussione si è sviluppata essenzialmente intorno a Cohn-Bendit, il quale con un discorso altamente emozionale ha spiegato ai presenti perché non avrebbe mai potuto sostenere il candidato della sinistra Jean-Luc Mélenchon.

Dal punto di vista contenutistico tuttavia non è stato molto facile spiegarlo. Alla fine la sinistra francese aveva anche un programma ecologista e si era schierata per un'uscita dal nucleare. Ma secondo Cohn-Bendit, sui temi di politica estera, Mélenchon ha scelto la parte sbagliata: vale a dire quella che si oppone all'Europa tedesca. Anche nel conflitto fra Cina e Tibet, secondo Cohn-Bendit,  Mélenchon non si sarebbe schierato dalla parte dell'opposizione tibetana, come invece aveva fatto lui da tempo.

Ma a mettere in agitazione Cohn-Bendit è stato il fatto che Mélenchon nel conflitto in Kosovo sin dall'inizio non ha considerato come illegittima la parte serba e che sempre secondo Mélenchon nel conflitto in Ucraina il cattivo non poteva essere solo Putin. Questo è bastato per far dire a Cohn-Bendit che nemmeno da morto avrebbe potuto sostenere "Melenchon il rosso".

Indipendentemente dal modo in cui si valutano i singoli conflitti, è sorprendente che Cohn-Bendit non abbia alcun problema nel trovarsi alleato con le destre dell'Ucraina o con gli islamisti siriani. Ancora piu' importante, dalla Serbia, al Tibet fino all'Ucraina, Cohn-Bendit sostiene le stesse forze che dal 1945 sono state alleate della Germania, e che ancora oggi lo sono. 

Che fra i misfatti di Mélenchon, Cohn-Bendit consideri anche le richieste fatte a Merkel, cio' dovrebbe lasciare davvero senza parole: la Bild Zeitung si complimenta, riferendosi ad un uomo che da giovane era saltato sul carro della sinistra radicale ma che poi è diventato un pastore tedesco.

Un certo risentimento fra Cohn-Bendit e i suoi ascoltatori lo ha causto l'intervento del regista Thomas Ostermeier, che ha avuto il coraggio di esprimere un'opinione diversa da quella di Cohn Bendit, culminata con la domanda: perchè i precari francesi dovrebbero votare il candidato Macron, che ora vorrebbe compiacere la maggioranza dei francesi con quelle stesse imposizioni che in Germania sono note come Hartz IV?.

Cohn Bendit e gli altri giornalisti non si sono stancati di riferire della grande attenzione con cui i media conservatori hanno seguito l'implementazione di queste misure e del fatto che le élite francesi su questo tema possono apprendere molto dalla Germania. Almeno un ascoltatore ha provato a confutare la bugia secondo la quale in Germania all'epoca non ci furono proteste contro le misure Hartz IV. Le proteste di massa durarono piu' di un mese e da questi movimenti, in maniera indiretta, è nata poi la Linke tedesca. Cohn Bendit e gli ossequiosi giornalisti probabilmente non lo sanno.

sabato 6 maggio 2017

Il francese piu' amato dai tedeschi

Prosegue l'interventismo tedesco nella campagna elettorale francese, la stampa mainstream e la politica tedesca sostengono apertamente Macron. German Foreign Policy propone un'analisi molto interessante. Da german-foreign-policy.com



Secondo il modello tedesco 

Emannuel Macron in Francia - a ragione - è considerato un sostenitore della politica di austerità tedesca. E cio' non è riconducibile solo al suo passato da investment banker ma anche al fatto che nel periodo in cui ha ricoperto la carica di Ministro dell'Economia sotto Hollande (dall'agosto 2014 fino all'agosto 2016) ha sempre assecondato le richieste tedesche. Il suo predecessore Arnaud Montebourg si era opposto apertamente  ai diktat di risparmio tedeschi e nel 2014, in un'intervista rilasciata ad un giornale francese dichiarava: "Parigi non deve necessariamente farsi piacere ogni richiesta: se ci pieghiamo all'ortodossia delle destre tedesche, allora significa...che i francesi, anche quando votano per la sinistra francese" - Montebourg si riferiva al governo quidato dal partito socialista -, "in realtà stanno votando per l'applicazione del programma della destra tedesca". E' arrivato il momento "di alzare il tono della discussione" [4]. Poco dopo Montebourg si dimise, Macron prese il suo posto al ministero - ed inizio' ad elaborare una legge sul lavoro secondo il modello tedesco. La riforma ("legge Macron"), passata in Parlamento solo grazie a un voto di fiducia, per settimane ha causato massicce proteste in tutta la Francia. [5] Il candidato alla presidenza ancora oggi viene identificato con una legge sul lavoro chiaramente orientata verso gli interessi tedeschi.


Ho fiducia nella Germania

Il risultato finale è che oggi Macron gode di grande popolarità in Germania. Il governo tedesco fin dalla campagna elettorale per il primo turno si è apertamente schierato a suo favore. Il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble si esprimeva letteralmente cosi': "probabilmente voterei per Macron" [6]. Macron ha la simpatia dei media mainstream tedeschi; recentemente è arrivato un apprezzamento sul suo conto anche dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung: "non ha fatto campagna elettorale a favore di una prova di forza tra Francia e Germania, a differenza di Hollande", ha invece "promesso una ripartenza". [7] Berlino ha continuato ad intervenire apertamente nella campagna elettorale francese, anche prima del ballottaggio. Cosi' il Sottosegretario al Ministero degli Esteri Michael Roth (SPD), subito dopo il primo turno, avvertiva che il candidato Macron in nessun modo doveva essere percepito come il candidato tedesco, perché questo avrebbe potuto danneggiarlo [8]. Tuttavia la Cancelliera Angela Merkel ha chiaramente esplicitato la sua preferenza e mercoledì si è espressa in questo modo: "il suo successo sarebbe un segnale positivo per il centro politico, che anche qui in Germania ci auguriamo possa restare forte" [9]. "La Germania voterebbe Macron" titolavano i media tedeschi suggerendo che secondo i sondaggi, in Germania, il candidato di "En Marche" avrebbe il 72.8% delle preferenze e un grande vantaggio nei confronti di Marine Le Pen, che otterrebbe solo il 19.5%, un vantaggio molto più' ampio rispetto ai dati francesi. Macron già in gennaio aveva dichiarato: "io voglio piu' Europa, e la voglio con la Germania. Ho fiducia nella Germania" [10].

Cresce l'insoddisfazione

Le cose vanno diversamente in Francia. Sicuramente nei sondaggi Macron è davanti, perché la riluttanza a votare un politico dell'estrema destra è ancora molto forte. Tuttavia il suo vantaggio copre una sempre crescente insoddisfazione nei confronti dell'egemonia tedesca nell'UE. "I francesi che non beneficiano della globalizzazione, i perdenti della globalizzazione, non vedono nell'Europa di oggi nessuna utilità, ma piuttosto la vera ragione del declino nazionale", rifersce Hans Stark, professore di Scienze Politiche alla Sorbona, esperto di relazioni franco-tedesche [11]. "In Francia nel frattempo si fa sempre piu' forte la critica al modo in cui la politica economica europea viene gestita", e la critica riguarda "prima di tutto le politiche di austerità". "La Francia non riesce a venirne a capo - da quasi 40 anni", constata Stark. Il paese "è sempre stato costretto a fare austerità a causa di pressioni esterne, soprattutto dalla Germania", sebbene cio' sia in netto contrasto con le sue tradizioni di politica economica; "di fatto sta soffrendo per le politiche europee, politiche dettate in primo luogo dalla Germania". La "critica alla Germania" si fa sempre piu' forte: "io credo che questa critica sia condivisa da almeno due terzi dei francesi, se non di piu'".

Superare le inibizioni

Gli osservatori mettono in guardia: un presidente Macron troppo docile nei confronti della Germania approfondirebbe ulteriormente le divisioni della Francia e questo potrebbe aiutare il Front National (FN) di Marine le Pen ad ottenere la maggioranza alle prossime elezioni presidenziali. Il grande sociologo francese Didier Eribon scrive che se Macron dovesse portare all'estremo la sottomissione della Francia alla politica dell'austerità tedesca, è possibile che le inibizioni ancora esistenti nei confronti di un voto all'estrema destra in futuro possano scomparire. Eribon, in riferimento al presunto successo del grande favorito tedesco Macron e considerando i 5 anni che ci separano dalle prossime elezioni presidenziali ha fatto una profezia: "chi vota per Macron, vota Le Pen" [12].


[4] S. dazu Unter der deutschen Rute (II).
[5] S. dazu Der Preis der Deregulierung.
[6] S. dazu Frankreichs Wahl.
[7] Michaela Wiegel: Das Frankreich, das wir verdienen. Frankfurter Allgemeine Zeitung 25.04.2017.
[8] Merkel will Macron als Partner. www.spiegel.de 28.04.2017.
[9] Catharina Felke: Deutschland würde Macron wählen. www.zeit.de 04.05.2017.
[10] Christoph Hasselbach: Macron - oder die Sintflut. www.dw.com 05.05.2017.
[11] Leila Al-Serori: "Macron will nicht als Marionette Deutschlands dastehen". www.sueddeutsche.de 04.05.2017.
[12] Didier Eribon: "Wer Macron wählt, wählt Le Pen". www.sueddeutsche.de 20.04.2017.
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giovedì 4 maggio 2017

Potente e impenetrabile

Ottima traduzione appena ricevuta da Claudio, che pubblichiamo molto volentieri. Chi controlla la BCE? Quali sono i confini fra politica monetaria e politica economica? Il blocco della liquidità di emergenza per le banche greche nell'estate del 2015 era in linea con il mandato della banca centrale? La Frankfurter Rundschau dedica un articolo alla battaglia per avere accesso ai documenti della BCE portata avanti dall'eurodeputato della Linke Fabio De Masi. Dalla Frankfurter Rundschau



Il potere della Banca Centrale Europea è cresciuto enormemente negli ultimi anni. Ma chi sorveglia veramente i controllori della Frankfurter Tower?

Se è vero che la mancanza di trasparenza è all'origine di tanti vizi, dobbiamo forse pensare che la Banca Centrale Europea (BCE) stia procedendo su un sentiero scosceso? Le critiche nei suoi confronti sembrano destinate a crescere quantomeno nella stessa misura del potere che esercita. Le reprimende provengono da molteplici direzioni: la Corte dei Conti Europea lamenta il fatto che la BCE non fornirebbe i documenti necessari per una verifica. L'organizzazione non governativa Transparency International (TI) reclama una sorveglianza più stretta nei confronti della BCE. Le varie Sinistre invece la ritengono responsabile dell'acuirsi della crisi debitoria greca.

Era l'estate del 2015 quando un intero popolo fu tagliato fuori dall'approvvigionamento monetario. Migliaia di greci si ritrovarono in fila davanti alle banche reclamando i propri risparmi. In quell'occasione non solo furono imposti dei limiti per i prelievi agli sportelli, ma furono anche decretati alcuni “giorni festivi” speciali per le banche in modo da far fronte all'assalto dei correntisti. Ancor più grave fu la decisione del Consiglio della BCE del 28 giugno 2015: alla Banca Centrale Greca fu negata la possibilità di aumentare il proprio livello di liquidità di emergenza (ELA). In questo modo le banche greche restavano di fatto all'asciutto. Infatti nel febbraio del 2015 l'organo decisionale superiore della BCE aveva revocato il waiver, ossia la possibilità per le banche greche di vedersi garantiti i propri titoli di Stato dalla BCE stessa. A quel punto alla Banca Centrale Greca non restava altra possibilità che ricorrere a prestiti di emergenza, una forma di liquidità particolarmente gravosa, il cui volume – inoltre – non può essere ulteriormente ampliato. In precedenza il Consiglio della BCE aveva decretato che le obbligazioni bancarie greche coperte dalla garanzia statale non potessero essere più contabilizzate come depositi.

Inizialmente la BCE si era avvalsa di pareri giuridici esterni. Yannis Varoufakis, in quel momento Ministro delle Finanze greco, e Fabio De Masi, eurodeputato della Linke, ora si chiedono: c'è stato un conflitto di interessi? La decisione della BCE può essere considerata legale e in linea con gli obiettivi del suo mandato? Forse lo stesso Mario Draghi non si sentiva così sicuro e richiese pertanto dei pareri legali indipendenti? Dopo tutto la BCE non rappresenta soltanto la Banca Centrale Greca bensì fa anche parte, assieme al Fondo Monetario Internazionale e all'Unione Europea, della Troika che stipulò con la Grecia un programma di prestiti e che, in seguito all'allargamento di quest'ultimo al Meccanismo di Stabilità Europea, prese il nome di Quadriga. 

La disputa sui pareri legali va avanti già da diversi anni ma ora potrebbe surriscaldarsi ancor di più: sembrerebbe che lo staff di De Masi voglia presentare una cosiddetta “petizione per la libertà d'informazione”. In caso di rifiuto verrebbe inoltrata al Direttorio della BCE una seconda richiesta di accesso alla documentazione in loro possesso; in caso di un ulteriore giudizio negativo ci si rivolgerebbe alla Corte di Giustizia Europea.

Dopo alcune indicazioni De Masi è venuto a conoscenza dell'esistenza di questi pareri legali solamente all'inizio del 2015, in occasione di un discorso a quattr'occhi con Yves Mersch, membro del Direttorio della BCE. Questi, nell'ottobre 2014, durante un viaggio con la Commissione a cui aveva preso parte, aveva lasciato intendere che la BCE avrebbe chiuso i rubinetti alle banche greche qualora il partito di sinistra Syriza fosse andato al potere – così riferisce De Masi. È documentato che nel settembre del 2015, durante un colloquio di politica monetaria avvenuto a Bruxelles, De Masi pose la questione dei pareri legali direttamente a Draghi. Secondo quanto riportato dal verbale la risposta di Draghi fu: “Non sono sicuro se possediamo un parere legale circa la bocciatura delle obbligazioni greche”. Alcuni giorni dopo una richiesta parlamentare scritta di De Masi risalente a luglio 2015 e riguardante l'accesso a questi pareri legali fu respinta da Draghi. Nella lettera è scritto che “la BCE non ha intenzione di pubblicare i pareri legali riguardanti la separazione tra politica monetaria e politica economica” cui De Masi fa riferimento. Inoltre veniva tirato in causa il principio di riservatezza della consulenza legale.

In seguito a ciò la coalizione Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica del Parlamento Europeo ha incaricato l'esperto di problemi giuridici Andreas-Fischer Lescano di esaminare le possibilità per un'azione di rivendicazione dei documenti. Nel settembre del 2016  Andreas-Fischer Lescano è giunto alla conclusione che in riferimento ai pareri giuridici relativi alle decisioni del Consiglio della BCE del 4 febbraio 2015 e del 28 giugno 2015 di non accettare più i titoli di stato greci come depositi e di bloccare la liquidità di emergenza (ELA) ad un determinato livello “sussista un interesse pubblico predominante in favore della loro pubblicazione”. Il segreto professionale, inoltre, varrebbe solo per lo studio legale e non per la BCE.

All'inizio di quest'anno Varoufakis e De Masi hanno iniziato una “campagna per la libertà d'informazione”, che annovera tra i vari sostenitori Gustav Horn, direttore dell'Istituto di macroeconomia e ricerca economica della fondazione Hans-Böckler vicina al sindacato, e la socialdemocratica Gesine Schwan. Il movimento DiEM25 (Democracy in Europe Movement 2025), di cui Varoufakis è cofondatore, ha inoltre promosso una petizione pubblica su Change.org, che è stata già sottoscritta da più di 26000 persone. Prima di Pasqua a Bruxelles, De Masi ha richiesto al vice-presidente della BCE Vitor Constancio di poter esaminare i pareri legali, vedendosi però negata tale possibilità a causa della riservatezza legale, come già avvenuto con Draghi. Constancio si trovava alla presentazione del rapporto annuale della BCE davanti alla Commissione competente del Parlamento Europeo. 

Il fatto che la BCE impedisca l'accesso ai pareri legali con lo scopo di occultare una valutazione critica sul piano giuridico della sua decisione è una possibilità ma non è l'unica spiegazione plausibile. La BCE ha affermato alla Frankfurter Rundschau che pareri legali indipendenti non rappresentano certo la regola, però in “circostanze complesse” sono stati già occasionalmente richiesti senza essere in seguito pubblicati. Per ciò che riguarda il controverso innalzamento del waiver la BCE si appellò già all'epoca alle regole del sistema Euro: se una Paese desidera giovare di un regime speciale deve necessariamente concordare un programma di aiuti economici con l'obbligo di attenersi alle conseguenti prescrizioni – questo è quanto precisò Draghi durante il colloquio di politica monetaria del 2015.   

D'altronde la BCE rivendica anche la propria indipendenza: secondo quanto previsto dai trattati europei è tenuta a rendere conto innanzitutto al Parlamento Europeo in qualità di rappresentante dei cittadini europei. Inoltre deve tenere regolarmente informato il Consiglio Europeo in cui sono presenti i governi dei vari Paesi membri. Il suo obiettivo prioritario è quello di garantire la stabilità dei prezzi. 

Critiche rivolte alla BCE di oltrepassare il proprio mandato non sono nuove. L'Outright Monetary Transactions della BCE – l'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario – e' già' finito in tribunale. Sulla domanda se ciò “debba ancora essere considerata politica monetaria o se invece rappresenti già politica economica” - quest'ultima è infatti prerogativa esclusiva dei Paesi membri – si è espressa l'anno scorso la Corte di Giustizia Europea (in sintonia con Karlsruhe): la BCE può ma entro certi limiti.

“La BCE si è già da tempo spinta nell'ambito politico” afferma tuttavia Leo Hoffmann-Axthelm che coordina il lavoro di Transparency International sull'Eurozona. Il suo team ha analizzato l'indipendenza e l'obbligo di rendiconto della BCE. La Banca Centrale ha sfruttato la crisi debitoria per ampliare il proprio potere. Ciò è stato possibile solo grazie al “vuoto politico” presente. Sarebbe opportuno ridurre il ruolo della BCE all'interno della Quadriga a mero livello consultivo. Inoltre sarebbe il caso di istituire una sorveglianza bancaria separata.

Da novembre 2014 è ingente il numero degli istituti di credito finiti sotto la sorveglianza della BCE e in futuro saranno sempre meno quelli controllati dalle rispettive istituzioni nazionali. Da allora i compiti di revisione riguardanti le attività di sorveglianza bancaria della BCE sono stati trasferiti dalla Corte dei Conti Tedesca alla Corte dei Conti Europea. Da ciò deriverebbe una “lacuna nelle verifiche” a cui sarebbe necessario porre rimedio, scrive la Corte dei Conti Tedesca a Gesine Lötzsch, presidente della commissione per il bilancio nel Parlamento tedesco. La Corte dei Conti Europea afferma che la BCE si rifiuterebbe di fornire una serie di documenti di cui la Corte dei Conti avrebbe bisogno per svolgere correttamente il proprio lavoro. 

“Le richieste della Corte dei Conti sono più che legittime. Se la BCE non permette di esaminare la propria scatola nera per ciò che riguarda la sua funzione di vigilanza bancaria, ciò deve essere disciplinato in modo inequivocabile. Una carente sorveglianza bancaria è già costata parecchio denaro ai contribuenti europei” ha detto Gesine Lötzsch di Linke. La questione non riguarda soltanto dove cessa l'indipendenza e dove comincia la trasparenza bensì anche chi in fin dei conti controlla i controllori – e magari anche se qualcuno compie degli intrallazzi alle spalle dei contribuenti.

Vanno infine ricordate le intercettazioni del 2008, pubblicate in prima pagina dalla BBC ad inizio aprile. Queste registrazioni inducono a pensare che le banche private non siano state le sole ad essere implicate nelle manipolazioni dei tassi di riferimento Libor protrattesi per diversi anni. “Abbiamo ricevuto forti pressioni da parte del governo britannico e della Bank of England al fine di tenere bassi i nostri tassi Libor” rivela nelle intercettazioni un manager della Barclays ad un trader.


lunedì 1 maggio 2017

Anche i sindacati tedeschi a favore di una riduzione degli avanzi commerciali con l'estero

Post a tema sindacale per il primo Maggio: la potente confederazione dei sindacati tedeschi DGB si schiera contro il governo e a favore di una riduzione degli avanzi commerciali con l'estero. Direttamente dal sito della DGB.


Ridurre gli avanzi con l'estero

Wolfgang Schäuble si sta inimicando il mondo intero. Dal FMI al candidato alla presidenza francese Macron, dalla Commissione Europea fino al presidente americano Trump: tutti chiedono un riequilibrio delle partite correnti tedesche. Tuttavia il governo federale - soprattutto il Ministro delle Finanze Schäuble - non vuole cedere. Non ci sono "misure ragionevoli che possano ridurre gli avanzi delle partite correnti tedesche", cosi' secondo Schäuble. Tutt'al piu' sono gli altri a dover fare qualcosa: se la BCE aumentasse i tassi e facesse salire il corso dell'Euro, l'avanzo tedesco scenderebbe da solo, fa capire il Ministro delle Finanze. Ignorare e restare fermi - questa è la strategia tedesca per affrontare gli squilibri, ed è molto pericolosa.

Stabilizzare l'economia

Prima di tutto gli avanzi con l'estero sono un problema per la stabilità dell'economia globale. Nel 2016 hanno raggiunto il valore record di 261 miliardi di Euro e da diversi anni sono sopra il 6% del PIL. Questo limite - di per sé già molto elevato - è stato fissato dall'UE come soglia di accettabilità. Alla fine vale sempre il solito principio: quando un paese importa meno di quanto esporta, ci sarà sempre un altro paese costretto ad importare piu' di quanto esporta, e quindi a consumare piu' di quanto produce. Questo gruppo di paesi pertanto è inevitabilmente costretto ad indebitarsi - una situazione che non è affatto stabile. All'interno degli stati questi problemi vengono risolti attraverso i trasferimenti - come ad esempio accade in Germania con i trasferimenti dai Bundeslaender piu' forti a quelli piu' deboli. Di questi trasferimenti a livello europeo il Ministro delle Finanze Schäuble naturalmente non vuole saperne. 

La Germania deve agire

In secondo luogo anche per la Germania non fare nulla è molto pericoloso. Perché c'è il rischio che siano gli altri a prendere l'iniziativa. Il presidente americano Trump in piu' occasioni  ha annunciato misure protezionistiche e dazi per le imprese tedesche. Se l'export tedesco dovesse essere fermato in questo modo, ci sarebbero conseguenze molto gravi per la Germania. Su una cosa Schäuble ha tuttavia ragione: la forza dell'export tedesco è dovuta alla qualità dei beni prodotti e alla domanda di questi beni che proviene dall'estero. Sarebbe perciò' assurdo voler ridurre il valore nominale delle esportazioni.


Rafforzare il potere d'acquisto, sostenere le importazioni

All'interno di questo quadro, il governo tedesco puo' e deve agire: puo' ridurre le dimensioni del settore a basso salario, promuovere la contrattazione collettiva e contribuire affinché i lavoratori nel nostro paese abbiano piu' denaro da spendere per poter acquistare prodotti esteri. Questo aiuterebbe le importazioni e spingerebbe le imprese ad investire in un mercato interno in crescita. Inoltre lo stato stesso puo' investire - nelle scuole, nelle infrastrutture e in molto altro. Gli investimenti privati e pubblici spingerebbero le importazioni e contribuirebbero alla riduzione degli avanzi con l'estero. Una tale strategia attiva avrebbe inoltre il merito di influire positivamente sulla qualità della vita in Germania. Sarebbe chiaramente molto piu' ragionevole, perché se continuiamo ad aspettare, a ridurre l'export tedesco ci penseranno una rivalutazione dell'Euro oppure le barriere doganali degli Stati Uniti.