domenica 21 marzo 2021

Il mistero di Breitscheidplatz resta irrisolto

Ci sono nuovi elementi nelle indagini sull'attentato di Breitscheidplatz a Berlino che lasciano ipotizzare la non presenza del tunisino Anis Amri quella sera alla guida del camion. In particolare il sospetto attentarore in piu' occasioni avrebbe smentito a conoscenti ed amici ogni coinvolgimento nell'attentato terroristico, mentre nella versione "ufficiale"  dei fatti si parlava addirittura di una sua plateale rivendicazione. Era abbastanza difficile del resto credere alla versione ufficiale del terrorista solitario che in un normale giorno lavorativo, in una normale periferia industriale di Berlino da solo fa fuori un corpulento autista polacco e poi con il suo camion gira per la città indisturbato fino a sera. Una ricostruzione molto interessante da Telepolis


Il tunisino Anis Amri, ufficialmente considerato l'autore dell'attentato di Breitscheidplatz a Berlino, dopo l'attacco terroristico avrebbe ripetutamente negato a conoscenti e amici di avere a che fare con l'attentato. Una prima indicazione di ciò si trova nei documenti sull'interrogatorio dell'Ufficio federale di polizia criminale (BKA), di cui Telepolis aveva riferito nel dicembre 2020.

Ora c'è un secondo esempio, secondo il quale Amri in una conversazione personale avuta con una persona vicino alla moschea Fussilet, subito dopo l'attentato, avrebbe sostenuto di non essere coinvolto nell'attacco e di essere stato accusato ingiustamente.

La questione nel 2020 era ancora oggetto di indagine. L'ufficio del procuratore federale aveva classificato il dossier su questo argomento come segreto tenendolo nascosto sia alle vittime che ai loro avvocati, i quali avrebbero effettivamente il diritto di ispezionarli, oltre che ai membri eletti del parlamento. Una delle ragioni è che nella vicenda sarebbe coinvolto un informatore dello Stato.


Il dubbio che Amri non fosse l'uomo alla guida del camion lanciatosi sul mercato di Natale il 19 dicembre 2016 che ha ucciso in totale di dodici persone è presente ormai da tempo ed è supportato da una serie di piste oggettive. Alcuni di questi elementi sono emersi anche nella commissione d'inchiesta del Bundestag: impronte digitali mancanti e frammenti di DNA di Amri inconsistenti all'interno del camion che ha commesso il crimine. Sono state invece trovate tracce di una "persona sconosciuta 2" non ancora identificata.

Il fatto che lo stesso presunto assassino neghi il suo coinvolgimento è rilevante perché, stando all'interpretazione ufficiale, si sostiene addirittura che abbia confessato il crimine. Ad esempio, si ipotizza che abbia mostrato in maniera plateale il saluto islamista a una telecamera di sorveglianza della stazione della metropolitana dello Zoo pochi minuti dopo l'attacco.

Lasciando deliberatamente il suo portafoglio con un permesso di soggiorno, così come i suoi due telefoni cellulari all'interno del camion, avrebbe dato un segno della sua confessione in merito al crimine.




La prima smentita di Amri

La prima smentita di Amri sulla sua presunta perpetrazione del criminie si trova nei protocolli dell'interrogatorio della BKA del 2017, secondo i quali un certo Mohamed A., fratello di Khaled A., con il quale Amri aveva condiviso una stanza fino al giorno dell'attentato, aveva ricevuto un messaggio di Anis Amri sul suo cellulare, insieme ad una fototessera e ad un testo con la seguente dicitura:

"Ragazzi, non posso mostrarmi in pubblico, non ho niente a che fare con quanto accaduto. Non farei mai una cosa del genere nella mia vita. Tutte bugie!!! Per favore, condividete TUTTI questo post e non credete a questi media. Aiuto!!! Dio vi benedica tutti miei fratelli e sorelle".

Non dice quando o dove il messaggio sia stato inviato. Gli investigatori della BKA vi si sono imbattuti perché un altro testimone aveva rivelato loro la sua comunicazione via Whatsapp con Mohamed A. Il 31 dicembre 2016 gli era stato trasmesso il messaggio di Amri.

La BKA deve essere stata consapevole della natura esplosiva dei fatti, perché li ha riassunti in una nota supplementare. Non è infatti chiaro come gli investigatori abbiano potuto gestire la pista. Mohamed A., la prima fonte conosciuta, non è nemmeno piu' stato interrogato sull'argomento. Il fratello di quest'ultimo, Khaled A., dopo l'attacco ha dichiarato immediatamente di essersi liberato dei suoi due cellulari. Sostiene di averne venduto uno e di aver buttato via l'altro. Se abbia effettivamente ricevuto il messaggio non è stato quindi accertato.

Lo stesso vale per Bilel Ben Ammar. Egli sostiene, infatti, di aver cancellato tutti i messaggi Whatsapp di Amri dopo l'attacco, aveva riferito agli interrogatori nel gennaio 2017 - ammettendo quindi involontariamente la possibile conoscenza del colpevole. A quel punto, il piano per deportare Ben Ammar in Tunisia era già in atto da tempo, anche se il soggetto veniva considerato come un sospettato. E questo poi è stato portato a termine il 1° febbraio 2017.

La seconda smentita

Ora emergono diverse pagine di un file che documentano una seconda smentita da parte del presunto colpevole, le quali sarebbero state aggiunte alle indagini della Procura federale e dell'Ufficio federale di polizia criminale nel maggio 2020.

Secondo quanto riferito nel novembre 2019, infatti, un "informatore" avrebbe comunicato quanto segue: Amri aveva detto a Semsettin E., conosciuto alla moschea di Fussilet, in una "conversazione personale" subito dopo l'attentato, che non era coinvolto nell'attacco e che era stato accusato ingiustamente. Lui, Amri, diversi mesi prima aveva già consegnato la carta d'identità trovata nel camion usato per il crimine alla polizia di Berlino.

A fine aprile 2020, Semsettin E. era stato chiamato a comparire come testimone davanti alla polizia. Perché ciò sia accaduto così tardi non è chiaro. La persona convocata tuttavia faceva comunicare al suo avvocato che intendeva esercitare la sua facoltà di non rispondere. Non si è presentato per l'interrogatorio. Fatto già di per sé insolito.

Ancora più insolito, tuttavia, è il fatto che la Procura Federale, come autorità principale, abbia accettato tutto ciò. Il procuratore senior responsabile aveva riferito alla BKA di essersi astenuto dall'applicare "misure coercitive per effettuare l'esame dei testimoni".

A differenza delle persone accusate, i testimoni non hanno il diritto corrispondente e completo di rifiutarsi di fornire informazioni. In linea di principio, devono presentarsi all'interrogatorio e spiegare e giustificare il loro rifiuto per ogni domanda.


È forse per proteggere quell'informatore del novembre 2019? Quali informazioni aveva esattamente? Non c'è una risposta a questa domanda, perché l'intero file, come hanno appreso gli avvocati delle vittime e i membri della commissione d'inchiesta del Bundestag è bloccato. Il procuratore generale lo ha classificato come segreto. Se non viene rilasciato nemmeno al Bundestag, nel file ci deve essere una verità nascosta e importante.

Il turco-tedesco Semsettin E. apparteneva al nucleo radicale della moschea Fussilet di Berlino-Moabit, ufficialmente chiusa dopo l'attacco.

Date le dimensioni ridotte della struttura, si può presumere che Amri ed E. si conoscessero. La dichiarazione in merito ad una "conversazione personale" tra i due, tuttavia, ha causato un certo mal di testa alla BKA. Se i due si fossero incontrati, questo significherebbe che Amri dopo l'attacco non avrebbe immediatamente lasciato la città, ma che sarebbe stato ancora in contatto con diverse persone.

Si sostiene inoltre che Amri nella conversazione abbia fatto riferimento anche ai documenti d'identità che fino al giorno successivo poi non sono stati trovati nel camion, quando forse si trovava già in fuga, una telefonata suggerirebbe anche questo.

Questo a sua volta significherebbe che il fuggitivo possedeva un telefono cellulare, cosa che la BKA nega ufficialmente. I suoi due telefoni cellulari conosciuti sono stati trovati e sequestrati sul camion del crimine. E quando Amri è stato ucciso, in ogni caso non avrebbe dovuto avere con sé un telefono cellulare, almeno secondo i documenti ufficiali.

Non è stato coinvolto nell'attacco? Bisogna essere cauti. Amri almeno ad una certa ora si trovava sul camion, dato che le sue impronte digitali sono state trovate all'esterno. E con sé portava la pistola con cui è stato assassinato l'autista polacco quando lui stesso è stato ucciso in Italia.

Da questo punto di vista, senza dubbio può essere considerato un partecipante al crimine. Ma può anche essere considerato il principale attentatore che il 19 dicembre 2016 ha guidato l'autoarticolato di 40 tonnellate contro la folla al mercatino di Natale di Breitscheidplatz dove sono morte dodici persone e decine di persone sono rimaste ferite?

Ci sono dubbi in merito ai quali si aggiungerebbero le due smentite di Amri. Nessuna impronta digitale o DNA completo di Amri è stato trovato in parti inamovibili della cabina del camion. Sono state invece trovate tracce di altre persone che non sono ancora state identificate.

Per esempio, il materiale relativo al DNA di una "persona sconosciuta", chiamata UP 2, in non meno di quattro posti: tra gli altri, sul poggiatesta del sedile del conducente, sulla maniglia di regolazione del sedile e sulla leva di apertura interna della porta del conducente. La persona poteva essere seduta al posto di guida.

I dubbi sul fatto che Anis Amri fosse al volante del camion che ha commesso il crimine sono formulati anche da tre esperti che l'anno scorso sono stati incaricati dal comitato investigativo di esaminare le prove delle tracce e le indagini della BKA: un criminologo, un esperto forense di DNA e uno specialista in dattiloscopia ("Fine delle certezze ufficiali nel caso Amri").

Il 25 marzo, le loro perizie saranno presentate al pubblico in una sessione speciale della commissione U del Bundestag.

sabato 20 marzo 2021

Perchè la Gran Bretagna globale preoccupa sempre di più Bruxelles e Berlino

La guerriglia europea sul vaccino britannico di AstraZeneca si inserisce nel quadro del processo di allontanamento politico ed economico di Londra dall'UE nel post Brexit, a preoccupare Bruxelles e Berlino c'è anche il crollo dell'export tedesco verso l'isola e il riorientamento geopolitico dei britannici, sempre piu' proiettati verso la regione indo-pacifica. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Campagna contro AstraZeneca

Nel Regno Unito la campagna avviata dall'UE contro il vaccino di AstraZeneca (con sede a Cambridge) ha suscitato un profondo risentimento. L'UE e diversi paesi membri, non ultima la Germania, hanno attaccato duramente l'azienda britannica per i ritardi nella consegna, ponendo inizialmente una restrizione di età sull'uso del vaccino e denigrando regolarmente la sua efficacia, ritenuta piu' bassa rispetto al vaccino BioNTech/Pfizer (Germania/USA); recentemente inoltre si è aggiunto un divieto di vaccinazione a causa di alcune ambiguità su diversi casi di coagulo di sangue avvenuti in seguito alla vaccinazione. Le lamentele dell'UE nel Regno Unito sono fonte di rabbia perché altri vaccini (BioNTech/Pfizer, Moderna o Johnson & Johnson) sono stati ripetutamente consegnati in ritardo generando effetti collaterali - tra cui coaguli di sangue - a volte con una conseguente morte, senza causare attacchi comparabili; la restrizione sull'età massima per il vaccino AstraZeneca nel frattempo è stata revocata in maniera alquanto sottotono. La campagna dell'UE, tuttavia, ha seriamente danneggiato la reputazione del vaccino britannico, che - raccomandato anche dall'OMS - viene prodotto su licenza dal Serum Institute of India (SII) per molti paesi più poveri.

Convocato al Ministero degli Esteri

Le tensioni sono state esacerbate, in secondo luogo, dal fatto che l'UE - nel tentativo di distogliere l'attenzione dal suo fallimento nel procurarsi i vaccini - sta ora ricorrendo al divieto di esportazione, con AstraZeneca e il Regno Unito di nuovo al centro della vicenda. Il primo caso del 4 marzo ha già causato proteste internazionali: l'Italia, in accordo con la Commissione UE, ha vietato l'esportazione in Australia di 250.000 dosi di vaccino AstraZeneca riempite ad Anagni, a sud-est di Roma, - con la motivazione che l'UE avrebbe avuto bisogno del vaccino stesso [1]. Dato che la campagna dell'UE contro AstraZeneca ha ridotto significativamente l'accettazione pubblica del vaccino, quasi otto milioni di dosi giacciono attualmente inutilizzate nei magazzini di tutta l'UE. [2] Commentando la recente minaccia del presidente della Commissione Ursula von der Leyen di vietare le esportazioni di vaccini verso il Regno Unito, il ministro degli Esteri Dominic Raab ha detto che "questo genere di politica azzardata" effettivamente la si era già vista all'opera in "paesi con regimi meno democratici". Raab aveva precedentemente convocato al Ministero degli Esteri l'ambasciatore dell'UE nel Regno Unito per l'affermazione falsa, ripetuta tuttavia con insistenza, secondo la quale Londra avrebbe imposto un divieto di esportazione sui vaccini. [4]


Disputa sull'Irlanda del Nord

Se gli attacchi dell'UE ad AstraZeneca e alla campagna di vaccinazione britannica avevano causato una certa indignazione anche negli ambienti "Remain" rimasti fedeli all'UE, contribuendo quindi ad indebolire la poesizione dell'UE nel Regno Unito, la disputa sulla fornitura di merci britanniche all'Irlanda del Nord ha causato ulteriori tensioni. Secondo l'accordo sulla Brexit, infatti, alcune regole del mercato unico europeo continuerebbero ad essere applicate in Irlanda del Nord; poiché però dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione questo non accade più, le merci che da lì entrano in Irlanda del Nord devono essere controllate per verificare la conformità con queste regole. Questo pone significativi problemi pratici, in particolare per la consegna dei generi alimentari così, dato che i colloqui con Bruxelles finora non hanno prodotto alcuna soluzione, Londra ha esteso il periodo di transizione che scadeva alla fine di marzo, fino alla fine di settembre, per evitare gli scaffali vuoti nei supermercati. L'UE ritiene che si tratti di una violazione del trattato sulla Brexit - e ha avviato una procedura di infrazione presso la Corte di giustizia europea; Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione UE, lamenta che Londra "starebbe minando la fiducia fra di noi" [5] Le procedure di infrazione, tuttavia, non sono rare nell'UE; a metà 2020, ad esempio, solo contro la Repubblica federale ce n'erano 81 in corso. [6]

Asia-Pacifico regione di crescita

Parallelamente all'aumento delle tensioni politiche, anche i legami economici del Regno Unito con l'UE si stanno indebolendo. E questa è chiaramente una tendenza di lungo periodo. Ad esempio, la quota dell'UE a 27 nell'export britannico di beni e servizi era già in calo dal 2002, quando aveva raggiunto il massimo storico del 54,9%: nell'anno pre-crisi del 2019, era ferma al 42,6%. Anche la quota dell'UE a 27 sulle importazioni dal Regno Unito nel lungo periodo è in calo; dal raggiungimento del valore massimo del 58,4% nel 2002, è diminuita costantemente, passando al 51,8% del 2019. Per il Regno Unito contemporaneamente sta diventando sempre più importante il commercio con i paesi non UE - una tendenza che ha favorito il voto di una parte dell'élite britannica in favore della Brexit ed è ora probabile che diventi ancora più pronunciata: negli ultimi mesi, infatti, Londra ha concluso accordi di libero scambio con il Giappone e con diversi stati del sud-est asiatico e sta cercando di concludere un altro accordo di libero scambio con l'India, mentre in futuro vuole concentrarsi ancora di più sulla regione Asia-Pacifico, che già ora è la regione con la quota maggiore (35%) della produzione economica globale ed è anche quella a più rapida crescita economica.

Mercato di sbocco in crisi

Il fatto che l'importanza dell'UE per l'economia britannica nel lungo termine stia diminuendo, colpisce in particolar modo l'industria tedesca, di gran lunga il più grande fornitore del Regno Unito nel continente europeo. Mentre il Regno Unito nell'anno pre-Brexit del 2015 era ancora il terzo cliente dell'export tedesco dopo Stati Uniti e Francia (con un volume di 89,2 miliardi di euro), nel 2019 le esportazioni tedesche verso le isole britanniche ammontavano già a poco meno di 79 miliardi di euro, l'anno prima della crisi da Coronavirus - vale a dire dieci miliardi in meno, anche se le esportazioni tedesche nel complesso nello stesso periodo erano aumentate significativamente. Questo calo è dovuto solo in parte al deprezzamento della sterlina rispetto all'euro. Per questo a gennaio 2021, il primo mese in cui è stato applicabile l'accordo di libero scambio post-Brexit tra l'UE e il Regno Unito, l'Ufficio federale di statistica ha riportato un drammatico calo del 29 % per le esportazioni tedesche verso il Regno Unito e un ulteriore calo del 56,2 % delle importazioni rispetto al gennaio 2020. [7] Mentre parte di questo calo è dovuto alla crisi causata dal coronavirus e ai problemi di passaggio dopo la scadenza degli accordi transitori sulla Brexit, una recente ricerca della London School of Economics (LSE) ha concluso che entro il 2030 il commercio dell'UE con il Regno Unito potrebbe ridursi di un terzo. [8]

"Svolta verso l'Indo-Pacifico"

Il riorientamento economico della Gran Bretagna è accompagnato da un cambio di paradigma politico, delineato in dettaglio in un documento strategico presentato martedì scorso dal primo ministro Boris Johnson. Il documento ("Global Britain in a competitive age"), elaborato nel corso dello scorso anno, prevede infatti uno spostamento della politica estera britannica verso la regione "Indo-Pacifica", che Londra individua come il nuovo centro della politica mondiale. Il documento afferma che sarà importante cooperare sempre più strettamente con gli stati filo-occidentali - non da ultimo in vista delle lotte di potere dell'Occidente contro la Cina. Gli esperti stanno già discutendo di come la svolta britannica verso l'Asia influenzerà la cooperazione in materia di politica estera e militare con l'UE, alla quale Berlino in linea di principio attribuisce grande importanza - non ultimo per poter utilizzare il potenziale delle forze armate britanniche nelle future missioni militari dell'UE [10]. Se per realizzare questo obiettivo ci possano essere abbastanza interessi convergenti, da molti ora viene messo in dubbio.


[1] S. dazu Europa zuerst.
[2] Jakob Blume, Thomas Hanke, Hans-Peter Siebenhaar, Christian Wermke: Stopp für Astra-Zeneca: In der EU wird Impfstoff zur Mangelware. handelsblatt.com 17.03.2021.
[3] Kate Devlin, Tom Batchelor, Jon Stone: Raab compares EU to dictatorship as row over access to vaccines escalates. independent.co.uk 18.03.2021.
[4] Jessica Elgot: Raab summons EU official as anger grows over UK vaccine export claims. theguardian.com 09.03.2021.
[5] Verfahren gegen London. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.03.2021.
[6] S. dazu Deutsche Sonderwege.
[7] Exporte im Januar 2021: +1,4% zum Dezember 2020. destatis.de 09.03.2021.
[8] Chris Morris: Why has UK trade with Germany fallen so dramatically? bbc.co.uk 10.03.2021.
[9] Global Britain in a competitive age. London, March 2021
[10] S. dazu Das europäische Militärdreieck und Die Zukunft der Kriegführung.

venerdì 19 marzo 2021

Voci dalla Germania in 50 post!



Se vuoi approfondire il dibattito tedesco sull'eurocrisi,

Se vuoi conoscere le nuove ambizioni geopolitiche di Berlino,

Se vuoi andare oltre i soliti stereotipi e le solite banalità sulla Germania ricca ed efficiente rilanciate a reti unificate dai nostri media mainstream,



è di nuovo disponibile una raccolta di 50 imperdibili post direttamente dal blog che dal 2012 racconta in italiano il dibattito tedesco sull'eurocrisi e approfondisce alcuni aspetti poco conosciuti del grande miracolo economico tedesco...





I 50 Post pubblicati dal 2012 sul blog Voci dalla Germania sono raggruppati in 6 sezioni tematiche:

1) Ricchezza e povertà in Germania

2) La profonda insostenibilità politica dell'unione di trasferimento

3) Hartz IV: inferno o paradiso?

4) E' l'inizio della fine dell'euro?

5) Moderazione salariale in Germania

6) 2018-19 - I mesi dello scontro con l'UE e la Germania




Tutte le traduzioni sono state rilette e controllate, presentano un commento di introduzione oltre ad un link all'articolo originale.


Chi fosse interessato al testo può trovarlo a questo link


Ringraziamo in anticipo chi vorrà contribuire al progetto Voci dalla Germania!

giovedì 18 marzo 2021

La fine del sistema Merkel in un paese in crisi

Il sistema Merkel è alla fine e la CDU a pochi mesi dalle elezioni politiche non ha né una leadership né un programma all'altezza per fronteggiare e gestire i numerosi e gravi problemi del paese. La crisi sociale ed economica nel paese reale è sempre piu' profonda e grave mentre l'elettorato non ha piu' fiducia nella leadership della Cancelleria. Un commento molto interessante di Thomas Schmoll da N-TV


Come se fosse stata immortale, per anni CDU e CSU avevano fatto affidamento soprattutto sulla popolarità della Cancelliera. Il "tu mi conosci" aveva sostituito i contenuti. Ora la CDU invece ha un problema: si è svuotata in termini di persone e di contenuti.

Ricordiamolo: alle elezioni federali del settembre 2013 la CDU e la CSU hanno festeggiato un risultato sensazionale. Il 41,5% dei cittadini aveva votato per loro. La vittoria era stata conquistata prima di tutto da Angela Merkel, la quale aveva condotto la Germania attraverso la crisi del debito sovrano europeo. La cosa sorprendente del suo trionfo è che quel risultato era stato ottenuto con una campagna elettorale in gran parte vuota. Trasformando il prolungamento della durata in vita delle centrali nucleari in una uscita dal nucleare, era riuscita a sottrarre ai Verdi un tema di mobilitazione cruciale.

La strategia di Merkel fino ad oggi può essere spiegata con una sola frase: "Tu mi conosci". La scienza politica la chiama "mobilitazione asimmetrica". La cristiano-democratica ha capito che non si tratta di programmi, concetti e slogan. Sono decisive la fiducia e la credibilità. Un esempio: "Le infermiere sono gli eroi silenziosi della Germania". La citazione viene dalla campagna elettorale per il Bundestag del 2013. Quattro anni dopo, però, in un programma televisivo per le elezioni del Bundestag un'infermiera ha attaccato la Cancelliera: "Lei è al governo da dodici anni e ai miei occhi non ha fatto molto per il settore infermieristico".




CDU e CSU nel 2017 hanno comunque ottenuto il 32,9 %. Un crollo, ma - dopo la crisi dei rifugiati che ha portato AfD al Bundestag - un risultato forte, molto al di sopra di quello della SPD, che si è fermata al 20,5%. La Cancelliera ha continuato ad avere fiducia. Ciò che alcuni hanno criticato come una mancanza di chiare convinzioni politiche o persino di visione, da altri è stato invece lodato come un pragmatismo intelligente e un'abile azione politica. Il risveglio nella crisi causata dal Coronavirus è stato ancora più violento: la constatazione che Merkel non ha la necessaria concentrazione su ciò che è necessario fare e la necessaria capacità di leadership.



Durante la crisi solo una volta Merkel si è mostrata in forma smagliante

"Gli infermieri sono gli eroi silenziosi della Germania", è la sua frase del 2013 che ha ripetuto più volte anche durante la pandemia. Il problema dell'assistenza - nonostante tutti i buoni propositi del Ministro della salute Jens Spahn prima della prima ondata di Coronavirus - rimane irrisolto. E lo stesso vale per molti altri problemi. La Germania per oltre dieci anni è rimasta indietro nelle riforme, questo perché Merkel ha preferito amministrare per non turbare nessuno e per preservare la reputazione della CDU come partito popolare. Basti pensare alla riforma fiscale del "sottobicchiere di birra" per anni promessa dall'Unione. Il paese ha mancato la modernizzazione digitale. Ma ampi settori della popolazione non se ne sono accorti, solo perché a loro non manca nulla.

La spaccatura si era già fatta evidente durante la crisi dei rifugiati, quando Merkel con la frase "possiamo farcela" pensava di parlare a nome di tutta la popolazione. Avrebbe potuto funzionare se dietro di sé avesse avuto l'elettorato al completo. Ma non l'ha fatto; il paese da tempo era già profondamente diviso. Lo stile presidenziale del governo è esploso in faccia al capo del governo. Per la prima volta importanti politici della CDU/CSU come Horst Seehofer si sono schierati contro Merkel. La tempesta poi è finita in un bicchiere d'acqua. Ma dato che la Cancelliera ha mostrato poco intuito, i mugugni sono diventati più forti.

Il fatto che gli indici di approvazione di Merkel all'inizio della pandemia siano saliti, probabilmente ha avuto molto a che fare con la frase: "Tu mi conosci". La gente tra Rügen e la Foresta Nera aveva ancora fiducia in lei. Avevano tutte le ragioni per farlo. In effetti, la Cancelliera ancora una volta sembrava in piena forma - ma ancora una volta come gestore della crisi, molto meno invece come capo del governo. Spahn e il ministro dell'economia Peter Altmaier sono apparsi invece incompetenti e non all'altezza di affrontare i compiti. Poi c'è il "vecchio caso" Andreas Scheuer: il ministro dei trasporti è la prova vivente che l'incompetenza non deve essere un ostacolo alla carriera. Perché Merkel non abbia ancora cacciato il politico della CSU dal governo resta un grande mistero




Non adatto al futuro

Merkel non solo è riuscita a cullare una parte della popolazione con la politica dell'attesa, ma anche il suo partito. E ora deve affrontare il compito di reinventarsi. È sorprendente che la CDU si comporti come se da qui alle elezioni generali ci fosse un'eternità. Il segretario Armin Laschet sta fallendo nel tentativo di spiegare alla popolazione: "l'elezione del Bundestag riguarda la domanda: come possiamo modellare la Germania nel dopo pandemia?" Come se la repubblica, anche se non ci fosse stato il Coronavirus, fosse mai stata in grado di affrontare il futuro. La pandemia ne ha solo messo in luce tutti i deficit in maniera spietata.

Tali affermazioni hanno il solo scopo di distrarre dal fatto che sono stati proprio Merkel e la CDU/CSU - a volte sostenuta dalla FDP, a volte dalla SPD - a fare della Germania quello che è oggi: uno stato industriale con la necessità di fare riforme e investimenti, che non è più il famoso campione mondiale di amministrazione e perfetta organizzazione. Laschet cerca di nasconderlo annunciando un "decennio di modernizzazione", ma per il resto rimane principalmente vago e cerca di copiare Merkel parlando molto senza dire nulla.

L'elezione per la presidenza del partito ha mostrato quanto la CDU sia vuota in termini di leadership. Le donne sono state completamente assenti. Friedrich Merz si è rivelato essere un arrogante ed egoista in cerca di vendetta senza la minima idea di una strategia politica. La loro debolezza in termini di contenuto - ciò che la CDU rappresenta sta gradualmente diventando tanto poco chiaro quanto il "contenuto" della SPD - è stato mostrato dalle dichiarazioni su Twitter scritte sotto una foto di Laschet, pubblicata 24 ore dopo le prime proiezioni per la Renania-Palatinato e il Baden-Württemberg: "E' il momento di un nuovo inizio per il nostro paese: dobbiamo usare le possibilità offerte dalla pandemia per rendere il nostro paese migliore". Possibilità della pandemia? Questo è quello che Laschet dovrebbe spiegare alle persone che oggi hanno paura per il loro futuro.

In verità, dopo Merkel ci sarà un nuovo inizio che tuttavia risveglia l'impressione: dopo di me, il diluvio. Il fatto che la CDU cominci a definire il suo programma sei mesi prima delle elezioni, anche se la sua leader mancata Annegret Kramp-Karrenbauer ne ha parlato costantemente, potrebbe addirittura costare caro al partito della Cancelliera. Sarebbe la ricevuta per la capacità di sopportazione del partito al sistema Merkel, che ormai ha fatto il suo tempo.


mercoledì 10 marzo 2021

Gli elettori tedeschi stanno per dare il benservito alla CDU?

Angelina al capolinea? Probabile, visto che domenica prossima si vota in due importanti regioni, il Baden-Württemberg e la Renania-Palatinato, e i sondaggi danno la CDU in caduta libera. Per il partito della Cancelliera, dopo un lungo e interminabile lockdown e i tanti errori nella gestione della pandemia, è in arrivo una bella batosta elettorale. Ne scrive Susanne Gaschke su Die Welt


E alla fine qualcosa si muove. Dopo mesi in cui la Germania sembrava essere bloccata - arresa a una nuova forma autoritaria di governo, contro la quale non si riusciva a muovere un dito - i suoi cittadini lentamente si stanno risvegliando. Si stanno strofinando gli occhi, si chiedono che cosa sia successo a loro e al loro paese, e si rendono conto che preferirebbero combattere questa pandemia con dei metodi democratici (vulgo: negoziabili) invece che con quelli autoritari. In altre parole: il lockdown permanente non è più una risposta accettabile.

Nel Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato, dove domenica prossima si terranno le elezioni regionali, la CDU affonda nei sondaggi. Potrebbe essere uno dei peggiori risultati in tutta la storia dell'Unione.




Il ministro federale della salute della CDU, a cui nella normale vita civile non gli si sarebbe affidata nemmeno l'organizzazione di un festival scolastico, ha fallito su tutti i fronti logistici, anche se nel frattempo è riuscito comunque a partecipare alle feste per la raccolta fondi della sua prossima campagna elettorale. Maschere, vaccino, date di vaccinazione, letti di terapia intensiva, test rapidi, dati sui contagi affidabili - tutto molto incasinato, anche se ovviamente la colpa non è solo sua. "Quando è troppo è troppo!", scriveva pochi giorni fa lo "Spiegel", chiedendo le dimissioni di Spahn. Nessuno può sopportare così a lungo una situazione del genere.

Ma ancor più di Spahn, Angela Merkel è diventata un peso per la CDU e per il paese. Se solo avesse lasciato dopo il terzo mandato! Avrebbe potuto portare con sé in una nuova e meravigliosa libertà un'eredità in gran parte intatta.

Ma no: doveva andare avanti, e ora per il suo cancellierato si profila un brutto finale. La cui ultima immagine sarà un 2020/21 interminabilmente lungo durante il quale la Germania viene tenuta in uno stato di emergenza senza precedenti. Merkel apparentemente è circondata e protetta da consiglieri ideologizzati e sembra essersi chiusa in un atteggiamento di prepotenza intransigente dal quale non riuscirà piu' a trovare alcuna via d'uscita ragionevole.

Se si tira indietro dalla sua strategia "del costi quel che costi", sia questo a causa della pressione degli elettori o del suo stesso partito, sembrerà una perdente. Se prosegue in questo modo fino al prossimo lockdown, quando i test rapidi di massa porteranno i tassi di infezione alle stelle, potrebbe anche aver avuto "ragione", ma il paese esploderà. Cosa preferisce fare? Solo una CDU che in maniera chiara e inequivocabile viene scaricata dagli elettori a causa delle politiche di Merkel può mettere fine all'incubo. Il bello della democrazia è che lo si può fare.

lunedì 8 marzo 2021

Die Lobby Republik e l'affarismo del deputato bavarese

Il potere invisibile delle lobby spesso sconfina nella corruzione e nell'affarismo, come ci mostra la vicenda del deputato bavarese Georg Nüßlein, politico di professione e lobbista di lungo corso, ora indagato per una vicenda di corruzione legata alla fornitura di mascherine ai ministeri tedeschi. Probabile che quando su questa vicenda si saranno spenti i riflettori, qualcuno gli offrirà un altro bel posto in un altro consiglio di amministrazione, in modo da poter continuare a monetizzare i suoi preziosi contatti nella politica che conta. Ne scrive Wirtschaftswoche.de



Il deputato della CSU non solo ha guadagnato soldi con le mascherine fornite ai ministeri della salute grazie alla sua intermediazione. Ma ha ricevuto anche dei pagamenti da altre aziende per i suoi contatti politici. Il suo ritiro dalla politica era inevitabile.


(...) Georg Nüßlein, vicepresidente del gruppo parlamentare della CDU/CSU, oltre al suo incarico politico si occupava anche di molte altre cose. A differenza della maggior parte dei parlamentari, tuttavia, non gli piaceva farlo gratis. E questo non riguarda solo un affare da 14 milioni di euro messo in piedi con le mascherine protettive consegnate al governo federale e ad altre autorità pubbliche e per le quali il deputato di Neu-Ulm aveva ricevuto 660.000 euro di provvigioni. Ci sono anche numerosi altri accordi fra aziende private e il settore pubblico in cui Nüßlein è stato coinvolto. Attraverso la sua società Tectum Holding GmbH, non ha solo intermediato la consegna delle mascherine al Ministero Federale della Salute, ma anche a diversi dipartimenti regionali.

Tectum Holding sembrerebbe un'arma multiuso. Il proprietario Nüßlein l'ha usata per gestire l'asset management, la consulenza finanziaria e, apparentemente, per farsi pagare le commissioni legate alle forniture governative, come ad esempio la vendita di mascherine anti-Corona per i ministeri della salute. Non si sa quale reddito generi con la Tectum Holding - Nüßlein a tale proposito non ha dato nessuna comunicazione al Bundestag.




Buoni affari con le ferrovie

Il deputato, oltre ad aver già lavorato per l'azienda di cosmetici "Veronas Dreams" dell'ex icona pubblicitaria Verona Feldbusch, infatti, non si occupa solo di gestire le proprie aziende. Nüßlein siede anche in molti consigli di amministrazione dove può usare proficuamente i suoi contatti politici. Ad esempio, l'economista e scienziato sociale di formazione e politico di professione, è anche un membro del consiglio di sorveglianza della Sfirion AG di Monaco, una società di ingegneria gestita dal proprietario e specializzata nella gestione di progetti nel settore delle costruzioni. Uno dei suoi clienti è la Deutsche Bahn AG. Da quando Nüsslein è nel consiglio di sorveglianza della Sfirion AG, gli affari con l'azienda statale si sono sviluppati in maniera particolarmente positiva, soprattutto da quando nel 2009 il Ministero federale dei trasporti è tornato alla CSU, dopo anni di leadership socialdemocratica.

Che il ministro dei trasporti fosse Peter Ramsauer, Alexander Dobrindt, Christian Schmidt o Andreas Scheuer - tutti da tempo sono buoni amici di partito nella CSU di Nüßlein e tutti sono stati responsabili d'ufficio per le ferrovie. In ogni caso, secondo un insider di Berlino, le vendite della Sfiron AG alla Deutsche Bahn dal 2009 sono quasi raddoppiate. Quale sia stato il ruolo di Nüßlein in queste relazioni, se abbia effettivamente promosso l'azienda che ha co-supervisionato presso i suoi amici di partito della CSU e se abbia ricevuto altri pagamenti oltre al suo compenso nel consiglio di sorveglianza al momento non lo si può escludere, tuttavia resta da chiarire. L'ufficio di Nüßlein da giorni non risponde alle domande della stampa, e anche la Sfirion AG si rifiuta di rispondere alle richieste scritte.

La gente si conosce, la gente si aiuta a vicenda

La rete di amigo di Nüßlein, tuttavia, non arriva solo al Ministero dei Trasporti. Il suo vecchio collega di partito Alfred Sauter, membro della presidenza della CSU, ex ministro della giustizia bavarese e oggi membro del parlamento regionale bavarese e avvocato, ha aiutato Nüßlein nei suoi affari. Nei dossier d'inchiesta della procura di Monaco contro Nüßlein e l'uomo d'affari Thomas Limberger per sospetta corruzione in relazione all'affare delle mascherine, il nome di Alfred Sauter appare in ogni caso.

L'influente politico della CSU nei documenti viene indicato come testimone. In risposta alle domande della stampa, Sauter ha riferito di aver solo redatto un contratto tra il Ministero della Salute bavarese e un fornitore di mascherine. Naturalmente per fare ciò gli è stata pagata una parcella come avvocato, secondo Sauter, che lavora in uno studio legale con l'ex politico della CSU Peter Gauweiler. Sauter non ha commentato la questione sul ruolo di Nüßlein.

Sauter e Nüßlein si conoscono bene. Sauter rappresenta la circoscrizione di Günzburg nel parlamento regionale bavarese - una città che si trova anche nella circoscrizione elettorale di Nüßlein al Bundestag. E anche Thomas Limberger conosce bene entrambi i politici della CSU. E i 660.000 euro arrivati a Nüßlein provengono dalla società di Limberger nel Liechtenstein, soldi che fino ad ora non erano stati comunicati all'ufficio delle imposte come notifica anticipata dell'IVA. Nelle indagini della procura e nelle perquisizioni sono stati coinvolti più di 30 funzionari - anche in Liechtenstein. Quando le indagini saranno completate, al momento non è ancora prevedibile, ha detto il pubblico ministero. L'immunità parlamentare di Nüsslein è stata revocata all'unanimità dal Bundestag, e la sua carica di vicepresidente del gruppo parlamentare è stata sospesa. Il suo avvocato respinge le accuse considerandole "infondate".

La direzione del gruppo parlamentare mette in guardia dal fare affari paralleli

Nell'Unione sono scioccati e scuotono la testa. Il sospetto che nella crisi causata dal Coronavirus qualcuno di loro si sia arricchito illegalmente è - secondo un insider della CSU - "per tutti noi terribile". Che anche il deputato della CDU al Bundestag Nikolas Löbel si sia guadagnato una piccola fortuna intermediando una fornitura di mascherine, è un ulteriore caso a cui si aggiunge un ulteriore danno d'immagine per la politica. Non aiuta il fatto che Nüßlein abbia annunciato il suo ritiro dalla politica e Löbel intenda dimetteresi dal suo seggio nella commissione affari esteri.

La direzione del gruppo parlamentare dell'Unione ha espressamente messo in guardia i deputati dal fare affari con la fornitura di mascherine. "Qualsiasi attività nel quadro di un mandato parlamentare non deve essere legata a interessi finanziari personali", ha scritto il leader del gruppo parlamentare dell'Unione Ralph Brinkhaus (CDU) e il capogruppo della CSU Alexander Dobrindt in una lettera ai loro colleghi di partito. Il segretario generale della CDU Paul Ziemiak ha definito questi affari come "profondamente indecenti".

sabato 6 marzo 2021

Quella barriera insormontabile che divide Italia e Germania e che minaccia l'euro

A dividere Italia e Germania non ci sono solo le Alpi, ma c'è anche una enorme barriera in termini di politiche sociali, economiche e salariali. Data la lentezza degli aggiustamenti reciproci, secondo l'economista tedesco Thomas Meyer, è lecito avere dei forti dubbi sulla sopravvivenza dell'euro. Ne scrive Thomas Mayer su Die Welt


Il futuro dell'euro dipenderà dalla capacità delle parti sociali, dei politici e dei cittadini dei paesi dell'eurozona di adattarsi alle politiche salariali e sociali necessarie all'interno di un'unione monetaria. Ma Italia e Germania sono ancora lontane dal riuscire a farlo.

Si dice che i tedeschi amino gli italiani ma che non li rispettino. Al contrario, si dice gli italiani rispettano i tedeschi, ma che non li amano.

Quando si parla di come gestire il denaro, si ha come l'impressione che gli italiani rispettino così tanto i tedeschi che non vogliano altro che la corresponsabilità tedesca sul debito pubblico italiano. E i tedeschi amino così tanto gli italiani che vorrebbero far uscire l'Italia dall'unione monetaria.

Non c'è dubbio che la relazione è difficile, e la barriera tra i due paesi a volte sembra alta come le Alpi.

Gli esperti descrivono le differenze e le somiglianze

Quanto siano effettivamente alte queste barriere nell'ambito delle politiche monetarie e finanziarie viene esaminato nella raccolta antologica "The Value of Money – Controversial Economic Cultures", pubblicata dal Centro italo-tedesco di "Villa Vigoni".

22 contributi da parte di economisti, giornalisti e politici tedeschi e italiani esplorano le differenze e le somiglianze in termini di sviluppo economico e di visione dell'Unione economica e monetaria europea, a nord e a sud delle Alpi.

Tra gli autori ci sono nomi noti come l'ex Ministro italiano delle finanze Giulio Tremonti e Pier Carlo Padoan, così come gli ex membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea Gertrude Tumpel-Gugerell e Otmar Issing. Anche l'ex presidente della BCE Jean-Claude Trichet ha contribuito scrivendone la prefazione.

Il trauma tedesco dell'iperinflazione

Il quadro che emerge dai contributi sulla visione tedesca e italiana dell'unione monetaria è certamente complesso. Ma è possibile discernere i contorni delle differenze e delle somiglianze italo-tedesche.


In Germania, la visione dell'ordine monetario è ancora fortemente influenzata dal trauma dell'iperinflazione dopo la prima guerra mondiale e dalla riforma monetaria dopo la seconda guerra mondiale. La risposta a questi traumi fu un orientamento ordoliberale della politica economica in cui erano le regole, invece della discrezionalità, a determinare le decisioni.

La banca centrale, indipendente e non influenzabile della politica, doveva garantire all'economia una moneta stabile come base per lo sviluppo economico. L'economia tedesca era orientata verso i mercati mondiali, e per molto tempo l'opinione pubblica tedesca si era potuta immaginare un'unione monetaria europea solo come il "culmine" di un aggiustamento strutturale e di una integrazione fra gli stati nazionali nell'ambito di un mercato comune europeo.

Politica monetaria e fiscale in stretta collaborazione

L'Italia al contrario, solo nella sfera politica ha compiuto una chiara rottura con la sua eredità fascista, ma ha invece mantenuto alcune delle istituzioni di base create durante il ventennio fascista. La struttura corporativa della società e dell'economia, ad esempio, continuano ad esistere, con attori economici orientati più verso il mercato interno che verso quello mondiale.

La politica economica italiana viene determinata da decisioni discrezionali degli attori politici, invece che da regole. La politica monetaria e la politica fiscale hanno agito di concerto e Banca d'Italia, grazie al suo ruolo di supervisore, ha sempre avuto una forte influenza sulle banche commerciali.

L'opinione pubblica italiana si augurava che le istituzioni europee potessero avere un'influenza stabilizzatrice sulle politiche nazionali. Ci si aspettava quindi che il necessario aggiustamento economico e l'integrazione europea sarebbero state forzati attraverso l'introduzione di una moneta comune.

Il tasso di cambio della lira è rimasto stabile

Ma nella storia economica dei due paesi ci sono anche notevoli somiglianze. Se si guarda allo sviluppo dell'inflazione, dei tassi d'interesse, dei tassi di cambio e del debito pubblico sin dalla fondazione dei due stati nazionali, è sorprendente che l'Italia fino agli anni '70 abbia avuto uno sviluppo dei tassi d'interesse e del tasso di cambio della moneta, paragonabile o migliore, rispetto a quello della Germania.



A differenza della Germania, l'Italia non ha mai sperimentato l'iperinflazione, la riforma monetaria o un default sul debito sovrano. Durante il periodo del gold standard (fino alla prima guerra mondiale) e del sistema monetario di Bretton Woods (fino ai primi anni '70), il tasso di cambio della lira è rimasto stabile.

A differenza della Germania, dopo entrambe le guerre mondiali, lo Stato italiano ha ripagato tutti i debiti accumulati durante il periodo bellico. E' stato solo negli anni '70 che in Italia l'inflazione ha iniziato a salire più rapidamente, la moneta si è svalutata e lo stato ha continuato ad accumulare un elevato debito pubblico.

L'economia italiana deve adattarsi

A differenza delle istituzioni in materia di politica economica e monetaria, tra i responsabili della politica estera e i capi di stato di entrambi i paesi, c'è da sempre un ampio accordo in merito ai benefici di una più profonda integrazione europea. E dal 1990 anche la Germania sperimenta una divisione regionale del potere economico tra Est e Ovest, simile alla divisione tra Nord e Sud presente in Italia sin dalla fondazione dello stato unitario.

Fra gli autori dei testi c'è un ampio accordo in merito alla necessità di realizzare grandi aggiustamenti strutturali sul lato dell'economia italiana per quanto riguarda i requisiti di una moneta comune. Gli autori tedeschi tuttavia hanno una visione più modesta delle prospettive di un tale successo e sono decisamente più scettici sul futuro dell'unione monetaria.

Dal punto di vista italiano, sarebbe auspicabile una maggiore integrazione europea in materia di politica fiscale, nel settore bancario e finanziario e nella politica estera.

Nella parte finale della sua prefazione, Jean-Claude Trichet mette il dito nella piaga: il futuro dell'euro dipenderà soprattutto dalla capacità delle parti sociali nei paesi dell'eurozona, sostenute dai rispettivi cittadini, di adattarsi alla politica salariale (e si potrebbe aggiungere "politica sociale") necessaria all'interno di un'unione monetaria. Oggi, tuttavia, entrambi i paesi sono ancora abbastanza lontani da questo obiettivo.