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giovedì 16 maggio 2019

Volkswagen vota Europa

Le élite industriali tedesche lanciano una campagna congiunta e una serie di accorati appelli in favore di questa Europa, che a loro evidentemente non dispiace. La grande industria celebra l'Europa tedesca per convincere i suoi numerosi dipendenti, non solo in Germania ma in tutta Europa, a non votare per i populisti e i partiti di protesta. Ne scrive Die Welt


Mai prima d'ora le aziende e le associazioni imprenditoriali tedesche avevano fatto una campagna elettorale così forte per l'Europa. Pensano che i loro dipendenti alle prossime elezioni siano in qualche modo obbligati. Soprattutto c'è una preoccupazione che non dà pace agli amministratori delegati.

Il CEO di Lufthansa Carsten Spohr ha fatto dipingere bello grande su un Airbus lo slogan: "Say Yes to Europe". È l’esortazione volante fatta a tutti i dipendenti e ai clienti di andare a votare alle elezioni europee. Anche il collega di Spohr, Richard Lutz di Deutsche Bahn, per la comunità dei 28 paesi è diventato un esempio da imitare. Fino alle elezioni del 26 maggio la principale stazione ferroviaria di Berlino ogni notte si illuminerà di una luce "blu Europa". E anche all'Europa Park di Rust, nel Baden-Württemberg, nelle prossime settimane il nome stesso del parco sarà più del solito all'interno del programma. Roland Mack, fondatore e socio, infatti, ha predisposto che gli schermi nella hall ricordino a ogni visitatore di andare a votare.

Per l'economia tedesca il blu Europa è il colore del momento . Mai fino ad ora le associazioni imprenditoriali, le aziende e i loro manager, si erano pronunciati così in favore dell'Europa. Sui cartelloni e nelle pubblicità, agli eventi e sui social media, si danno da fare affinché il maggior numero possibile di persone partecipi al voto. Tutti perseguono lo stesso obiettivo: un'alta affluenza alle urne dovrebbe impedire ai partiti populisti di raggiungere dei buoni risultati.

"Vogliamo un'Europa forte, diversificata e competitiva", scrivono ad esempio in un appello congiunto le principali associazioni dei datori di lavoro (BDA), dell'industria (BDI), delle camere di commercio (DIHK) e dell'artigianato (ZDH). Solo un'Unione Europea unita sarà in grado di negoziare alla pari con le altre potenze mondiali e di "difendere i valori e gli interessi economici che ci uniscono". Uno stato singolo come la Germania sarebbe troppo piccolo per farlo.

Nell'appello al voto lanciato dalle banche private si legge invece: "usa il tuo diritto di voto democratico e conferisci al Parlamento europeo una forte legittimità". L'appello oltre al CEO di Deutsche Bank Christian Sewing e al collega di Commerzbank Martin Zielke, vede fra i firmatari più di 100 manager di grandi e piccoli istituti di credito. E' necessario rafforzare il potenziale di crescita dell'economia sociale di mercato e promuovere dei processi non burocratici, secondo l'appello.

Con i loro appelli, i manager vorrebbero raggiungere soprattutto i loro dipendenti e renderli consapevoli dell'importanza della comunità internazionale per il successo dell'azienda e quindi per il loro posto di lavoro.

Guido Kerkhoff, CEO di ThyssenKrupp, afferma: "è incredibile quanto sia facile per alcuni nascondere ciò che l'Europa significa per noi”. Egli ritiene infatti che il suo compito oggi sia quello di spiegare ai suoi 90.000 dipendenti "perché l'Europa per noi è importante, perché per il nostro successo abbiamo bisogno di mercati liberi e di libero scambio - e non del ritorno al guscio di lumaca nazionale".

Anche il Betriebsrat e la dirigenza di Volkswagen hanno lanciato un appello congiunto alla forza lavoro, e in questo modo un impegno nei confronti dell'Europa e dell'Unione europea. I destinatari sono i 490.000 dipendenti attualmente impiegati dal gruppo nei 29 paesi dell'UE.

"Le elezioni per il Parlamento europeo si svolgeranno dal 23 al 26 maggio. Queste elezioni rappresentano un momento fondamentale per il futuro dell'Europa", si legge nell'appello; indipendentemente dal paese in cui ci si trova, nessuno deve mancare l'appuntamento elettorale e restarsene a casa.

Il consiglio di amministrazione e il Betriebsrat poi danno un altro paio di motivi per andare alle urne: il mercato interno europeo, il commercio transfrontaliero, la libertà di movimento per i lavoratori e lo scambio di conoscenze sono le condizioni di base per la competitività del gruppo. Dopo tutto, circa la metà del fatturato, viene realizzato in Europa.

Le aziende sono preoccupate per la forza economica del continente

Anche per Tim Höttges, il capo di Telekom, alle elezioni europee in gioco ci sarà niente di meno che la comunità europea. "Dobbiamo pronunciarci in favore dell'Europa e votare per l'Europa", dice il manager in un video. Pensare a livello nazionale non è di aiuto nelle crisi finanziarie o dei rifugiati. E non serve nemmeno alla competizione internazionale, specialmente con il Nord America e l'Asia. La sua visione per l'Europa è digitale, fondata sui valori della competitività e della comunità economica, afferma il manager. Deutsche Telekom in Europa ha più di 110.000 dipendenti - 60.000 di questi sono in Germania.

Anche gli imprenditori di medie dimensioni come Mack dell'Europa-Park vedono per loro stessi e per i loro dipendenti, soprattutto in queste elezioni, un obbligo. "Alle prossimi elezioni sarà importante difendere il progetto di pace europeo dal populismo e dall'isolazionismo", dice l'amministratore del parco, che durante la stagione occupa circa 3.500 dipendenti. Il pensiero europeista nel suo parco ha sempre avuto un ruolo centrale. Da lui si incontrano i giovani e le famiglie provenienti da paesi e culture diverse e insieme imparano a conoscere giocosamente l'Europa delle frontiere aperte e della diversità culturale, spiega l'imprenditore. L'Europa-Park ogni stagione conta oltre cinque milioni di visitatori (...)

L'economia tedesca è fortemente dipendente dalle esportazioni

È una miscela di paura e fiducia quella che emerge dalle parole di molti imprenditori quando vengono loro poste delle domande sull'Europa. Gli "ultimi sviluppi negativi come il nazionalismo, l'isolamente e il protezionismo" agitano anche Spohr, il CEO  di Lufthansa, ad esempio. Per decenni Lufthansa ha beneficiato dei mercati aperti e ora è una società ampiamente presente in tutta Europa. L'azienda ora vorrebbe mostrare la propria convinzione e difendere l'idea di un'Europa unita e libera, dice Spohr.

Con oltre 3.000 voli intra-europei giornalieri, il gruppo contribuisce allo scambio culturale e alla comprensione fra i popoli. Perfino il direttore della Deutsche Bahn Richard Lutz fa affidamento sulle frontiere aperte. "Le frontiere aperte e una rete di trasporti ben sviluppata consentono la libertà di viaggio e lo scambio di beni e servizi", afferma. Le ferrovie sono la spina dorsale della mobilità in Europa; la mobilità e la logistica su rotaia sono le basi della crescita nazionale ed europea.

Soprattutto le industrie che dipendono dalle esportazioni e che in Germania rivestono un ruolo particolarmente importante per la forza economica del paese sono alquanto preoccupate per il loro futuro. "Certo le PMI hanno beneficiato immensamente dalla creazione del mercato unico", dice Karl Haeusgen, vice presidente dell'associazione di ingegneria VDMA e proprietario di HAWE Hydraulik a Monaco di Baviera, un produttore di componenti idraulici con un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro. Il settore non deve più fabbricare macchine in 28 varianti diverse, ma può servire il mercato europeo con un'unica "macchina europea". "Ci ha permesso di crescere e di riuscire ad aprire nuovi mercati in altre regioni del mondo". Anche in futuro in considerazione del processo di digitalizzazione, l'Europa unita sarà necessaria per sviluppare ulteriormente il mercato unico.

Ai manager per lanciare i loro appelli piace anche utilizzare i social media. Sabine Herold, ad esempio, a capo del produttore di colla Delo, ha lanciato su Twitter il suo appello elettorale. "Mi scontro spesso con la burocrazia europea, ma 70 anni di pace valgono ogni singolo euro. Andare a votare per me è sottinteso e per questo incoraggio tutti i colleghi di DELO  a partecipare al voto", ha scritto. Se l'appello dell'élite imprenditoriale tedesca sarà efficace, lo vedremo entro la fine di maggio.

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venerdì 3 maggio 2019

Verso un crollo dell'export tedesco in Gran Bretagna

La Brexit non c'è ancora stata ma l'export tedesco verso la Gran Bretagna è già in crisi e i segnali in arrivo dalla chimica e da altri importanti settori industriali lasciano ipotizzare un forte rallentamento. Ne scrive Die Welt


Da quasi tre anni si ripetono gli allarmi sul crollo degli scambi commerciali fra Germania e Regno Unito in caso di Brexit. Per ora siamo ancora in attesa dell'uscita dell'UE, ma il commercio tra Germania e Gran Bretagna si è già ridotto in maniera significativa. "I numeri sono drammatici", afferma Christian Kille, direttore dell'Istituto per la logistica applicata (IAL) presso l'Università di Würzburg-Schweinfurt.

Nel 2018 le esportazioni tedesche verso la Gran Bretagna sono diminuite dell'11,4 %, scendendo a 16,5 milioni di tonnellate. Le importazioni sono addirittura diminuite del 15,4 %, passando a 14,7 milioni di tonnellate. "Un importante fattore del forte calo nelle importazioni è stato il crollo delle materie prime come il petrolio greggio e il gas naturale", afferma Kille.

Ma anche i settori chiave ad alto valore aggiunto hanno registrato un calo significativo. "La Gran Bretagna già ora sta sperimentando le conseguenze della Brexit", afferma l'esperto di logistica Kille, il cui istituto, insieme ad una società di software specializzata nella logistica, pubblica il  cosiddetto sismografo dell'import e dell'export - una valutazione costante degli scambi fra la Germania e il resto del mondo.


Sia nell'industria chimica che in quella farmaceutica, le importazioni e le esportazioni hanno già subito delle perdite elevate senza che siano state ancora applicate delle barriere tariffarie. "Gli ordini nell'industria chimica sono un buon indicatore precoce dello stato dell'economia. Quando diminuiscono gli ordini nella chimica, è perché l'industria in generale si aspetta meno ordini e chiede meno prodotti chimici intermedi", afferma Kille. "Se il settore è in grado di mantenere la sua reputazione di indicatore precoce dell'andamento dell'economia, ci possiamo aspettare una ulteriore diminuzione nel commercio estero".

Soprattutto nel settore alimentare sensibile ai prezzi, l'applicazione di tariffe doganali porterebbe a dei sensibili cambiamenti. Anche nell'industria automobilistica e nella componentistica, fino ad oggi fortemente interconnesse, secondo lo IAL, sono già state registrate perdite a due cifre in entrambe le direzioni. Le importazioni tedesche dall'isola sono diminuite del 12,1% passando a 430.000 tonnellate, le esportazioni dell'11,4% passando a 1,73 milioni di tonnellate.

La Brexit tuttavia non sarebbe l'unico fattore ad aver scatenato i cambiamenti in corso nel commercio estero britannico. Per l'industria automobilistica parla Mike Hawes, il leader dell'associazione dei produttori di auto britannici SMMT, il quale fa riferimento ad una "catena di circostanze sfortunate". È tuttavia vero che la Brexit imminente e la situazione poco chiara in merito ai futuri rapporti con l'UE a 27 stanno mettendo in difficoltà i produttori, i quali sono strettamente legati ai fornitori del continente. Secondo Hawes, a ciò tuttavia bisogna aggiungere anche l'incertezza sul futuro dei motori diesel e l'indebolimento della domanda in Europa e in Cina.


La produzione sull'isola di auto da parte dei fabbricanti come Nissan, Honda, Jaguar, Land Rover o BMW va per l'80% nell'export. I produttori recentemente hanno considerevolmente ridotto la loro produzione. Gli ultimi dati mostrano che il numero di auto prodotte nel paese, nel primo trimestre si è ridotto del 16% rispetto all'anno precedente. Solo 370.289 veicoli sono usciti dalle catene di montaggio fra gennaio e marzo, tradizionalmente il trimestre più forte per l'industria.

Il crollo del commercio tedesco con il Regno Unito diventa chiaro se confrontato con lo sviluppo degli altri stati dell'UE, afferma Kille. Nel 2017, le esportazioni tedesche verso l'UE, compreso il Regno Unito, sono cresciute del 2,1 % salendo a 322 milioni di tonnellate, mentre le importazioni sono cresciute del 3,1 %, passando a 349 milioni di tonnellate. La Gran Bretagna si sta allontanando da questa traiettoria di sviluppo.

Ciò diventa ancora più chiaro nel confronto di lungo termine: dal 2015 al 2018, le esportazioni tedesche verso l'UE sono aumentate del 12% e le importazioni addirittura del 15%. Le esportazioni verso il Regno Unito sono scese dell'8%, le importazioni del 4%.

"Le aziende non possono permettersi di aspettare che il poker della Brexit arrivi alla fine. Hanno già preso le loro decisioni e agito sulla base di queste", commenta Ulrich Lison, esperto di dogane, riferendosi alle cifre attuali sul commercio estero. In altri settori, il big bang probabilmente deve ancora arrivare. "Le tariffe doganali porteranno a dei cambiamenti evidenti, specialmente nell'industria alimentare sensibile ai prezzi".

L'attuale boom nei trasporti fra l'UE e le isole britanniche, come riportato dal barometro del mercato del trasporto merci Timocom, serve piu' che altro per ricostituire le scorte e come misura precauzionale in caso di una hard Brexit . Kille cita un interlocutore del settore immobiliare britannico: "Ogni magazzino disponibile attualmente viene affittato per immagazzinare merci".


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mercoledì 20 marzo 2019

Perché in Germania gli affitti crescono molto piu' in fretta delle retribuzioni

E' sicuramente vero che negli ultimi anni le retribuzioni tedesche sono cresciute, ma è altrettanto vero che il prezzo degli affitti è cresciuto molto piu' in fretta e si è mangiato una fetta crescente del reddito dei lavoratori. Quello che l'uomo della strada aveva intuito da tempo, cioè che il boom immobiliare e l'enorme afflusso di migranti hanno fatto arricchire i grandi proprietari di immobili, ora viene certificato dai dati ufficiali. Ne scrive Welt


I salari e gli stipendi in Germania stanno crescendo in fretta. Ma gli affitti per i nuovi contratti di locazione crescono ancora più in fretta. Questo è quanto emerge dall'analisi degli ultimi dati disponibili. 

Nelle grandi città molti hanno l’impressione che i costi per la casa stiano crescendo a dismisura. Soprattutto se vivono in affitto. Le statistiche ufficiali sul mercato immobiliare tedesco spesso mostrano solo una parte della verità, ad esempio, quando si tratta di individuare il costo effettivo per le famiglie.

Alla fine l'elemento decisivo è la percentuale di reddito che viene spesa per l'affitto. Un'analisi recente mostra che l'impressione di molti cittadini probabilmente non è sbagliata: il costo degli affitti per i nuovi contratti cresce molto più in fretta dei redditi. Addirittura ad una velocità quasi doppia.

Nel 2017 la crescita nominale dei redditi a livello nazionale rispetto all'anno precedente è stata del 2,5 %. Gli affitti per i nuovi contratti, al contrario, sono aumentati del 4,5% rispetto all’anno prima. Questo è quanto emerge da una risposta del governo federale ad una interrogazione del gruppo parlamentare dei Verdi.



Nel 2018 questa dinamica ha addirittura accelerato. Nel primo trimestre dello scorso anno l'indice dei salari nominali è aumentato del 2,7% rispetto al primo trimestre del 2017, mentre i nuovi canoni contrattuali sono aumentati in media di un buon 5,5%. Nel terzo trimestre, la crescita è stata del 3,6 % per gli stipendi e del 5,1 % per gli affitti.

I dati sui salari del quarto trimestre non sono ancora disponibili. La valutazione si basa sui prezzi degli affitti raccolti dal Bundesinstitut für Bau-, Stadt- und Raumforschung (BBSR), nonché sui tassi di variazione delle retribuzioni mensili lorde raccolti dall'Ufficio federale di statistica.



"Già da molto tempo ormai gli affitti in Germania corrono piu’ in fretta delle retribuzioni", afferma Chris Kühn, portavoce per la politica edilizia e abitativa del gruppo parlamentare dei Verdi. "Misure prive di senso come il Baukindergeld non risolveranno il problema", afferma Kühn. E chiede una migliore regolamentazione: "per mettere finalmente sotto controllo i prezzi degli affitti saliti ormai alle stelle, abbiamo bisogno di un Mietpreisbremse che funzioni".

Ma il confronto fra i dati nazionali relativi al costo degli affitti e l’andamento delle retribuzioni mostra solo una parte della storia. Perché soprattutto nelle metropoli, ma sempre di più anche nelle piccole città, gli affitti stanno aumentando molto più rapidamente della media nazionale. A Berlino, ad esempio, i proprietari hanno aumentato gli affitti per i nuovi contratti del 13% in soli dodici mesi. Lo mostrano i dati della piattaforma Immowelt.de. Nel secondo trimestre i salari nominali nella capitale sono aumentati solo dell'1,6 percento.

C'è una generale mancanza di nuove abitazioni, si dice ovunque - la colpa spesso viene data alla politica e all'amministrazione pubblica. In realtà continua a crescere il monte dei permessi edilizi inutilizzati. Ciò potrebbe essere dovuto anche al livello estremo di utilizzazione delle capacità dell'industria delle costruzioni.


La scorsa settimana, Felix Pakleppa, presidente dell'Associazione nazionale dei costruttori ha riconosciuto che l'obiettivo di 400.000 nuove case all'anno indicato dal governo federale non è realizzabile. "Pensiamo che 320.000 case possa essere un obiettivo realistico", ha detto. "Ci aspettiamo di avere una forte domanda di nuovi alloggi ancora per due o tre anni. Dopodiché la domanda tornerà a scendere.

Una dichiarazione supportata da una recente ricerca di mercato di DB Research. "L'elasticità dell'offerta rimane bassa, motivo per cui il ciclo nazionale dovrebbe durare almeno fino al 2022", si dice. I prezzi per l’acquisto di un appartamento quest’anno tuttavia, cresceranno di circa l’8%.
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giovedì 14 marzo 2019

Intervista ad Andreas Nölke: "Non possiamo fare a meno dello stato nazione"

Andreas Nölke è professore di scienze politiche a Francoforte nonché la mente dietro il raggruppamento di sinistra Aufstehen!. Intervistato da Welt ci spiega perché non possiamo fare a meno dello stato nazione e perché l'immigrazione è un problema serio. Da Welt.


Welt: Herr Nölke, come professore di scienze politiche a Francoforte lei si è schierato a favore dello stato-nazionale. Perché?

Andreas Nölke: in realtà fra i sostenitori della sinistra è qualcosa di insolito, la maggior parte vorrebbe superare lo stato nazione. Io invece nel medio periodo non voglio, perché ci sono importanti funzioni che al momento vengono svolte meglio a livello nazionale. La democrazia, lo stato sociale e lo stato di diritto funzionano meglio nello stato nazionale che nell'UE. In questo senso, credo che l'aspirazione della sinistra a creare un super-stato europeo e poi uno stato mondiale non siano adeguate.

Welt: quindi apprezza le funzioni dello stato-nazionale, ma per ragioni diverse dalle destre?

Nölke: in realtà ci sono diversi motivi per sostenere lo stato nazionale. Non mi interessa il superamento della cultura tedesca. Ma lo stato-nazione, in quanto stato sociale, dispone dei mezzi per migliorare la situazione delle persone piu' svantaggiate, e rimane l'istanza più importante per protegge la loro libertà e sicurezza.


Welt: per quanto tempo ne avremo ancora bisogno?

Nölke: fino a quando non ci saranno segnali evidenti che la democrazia può funzionare meglio a un livello più elevato. Se emergesse un'opinione pubblica europea, se aumentasse l'identificazione con l'UE, se l'affluenza alle elezioni europee fosse più elevata - allora potremmo pensare di lasciarci alle spalle lo stato nazione.

Welt: quali elementi dell'UE sono anti-democratici?

Nölke: distinguo fra deficit democratico strutturale e attuale. Quest'ultimo include un'affluenza significativamente inferiore alle elezioni europee. La legittimità della democrazia si basa sulla volontà dei cittadini di andare a votare. Darei una maggiore legittimità a quel livello per il quale i cittadini votano con maggiore partecipazione.

Inoltre, anche alle prossime elezioni europee le questioni nazionali avranno un ruolo importante, anche perché non abbiamo un'opinione pubblica europea e sappiamo molto di più sulla politica di Berlino che non su quella di Bruxelles. Ma questi sono tutti problemi risolvibili. I deficit strutturali sono più difficili da risolvere.

Welt: quali sono?

Nölke: empiricamente, si può stabilire una stretta connessione tra le dimensioni di una comunità e il funzionamento della democrazia. Non so come ciò possa essere risolto nel quadro dell'UE. Inoltre, se osservo da sinistra vedo dei problemi con la mancanza di neutralità economica della costituzione europea. I trattati europei non erano destinati a diventare una costituzione, ma grazie all'interazione fra la Corte di giustizia europea e la Commissione sono diventati de facto una costituzione europea - attraverso due istituzioni con una legittimazione democratica estremamente indiretta.

Welt: cosa non la soddisfa dal punto di vista del contenuto?

Nölke: le quattro libertà fondamentali per i beni, i capitali, i servizi e il lavoro, sono state prima inserite nei trattati, con intenzioni di politica economica, per poi insinuarsi nella costituzione. Una cosa del genere, tuttavia, non dovrebbe trovare posto in una costituzione perché significa che queste libertà economiche non sono più accessibili al potere politico.

Ecco perché questa costituzione per me non è accettabile. Ci sono proposte per rimuovere queste norme dai trattati, sarebbero quindi soggette alla legislazione normale, e in quel caso non avrei alcun problema.

Welt: tra le quattro libertà fondamentali viene soprattutto contestata la circolazione illimitata dei lavoratori all'interno dell'UE. Questo diritto alla mobilità degli europei e l'accettazione della migrazione irregolare non sono forse di sinistra?

Nölke: dal mio punto di vista: no. Per me, in quanto uomo di sinistra, si tratta prima di tutto della protezione dei lavoratori. E una forte immigrazione mina le condizioni lavorative dei più deboli all'interno della nostra società. Perché è soprattutto la migrazione irregolare a portare da noi persone poco qualificate, fatto che aumenta la concorrenza in questo settore del mercato del lavoro. Diversi studi mostrano che un tale afflusso di lavoratori nel segmento meno qualificato ha effetti alquanto problematici. Dal punto di vista dell'economia nel suo complesso, tuttavia, l'immigrazione può anche avere degli effetti positivi.
Welt: a quali studi si riferisce?

Nölke: dopo la forte immigrazione da Cuba verso la zona di Miami, nell'ambito dell'esodo di Mariel del 1980, è stata osservata una ripresa generale dell'economia, ma una riduzione fino a un terzo del livello dei salari fra le persone meno qualificate. Un altro studio ha fornito un quadro simile dopo l'apertura da parte dell'Austria agli europei dell'Est nel 2011: è stato buono per il prodotto interno lordo, ma catastrofico per le persone poco qualificate.

Le aziende hanno un legittimo e razionale bisogno di ottenere una buona manodopera al miglior prezzo possibile. Un'alta offerta significa prezzi bassi. Tuttavia, questi interessi spesso non sono in sintonia con quelli della società ospitante, né con quelli delle società che hanno formato queste persone. E spesso nemmeno con quelli dei migranti stessi, molti dei quali preferirebbero vivere nel loro paese, ma lì non trovano lavoro.

Welt: non è forse ragionevole se molte persone provenienti da economie disfunzionali si spostano nelle aree economiche più forti? In questo modo non si aiutano i migranti e le aziende?

Nölke: nel breve termine, sì, ma il mio interesse si rivolge più che altro al sostegno alle aree economiche disfunzionali. Ciò riguarda anche la politica di sviluppo, ma soprattutto la politica del commercio estero. Ad esempio, negli ultimi 20 anni, l'UE ha optato per una politica di libero scambio molto più severa nei confronti dell'Africa sub-sahariana. Le esportazioni agricole stanno distruggendo grandi parti dell'agricoltura di quei paesi. Una politica economica esterna meno aggressiva aiuterebbe questi paesi molto più dell'emigrazione di una parte della loro popolazione verso l'Europa.

Welt:  almeno ora i dazi all'importazione sui beni africani sono stati ampiamente aboliti, in modo che questi paesi possano esportare a basso costo in Europa..

Nölke: sì, ma il problema riguarda molto meno i nostri dazi all'importazione, e molto di piu' invece la pressione esercitata sulle economie di questi paesi costretti ad aprire i loro mercati ai nostri prodotti. La mia ricerca sui modelli economici dei mercati emergenti mostra che i paesi con un protezionismo selettivo sono di gran lunga i paesi di maggior successo: India e Cina. Le economie emergenti, che volontariamente o forzatamente si sono aperte, spesso hanno strangolato l'economia locale.

A proposito, penso anche che la Germania dovrebbe frenare il suo forte orientamento all'export. Da un lato per rispetto nei confronti di queste economie, ma anche nel proprio interesse. Abbiamo il più forte orientamento all'export fra tutte le principali economie. Nel lungo termine, per la Germania non è una buona idea, siamo totalmente dipendenti da ciò che accade nell'economia globale come non accade a nessun'altra grande economia. Se ci fosse un'ondata di protezionismo, delle guerre commerciali o un crollo economico globale, la Germania sarebbe seriamente minacciata.

Welt: lei è una delle principali menti di Aufstehen, questo raggruppamento ha la possibilità di raggiungere una dimensione rilevante?

Nölke: penso che sia possibile, ma ci vorrà del tempo. Da un lato, vogliamo riunire persone che socio-economicamente pensano a sinistra, ma con i partiti di sinistra attuali, fortemente cosmopoliti e globalisti, non riescono a fare nulla. Dall'altro lato, vogliamo spingere verso un ripensamento all'interno della SPD e dei Verdi. Dopo una buona partenza, da due o tre mesi affrontiamo dei problemi organizzativi. Per ora non siamo un movimento forte, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente in una prossima crisi economica.

Welt: cosa significa per Aufstehen la partenza di Sahra Wagenknecht?

Nölke: il suo ritiro dalla ristretta cerchia della leadership di "Aufstehen" in favore di nuovi volti politici era già stato annunciato mesi fa. Mi aspettavo che sarebbe accaduto durante il congresso di giugno, quando dovrà essere eletta una nuova leadership. Da quel momento la fase di avvio, influenzata in maniera relativamente pesante da politici professionisti, sarà finita, e a prendere il timone saranno coloro che organizzano il movimento a livello locale. Questa attualmente è la vera forza di "Aufstehen".



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mercoledì 30 gennaio 2019

NordLB - Un'altra banca salvata con il denaro dei contribuenti

E' sempre piu' probabile un salvataggio con i soldi pubblici per la Landesbank di Hannover. La politica regionale preferisce un consorzio di ricapitalizzazione formato dal Land e dalle casse di risparmio del nord, e sembra voler scartare l'opzione dei fondi americani. Per ora la Bassa Sassonia si farà carico di ricapitalizzare la banca con 2.5 miliardi di euro, ma le analogie con il caso HSH Nordbank lasciano ipotizzare che anche in questo caso avremo a che fare con un altro pozzo senza fondo. Ne scrive Die Welt


Il 22 gennaio il governo regionale della Bassa Sassonia ha preso una decisione storica. A partire dal 2020, come comunicato dal Ministro delle Finanze regionale Reinhold Hilbers (CDU) subito dopo la riunione del governo rosso-nero, il cosiddetto freno all'indebitamento (Schuldenbremse) si applicherà anche alla sua regione. Entro quest'anno nella costituzione regionale verrà inserita un corrispondente articolo. 

Dopo questa modifica della costituzione, sia l'attuale che i prossimi governi della Bassa Sassonia non potranno spendere più soldi di quelli che hanno già incassato. Ma per il Land del nord, già fortemente indebitato, la situazione potrebbe diventare ancora più complessa di quanto non lo sia già ora. 

Perché sul governo della Bassa Sassonia e sui suoi contribuenti, lentamente, ma apparentemente in maniera inarrestabile, si sta formando una valanga di spesa che potrebbe gettare al vento tutta la precedente pianificazione finanziaria. La Nord/LB, la banca pubblica regionale della Bassa Sassonia, ha urgentemente bisogno di capitale fresco. 

Con molta fatica e fra tante difficoltà ha superato l'ultimo stress test della Banca centrale europea piazzandosi ultimo fra tutti gli istituti tedeschi analizzati. Nei circoli bancari si dice sia necessario un aumento di capitale di almeno 3,5 miliardi di euro - altrimenti Nord/LB rischierebbe la risoluzione. Se il nuovo capitale alla fine sarà sufficiente per rendere l'istituto in grado di affrontare il futuro, lo possono sapere solo le stelle. 

Saranno i contribuenti a dover pagare per la mancanza di capitale 

Tuttavia c'è la volontà di andare avanti ad ogni costo. La mancanza di capitale di Nord/LB, se possibile, dovrà essere coperta con dei fondi pubblici. E questo nonostante il fatto che due investitori finanziari statunitensi nel fine settimana si siano dichiarati interessati. Secondo gli ambienti bancari, le holding finanziarie Cerberus e Centrebridge sarebbero interessate alla Landesbank. Cerberus controlla già HSH Nordbank insieme a un gruppo di investitori. 

Secondo i piani della Cancelleria di Stato di Maschsee, il Land, di gran lunga il maggiore azionista con il 59 % dell'Istituto, nelle operazioni di salvataggio farà la parte del leone e dovrà sborsare 2,5 miliardi di euro. E con esso anche i contribuenti della Bassa Sassonia. Due miliardi e mezzo sono una bella somma di denaro, con la quale, come calcolato dall'opposizione della FDP, si potrebbero sanare i bagni di tutte le scuole della Bassa Sassonia almeno 20 volte. E a dire il vero i contribuenti tedeschi non sarebbero mai piu’ dovuti passare dalla cassa per salvare una banca. 

La Sassonia-Anhalt, che ha il 5% del capitale di Nord/LB, come l’Associazione delle Casse di risparmio della Bassa Sassonia, della Sassonia-Anhalt e del Meclemburgo-Vorpommern (insieme hanno il 35 per cento) dovrebbero partecipare all’aumento di capitale con diverse centinaia di milioni. Alla manovra di salvataggio dovrebbero partecipare anche i fondi per la tutela del risparmio delle casse di risparmio e di altre Landesbank. Secondo il piano architettato la scorsa settimana sotto la supervisione della BCE, il pacchetto di salvataggio dovrà essere completato entro febbraio. 

Ma la partecipazione diretta degli investitori privati in Nord/LB tuttavia sarebbe teoricamente ancora possibile. I fondi di private equity Cerberus e Centerbridge sabato mattina hanno presentato un'offerta per rilevare il 49,8% degli attivi della Landesbank. La proposta include, tra le altre cose, che i due investitori mettano più di un miliardo di euro in NordLB, mentre il Land Bassa Sassonia, l'azionista di controllo, dovrebbe mettere a disposizione una parte del capitale necessario, almeno cosi’ si dice negli ambienti finanziari. In ogni caso, le opportunità, ma anche i rischi associati all'operazione sulla dissestata Nord/LB, rimarranno in capo al contribuente. 

La risanamento di una Landesbank in passato è già fallito 

Secondo Hilbers, l'offerta degli investitori privati sarebbe la conferma che la banca ha ancora buone potenzialità. L'offerta sarà valutata alla svelta e discussa con le parti interessate, il ministro delle Finanze tuttavia ha dichiarato: "contemporaneamente sto spingendo per i colloqui con il settore pubblico". Per lui è importante raggiungere una soluzione di lungo periodo sostenibile e praticabile e con una struttura redditizia. "Non si potrà semplicemente andare avanti come si è fatto fino ad ora" e non ci sarà nemmeno "una soluzione di breve termine", ha detto durante il fine settimana. 

Il pubblico, secondo il governo di Hannover, dovrà avere pazienza fino a quando l'accordo - sia esso con le casse di risparmio e le banche pubbliche, oppure con gli investitori privati - sarà concluso. I Verdi e la FDP avrebbero voluto una sessione speciale del parlamento regionale sul tema Nord/LB, ma a causa dei rapporti di forza nel parlamento regionale dovranno fare affidamento sulla buona volontà della Groko della Bassa Sassonia. 

Ma proprio quello che in questi giorni il governo regionale sta cercando di fare, solo 160 chilometri più a nord in passato è già finito male una volta. Esattamente ad Amburgo, dove la città anseatica e la regione dello Schleswig-Holstein quasi dieci anni fa hanno assicurato la sopravvivenza della loro Landesbank con i soldi del contribuente. Nel 2008 e nel 2009, le due regioni avevano anche versato tre miliardi di euro nella loro Landesbank in crisi, ed emesso garanzie per altri dieci miliardi di euro. 

I politici ne avevano sottolineato "la grande importanza" per la regione 

L'allora senatore delle finanze di Amburgo, Michael Freytag, e il ministro delle finanze di Kiel, Rainer Wiegard (entrambi CDU), all'epoca si erano mostrati fiduciosi come fa oggi, dieci anni dopo, il loro collega di partito della Bassa Sassonia, Reinhold Hilbers. Con quelle stesse iniezioni di risorse finanziarie negoziate a porte chiuse, secondo il duo Freytag/Wiegard, sarebbe stato tracciato "un sentiero decisivo per la capacità di HSH Nordbank di sopravvivere". 

Entrambi avevano giustificato la loro decisione con la "grande importanza" che HSH rivestiva per l’area economica e con il fatto che praticamente la banca sarebbe indispensabile per la crescita e la prosperità della Germania del nord. Quanto sia costato il risultato di questa requisitoria è ben noto. 

Poco più di 16 miliardi di euro è la somma che i cittadini di Amburgo e dello Schleswig-Holstein nei prossimi anni dovranno pagare per aver deciso di salvare la loro Landesbank, almeno secondo i calcoli fatti dalla "Hamburger Abendblatt". L'elenco delle promesse secondo le quali il governo regionale non sarebbe mai piu' dovuto intervenire nel settore bancario è così lungo che potrebbe essere usato per tappezzare di carta le pareti di vetro del parlamento di Kiel o i rivestimenti in legno del Parlamento di Amburgo. 

La stessa HSH a dicembre è stata venduta ad un prezzo da saldo al gruppo finanziario internazionale creatosi intorno al gigante degli investimenti statunitense Cerberus. Ed è proprio questa società che ora sarebbe interessata ad investire in Nord/LB. Probabilmente Cerberus finirà per acquistare solo alcuni crediti incagliati, a causa dei quali Nord/LB rischia di finire sotto la linea di galleggiamento, come accaduto a suo tempo alla HSH. 

La situazione per anni è stata minimizzata 

Come all'epoca di Freytag e Wiegard in questi ultimi due anni anche i ministri delle finanze della Bassa Sassonia hanno continuato a minimizzare la situazione della banca della regione. In primo luogo Peter-Juergen Schneider della SPD, il quale all’epoca aveva dichiarato che l'acquisizione della dissestata Bremer Landesbank, avvenuta nel 2016, non avrebbe mai potuto danneggiare la Nord/LB. 

In seguito alle elezioni regionali del 2018, Hilbers è diventato il successore di Schneider ed è lui che ora ad Hannover vorrebbe fare quello che i colleghi di Amburgo e Kiel non sono riusciti a fare: nel ruolo di presidente e capo negoziatore usare il denaro dei contribuenti per stabilizzare una Landesbank allo sbando. 

I motivi di Hilber sono altrettanto onorevoli di quelli dei suoi amici di partito di Amburgo e Kiel. Anche lui considera la banca "un partner importante" dell'economia della Bassa Sassonia e un importante datore di lavoro della regione. Stando alle dichiarazioni rilasciate la scorsa estate dal ministro delle Finanze al "Weser-Kurier" di Brema, il governo della regione si impegna per "continuare ad avere un'influenza decisiva sulle sorti di questa banca". 

Il pericolo che anche Nord/LB per la Bassa Sassonia possa diventare un pozzo senza fondo come lo è stata la HSH per Amburgo e Brema, secondo il cristiano-democratico, sempre molto sicuro di sé, non esiste. Secondo quanto dichiarato da Hilbers alla WELT AM SONNTAG l'obiettivo delle sue negoziazioni sarebbe quello di "rafforzare i coefficienti patrimoniali della Nord/LB e rendere la banca in grado di affrontare il futuro". 

Fusione in una Megasparkasse? 

Un obiettivo che il ministro delle finanze della Bassa Sassonia condivide con Helmut Schleweis, il presidente dell'associazione delle Sparkasse tedesche. Egli tuttavia ritiene che la Landesbank dovrebbe cambiare radicalmente - e nel lungo periodo non dovrebbe restare indipendente. Egli ha in mente - diversamente da una Nord/LB autonoma e alla connessa influenza esercitata dalla regione della Bassa Sassonia - una Megasparkasse, un'associazione di banche regionali sul modello delle banche cooperative. 

Da anni ormai le numerose Landesbank sono una spina nel fianco delle casse di risparmio. Sebbene dopo la crisi finanziaria il loro numero sia diminuito drasticamente, i cinque istituti restanti cercano ancora una loro legittimazione. Le banche spesso si portano via i clienti fra di loro. Ma nonostante l'apparente inefficienza, l'ostinazione dei rispettivi signorotti regionali è grande. 

Anche la crisi di Nord/LB per il momento non cambierà molto. I negoziati per una fusione con la Landesbank dell'Assia sono miseramente falliti. E dato che la risoluzione della Nord/LB per le casse di risparmio sarebbe anche piu’ costosa rispetto all’invio di capitale fresco in Bassa Sassonia, probabilmente per loro non resterà altra scelta che mettersi un’altra volta le mani in tasca - almeno se l'accordo con gli investitori privati dovesse fallire. Alcune casse di risparmio continuano ancora oggi a soffrire per la megalomania di WestLB, la cui eredità si cerca di smaltire sin dal 2012. 

Anche la Commissione europea vuole esaminare attentamente l'accordo raggiunto dalla Bassa Sassonia. Per le autorità garanti della concorrenza di Bruxelles, le iniezioni di capitale fatte con il denaro dei contribuenti non rappresentano certo una soluzione auspicabile. Chi conosce la materia ipotizza quindi che l'operazione di salvataggio pubblico dell'Istituto sarà soggetta a delle condizioni, che probabilmente richiederebbero una ristrutturazione della banca, combinata con una cura dimagrante. Uno scenario possibile è che la Braunschweigische Landessparkasse, controllata da Nord/LB, venga sciolta. Di fatto un assist al grande fan del consolidamento Schleweis.


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giovedì 20 dicembre 2018

Welt: è un giorno nero come la pece per l'Europa

"L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi", scrive Die Welt nel giorno dell'accordo fra il governo italiano e l'UE. Per il prestigioso quotidiano di Amburgo si tratta di un compromesso troppo generoso che servirà piu' che altro ai populisti tedeschi e al loro corso anti-euro. Ne scrive Olaf Gersemann su Die Welt


Nella battaglia per il debito il governo di Roma riesce ad imporsi sulla Commissione europea. Tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per stabilizzare l'euro di fatto vengono azzerati. Un segnale fatale per la moneta comune.

Il governo italiano aveva promesso che nel prossimo anno il deficit pubblico si sarebbe ridotto allo 0,8% per poi arrivare a zero nel 2020. Le richieste della Commissione europea non erano sadismo, ma pura necessità per un paese il cui debito pubblico supera di gran lunga il PIL annuale e in cui il risanamento delle finanze è reso urgente dal rapido invecchiamento demografico.

Il governo di Roma nel frattempo è cambiato, in primavera Giuseppe Conte con il suo gabinetto populista ha sostituito il presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Ma oltre ad aver votato per l'uscita di scena del socialdemocratico Gentiloni, diciamo che gli italiani non hanno votato anche contro quegli stessi obblighi internazionali che egli aveva assunto. Il deficit al 2,4% del PIL che il governo Conte avrebbe voluto raggiungere, almeno secondo la prima versione della legge di bilancio, era una aperta provocazione.

Ora è stato trovato un accordo sul 2,04 percento, e Bruxelles non vuole più avviare una procedura di infrazione per eccesso di deficit. Non solo il valore su cui è stato raggiunto un compromesso è molto più vicino alle idee dei populisti di Roma che non agli impegni originari.

Ma la domanda di fondo riguarda il motivo per cui Bruxelles dovrebbe andare incontro alle richieste degli italiani. Perché è vero che le prospettive di crescita del PIL si sono ridotte - con conseguenze indiscutibilmente negative per il bilancio dello Stato. Ma il fatto che l'economia italiana possa perdere ancora piu' slancio è più che altro un problema interno. Il governo Conte sta di fatto smantellando le riforme sociali e del lavoro fatte dai suoi predecessori, e non crede nell'euro. Quale imprenditore, interno o estero, dovrebbe effettivamente investire in Italia in queste condizioni?

La Commissione europea con le sue concessioni sta premiando un tale corso politico. Gli elettori dei paesi piu' deboli dell'eurozona si chiederanno: perché dobbiamo effettivamente intraprendere riforme strutturali e perseguire il consolidamento dei conti, se gli italiani a proprio piacimento possono tirarsi indietro quando vogliono?

In paesi come la Germania, a loro volta, i populisti anti-Europa sapranno come sfruttare la codardia di Bruxelles. L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi. Ma spiegare in maniera convincente questo punto ora  diventa molto più difficile. Two pack, Six pack, semestre europeo, tutte belle e altisonanti invenzioni che dovrebbero dare rigore all'unione valutaria ma che in pratica non portano a nulla, come stiamo scoprendo ora.

L'euro è stato indebolito dalla vittoria di Pirro di Roma. L'UE è diventata più debole. In ogni modo nel lungo periodo non ci saranno vincitori. Un giorno nero per l'Europa. 

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