sabato 13 aprile 2013

Flassbeck: Berlino fa finta di non capire

Adesso è ufficiale, Berlino fa finta di non capire le logiche della crisi Euro e si rifiuta di cooperare alla sua soluzione. Le prove: la risposta del governo federale ad un'interrogazione parlamentare dei Verdi. Da Flassbeck Economics.
Il 20-03-2013 il governo federale ha risposto ad una interrogazione del gruppo parlamentare dei Verdi (BÜNDNIS 90/DIE GRÜNEN) sul "Coordinamento delle politiche salariali e la riduzione degli squilibri delle partite correnti" (Lohnpolitische Koordinierung und Abbau von Leistungsbilanzungleichgewichten). La risposta, grazie a una domanda molto precisa, è sia un interessante documento sulle posizioni del governo federale, che una testimonianza delle barriere intellettuali che impediscono una soluzione pacifica dell'Eurocrisi. Il riassunto del documento è: il governo federale non è disponibile a riconoscere la logica delle relazioni macroeconomiche generali. Se questo rifiuto sia basato su tattiche elettorali e riflessioni strategiche sull'Europa oppure sia una convinzione profonda, non è dato capirlo.

Per i nostri lettori riassumiamo le 13 pagine di questo documento e le commentiamo affinché possa emergere il nostro crescente scetticismo sulla possibilità di un salvataggio della moneta unica nella sua forma attuale. L'unico raggio di luce che abbiamo potuto scorgere nella dichiarazione del governo è l'ammissione che i temi al centro dell'Eurocrisi sono gli squilibri delle partite correnti e le politiche salariali. Chi ha avviato l'interrogazione almeno avrà questo merito.

Il tema centrale della tesi governativa, con cui si puo' già mostrare la parte principale dell'inconsistenza logica, l'abbiamo menzionata nel titolo di questo contributo. E sarebbe: "Alti e persistenti deficit delle partite correnti sono piu' critici rispetto ad elevati e duraturi avanzi correnti". Da un punto di vista microeconomico l'affermazione puo' essere spiegata solo se si considerano i paesi come singole persone all'interno di un mondo piu' grande fatto anche di altri individui. Sempre da un punto di vista microeconomico è chiaro che un risparmiatore non avrà mai un problema sul mercato dei capitali in quanto sarà considerato solvibile. Non avendo vissuto al di sopra dei propri mezzi, il risparmiatore non potrà essere accusato di aver causato una crisi di debito. Soprattutto egli è in condizione di generare un reddito cosi' alto, da poterne mettere da parte una parte per i periodi piu' difficili. Si suppone che economicamente non gli sia andata male.

Al contrario, da un punto di vista microeconomico, un debitore puo' finire in difficoltà per i suoi debiti quando la solvibilità viene meno oppure quando nessuno crede piu' alla sua capacità di ripagare i debiti, fatto che puo' avere a che fare con il livello di indebitamento raggiunto. Fare debiti significa vivere al di sopra dei propri mezzi, spendere piu' di quanto si incassi, oppure consumare piu' di quanto il proprio reddito possa permettere. Da un punto di vista microeconomico, vivere al di sopra dei propri mezzi in maniera duratura porta alla creazione di debito. E dal suo comportamento dipende anche il fatto che un giorno i suoi debiti saranno cosi' alti che nessuno vorrà piu' prestargli denaro. Il debitore non avrà avuto un successo economico tale da potersi garantire lo standard di vita che si era scelto.

Per il governo federale, senza alcun dubbio, i "buoni risparmiatori" sono i paesi con un avanzo delle partite correnti mentre i "cattivi debitori" i paesi con un disavanzo delle partite correnti. Da un punto di vista puramente contabile è infatti vero che un saldo positivo delle partite correnti aumenta la posizione attiva verso l'estero, mentre un disavanzo corrisponde ad un aumento dei debiti. Se consideriamo i singoli paesi come se fossero dei risparmiatori, sia che si tratti di fare avanzi o disavanzi delle partite correnti, secondo questa logica microeconomica sarà subito chiaro di chi è la colpa quando ci saranno problemi di bilancia dei pagamenti e conseguenti problemi di stabilità: il debitore, vale a dire il paese con il persistente disavanzo delle partite correnti. Per questa ragione, alti e persistenti deficit delle partite correnti devono essere valutati in maniera piu' critica rispetto ai corrispondenti avanzi delle partite correnti. E per questa ragione nel “Six-Pack" del 2011, a entrambe le forme di squilibrio sono state assegnate diverse soglie di allarme: sulla media degli ultimi 3 anni i deficit delle partite correnti sono considerati un pericolo se superano il 4 % del PIL, gli avanzi solo se superiori al 6 % del PIL.

La risposta del governo alla domanda sulla responsabilità tedesca negli squilibri delle partite correnti degli stati EMU è la seguente: "gli avanzi delle partite correnti devono essere considerati non problematici, quando - come nel caso della Germania - sono il risultato di un elevato livello di competitività delle imprese in mercati mondiali altamente concorrenziali". Di conseguenza il governo considera un obiettivo chiave del processo di aggiustamento concordato dalla Troika con i paesi membri "il miglioramento della competitività e della performance economica, in particolar modo dell'export". Tradotto nella logica microeconomica, questo significa che tutti dovranno diventare risparmiatori.

Come cio' debba essere raggiunto ce lo spiega sempre il governo federale: poichè "il problema centrale per la competitività dei paesi in crisi...è stata una dinamica salariale non sufficientemente orientata allo sviluppo della produttività", "le riforme del mercato del lavoro concordate con i paesi in crisi...fra l'altro hanno l'obiettivo della flessibilizzazione del salario, che in futuro dovrà essere orientato allo sviluppo della produttività. Questo è un requisito fondamentale per garantire l'occupazione e aumentarla".

Potrebbe sembrare in qualche modo coerente, ma non lo è. Il modo piu' semplice per capirlo, è considerare la specularità degli avanzi e dei deficit delle partite correnti. La loro somma (in tutto il mondo) deve essere sempre pari a zero. Nella trattazione microeconomica non sembra cosi' chiaro poiché si pensa sempre ad un singolo risparmiatore e ad un singolo debitore. Non si riflette abbastanza sul fatto che se il mondo fosse composto da un solo risparmiatore e da un solo debitore, uno non potrebbe risparmiare, se l'altro non si indebitasse. Se qualcuno vuole vivere al di sotto dei propri mezzi, ha bisogno di qualcuno che voglia vivere al di sopra dei propri mezzi. Se il risparmiatore non trova qualcuno cosi', allora o non potrà risparmiare (dovrà consumare tutto il reddito da sé) oppure dovrà necessariamente cambiare il proprio comportamento.

E poiché questa logica macroeconomica, a dispetto di tutte le categorie morali usate come "debitore" e "vivere al di sopra dei propri mezzi", non potrà essere abrogata allo stesso modo in cui non puo' esserlo la forza di gravità su questa terra, la trattazione microeconomica, secondo la prospettiva della "casalinga sveva" è necessariamente fuorviante, se si ha l'intenzione di risolvere la crisi Euro.

Una difesa degli avanzi commerciali, definiti come "non problematici" poiché basati sulla competitività, è semplicmente assurda, in quanto tautologica. Su cos'altro dovrebbero basarsi gli avanzi commerciali? L'accresciuta competitività di un paese nei confronti dei suoi vicini puo' essere dovuta a piu' fattori, ad esempio un aumento della produttività che non si è trasferito in maniera completa sui salari reali, oppure al dumping salariale, al ricatto dei fornitori, alla corruzione, all'evasione fiscale oppure ad altri fattori che tengono i prezzi piu' bassi rispetto ai paesi concorrenti.

Oppure si verifica perché un paese si è attenuto all'obiettivo standard di inflazione dell'unione monetaria, ma un altro membro non lo ha fatto. Allora, e solo allora, questa competitività relativa e i conseguenti avanzi commerciali potranno essere in qualche modo giustificati. E quel membro dell'unione monetaria potrà argomentare: sono stati gli altri membri che avrebbero dovuto con la loro politica salariale attenersi all'obiettivo di inflazione concordato.

Il mantenimento di un obiettivo di inflazione in sé non ci dice se il livello di competitività verso l'estero è giusto oppure no. Non ci dice nulla sui mezzi con cui l'inflazione obiettivo è stata raggiunta, se questi sono corretti o meno. Se ad esempio in un paese si applica il dumping salariale, oppure se le imprese private devono pagare tangenti per tenere le fabbriche aperte e nonostante cio' i prezzi dei prodotti salgono coerentemente con l'obiettivo di inflazione e il paese resta competitivo. La società di questo paese ha tuttavia un problema di redistribuzione e di giustizia sociale al proprio interno.

Una divergenza fra la competitività di alcuni paesi che rispettano gli obiettivi e altri che non lo fanno, non puo' essere "Non problematica". Poiché inevitabilmente il problema del debito prima o poi emergerà. Ma cio' puo' accadere solo quando la banca centrale dell'unione monetaria dorme. Poiché non appena si percepisce che ci sono due tipi di paesi, quelli che mantengono i loro obiettivi di inflazione, e altri che restano al di sopra, sarà chiaro che il tasso di inflazione fissato collettivamente non viene rispettato. E allora si dovrebbe intervenire con una politica dei tassi orientata alla stabilità, in modo da evitare tali divergenze permanenti.

Ma il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) tedesco è di circa il 20% inferiore rispetto agli obiettivi della BCE e inferiore rispetto al CLUP dei paesi in crisi, che in parte sono già impegnati in un processo deflattivo con tutti gli effetti catastrofici sulla rispettiva domanda interna. Se i paesi in crisi vogliono uscire dalla loro posizione di indebitamento per poter tornare un giorno sul mercato dei capitali, dovranno smetterla di accumulare ulteriori disavanzi delle partite correnti, riportandole in territorio positivo. Vale a dire ripagare i loro debiti esteri. Questo richiede pero' necessariamente che gli altri paesi, preferibilmente quelli che fino ad ora sono stati in avanzo, facciano dei deficit.

In questo scenario è privo di ogni logica economica il fatto che la Germania difenda i suoi avanzi commerciali e si opponga alle sanzioni, come accaduto nel trattamento asimmetrico dei deficit e dei disavanzi nel "Six-pack". Quanto alla fine sia contradditoria la posizione del governo lo si puo' vedere anche nel documento ufficiale in questione, laddove si cita un'analisi della Commissione Europea e un rapporto mensile della Deut­sche Bun­des­bank: da una parte si dice che un aumento dei salari tedeschi non causerebbe necessariamente un peggioramento delle partite correnti tedesche, o addirittura un loro miglioramento, dall'altro si dice che nei paesi in crisi lo sviluppo dei salari nominali non collegato alla produttività è stata la causa principale per la loro bassa campetitività.

Se tutta l'Europa dovesse copiare la strategia tedesca, come del resto il governo federale spera apertamente, la mancanza di una logica prima o poi verrà fuori. Non tutti i paesi potranno migliorare la loro competitività. La competitività - non lo si ripete mai abbastanza - è un concetto relativo. Fare finta di credere che tutti possano emulare la Germania è irresponsabile perchè cio' porterà a dei duri conflitti con i paesi che già ora stanno facendo degli sforzi, e che presto capiranno che questi sforzi non hanno portato a nulla.

La Cancelliera nel suo discorso a Davos del 24 gennaio ha sostenuto che l'Europa nel suo complesso dovrà diventare piu' competitiva, e cio' significa che l'Europa e l'unione monetaria nel lungo periodo dovranno accumulare degli avanzi commerciali con il resto del mondo. Ma tutto cio' è falso, e lo abbiamo detto piu' volte: il resto del mondo avrà sempre la possibiltà di svalutare la propria moneta nei confronti dell'Euro. E di questa possibilità farà sicuramente uso se dovesse trovarsi a rischio di una crisi di debito come accaduto ai pesi del sud Europa. Anche questo tema monetario, non è difficile prevederlo, ci terrà occupati ancora per molto tempo. 


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venerdì 12 aprile 2013

Agenda 2010 per tutta l'Europa?


Non è un segreto: i merkeliani vogliono estendere l'Agenda 2010 a tutta l'Europa. Sulla Süddeutsche Zeitung, il professore di scienze politiche Christoph Butterwegge, ex SPD, oggi vicino alla Linke, propone un'analisi delle riforme lanciate da Schröder, a 10 anni dalla loro introduzione. Da Süddeutsche Zeitung


Hartz IV ha portato la povertà al centro della società e ha approfondito il divario fra ricchi e poveri. L'Agenda 2010 ha mostrato quanto sia facile e rapido per le persone scendere verso il basso - anche se il decimo anniversario delle riforme è stato festeggiato per giorni.


Chi festeggia gli anniversari di solito non sempre ama dire tutta la verità. Dopo tutto si tratta di riempire il festeggiato di complimenti e celebrarlo in considerazione di quanto ha fatto. E' andata cosi' anche qualche settimana fa, quando Gerhard Schröder ha celebrato i 10 anni dall'introduzione dell'Agenda 2010.

Date le numerose felicitazioni arrivate da tutto il mondo economico, la narrazione delle riforme di Schröder è già un luogo comune: sono la madre di tutti i  successi raccolti dalla Repubblica Federale sui mercati mondiali negli ultimi anni. Mentre Schröder pronunciava il suo discorso di presentazione dell'Agenda 2010, la Germania sottraeva agli USA il ruolo di primo esportatore mondiale. Nel 2009 tornava al secondo posto dietro la Cina. "Il malato d'Europa", come spesso si diceva allora, l'economia della Repubblica Federale non lo era mai stato. In realtà restava l'economia piu' grande e piu' forte di tutto il continente.

Sicuramente dopo l'entrata in vigore delle riforme il numero degli occupati è cresciuto mentre quello dei disoccupati ufficiali è sceso. Ma cio' è probabilmente dovuto anche all'andamento della congiuntura internazionale. Inoltre, molti impieghi spesso sono stati solo smontati senza aumentare il volume del lavoro, mentre molte donne sono tornate a lavorare ma solo con impieghi a tempo determinato.

Ma se anche la presunta maggiore resistenza alla crisi  rispetto ai vicini europei mostrata dall'economia tedesca fosse da ricondurre all'Agenda 2010, il prezzo pagato sarebbe comunque troppo alto: soprattutto per i cittadini non privilegiati. Per tutti coloro che già avevano un basso reddito, il salario reale è diminuito. A causa della precarizzazione del lavoro, la qualità dei rapporti di lavoro per molti è peggiorata: sono milioni i tedeschi che oggi non hanno alcuna assicurazione sociale che possa proteggerli dai rischi elementari della vita. E se un lavoro c'è, molto spesso si tratta di un lavoro interinale o di un part-time forzato.

Strumento di intimidazione e minaccia

Accanto all'Agenda 2010, Hartz IV è l'altra parola per comprendere la  piu' importante rottura nel modello sociale tedesco dopo il 1945. Che il numero dei destinatari di aiuti negli ultimi tempi sia addirittura sceso insieme al livello medio dei contributi, non è dovuto ad una riduzione della povertà, ma solo ai  controlli piu' rigidi e agli strumenti di repressione di cui i Jobcenter e gli uffici di sicurezza sociale dispongono dopo le riforme. Sia l'Agenda 2010 che Hartz IV hanno funzionato come uno strumento di disciplina e di minaccia.

Si nascondono soprattutto le conseguenze psico-sociali, sanitarie e socio-culturali dell'Agenda. Viene violato il senso di giustizia della maggioranza: lavoratori con decenni di lavoro alle spalle, dopo un breve periodo di disoccupazione vengono riportati agli stessi livelli di reddito di coloro che non hanno mai lavorato in vita loro. 

La fusione fra indennità di disoccupazione e aiuti sociali (al livello di questi ultimi) secondo Schröder avrebbe dovuto separare coloro che hanno ancora voglia di lavorare da coloro che invece non ne hanno. L'ipotesi era che il sussidio sarebbe stato percepito come una presa in giro. Con l'abolizione dei sussidi per la disoccupazione (dopo 12 mesi di disoccupazione), di fatto si ignora un principio molto importante: è compito dello stato sociale assicurare uno standard di vita minimo.

L'arbeistlosengeld II (Hartz IV), introdotto come sostituto, non è legato all'ultimo stipendio netto percepito dal disoccupato di lunga durata. L'effetto è stato quello di portare al livello degli aiuti sociali chi fino a poco prima apparteneva al ceto medio, come ad esempio i lavoratori specializzati o gli ingegneri 

Il nuovo e piu' duro regime del lavoro ha aumentato la pressione esercitata sui sindacati e sui consigli di fabbrica per far accettare condizioni di lavoro peggiorative e salari piu' bassi. E' stato il punto di partenza verso l'impoverimento dei lavoratori e dei pensionati. Nella Repubblica Federale la povertà per un lungo periodo era rimasta un fenomeno per gruppi marginali, ma grazie ad Hartz IV è tornata a minacciare il centro della società.

Non c'è stato l'effetto ascensore sociale: tutti salgono insieme verso l'alto. Piuttosto c'è stato l'effetto paternoster: mentre pochi salivano verso l'altro, tutti gli altri stavano andando verso il basso. Le riforme hanno approfondito la divisione sociale fra ricchi e poveri. I bassi salari hanno reso possibile grandi guadagni. La riforma fiscale, che dell'Agenda 2010 era parte integrante e il cui effetto in termini di redistribuzione viene sottovalutato, ha ridotto il carico fiscale sui redditi da capitale e sui redditi piu' alti.

La competitività al centro

Accanto ai tagli materiali per milioni di persone, l'Agenda 2010 ha portato con sé importanti processi mentali di cambiamento. Ha peggiorato il clima sociale e danneggiato la cultura politica della Repubblica federale. I disoccupati, i poveri e le minoranze etniche hanno incontrato sempre maggiori difficoltà, mentre il mercato e la concorrenza sono diventati il punto centrale dello sviluppo sociale.

Oggi la massima "Se ognuno si prende cura si sé, andrà bene per tutti" è molto piu' popolare rispetto a quando la SPD rappresentava ancora gli interessi delle persone meno abbienti. Di fatto la distanza fra governanti e governati è cresciuta, perché chi è stato colpito dalla riforme, non a torto, ritiene di non essere piu' rappresentato in parlamento. E se cio' non viene affrontato democraticamente potrà portare ad una crisi della democrazia.

L'obiettivo dell'Agenda 2010, garantire l'egemonia economica della Germania in Europa, è stato raggiunto. Per il governo federale percio' dovrebbe essere ancora piu' facile fare piu' di quanto è stato fatto fin ad ora per i perdenti di queste politiche di riforma. Invece di lanciare un appello per una Riforma 2020, come fanno molti celebratori, bisognerebbe riportare l'uguaglianza e la coesione sociale  al centro dell'azione politica.

giovedì 11 aprile 2013

Münchau: Soros ha ragione, fuori la Germania dall'Euro


Wolfgang Münchau nel suo settimanale commento su Der Spiegel è d'accordo con Soros: o si fanno gli euro-bond oppure la Germania se ne deve andare. Da Spiegel.de
La Germania fuori dall'Euro per salvare il resto dell'unione monetaria: lo speculatore Soros ha perfettamente ragione. Nella situazione attuale la Germania costringe gli altri paesi ad adottare il suo modello economico. Nel lungo periodo non puo' funzionare.

Nel suo ultimo anno da primo ministro, Margaret Thatcher era giunta alla conclusione che per la Gran Bretagna una relazione troppo stretta con la Germania appena riunificata era fuori discussione. L'allora ministro dell'industria Nicholas Ridley nel 1990, in un'intervista imprudente allo "Spectator", aveva dichiarato quello che la Thatcher pensava - ma non aveva mai detto. L'unione monetaria è un progetto tedesco che ha come obiettivo l'egemonia in Europa. Ridley a causa di cio' dovette andarsene. Thatcher lo segui' poco dopo.

All'epoca ero giornalista al "Times" di Londra e ricordo la mia indignazione per il commento anti-tedesco di Ridley. Col senno di poi devo ammettere: e' andata proprio come Ridley aveva previsto. La Germania nel frattempo è diventata la potenza centrale in Europa. Thatcher e Ridley da una prospettiva puramente di potere potere politico arrivarono alla conclusione: non saremo mai felici nel ruolo dei junior-partner all'interno di una unione monetaria. E oggi la pensano allo stesso modo anche italiani, spagnoli e francesi. E' necessario rinunciare alla sovranità e di fatto è possibile sopravvivere solo se si diventa come la Germania. Per gli inglesi era un'idea insopportabile.

Il finanziere americano George Soros con un attacco speculativo dalle dimensioni mai viste fino ad allora, nel 1992 fece affondare l'aggancio della sterlina al Marco tedesco. E ora vede un nuovo pericolo di frammentazione in Europa. Martedi in un'intervista allo Spiegel Online ha detto: o la Germania accetta gli Euro-bond oppure deve uscire dall'Euro.

Soros basa la sua analisi su di una semplice intuizione: l'Euro rischia la disintegrazione a causa dell'indebitamento privato, che ora nei paesi del sud sta transitando sui bilanci pubblici. Per Soros la crisi non potrà essere risolta senza l'unione bancaria e senza gli Euro-bond.

Cio' che non è sostenibile prima o poi dovrà finire

Tuttavia Soros sa che la messa in comune del debito, sia in Germania che nel resto della parte Nord dell'Eurozona non puo' essere accettata. E cosi' la disintegrazione della zona Euro è solo una questione di tempo. Ma sono i legami e le decisioni politiche che potrebbero far durare ancora a lungo questa situazione. Ma cio' che non è sostenibile, prima o poi finirà. Questa regola naturale è valida anche in Europa.

Soros propone una sua riflessione: sarebbe molto meglio se fosse la Germania a lasciare l'Euro, invece della Spagna o dell'Italia. Perché se fossero gli stati del sud a uscire dalla moneta unica ci troveremmo in una situazione caotica. Il debito sarebbe ripagato in Euro o in moneta nazionale? Ci sarebbe un assalto alle banche? Ci sarebbero disordini politici?

Se fosse la Germania ad andarsene tutti questi problemi non si porrebbero. Naturalmente il nuovo D-Mark si apprezzerebbe con forza. Ma ad una rivalutazione effettiva si sarebbe comunque arrivati in un modo o nell'altro.

E anche i patrimoni tornerebbe a rivalutarsi. Secondo uno studio sui patrimoni netti delle famiglie europee pubblicato questa settimana dalla BCE, i tedeschi sono fra i piu' poveri in Europa. Apparentemente cio' è dovuto al basso tasso di case di proprietà in Germania, il piu' basso nella zona Euro. La casa di proprietà molto spesso è la voce piu' significativa del patrimonio familiare. Ma questo non spiega tutto. Anche gli squilibri hanno un ruolo importante. La Spagna  nella zona Euro ha vissuto una forte inflazione. In Germania l'Euro è rimasto sostanzialmente stabile.

La Germania sembra piu' povera di quanto non sia in realtà 

Chi come il sottoscritto negli ultimi anni ha viaggiato molto fra la Germania, la Francia, l'Italia e il Belgio puo' solo confermare che l'Euro in Germania ha un potere d'acquisto molto piu' elevato che in Spagna. Entrambi i paesi hanno la stessa moneta nominale, ma non reale. La Germania non è affatto povera. Ma l'Euro crea cosi' tante distorsioni che la Germania sembra piu' povera di quanto non sia in realtà. 

Si puo' fare il necessario aggiustamento all'interno dell'unione monetaria, ma questo richiede una centralizzazione totale dell'intera politica economica. Gli Euro-bond sarebbero solo l'inizio. Per fare questo non vedo alcuna realistica opportunità politica. Se rifiutiamo questa strada, allora dovremmo essere onesti e dire: basta con l'unione monetaria.

Accolgo con favore la fondazione del nuovo partito anti-Euro "Alternative fuer Deutschland". Non ne condivido le posizioni. Ma almeno sono coerenti. Mentre quelle della CDU e della FDP - pro euro, ma contro gli Euro-bond - sono intrinsecamente contraddittorie. Sull'Euro ci sono due posizioni logicamente coerenti. L'AfD ne rappresenta una. Dell'altra la maggior parte dei partiti hanno una grande paura.

Margaret Thatcher sull'Europa almeno era coerente. Ha avuto fiuto sia sugli sviluppi economici che su quelli del potere politico all'interno della zona Euro. Per questa ragione merita il mio rispetto. 
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martedì 9 aprile 2013

L'Eurogulden e i sogni tedeschi


Hans-Olaf Henkel, euroscettico della prima ora, tra i fondatori della nuova formazione eurocritica "Alternative fuer Deutschland", ex presidente degli industriali tedeschi, su Handelsblatt descrive in chiave ironica il suo sogno di un Euro-nord esteso alle zone di tradizionale influenza germanica. Da Handelsblatt.de
Il nostro columnist sogna una nuova moneta, che su proposta degli olandesi sarà rinominata "Eurogulden". Molti paesi non-Euro si agganceranno - con l'intenzione di rispettare le regole del trattato di Maastricht.

Nel fine settimana mi sono addormentato sull'ICE Berlino-Amburgo. Ed ho sognato il Presidente francese che esponeva alla Cancelliera il desiderio, espresso dalla Francia e da altri paesi del sud Europa, di una uscita della Germania dalla zona Euro. Non si puo' piu' pretendere che il sud-Europa resti prigioniero del feticismo della stabilità tedesco. Anche a Parigi si è giunti alla conclusione che l'Euro per la maggioranza delle imprese del sud Europa è diventato troppo forte, mentre per le imprese del nord troppo leggero.

Mentre la Germania esporta sempre di piu', nel sud cresce il numero di insolvenze, si riduce la base imponibile e aumenta la disoccupazione. In particolare, la disoccupazione giovanile in tutto il sud diventa un esplosivo sociale ingovernabile. A cio' si aggiunge che non solo i paesi del sud, ma anche la Francia, non potranno raggiuntere né quest'anno né il prossimo gli obiettivi di stabilità fissati.

Con l'uscita della Germania dall'Euro unitario Hollande si aspetta una svalutazione del nuovo Euro mediterraneo e in questo modo un forte impulso al recupero di competitività nei paesi del sud Europa. "Madame", nel sogno Hollande diceva cosi': "Anche lei non crede certo che i tedeschi si lascerebbero tagliare i salari e le pensioni del 30%!"

Subito dopo Merkel inizia a discutere con alcuni imprenditori e ricordo bene che nel sogno ho assistito a litigi rumorosi; non solo fra i rappresentanti delle imprese familiari e delle casse di risparmio da un lato e dall'altro i dipendenti e i manager delle grandi banche, ma anche fra i membri della coalizione di governo. Il candidato della FDP Bruederle ha detto chiaramente a Schäuble che continuare con il "business as usual!" equivale a portare avanti una grottesca politica di sovvenzione, da cui "l'industria dell'export tedesca sicuramente trae profitto nel breve periodo, ma le cui conseguenze finanziarie nel sud-Europa dovranno essere pagate a lungo dal contribuente tedesco e dai suoi figli".

In una trasmissione speciale della ARD, gli ex Cancellieri Schmidt e Kohl e l'ex ministro degli esteri Genscher esprimevano le loro preoccupazioni in merito ad una possibile terza guerra mondiale. Il moderatore, il capo di WDR Schönenborn, ha detto immediatamente "di dover condividere con milioni di spettatrici e spettatori questa preoccupazone" e ha posto la seguente domanda: perché non si fanno ulteriori concessioni ai francesi al fine di mantenerli nella moneta unica?

Subito dopo il leader della SPD Gabriel e il leader della confederazione sindacale Sommer hanno chiesto un aumento immediato degli stipendi e delle pensioni tedesche pari al 20%, "per dare un contributo al livellamento dei differenziali di produttività che minacciano la sopravvivenza della moneta unica". Il leader dei Verdi Trittin ha consigliato di raggiungere questo obiettivo anche attraverso la strada della "svolta energetica" (uscita dall'energia atomica) e il conseguente aumento dei costi energetici. Il leader degli industriali Grillo (BDI) ha messo in guardia dalle conseguenze di una rivalutazione, perché "il 60 % dell'export tedesco è diretto verso l'Europa!" Il rappresentante della Bundesbank, Dombret, ha sottolineato invece che "oltre il 60% dell'export tedesco non va verso l'Eurozona", cosa ancora piu' rilevante, "oltre il 40% delle nostre esportazioni è stato precedentemente importato e in caso di rivalutazione diventerebbe piu' economico".

Dopo l'accettazione della proposta francese da parte di Finlandia, Olanda e Austria, cosi' continuava il mio sogno, anche il governo federale tedesco si è visto costretto ad accettare il piano. Si annuncia che la nuova valuta - su proposta degli olandesi, sarà rinominata "Eurogulden" - i paesi non-Euro Danimarca, Svezia, Polonia e Repubblica Ceca intendono entrare a farne parte. Tutti i partecipanti alla nuova eurovaluta si impegnano a rispettare l'originale trattato di Maastricht, compresa la "clausola di No-bail-out", che vieta qualsiasi messa in comune del debito sovrano.

Il mio sogno continuava con un discorso della Cancelliera "alle cittadine e ai cittadini tedeschi". Si rallegrava perché ora in Europa "abbiamo perfino meno valute di quante ne avevamo prima" e l'abbiamo sempre saputo che "è meglio una valuta che si adatta alla realtà economica,  piuttosto che il contrario". "L'obiettivo strategico del presidente Hollande, e anche il mio, è ricongiungere prima o poi le due monete, ma solo quando si saranno create le condizioni economiche. Potranno essere necessari decenni".

Il mio sogno proseguiva, e Cameron si felicitava per la "nuova politica eurorealista", era cosi' felice che aveva deciso di cancellare l'annunciato referendum sulla permanenza nell'UE. Solo quando il presidente della repubblica Joachim Gauck assegnava ai professori Hankel, Renate Ohr, Schachtschneider, Starbatty e Spethmann (euroscettici della prima ora) l'Ordine di Merito per il "loro coraggio civile mostrato nonostante i lunghi anni di emarginazione", mi sono finalmente svegliato ad Altona (stazione di Amburgo). Ero andato troppo in là con il treno, ma quello era il problema minore.
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lunedì 8 aprile 2013

Weidmann: Cipro è il punto di svolta

Jens Weidmann, intervistato da Deutschlandfunkradio torna a parlare della sua ricetta per risolvere la crisi e conferma: Cipro è un punto di svolta nella storia degli eurosalvataggi. Da dradio.de

Il presidente Bundesbank Jens Weidmann si auspica un nuovo sistema per la gestione delle crisi bancarie nella zona Euro. A questo progetto sta lavorando la Commissione europea. L'obiettivo: creare una "catena di responsabilità" che risparmi il contribuente europeo.

Silvia Engels: Herr Weidmann, l'Eurosistema e la Bundesbank hanno appena attraversato un periodo di grande tensione.  Un paese dell'Eurozona, Cipro, è finito quasi in bancarotta. Lei temeva che alla riapertura delle banche potesse esserci una assalto alle banche?

Weidmann: C'era naturalmente la paura che l'incertezza sul futuro di Cipro potesse influenzare il comportamento dei depositanti ciprioti. Ma con il controllo sui movimenti di capitale erano state prese misure preventive per arginare l'insicurezza. E come ci mostrano i fatti, le misure hanno funzionato.

Non si sono viste lunghe code davanti alle banche. Se ci fossero state, che cosa avrebbe significato per l'intera Eurozona?

Io credo sia importante trarre una lezione da Cipro: le banche potranno essere ristrutturate, nonostante tutte le difficoltà nell'applicare le decisioni prese. E questo è un segnale positivo, perché ci aiuterà a limitare l'incertezza.

Il piano negoziato sarà sufficiente per superare i problemi di Cipro?

Io credo sia importante, e non solo in relazione a Cipro ma in relazione all'intera Eurozona, ricordarsi che gli squilibri sono nati e cresciuti per un lungo periodo di tempo, e quindi non potranno essere risolti in un giorno. La crisi ci farà compagnia ancora per un po' di tempo, perché è necessario affrontarne le cause strutturali. E questo richiede tempo.

Pensa che Cipro avrà bisogno di altra liquidità?

La situazione a Cipro negli ultimi giorni si è stabilizzata. Non mi sentirei di escludere un maggiore fabbisogno di liquidità. Il punto centrale è che la liquidità non risolve i problemi di Cipro. I problemi hanno una natura strutturale, e per il loro superamento è necessario tempo.

Si è deciso che il settore finanziario a Cipro dovrà essere ridimensionato. Ritiene che in futuro sarà possibile coinvolgere anche i creditori, gli azionisti o magari i correntisti? Cipro è un caso unico oppure un modello?

Cipro non puo' essere un modello perché li' il settore finanziario era eccezionalmente grande e anche la struttura di finanziamento delle banche molto diversa da quella degli altri istituti di credito europei. Tuttavia è naturale che nel processo di stabilizzazione del sistema bancario venga applicato un principio di responsabilità, e che quindi chi ha preso le decisioni che hanno portato alla situazione di crisi sia chiamato a risponderne - prima di tutto gli azionisti, poi i creditori e solo alla fine della catena di responsabilità il correntista, e possibilmente non il contribuente, sia quello nazionale che quello europeo.

Quindi secondo la sua proposta, nei prossimi programmi di salvataggio è possibile che i risparmiatori nella parte che eccede i famosi 100.000 € garantiti dallo stato possano subire delle perdite?

Questa non è esattamente la mia idea. Si sta pero' lavorando a livello europeo su di un possibile modello di ristrutturazione bancaria. Si tratta soprattutto di non dover sempre e necessariamente salvare le banche in difficoltà con il denaro del contribuente, e di fare in modo che secondo un principio di responsabilità le banche possano essere ristrutturate, senza per questo rappresentare un problema per l'intero sistema finanziario. Per questa ragione l'obiettivo è rendere possibile le ristrutturazioni bancarie facendone gravare gli oneri su coloro che hanno preso le decisioni che hanno portato a questa difficile situazione. E la commissione sta lavorando proprio a questo, vale a dire una direttiva che possa istituire un quadro normativo per la liquidazione delle banche. 

In concreto come dovrebbe funzionare?

I lavori al momento sono ancora in corso. In particolar modo si tratta di poter definire una corretta catena di responsabilità. E' la catena delle responsabilità prevede sicuramente che gli azionisti, vale a dire coloro che sopportano il rischio d'impresa, dovranno necessariamente farsi carico  dell'onere dell'aggiustamento.

Cio' significa che coloro che in qualsiasi forma hanno investito capitale nelle banche saranno chiamati a pagare. E in caso di difficoltà estrema, si lasceranno anche fallire le banche?

Nella catena delle responsabilità gli azionisti sono al primo posto. Alla fine della catena ci sono i depositanti e i depositi sotto i 100.000 € - garantiti dalla legge EU - che possibilmente non dovranno essere toccati. E la giusta sequenza di responsabilità. L'obiettivo è evitare che le banche in difficoltà debbano essere salvate con il denaro dei contribuenti ed escludere crisi finanziarie future dovute ai rischi eccessivi assunti dalle banche.

Significa che questo è l'inizio della strada che ci porta ad una unione bancaria europea in cui i creditori garantiscono internamente per le possibili perdite? E' la sua idea?

No, questo non è il punto centrale di una unione bancaria. L'unione bancaria, che viene descritta in maniera molto diversa, a mio avviso si compone di due elementi fondamentali. Da un lato una vigilanza bancaria che opera secondo criteri rigorosi e unitari. E dall'altro un sistema per le ristrutturazioni bancarie con il quale le banche potranno essere anche liquidate. A cio' si aggiungono altri elementi, che sicuramente hanno un grande significato, ad esempio elementi regolatori che impediscano alle banche di assumere un livello eccessivo di esposizione verso i titoli di stato. Come del resto è accaduto in passato, fatto che a Cipro ha avuto un ruolo molto importante, ma anche in Grecia.

Il risparmiatore tedesco pensa che i suoi risparmi oltre i 100.000 € potrebbero non essere sicuri. Lei cosa gli direbbe per rassicurarlo?

Per prima cosa bisogna dire che il risparmiatore è anche contribuente. L'alternativa a questo approccio è che il contribuente di ciascun singolo paese o forse in tutta Europa sia chiamato a pagare per errori che hanno fatto  altri. E questa è una situazione che vogliamo evitare, una lezione che ci arriva dalla crisi. Per questo motivo adesso stiamo discutendo di un sistema per le liquidazioni bancarie piu' ragionevole. E questo regime di liquidazione alla fine, insieme ad altre regole, farà in modo che i depositi bancari possano essere considerati sicuri. Ad esempio, con le nuove regole sul capitale proprio chi si trova all'inizio della catena di responsabilità, vale a dire gli azionisti, avrà una funzione di buffer da cui in caso di problemi si dovrà attingere. Questo deve essere il nostro obiettivo. Che non significa far sostenere agli investitori l'onere di decisioni economiche sbagliate o di fallimenti bancari. Il vero obiettivo sarà rendere il sistema bancario piu' stabile attraverso una vigilanza piu' attenta e un maggiore capitale proprio. Solo se necessario si arriverà alla liquidazione delle banche, fatto che renderebbe il  comportamento bancario piu' sensibile verso i rischi.

Ma anche se il risparmiatore è in fondo alla catena delle responsabilità, continuerà a preoccuparsi in quanto non potrà mai sapere quanto è sicura la banca in cui ha depositato i suoi risparmi.

Per questa ragione stiamo lavorando per rendere il sistema piu' stabile. Capisco perfettamente che i depositanti dopo la discussione sul salvataggio di Cipro sono diventati piu' insicuri. Possiamo pero' combattere queste incertezze in un solo modo: dobbiamo mostrare che attraverso le diverse regole che stiamo discutendo queste situazioni difficili che causano una perdita anche per i depositanti, sono meno probabili e che il sistema nel suo complesso è diventato piu' sicuro.

Dall'altro lato l'incertezza dei depositanti potrebbe portare alla fugua dei capitali. Non crede che i capitali possano fuggire dalla zona Euro?

Non credo che la fuga di capitali verso i paradisi fiscali sia collegata al tema delle liquidazioni bancarie.

Sicuramente fra coloro che hanno depositato il loro denaro a Cipro ci saranno alcuni che ora rimpiangono il fatto di non averlo portato alle Cook-Islands

Io non so se il sistema bancario alle Isole Cook alla fine è piu' sicuro di quello nella zona Euro. Io credo che il concetto principale resta lo stesso: il tasso di interesse è collegato in maniera diretta con il livello di rischio a cui ci si espone. Quando un investitore riceve un interesse elevato, nella maggior parte dei casi, è perché sta assumendo un rischio maggiore. Questo, a mio parere, è un concetto molto importante. In aggiunta, tutti gli sforzi di regolamentazione sono finalizzati a rendere il sistema finanziario piu' sicuro, sia per il risparmiatore che per il contribuente.

Il contribuente fino ad ora ha sostenuto le ristrutturazioni bancarie perché si diceva che le banche avevano rilevanza sistemica. A sentirla parlare questo principio non sembra piu' valido.

Si' certo questo è ancora un problema. Ma l'esempio di Cipro ci mostra che le banche possono essere liquidate senza mettere in pericolo l'intero sistema. E questo è un elemento positivo. Tuttavia resta il problema: le banche possono essere troppo collegate oppure troppo grandi per essere liquidate senza pericolo per l'intero sistema. E per questa ragione le banche dovranno essere sorvegliate in maniera particolarmente attenta e dovranno valere anche le nuove regole sulla capitalizzazione. Avranno l'obbligo di detenere una quantità maggiore di capitale proprio come buffer per coprire i rischi.

Piu' capitale, e meno rischi, è una cosa. Dall'altro lato pero' si parla sempre piu' spesso di una garanzia europea sui depositi. E qui crescono le preoccupazioni del contribuente tedesco, che dovrà garantire anche i depositi presso le banche in difficoltà

Si, condivido le preoccupazioni. Un'assicurazione comune sui depositi significherebbe un'ampia messa in comune delle garanzie e cio' non è certamente appropriato al sistema attuale. A fronte di questa garanzia, non esiste un corrispondente controllo. Non posso certo garantire per qualcosa su cui non ho alcun controllo. Le Banche o i bilanci bancari alla fine sono uno specchio dell'economia nel suo complesso. In essi si riflettono gli andamenti congiunturali dell'economia e in essi si rispecchia la solidità delle finanze pubbliche dei singoli paesi.

E per tali rischi potro' garantire solo se avro' la possibilità di esercitare un controllo complessivo. E fino a quando questo controllo non esiste, una messa in comune delle garanzie bancarie ci condurrebbe ad un sistema non coerente e ad una eccessiva assunzione di rischi. Per queste ragioni non me la sentirei di sostenerlo.

Secondo alcuni la BCE durante la crisi di Cipro ha lanciato un vero e proprio ultimatum all'isola mediterranea in merito alla fornitura di ulteriore liquidità, fatto che ha condotto Cipro ad accettare le condizioni dell'Eurogruppo. La BCE ha oltrepassato il proprio mandato?

Prima di tutto è vero che la BCE e l'Eurosistema forniscono liquidità solo sulla base delle proprie regole. E queste regole non permettono di continuare il finanziamento in determinate condizioni. E' un compito della politica fiscale. Alla fine arriviamo al punto veramente importante: è necessario separare la politica monetaria dai compiti di politica fiscale. E un altro punto rilevante è che l'indipendenza della banca centrale è fondamentale per mantenere la stabilità dei prezzi. L'indipendenza è giustificata solo quando la banca centrale ha un mandato molto limitato. E questo mandato è definito nei trattati EU e a questo mandato dobbiamo attenerci.

La decisione è stata giusta?

Riteniamo che l'offerta di liquidità debba essere soggetta a determinate regole. Con la liquidità di emergenza non potremmo finanziare una situazione di crisi che uno stato o la comunità degli stati potrebbero risolvere solo attraverso un programma di aiuti.

Anche il capo-economista del FMI Blanchard ha messo in guardia da un eccesso di potere tecnocratico nelle banche centrali indipendenti. Quando le competenze della banca centrale sono cosi' ampie, è necessario esercitare una maggiore influenza politica?

Nel corso della crisi abbiamo assistito ad un ampliamento del ruolo delle banche centrali. Abbiamo ricevuto un nuovo mandato, sia in Germania che a livello europeo, un mandato potenzialmente ampio, che ci assegna una responsabilità nella stabilizzazione del sistema finanziario. La BCE otter inoltre le funzioni della vigilanza bancaria. In molti considerano le banche centrali il solo attore in grado di negoziare e decidere durante la crisi. In cio' io vedo il pericolo che il compito della banca centrale venga esteso. La crisi potrà essere risolta solo dalla politica europea, affrontando le cause strutturali della crisi, e non attraverso la politica monetaria.

Questa crescita dei compiti e delle attese ci conduce ad una politicizzazione della banca centrale che puo' distrarre dal nostro obiettivo principale: la difesa della stabilità dei prezzi. Ed è molto importante - un punto da me sempre ribadito - chiarire ancora una volta che il nostro obiettivo è la difesa della stabilità dei prezzi. Non ci facciamo distrarre nel percorso per raggiungere questo obiettivo e non ci facciamo coinvolgere troppo nel campo della politica fiscale. Se la banca centrale accetta compiti di politica fiscale e  redistribuisce i rischi fra i contribuenti dei singoli paesi, ad esempio con i programmi di acquisto di titoli di stato, non mi posso allora meravigliare se ci sono voci che dicono: questo ambito dovrebbe appartenere al controllo democratico, è il dominio dei parlamenti e dei governi. Pertanto è importante restare fuori da questo ambito.

Da tempo lei mette in guardia da un tale programma di acquisto di titoli pubblici. Ma se la BCE non avesse agito, la crisi non si sarebbe mai calmata. Le sue argomentazioni sono sempre a medio termine, ma cosa possiamo fare nel breve periodo? Coloro che sostengono una politica monetaria piu' espansiva, non hanno ragione?

Da un lato Cipro ci mostra che la crisi non è superata né risolta con l'annuncio, piuttosto che la crisi ha cause strutturali, che potranno essere superate solo attraverso l'azione politica. Questo è un punto. L'altro punto è che con il programma di acquisto dei titoli di stato, iniziato già nel maggio 2010, possiamo trattare solo i sintomi della crisi, ma non le cause. E questa terapia sui sintomi, come un antidolorifico, porta con sé effetti collaterali e spinge la banca centrale nel territorio della politica fiscale, se si decidesse di seguire le richieste da lei appena menzionate.

E non credo nemmeno vera l'affermazione secondo cui la banca centrale è il solo attore in grado di agire. Esiste l'ESM, fondato esattamente con questi compiti, vale a dire mettere a disposizione dei paesi in crisi un finanziamento d'emergenza per tutta la durata del processo di aggiustamento.  L'approccio "aiuti condizionati", per il quale l'ESM è stato creato, dovrebbe essere in grado di funzionare. Pertanto la non azione della banca centrale o il non acquisto dei titoli di stato non porta necessariamente ad una escalation della crisi, ma costringe la politica ad agire con i propri strumenti. E per questo è legittimata. Si tratta di una decisione politica.

E' possibile che nel medio periodo anche la Slovenia abbia bisogno di un antidolorifico, vediamo infatti che nel frattempo gli interessi sui titoli di stato sono cresciuti. La BCE dovrà intervenire di nuovo?

I problemi dei singoli paesi non potranno essere risolti dalla banca centrale. Coinvolgere la banca centrale in questi salvataggi comporta rischi molto elevati. Se la Slovenia ha delle esigenze di finanziamento - parliamo di deficit pubblici o di liquidazioni bancarie - allora il giusto destinatario è il fondo ESM, cioè il fondo di salvataggio. Per le banche centrali il finanziamento degli stati è proibito dai trattati. E lo è per buoni motivi: in passato abbiamo visto che questa politica suscita desideri che alla fine possono distrarre dall'obiettivo della difesa dei prezzi.

Ma ora abbiamo alcuni paesi Euro, recentemente l'Italia, il Belgio ma anche la Slovenia che non riusciranno a raggiungere i loro obiettivi di risparmio. Dipende dal fatto che non sono state fatte sufficienti riforme o che la fase di recessione europea nella zona Euro rende difficili queste politiche?

Dipende da entrambi i fattori. Naturalmente il bilancio pubblico di uno stato dipende dallo sviluppo congiunturale, ma vediamo che in alcuni paesi lo zelo riformatore o la volontà di fare tagli e riforme è venuta meno. E questo è il problema.

Si riferisce all'Italia?

La pressione ad agire puo' essere ridotta anche dalle misure della banca centrale. Soprattutto se esiste una via di uscita piu' comoda da percorrere con il finanziamento della banca centrale. E questa diminuzione della pressione puo' far si' che le vere cause della crisi non siano affrontate.

E' una critica all'Italia per lo stallo attuale?

In Italia prima di tutto è necessaria la formazione di un governo in grado di agire. Questo è il problema centrale. Dal  punto di vista della politica fiscale al momento è in azione il pilota automatico, se lo vuole chiamare cosi', che non è certo la situazione peggiore. Allo stesso tempo a causa della mancanza di un governo c'è una certa insicurezza che non aiuta a creare il clima di fiducia necessario per affrontare i problemi.

Il problema nella zona Euro non è che abbiamo poca liquidità o che la banca centrale non è sufficientemente attiva. Abbiamo tassi ai minimi storici, e ogni banca riceve tutta la liquidità di cui ha bisogno. I problemi riguardano molto di piu' la mancanza di competitività in alcuni paesi e i dubbi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche. Ma questo potranno farlo solo i governi.

Per quanto tempo ancora vivremo le conseguenze della crisi debitoria?

Io sono del parere che la crisi non possa essere misurata in mesi, ma ci terrà occupati ancora per anni, perché il recupero della competitività e il consolidamento delle finanze statali sono sfide complesse e di vasta portata che ci impegneranno ancora a lungo. 







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domenica 7 aprile 2013

L'importanza di avercelo grande (il patrimonio privato)


Nell'interminabile gara europea a chi ce l'ha piu' lungo, grazie ad un'analisi targata Bundesbank uscita con grande tempismo in piena crisi cipriota, i germanici scoprono di avere un patrimonio privato inferiore rispetto ai latini. Die Zeit intervista il grande storico dell'economia Werner Abelshauser, che prova a spiegarne le ragioni storiche.
Oddio: i sudeuropei sono piu' ricchi di noi. Una conversazione con lo storico dell'economia Werner Abelshauser.

Lo studio della Bundesbank sulla distribuzione dei patrimoni in Europa contiene una sopresa: i tedeschi sono solo a metà classifica, dietro spagnoli e italiani. Come è possibile?

Die Zeit: E' crollato un mito tedesco: abbiamo sempre pensato di essere piu' ricchi dei sud-europei, ma in realtà non lo siamo. Perché ci abbiamo creduto davvero?

Werner Abelshauser: Abbiamo creduto a questo mito perché dal 1952 anno dopo anno abbiamo registrato un avanzo commerciale. Per questo pensavamo di essere ricchi. Da questo successo nelle esportazioni è nato una specie di incantesimo. Un dato che sulla prosperità dei cittadini e sui loro patrimoni privati non ci dà molte informazioni.

Abbiamo anche pensato: chi guadagna molto, risparmia anche molto. E' un altro mito destinato a crollare? Oppure questo denaro prima o poi dovrà essere visibile nei patrimoni?

Sicuramente guadagniamo bene, ma l'inflazione se ne mangia una parte. Nell'altro mito c'è qualcosa di vero, in Europa siamo fra quelli che riescono a risparmiare, sebbene lo stato ci dia sicurezza. Forse è l'influenza dell'etica protestante...

...ma ora scopriamo che gli svedesi o i cattolici francesi risparmiano quanto noi, e i francesi, secondo quanto si puo' leggere, hanno in media un patrimonio superiore al nostro...

E' ingannevole, i francesi in media non sono piu' ricchi dei tedeschi occidentali. Il valore medio tedesco ci sembra cosi' basso perchè i patrimoni nella Germania dell'est e dell'ovest sono divergenti.

I patrimoni dei tedeschi sono cosi' bassi perché 16 milioni di tedeschi dell'est nullatenenti abbassano la media?

I tedeschi dell'est non potevano accumulare ricchezze, e non potevano ereditare patrimoni. Tenendo conto di questo, la statistica cambia completamente: i tedeschi dell'ovest sono molto piu' ricchi. O meglio: pochi tedeschi dell'ovest. I patrimoni da noi sono suddivisi fra pochissimi ricchi e tanti relativamente poveri.

Ma allora perché nei paesi in crisi del sud Europa i patrimoni privati hanno assunto dimensioni cosi' considerevoli? Ci sono ragioni storiche o culturali?

Nel sud Europa non si fa affidamento sullo stato sociale. Molto spesso sono i cittadini a dover costituire le riserve necessarie per l'istruzione dei figli, per i casi di malattia, per la vecchiaia. I patrimoni saranno usati per questo. Di fatto i risparmi hanno funzioni previdenziali, che da noi sono assegnate allo stato sociale. Chi in Grecia si vuole operare, va in ospedale con una busta di denaro. Un patrimonio piu' alto puo' essere anche un indicatore di debolezza. Al di fuori del patrimonio individuale o di quello della famiglia, non ci sono sicurezze. A cio' si aggiungono anche dei fattori di breve termine che giustificano la prosperità: il sud ha beneficiato dell'Euro.

Ma questo ancora non ci spiega perché nel sud ci sono molte piu' case di proprietà rispetto alla Germania o all'Austria. 

Questa tradizione è ancora piu' vecchia. L'Europa del sud non ha vissuto, come la Germania, le masse di lavoratori che durante l'industrializzazione hanno dovuto trovarsi un posto nelle aree urbane. Cio' ha portato quasi inevitabilmente ad affittare le abitazioni, non sarebbe stato possibile alloggiare queste masse in maniera diversa. Nel sud invece il familismo ha avuto un ruolo importante, in particolare l'elevato numero di piccole imprese familiari disseminate in questi paesi. Nel sud Europa c'è stata quindi la possibilità di avere case di famiglia di proprietà, spesso ereditate.

La seconda guerra mondiale ha cambiato la situazione patrimoniale dei tedeschi?

Non molto. I milioni di sfollati e rifugiati sono stati integrati nella Germania dell'ovest grazie al Lastenausgleichs (aiuti economici pubblici). Anche se cio' non ha contribuito alla redistribuzione della ricchezza nella Germania dell'Ovest.

E allora da cosa è dipeso il fatto che anche nel dopoguerra in Germania sono stati relativamente in pochi a comprarsi una casa? In una economia sociale di mercato non dovrebbe far parte dell'orgoglio della classe media anche il possesso di un'abitazione?

Il Wirtschaftswunder di fatto ha condotto ad un aumento delle case di proprietà. Ma il grande distacco nei confronti del sud Europa non è mai stato recuperato. Anche perché il mercato degli affitti tedesco, diversamente da Italia e Spagna, a causa degli sviluppi demografici legati all'industrializzazione è sempre stato molto vivace. E questa è diventata la mentalità tedesca: non è necessario comprare una casa. Ci sono buoni motivi anche per restare affittuari. Gli immobili non sempre vanno d'accordo con la libertà degli individui e legano in qualche modo i loro proprietari. 

E quindi vale anche per italiani e spagnoli il tema della limitazione di libertà dovuta al possesso di un immobile ?

Entra in campo una diversa concezione della libertà e diverse abitudini sociali, spesso ereditate. In Italia, ad eccezione delle grandi città, generalmente non si vive in affitto. Perché ormai da secoli si sa che non si puo' fare affidamento sullo stato, ci si rende indipendenti, si vuole restare autarchici. Liberi dallo stato, che spesso viene percepito come ostile.

E quindi  in Germania i patrimoni sono piu' piccoli perché non ci si vuolere rendere indipendenti dallo stato?

Fin dal secolo dei lumi in Germania ci si fida della buona politica dello stato sociale, anche perché a differenza dell'Inghilterra, non c'era una forte borghesia economica che avesse l'orgoglio di fare da sé. In Germania tradizionalmente lo stato è considerato il garante dello sviluppo economico.

Nelle culture europee ci sono allora diverse forme di patrimonio? Lo stato sociale è spesso una parte del patrimonio dei tedeschi. Gli diamo una parte del nostro denaro per il finanziamento delle assicurazioni sociali. 

Ad esempio nei calcoli sul patrimonio non risulta il fatto che ai tedeschi appartengono 700 miliardi di Euro di contributi pensionistici.

E' solo una speranza oppure una vero patrimonio?

La Costituzione lo dice chiaramente: è una proprietà privata. Lo stato non puo' toccarli.

Quanto puo' essere considerata sicura questa ricchezza?

E' un patrimonio garantito da una economia altamente produttiva, la cui forza lavoro dispone di un grande capitale umano immateriale. Grazie all'istruzione e alla formazione in Germania i lavoratori hanno accesso a qualificazioni, conoscenze e competenze che sono molto rare. Lo stato sociale ne garantisce la qualità.

Ma nelle statistiche europee sulla ricchezza non compaiono

Se volessimo trasformare in denaro questo patrimonio saremmo cosi' ricchi da cambiare completamente le statistiche. Nell'Europa del sud l'industria è ancora fordista con una piccola ma forte elite che deve garantire l'impiego produttivo di lavoratori poco qualificati. Un lavoratore specializzato tedesco riesce a trovare in autonomia le giuste soluzioni ai problemi che gli si presentatno. Questa consapevolezza contribuisce a vivere una vita piu' felice. Anche questo dovrebbe far parte di cio' che viene considerato patrimonio.

Allora siamo piu' ricchi degli altri?

Non ci siamo sbagliati, siamo un paese molto ricco. Viviamo in una comunità funzionante, dove per poter vivere felici e sicuri è necessario avere un patrimonio individuale inferiore rispetto ad altre società. Il nostro patrimonio non è espresso solo dal numero di auto o case che possediamo.

Lo studio avrà effetti sulla solidarietà del contribuente europeo?

Non possiamo continuare con questa solidarietà a fondo perduto. E lo studio lo conferma. Ma  per l'Europa sceglere un un sistema alternativo ai cambi fissi imposti dall'Euro potrebbe essere un'alternativa altrettanto valida. L'Europa non ha necesssariamente bisogno dell'Euro come moneta unica. Ma questa è un'altra discussione...
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