venerdì 18 maggio 2018

Clemens Fuest: "1.000 euro a testa"

Anche Focus.de non poteva astenersi dal commentare le nuove proposte in arrivo dall'Italia scomodando addirittura il presidente dell'Ifo Institute di Monaco, Clemens Fuest, il quale ha già fatto i calcoli e quindi spiega ai lettori che gli italiani vorrebbero scaricare 1.000 euro di debito non onorato su ogni singolo tedesco: la crisi spiegata all'uomo della strada. Da Focus.de




Fuest ha dei dubbi sulle competenze economiche della coalizione

Gli economisti sono indignati. Clemens Fuest, presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, non ha nessuna considerazione del piano: "la richiesta italiana mina le fondamenta dell'unione monetaria", dice Fuest a Focus Online. Non è accettabile "che i singoli paesi vogliano mettere le mani nelle tasche dei contribuenti degli altri paesi".

Fuest, considerato uno degli economisti tedeschi piu' famosi e rinomati, mette in discussione le competenze economiche dei politici italiani: la richiesta "di una cancellazione del debito detenuto dalla BCE è un'assurdità".

5 Stelle e Lega Nord pretendono infatti la cancellazione delle obbligazioni italiane acquistate dalla BCE. "In tal modo trascurano il fatto che eventuali perdite derivanti dall'acquisto dei titoli di stato nazionali sarebbero sopportate dalle rispettive banche centrali", chiarisce Fuest, "in questo caso da Banca d'Italia, che appartiene al governo italiano".

Gli altri stati della zona euro devono essero d'accordo

Il presidente Ifo chiarisce come dovrebbe essere in realtà la procedura per la riduzione del debito richiesta dall'Italia: "per avere un reale margine di manovra finanziario, gli altri stati membri dovrebbero dichiararsi disponibili a farsi carico del debito italiano".

Se infatti si dovesse arrivare al punto in cui gli altri stati UE devono farsi completamente carico delle perdite della BCE, il conto per il contribuente tedesco sarebbe scandalosamente alto: "se i costi fossero distribuiti proporzionalmente alla forza economica dei paesi, la Germania dovrebbe pagarne il 34%, vale a dire 86 miliardi di euro", calcola Fuest.

Sarebbero piu' di 1.000 euro a testa per ogni cittadino tedesco. Questo dovrebbe essere sufficiente a chiarire che il governo federale tedesco non accetterà mai un cosi' pessimo affare.


giovedì 17 maggio 2018

FAZ: l'incubo dell'eurozona

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il condirettore Holger Steltzner ci propone un bel pistolotto sulla presunta follia italica e ci ricorda che i tedeschi non hanno nessuna intenzione di farsi carico del debito italiano, mentre a Berlino sono tutti un po' preoccupati. Dalla FAZ Holger Steltzner


In Italia non c'è ancora un governo che già ci sono dei desideri da portare a Francoforte. La BCE dovrebbe regalare a Roma 250 miliardi di euro, semplicemente rinunciando a farsi rimborsare i titoli di stato italiani che la banca centrale ha acquistato nell'ambito del tanto discusso programma di acquisto titoli finalizzato al salvataggio dell'euro. I possibili partner governativi, 5 Stelle e Lega, tuttavia non dicono per quale ragione non vorrebbero avere fin da subito la cancellazione del debito sull'intero stock di titoli di stato italiani attualmente nel bilancio della banca centrale, oltre 340 miliardi di euro, ma preferiscono far finta che il desiderio di tagliare il debito sia superato: in un modo o nell'altro si farà comunque.

Pensionamento anticipato, reddito di base e Flat-tax

I piani di spesa dei 2 vincitori elettorali, che danno quasi esclusivamente all'euro a Bruxelles e a Berlino la responsabilità della miseria italiana, sono decisamente interessanti. Si dovrà reintrodurre il pensionamento anticipato piu' un regalo per ogni adulto senza lavoro sotto forma di "reddito di base" statale pari a 780 euro al mese. Ci sarà qualcosa anche per quella parte della popolazione che lavora e per gli imprenditori: un'aliquota fiscale unica del 15% per i redditi delle persone e delle società. A pagare saranno gli altri, apparentemente i contribuenti degli altri paesi della zona euro, lo faranno indirettamente attraverso una riduzione del debito da parte della BCE; perché si', Roma non vuole disturbare i propri cittadini con tasse ed imposte piu' alte.
  
Il sogno del peccatore del debito italiano corrisponde all'incubo dell'eurozona. A Bruxelles si spera che il presidente della BCE Mario Draghi spieghi ai suoi compatrioti che si tratta di un'assurdità. A Berlino la preoccupazione è grande - come sempre. E a Francoforte ci si chiede come si possa arrivare ad un'idea simile (è proibito finanziare il debito pubblico), dopo che la politica di Draghi ha trasformato la BCE nel piu' grande creditore italiano. 

Ma il potenziale di ricatto degli avversari dell'euro a Roma è ancora piu' grande. L'Italia ha accumulato altri 447 miliardi di euro all'interno del sistema di pagamento fra le banche centrali, il cosiddetto Target II. Di fronte alla nuova realtà politica prevale la confusione. Cosa fare se Roma dovesse accumulare altro debito oppure non dovesse pagare quelli vecchi? Già ora ci si lamenta per l'onere del debito apparentemente insostenibile per l'Italia. Grazie alla politica dei bassi tassi di interesse di Draghi, nella situazione attuale il peso del debito è inferiore rispetto al passato. Ma in Italia i fatti raramente infastidiscono le lotte di potere, nelle quali i politici di Roma hanno molta piu' esperienza degli altri.

Die Welt: perché le nuove idee che arrivano dall'Italia in fondo non sono cosi' sbagliate

Su Die Welt il solito Holger Zschäpitz prova spiegare ai tedeschi perché il nuovo possibile governo giallo-verde vorrebbe chiedere alla BCE la cancellazione dei titoli di stato acquistati e giunge a delle conclusioni interessanti: gli italiani non hanno cosi' torto, se vogliono che la loro economia riparta devono ridurre il debito e alzando il livello dello scontro possono ottenere molte concessioni da Bruxelles. Da Die Welt


La vita potrebbe essere davvero facile: quando il debito accumulato è troppo alto, la somma viene semplicemente condonata. Sia che lo si faccia lasciando crescere l'inflazione, o in alternativa lasciando svalutare la propria moneta. Oppure chiedendo una riduzione del debito ai propri creditori.

I grandi sovrani della storia lo hanno fatto piu' volte. E cosi' apparentemente vorrebbe fare anche il nuovo governo di Roma. L'alleanza fra Lega e 5 Stelle non è ancora partita che il nuovo accordo di coalizione tra i 2 partiti euroscettici ha già provocato un grande botto.

Il documento, che delinea le posizioni dei 2 partiti, mostra quali idee di Europa in Italia siano attualmente accettabili. Queste includono da un lato gli scenari per l'uscita dall'euro e dall'altro la questione di come si possa ottenere una riduzione del debito del paese, anche restando nell'euro. Entrambi i modelli hanno lo stesso risultato: un modo per minimizzare il piu' possibile l'eccesso di debito del paese.

Soprattutto la richiesta esplicita alla BCE di condonare 250 miliardi di euro di debito pubblico italiano, in Europa sta facendo scalpore. Attualmente il debito italiano è di 2.322 miliardi di euro. Cio' corrisponde a un rapporto debito/pil di oltre il 130% del PIL. 

L'Italia mette in discussione il divieto di finanziamento agli stati da parte della BCE

La richiesta dei partiti italiani è cosi' sensazionale perché in questo modo viene spezzata una delle leggi ferree dell'unione monetaria: il divieto per la banca centrale indipendente di finanziare direttamente gli stati. Soprattutto in Germania viene considerato un assoluto "No-Go", in riferimento alle esperienze degli anni '20 quando il finanziamento statale da parte della banca centrale portò all'iperinflazione.

Se i populisti sono riusciti a elaborare un tale piano il merito è piu' che altro alla politica monetaria non convenzionale della BCE. Dal 2015 le istituzioni monetarie acquistano infatti titoli di stato dei paesi membri. L'obiettivo è riportare l'inflazione della zona euro intorno al 2%.

Nel corso degli anni la BCE ha acquistato titoli di stato italiani per un valore di 340 miliardi di euro. Non è abbastanza. Le obbligazioni dei paesi periferici già nel 2010 erano state acquistate in una sorta di azione "anti-incendio". Nel complesso le istituzioni monetarie detengono ancora titoli di debito acquistati in quel programma per un importo di 85 miliardi di euro. La maggior parte di questi titoli è composta da obbligazioni italiane.


L'idea dei populisti è semplice: la BCE dovrebbe cancellare alcuni di questi titoli di stato, nessuno si farebbe davvero male. Le cose tuttavia non sono cosi' facili. Una riduzione del debito di 250 miliardi di euro corrisponderebbe a soli 10 punti percentuali dell'attuale rapporto debito pubblico/PIL. Anche dopo di cio' il rapporto resterebbe ancora intorno al 120%, vale a dire il 30% in piu' rispetto a quello che gli esperti considerano ancora sostenibile e il doppio rispetto a quanto previsto dai trattati di Maastricht.

La BCE non commenta tali proposte, tradizionalmente la banca centrale non commenta i dibattiti interni di uno stato membro. Tuttavia nell'ambito delle banche centrali si ritiene che una tale proposta violerebbe gli articoli chiave del Trattato di Maastricht e quindi l'idea non avrebbe alcun futuro.


Il motivo per cui i populisti fanno affidamento sulla riduzione del debito tramite la BCE ha una semplice ragione: molti italiani e anche molte banche detengono una parte del debito del proprio paese. Un taglio del debito generale, che colpirebbe in maniera piu' che proporzionale la propria popolazione, sarebbe quindi estremamente impopolare e potrebbe perfino portare ad una crisi bancaria.

Solo un terzo dei creditori italiani è domiciliato all'estero. Rispetto alla Germania è una percentuale molto bassa. Da noi oltre la metà del debito pubblico è nelle mani degli investitori esteri. Per i populisti percio' è ancora piu' difficile ridurre il debito senza alienarsi le simpatie dei propri elettori.

L'idea ha anche un altro intoppo. I titoli di stato italiani sono detenuti principalmente dalla banca centrale italiana. E questa, secondo le attuali regole, sarebbe responsabile per la maggior parte delle perdite. In caso di inadempienza sui titoli di stato, infatti, i paesi dell'eurozona sarebbero responsabili solo per un quinto, il resto verrebbe assunto dallo stato membro. E un hair-cut, come si chiama in gergo una riduzione del debito, di 250 miliardi di euro, causerebbe un buco enorme nel bilancio della banca centrale italiana. E cio' dovrebbe essere almeno parzialmente coperto dallo stato italiano - con denaro che  non è disponibile.

Nell'attuale quadro normativo la Germania dovrebbe pagare per soli 13 miliardi di euro. Alla fine le banche centrali dell'eurosistema dovrebbero rispondere per 50 dei 250 miliardi di euro. La Germania è responsabile sull'intero bilancio della BCE secondo la sua quota di capitale pari al 25.6%.

Un taglio del debito come in Grecia colpirebbe il proprio paese

Su un punto tuttavia i populisti italiani non hanno completamente torto: se il paese vuole allontanarsi dal suo status di figlio problematico della zona euro, la pesante eredità proveniente dal passato deve essere ridotta drasticamente. Le opzioni disponibili sono limitate. Un taglio del debito, come accaduto nel caso della Grecia, a causa dell'elevata quota di investitori privati e della grande interdipendenza fra banche e governo non sarebbe un'opzione praticabile.

Una cancellazione del debito tramite la BCE è da escludersi. E una riduzione dell'indebitamento tramite l'austerità non sarebbe abbastanza veloce a causa dell'immenso onere del debito e della bassa inflazione. Negli ultimi anni l'Italia ha sempre generato un avanzo primario, cioè un avanzo di bilancio prima degli interessi da pagare sulla pesante eredità proveniente dal passato.

Nonostante cio' il debito/PIL è salito a oltre il 130% del PIL. Inoltre i populisti stanno pianificando un ampio programma di spesa pubblica che aumenterà ulteriormente il debito. Parte del denaro secondo le idee della Lega Nord e del Movimento 5 Stelle dovrebbe arrivare da Bruxelles.

Naturalmente la Commissione la vede in maniera diversa. Il terreno per ulteriori conflitti sembra essere già preparato. I piani di uscita dall'euro che vengono ventilati mostrano già il modo in cui gli italiani presumibilmente in futuro intendono negoziare con Bruxelles. Con la minaccia di tenere un referendum sull'uscita dall'euro, in caso di dubbio, potrebbero cercare di forzare delle concessioni.

mercoledì 16 maggio 2018

Die Welt: i metodi ricattatori dell'Italia e l'Europa impotente

Anche dalla stampa tedesca arrivano le prime bordate. Per Die Welt i metodi della possibile coalizione giallo-verde sarebbero ricattatori mentre Bruxelles e Francoforte saranno impotenti e ricattabili perché dovranno necessariamente andare incontro alle richieste del nuovo governo italiano. Ne parla il solito Holger Zschäpitz su Die Welt


Sembra davvero un'idea folle, perfetta per servire ogni cliché etnico sull'Italia. Il possibile nuovo governo di Roma vorrebbe fare uscire l'economia italiana dalla crisi facendo ricorso ad una massiccia espansione del debito. E cio', nonostante il paese con 2.3 trilioni di euro già ora sia il piu' indebitato della zona euro e Roma stia già violando quasi tutte le regole europee sul debito.

Se l'alleanza fra gli estremisti di destra della Lega e i populisti del Movimento 5 Stelle dovesse riuscire a formare un governo e il duo riuscisse anche ad attuare il proprio programma, ci sarebbero altri 100 miliardi di euro aggiuntivi di uscite in un paese già pesantemente indebitato. In realtà questo pacchetto dei desideri, che in definitiva corrisponde a circa il 6% del PIL, dovrebbe essere bloccato da Bruxelles.

Ma in tempi come questi è possibile imporre tali obiettivi anche contro la volontà dei partner europei. Almeno da quando la politica del rischio estremo di Donald Trump, in gergo chiamata Brinkmanship, è diventata socialmente accettabile. Il metodo estorsivo è costitutivo del nuovo stile di governo.

Il rapporto debito/PIL è quasi al 130% del PIL

E anche gli italiani hanno un elevato potenziale di ricatto. Anche se lo stivale negli ultimi 2 decenni è rimasto indietro, si tratta pur sempre della terza economia dell'eurozona. Dopotutto gli italiani nel 2017 hanno generato beni e servizi per un valore pari a 1.7 trilioni di euro, che corrisponde a circa il 15% della produzione economica della zona euro. Il rapporto debito/PIL è vicino al 130% del PIL, solo la Grecia ha un dato piu' alto.


Inoltre le passività all'interno dell'eurosistema, il cosiddetto saldo Target-2, che non appare in nessuna statistica sul debito, ammontano a 426 miliardi di euro. Il nuovo governo puo' sempre minacciare un referendum sull'euro o l'uscita dall'UE. E data l'elevata somma in gioco, Berlino e Bruxelles a malincuore dovranno andare incontro al nuovo governo di Roma. Soprattutto perché l'Italia è uno dei membri fondatori dell'Europa. Se dovesse andare per la sua strada, l'euro si troverebbe a un passo dalla fine.

Gli italiani stessi probabilmente apprezzerebbero il programma di spesa del nuovo governo. Molti ne hanno abbastanza dei presunti piani di austerità del governo passato. La disoccupazione all'11% è chiaramente ben al di sopra della media UE. La disoccupazione giovanile è dilagante.Quasi un giovane su tre tra i 16 e i 25 anni non ha un lavoro. L'Italia è rimasta indietro rispetto al resto d'Europa. Il reddito pro-capite prima dell'introduzione dell'euro era del 20% superiore rispetto alla media UE, in termini di ricchezza oggi il paese si trova del 3% sotto la media europea.

Vengono lanciati progetti miliardari

I partiti populisti hanno fatto costose promesse elettorali. I 5 Stelle vogliono introdurre un reddito di base incondizionato per i cittadini poveri, che potrebbe costare circa 17 miliardi di euro all'anno. La Lega invece vorrebbe introdurre una tassa flat del 15% per le imprese e i cittadini, con un deficit di circa 80 miliardi di euro all'anno.

Inoltre, ci sarebbe da rimuovere anche l'ultima riforma delle pensioni che costerebbe altri 15 miliardi di euro. Entrambi vorrebbero di nuovo abbassare l'età di pensionamento. Proprio la riforma delle pensioni mostra tutti i rischi del loro programma economico. Già oggi l'Italia spende il 16% del suo PIL per le pensioni. E' il doppio della media dei paesi dell'OCSE, i quali spendono in media solo l'8.2% del PIL.

"Minori entrate e uscite piu' alte faranno aumentare il debito e non sono nell'interesse dei creditori italiani", afferma Pär Magnusson, stratega presso Swedbank. Dall'inizio della crisi finanziaria il debito italiano è aumentato di 554 miliardi di euro. "La BCE ha finanziato direttamente o indirettamente l'80% di questo nuovo debito", ha affermato lo stratega.


La strategia di spesa del nuovo governo potrebbe funzionare solo se la BCE continuasse a comprare obbligazioni. Ma anche se i piani sul debito dovessero suscitare la disapprovazione di Bruxelles, Francoforte o Berlino, sarà difficile ingabbiare un governo della spesa. Con la sua promessa di fare tutto il possibile per salvare l'euro, anche la BCE ha rinunciato ad ogni mezzo di pressione.

martedì 15 maggio 2018

Divisi dalle guerre commerciali

Ottima sintesi di German Foreign Policy sull'ampliarsi delle fratture politiche ed economiche che allontanano sempre di piu' Berlino da Parigi. Macron ha perso la speranza e non crede piu' alla riforma dell'eurozona, mentre sull'altro lato dell'Atlantico gli americani danno la caccia all'ex ceo di VW, Winterkorn. Nel frattempo gli industriali tedeschi prima accusano gli americani ma poi chiedono misure protezionistiche sull'acciaio. Da German Foreign Policy


Crepe fra Parigi e Berlino

Anche dopo il posticipo di un mese accordato dalla Casa Bianca a Bruxelles fino al primo di giugno, nell'ambito della guerra commerciale fra gli Stati Uniti e l'UE, le tensioni commerciali continuano a crescere - soprattutto all'interno dell'UE. Se Donald Trump con la sua minaccia di imporre tariffe punitive sull'alluminio e l'acciaio aveva intenzione di dividere l'Europa, allora questa tattica ha avuto successo, scriveva Handelsblatt ad inizio maggio [1]. Germania e Francia perseguono "interessi diversi"; e cio' fra gli imprenditori tedeschi aumenta la paura di una guerra commerciale. Le "crepe" fra Berlino e Parigi sarebbero sorte in merito alla risposta da dare alla minaccia americana di imporre delle tariffe sulle importazioni. Il confidente di Merkel e ministro dell'economia tedesco Peter Altmaier appoggia un accordo di libero scambio con Washington, che nei fatti costituirebbe una versione ancora piu' estrema del fallito accordo transatlantico per il libero scambio TTIP. La Francia invece rifiuta di aprire un negoziato "sotto minaccia" e chiede che le imprese europee abbiano accesso al mercato agricolo degli Stati Uniti, come oggetto di un possibile accordo di libero scambio, oltre a chiedere l'apertura, anche per le imprese dell'UE, delle procedure per gli appalti pubblici negli Stati Uniti. Gli osservatori ipotizzano che la Casa Bianca difficilmente accetterà le richieste francesi.

Divergenze commerciali e di interessi

Sebbene Altmaier mantenga contatti permanenti con il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire, la spaccatura tra Parigi e Berlino persiste. Per capirne il motivo basta dare uno sguardo ai saldi commerciali di entrambi i paesi. La bilancia commerciale francese con gli Stati Uniti è quasi in pareggio, mentre la Germania ha un surplus commerciale di circa 50 miliardi di euro. Il volume delle esportazioni francesi negli USA ammonta a 34 miliardi di euro ed è solo un terzo delle esportazioni tedesche verso gli Stati Uniti. La dipendenza dell'economia tedesca dagli avanzi commerciali porta Berlino "ad entrare in conflitto non solo con la Francia, ma anche con la Commissione UE e molti altri stati membri", si dice. La Germania non avrebbe problemi a vivere con un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, riferisce un poltico europeo della CDU, il quale prosegue: "la Francia invece non potrebbe permetterselo"[2]. Per l'amministrazione Trump non si tratta solo di indebolire il WTO, ma anche l'UE, cercando di "rafforzare ed imporre gli interessi americani negli accordi bilaterali".

Nessuna compensazione

Le crescenti tensioni commerciali all'interno dell'UE si aggiungono alla disputa sull'ostruzionismo che i tedeschi esercitano in merito alla riforma dell'eurozona proposta dalla Francia. Il presidente Emmanuel Macron alla fine deve ammettere il fallimento della sua proposta di riforma con la quale intendeva introdurre dei meccanismi economici e finanziari per compensare le conseguenze della "Beggar-thy-Neighbour-Politik" di Berlino e gli effetti causati dalle sue estreme eccedenze commerciali. Macron nel frattempo "ha perso ogni speranza di raggiungere un accordo di vasta portata con la Cancelliera Angela Merkel in merito alla riforma della zona euro", riferisce il consigliere economico di Macron Patrick Artus [3]. Le riforme proposte da Macron, dopo aver sconfitto il candidato di destra Marine Le Pen, come ad esempio la creazione di un'assicurazione europea sui depositi oppure un ministro delle finanze europeo, dovrebbero funzionare come un antidoto contro la crescita delle destre estreme e contro i forti squilibri socio-economici esistenti fra la Germania e gran parte della zona euro, che di fatto costituiscono la base del dominio politico della Germania sul continente. [4] Dopo che Macron si è reso conto che con i suoi piani stava andando a sbattere contro "una forte resistenza di Berlino", vorrebbe ora "lanciare almeno un'offensiva per favorire maggiori investimenti nei progetti per il futuro dell'Europa", è scritto sempre facendo riferimento alle parole di Artus. Per quanto riguarda i "progetti per il futuro" si tratterebbe soprattutto degli ambiziosi progetti di difesa europea. [5] La politica militare e di riarmo resta nei fatti il solo ambito politico in cui Berlino è disposta ad intensificare la cooperazione con Parigi. 

Cospirazione per la truffa

Nel frattempo gli Stati Uniti stanno aumentando la pressione sull'élite imprenditoriale tedesca i cui alti funzionari si trovano attualmente nel mirino della giustizia americana. L'incriminazione del top manager tedesco ed ex CEO della VW Martin Winterkorn è stata accompagnata dalle "parole energiche" del  procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions, commentano i principali media tedeschi. L'ex CEO del Gruppo Volkswagen, nell'ambito dello scandalo del diesel, è accusato di  "cospirazione finalizzata alla truffa", reato per il quale - cosi' ha scritto letteralmente Sessions - pagherà un "prezzo molto alto". Winterkorn rischia fino a 25 anni di reclusione in una prigione statunitense.  La giustizia degli Stati Uniti ha già perseguito con l'accusa di truffa numerosi impiegati di alto livello del gruppo VW, due dei quali sono stati condannati a diversi anni di prigione. Il manager VW di lungo corso Oliver Schmidt nel dicembre 2017 è stato condannato a 7 anni di reclusione per "provata cospirazione finalizzata alla frode" e ad una multa di 400.000 dollari [7]. La difesa di Winterkorn si basa in gran parte sulla sua dichiarazione di aver appreso della manipolazione di milioni di veicoli solo nel mese delle sue dimissioni, cioè nel settembre 2015. L'accusa americana sostiene invece che fosse a conoscenza della frode di massa già dal maggio 2014.

Prosperità in pericolo

Di fronte alle crescenti tensioni sia all'interno dell'UE che nelle relazioni transatlantiche, cresce fra le élite economiche tedesche la paura di una guerra commerciale in piena regola. Dieter Kempf, Presidente della Bundesverbandes der Deutschen Industrie (BDI), mette in guardia dal rischio che la guerra commerciale con gli Stati Uniti possa innescare una dinamica globale che culminerebbe in una "ondata di contromisure protezionistiche" [8]. Gli economisti dell'Ifo Institute di Monaco di Baviera chiariscono che le dispute potrebbero diventare veramente pericolose, se ad essere trascinati nella guerra commerciale non ci fossero solo la UE e gli Usa, "ma anche altri paesi come la Cina": in quel caso "la nostra prosperità sarebbe davvero in pericolo". Nel frattempo, anche dall'interno dell'industria tedesca arrivano le prime richieste di misure protezionistiche [9]. In particolare l'industria dell'acciaio mette in guardia - con piu' forza da inizio maggio - da un "eccesso di importazioni" che potrebbe riversarsi sul mercato europeo; Hans Jürgen Kerkhoff, Presidente della Federazione tedesca dell'acciaio, si lamenta della rapida crescita delle importazioni di acciaio dalla Russia e dalla Turchia, che a loro volta sono state colpite dalle tariffe punitive degli americani. E' "del tutto realistico che i paesi che non possono piu' rifornire gli Stati Uniti a causa delle tariffe doganali, possano riversare il loro acciaio sul mercato europeo", dice Kerkhoff, il quale sottolinea il suo appello a favore "di misure di difesa nei confronti di tali effetti di re-indirizzamento". Mentre l'élite economica tedesca mette in guardia contro "un'ondata di misure protezionistiche", contemporaneamente si fa promotrice proprio delle stesse dinamiche protezionistiche.



[1], [2] Till Hoppe, Thomas Hanke, Ruth Berschens, Jens Münchrath: Looming US tariffs put strain on EU relations. global.handelsblatt.com 02.05.2018.

[3] Gerald Braunberger: "Macron hat die Hoffnung aufgegeben". faz.net 03.05.2018.

[4] S. dazu Wer das Kommando hat und Zuverlässig ausgebremst.

[5] S. dazu Die Rüstungsachse Berlin-Paris.

6] "Wer die Vereinigten Staaten zu betrügen versucht..." spiegel.de 04.05.2018.

[7] Deutscher VW-Manager in den USA zu sieben Jahren Haft verurteilt. spiegel.de 07.12.2017.

[8] Till Hoppe, Thomas Hanke, Ruth Berschens, Jens Münchrath: Looming US tariffs put strain on EU relations. global.handelsblatt.com 02.05.2018.

[9] Deutsche Stahlindustrie warnt vor Importschwemme. faz.net 07.05.2018.

domenica 13 maggio 2018

Bernd Lucke e l'incubo tedesco: "la BCE pronta ad acquistare titoli di stato greci"

Bernd Lucke, il fondatore di AfD, lancia l'allarme: la BCE sarebbe pronta ad acquistare titoli di stato greci, ormai è questione di settimane o mesi. Secondo il professore di Amburgo si tratterebbe di finanziare il debito pubblico di uno stato direttamente con il denaro della banca centrale, un incubo per i tedeschi. Ne parla Bernd Lucke su The European


Tra marzo 2015 e dicembre 2017, il Sistema europeo delle banche centrali (ESZB) sotto la regia della BCE ha acquistato 60 miliardi di euro al mese di obbligazioni nell'ambito dell'Expanded Asset Purchase Programme (EAPP, talvolta denominato Quantitative Easing QE). Da gennaio 2018 gli acquisti mensili sono scesi a 30 miliardi di euro. La parte del leone del programma, circa l'80%, è rappresentata dal Public Sector Purchase Program (PSPP) e dagli acquisti di obbligazioni del settore pubblico sul mercato secondario. Fino a gennaio 2018 erano state acquistate obbligazioni per circa 1.91 trilioni di euro. Il programma resterà ufficialmente attivo fino a settembre 2018 e un'estensione non è affatto esclusa. 

La decisione del board della BCE prevedeva originariamente che l'acquisto di obbligazioni venisse effettuato in conformità con le quote di capitale degli stati membri della zona euro. Questa linea guida era già di per sé un aiuto nei confronti dei paesi dell'eurozona fortemente indebitati, in quanto le quote di capitale tengono conto sia del PIL che della popolazione. Si è di conseguenza scelto di acquistare una percentuale maggiore di debito pubblico di quei paesi pesantemente indebitati, piu' di quanto sarebbe accaduto se gli acquisti fossero stati unicamente orientati al PIL.

La deviazione degli acquisti dalle quote di capitale della BCE

E' già abbastanza grave di per sé che una distorsione del programma sia pre-orientata e quindi non neutrale in termini di politica monetaria. Tuttavia, due studi di Friedrich Heinemann del Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung hanno mostrato che la BCE non ha rispettato nemmeno questa regola autoimposta. Nel corso del 2017 sono stati sovrappesati gli acquisti di obbligazioni belghe, austriache, francesi, italiane e spagnole. A causa della crescente scarsità di titoli acquistabili di altri paesi, si può' ragionevolmente ipotizzare che tale distorsione in futuro continuerà ad aumentare e gli acquisti si discosteranno sempre di piu' dalle quote di capitale. La distorsione sui nuovi acquisti si rifletterà inevitabilmente anche nei portafogli delle banche centrali dell'eurosistema. Questa conclusione vale anche se si tiene conto del fatto che i titoli di stato greci fino ad ora non sono stati  affatto acquistati.

La fine del programma di aiuti greco

Queste circostanze potrebbero cambiare a partire dall'estate del 2018. Nell'agosto 2018 terminerà infatti il terzo programma di salvataggio per il paese ellenico. La Grecia dovrebbe quindi tornare a procurarsi il denaro di cui ha bisogno sul mercato dei capitali. Grazie all'aiuto della BCE, per la Grecia potrebbe essere molto piu' semplice di quanto non possa sembrare. Infatti, se almeno una delle quattro principali agenzie di rating (Standard and Poor's, Moody's, Fitch e DBRS) desse alle obbligazioni greche almeno un rating di investment grade, diverrebbero immediatamente acquistabili nell'ambito del PSPP.

Quando è stato chiesto a Draghi un chiarimento in merito alle deviazioni degli acquisti dalle quote di capitale della BCE, egli ha brevemente risposto di non vederci alcun problema, almeno nella misura in cui gli stock di titoli acquistati non si discostino significativamente dalle quote di capitale. Cio' porta a concludere che la BCE a partire dall'estate potrebbe iniziare ad acquistare grandi quantità di titoli greci.

La BCE in estate acquisterà solo obbligazioni greche?

Nell'agosto 2018 lo ESZB avrà acquistato obbligazioni per 2.53 trilioni di euro. L'80% di questi acquisti sono eseguiti nell'ambito del PSPP, circa 2.02 trilioni di euro. Tenendo conto che i paesi non-euro detengono quote di capitale della BCE, che non vengono prese in considerazione, la quota di capitale greco è del 2.9%. Cio' significa che teoricamente sarebbe possibile acquistare obbligazioni greche per un totale di 59 miliardi di euro. Poiché fino ad ora nell'ambito del PSPP non sono state acquistate obbligazioni greche, il sistema delle banche centrali, per raggiungere la quota greca nella suddivisione del capitale dovrebbe quindi iniziare ad acquistare a breve e su larga scala titoli greci. Poiché gli acquisti di titoli dal gennaio 2018 sono stati ridotti ad un livello di 30 miliardi di euro mensili e secondo l'interpretazione che Draghi dà del programma le deviazioni di breve periodo dalle quote di capitale non hanno alcuna importanza, nei restanti 2 mesi verrebbero acquistati solo titoli di stato greci. Se il PSPP fosse esteso oltre settembre, la proporzione di obbligazioni greche sarebbe corrispondentemente piu' bassa. In cambio gli acquisti si estenderebbero per un periodo di tempo piu' lungo.

Cio significherebbe che la Grecia dopo la fine del programma di aiuti non avrebbe piu' bisogno di un mercato per potersi rifinanziare. Gli investitori potrebbero acquistare obbligazioni governative greche sul mercato primario, per rivenderle subito dopo alla BCE sul mercato secondario. Sarebbe una prova ulteriore del fatto che il programma non è affatto un'operazione di pura politica monetaria, piuttosto si tratta di finanziamento monetario agli stati.

Lo schwarze Null e il fallimento della socialdemocrazia

Nel rivendicare con orgoglio lo schwarze Null i socialdemocratici non riusciranno a  contrastare l'avanzata di AfD e si condanneranno all'irrilevanza politica. Perché fra l'austerità tedesca, l'avanzata di AfD e il tramonto della socialdemocrazia c'è un chiaro legame. Ne parla l'ottimo De Lapuente su Neuland Rebellen


Oh che bei tempi, quelli in cui il capo dei socialdemocratici eletto con il 100% dei voti dei militanti saliva sul podio e annunciava la lotta contro i populisti di destra. Voleva tenergli testa. Ne aveva abbastanza. Martin Schulz e i bei vecchi tempi andati, da poco - è difficile credere che le cose possano peggiorare cosi' alla svelta. Ovviamente non si doveva dare per scontato che il buon uomo avesse qualcosa di sostanziale da mostrare e soprattutto sapesse con quali mezzi poteva togliere acqua dal mulino di AfD. E' vero, si udivano frasi come quella secondo cui bisogna dare maggiore ascolto alle preoccupazioni e ai bisogni delle persone comuni, ma per il resto sembrava tutto un po' superficiale.

Una che all'epoca applaudiva sempre, quando l'uomo del 100% chiamava alla lotta contro le destre, era la donna del 66%, che nel frattempo è diventata la "Sozi" suprema del suo partito (Andrea Nahles). Anche lei approvava con entusiasmo quando si proclamavano gli slogan popolari, vale a dire quelli secondo cui in futuro bisognerà prendere i cittadini sul serio. E non appena la signora è stata cooptata ai vertici del partito ha voluto ricordare quello che a lei sembrava più urgente: lo zero nero, cara Cancelliera, cari colleghi e cari cittadini, ci sarà anche con noi socialdemocratici! Eccolo di nuovo, il complesso di inferiorità socialdemocratico, che spinge i compagni e le compagne all'ubbidienza. Non si vuole correre il rischio di dare troppo nell'occhio e risultare inaffidabili.

Non male, la metà delle ragioni per cui AfD è riuscita a diventare un fenomeno di massa hanno a che fare direttamente con lo zero nero, l'austerità e i diktat di risparmio. E cosa fa il nuovo vento della SPD: torna a ripetere che la parsimonia deve continuare. Vada come vada...

L'infrastruttura è obsoleta, i trasporti pubblici sono usurati, c'è carenza di personale e in alcuni ambiti i comuni, le regioni e il governo federale non svolgono più' i compiti loro assegnati. La polizia è al limite. Alle dogane mancano i dipendenti. Gli investigatori doganali in alcuni Laender sono ormai da tempo una professione estinta. Quello a cui stiamo assistendo è la trasformazione dell'austerità in un feticcio che ci porta sull'orlo del disastro. Il settore pubblico si sta prosciugando, i centri giovanili stanno chiudendo, le biblioteche non possono essere piu' finanziate e per nuotare bisogna andare in un paradiso termale privatizzato che offre i suoi servizi a costi sociali ridicolmente alti. Certo, ci sono posti di lavoro, diversi come non mai. Molti di questi pero' arrivano dal settore a basso salario. Li' la forza lavoro viene svenduta per una paga da fame, tanto a pagare quello che manca per vivere c'è sempre la collettività con le integrazioni salariali della sicurezza sociale. La tassazione sui profitti aziendali resta pero' moderata, sebbene beneficino di questo programma di sussidi grazie alle integrazioni salariali.

Fatti noti da tempo. Non è certo una novità che questa costellazione contribuisca a disintegrare la base democratica. I cittadini sono insoddisfatti, si rivolgono a delle false alternative oppure con rassegnazione voltano le spalle alla politica. Chi vuole impegnarsi nella lotta contro AfD, deve mettere dei soldi a disposizione. Specialmente per i comuni, non solo per delle misure di formazione alquanto astratte oppure per le offerte di qualificazione professionale che in realtà non servono a nessuno. I cittadini hanno bisogno di avvertire una scossa nel paese e vedere che gli investimenti necessari a rinnovare, modernizzare e semplificare la loro vita vengono realmente fatti.

Riconoscersi nell'obiettivo dello schwarze Null è esattamente l'opposto. Chiunque si riconosca in questo traguardo, non può' prendere sul serio la lotta contro gli intrighi dei populisti di destra, cioè il grande obiettivo dei socialdemocratici. Gli zeri rossi si sono arresi. Al momento c'è solo un'alternativa per la Germania in grado di indebolire quella con lo stesso nome: la fine dell'austerità. Forse Martin Schulz non era poi cosi' male, dopo tutto. La nostalgia è una cosa anche bella. Soprattutto se il presente sembra il completamento dello sviluppo evolutivo dell'imbecillità. Perché prima tutto era meglio, anche se non era buono. Anche se l'uomo avesse detto qualcosa di positivo sullo zero nero, lo abbiamo dimenticato. Come del resto faremmo con questa critica all'impegno di Nahles nei confronti dello zero nero, se nel prossimo discorso domenicale dovesse dichiarare la lotta ad AfD.