lunedì 20 maggio 2019

Perché il Lussemburgo è diventato il paradiso fiscale alle porte di casa

Dal Lussemburgo e dai lussemburghesi DOC ci arrivano spesso le solite lezioncine sui conti pubblici e sulla disciplina di bilancio. Vale la pena farsi spiegare da un esperto di paradisi fiscali, il tedesco Hans-Lothar Merten, come abbia fatto il piccolo granducato a diventare quello che è oggi: il paradiso fiscale al servizio del grande capitale tedesco. La Süddeutsche Zeitung intervista Hans-Lothar Merten.


Hans-Lothar Merten, esperto di paradisi fiscali, ci spiega come abbia fatto il Lussemburgo a diventare quello che è oggi - e quale ruolo hanno avuto le banche tedesche. 

SZ: in che modo il Lussemburgo è diventato un paradiso fiscale?

Hans-Lothar Merten: le banche tedesche hanno tirato sù il Lussemburgo, gli hanno dato notorietà a livello nazionale, il che ha trasformato il Lussemburgo in un rifugio ben conosciuto e di grande interesse per gli investitori privati. ​​Prima che nel 1993 fosse introdotta la ritenuta alla fonte sugli interessi, era già in corso una fuga dei capitali da parte degli investitori tedeschi. A quel tempo ad andarsene non era solo il denaro dei ricchi, verso il Lussemburgo si spostavano anche i patrimoni piu' piccoli. Si guidava fino in Lussemburgo con i soldi nel bagagliaio, si trattava principalmente di persone provenienti dall'Assia, dalla Renania-Palatinato e dal Nord Reno-Westfalia. Volevano essere in grado di passare rapidamente il confine da soli. All'epoca si trattava ancora di spostare i titoli di credito in forma fisica.

Hans Lothar Merten

SZ: che cosa ha significato per il Lussemburgo essere diventato un paradiso fiscale?

È stato un programma economico per la creazione di posti di lavoro. Le banche e le società di investimento hanno decine di migliaia di dipendenti. La maggior parte proviene dall'estero perché il Lussemburgo non può fornire così tanti lavoratori. E naturalmente queste aziende, anche se pagano poche tasse, lasciano dei soldi nel paese - per soggiorni in hotel, cene e così via.

SZ: la Svizzera e il Lussemburgo sono i paradisi fiscali più popolari fra i tedeschi. Cosa differenzia questi due paesi?

La Svizzera da sempre è conosciuta come il paradiso fiscale per eccellenza, sin dalla prima guerra mondiale. In Lussemburgo questo aspetto si è sviluppato solo negli anni ottanta. La qualità delle banche svizzere è sempre stata molto buona. Il Lussemburgo si è sviluppato solo più recentemente. Ma poi sono stati anche bravi. Soprattutto perché molte banche tedesche si sono spostate nel granducato. Hanno portato lì una parte della loro clientela.

SZ: e lavori ben pagati nel settore finanziario.

Esattamente. Il Lussemburgo ha corteggiato le banche. Il legislatore ha fatto la sua parte e ha offerto delle strutture fiscali interessanti per i grandi patrimoni privati. Il Lussemburgo è ancora oggi uno dei più grandi centri finanziari del mondo. E per un lungo periodo di tempo il Lussemburgo ha tenuto fede al segreto bancario, come, per inciso, l'Austria. Gli investitori potevano risparmiare le tasse sugli interessi.

SZ: dopotutto, il segreto bancario nell'UE da alcuni anni è un ricordo del passato 

Per i piccoli investitori privati anche in passato il Lussemburgo non è mai stato molto interessante: a causa dei CD fiscali, e dei raid su larga scala condotti dalle autorità nelle banche. All'improvviso si sono messi paura. Per i grandi patrimoni invece non è mai stato un problema. Hanno fatto ricorso ad un trucco fiscale basato sul cosiddetto mantello delle assicurazioni sulla vita, che ancora oggi si può fare tranquillamente. Si tratta di una gestione patrimoniale, che può contenere immobili, azioni e fondi.

SZ: allora il Lussemburgo rinunciando al segreto bancario ha rinunciato a qualcosa che in realtà nessuno ha mai usato?


In linea di principio, sì. Il settore finanziario lussemburghese si è poi concentrato sui grandi beni e sulle società.

SZ: perché il Lussemburgo è interessante anche per le corporation? Il paese ad esempio è riuscito ad attrarre Amazon.

Fino all'uscita dei Lux Leaks le aziende talvolta pagavano lo 0,001 % di tasse, ovvero niente. E per le aziende tedesche il Lussemburgo si trova alle porte di casa. Possono arrivarci in un'ora di auto e poi fare una riunione. In Lussemburgo, inoltre, le decisioni si prendono alla svelta. Le aziende non devono aspettare molto quando hanno bisogno di registrare qualcosa. In Germania a volte servono mesi per ottenere una licenza. In Lussemburgo funziona tutto in maniera molto più rapida. L'amministrazione è cooperativa. Il Lussemburgo corteggia i contribuenti, anche se pagano poche tasse.

SZ: i Lux-leaks in Lussembrugo sono stati accolti in maniera alquanto negativa, spesso secondo il motto: i media stranieri ci trattano in maniera ingiusta. Perché i paradisi fiscali sono così sensibili alle critiche?

Non hanno alcun senso dell'ingiustizia quando evadono le tasse. Persino le aziende non hanno alcuna coscienza dell'ingiustizia che stanno commettendo. Stanno semplicemente cercando di generare il massimo rendimento possibile per i loro azionisti. L'ottimizzazione fiscale è una di queste strategie. Per loro non c'è alcun problema. I lussemburghesi sapevano cosa stavano facendo. Ciò che viene risparmiato fiscalmente in Lussemburgo, viene sottratto ad altri paesi.

SZ: l'evasione e l'elusione fiscale sono sempre più al centro della discussione politica. Stiamo andando verso una resa dei conti per i paradisi fiscali?

Nei paesi europei abbiamo aliquote fiscali diverse. Fino a quando nell'UE non si riuscirà a portare l'aliquota dell'imposta sulle società a un livello minimo uniforme, ad esempio il 18 %, anche in Europa avremo sempre dei tentativi di trovare delle scappatoie. C'è un'intera industria che se ne occupa - ed è ben pagata. Si tratta delle grandi società di revisione contabile che cercheranno sempre di trovare qualche soluzione per i loro clienti, sia nell'UE che nel mondo. La Commissione europea su questo punto avrebbe dovuto lavorare con piu' convinzione. Ma in Europa non succede molto perché per cambiare i regimi fiscali bisogna decidere all'unanimità. Malta, Cipro, i Paesi Bassi, e il Lussemburgo bloccherebbero tali leggi.

domenica 19 maggio 2019

Chi c'è veramente dietro il video della stangata a Strache?

"Questa azione non solo è stata studiata a tavolino, ma è stata soprattutto una messa in scena" e ancora, "chi ha messo in piedi la trappola a Strache ha investito molto...denaro, tempo e fatica", scrive Die Welt in merito al famoso video che ha portato alle dimissioni del vice-cancelliere austriaco. Per l'austriaca Die Presse si tratterebbe di un lavoro molto accurato realizzato dai servizi segreti di un paese occidentale. Per Telepolis ci sarebbe una parte del video non ancora pubblicata da Der Spiegel e dalla SZ in cui Strache farebbe riferimento alla presunta omosessualità di alcuni politici austriaci di spicco. Per il quotidiano di Amburgo, invece, c'è ancora molto da indagare, anche se alcuni elementi sembrano portare verso la Germania. Ne scrive Die Welt


Se il vice-cancelliere austriaco insieme e davanti a persone che conosce a malapena, almeno secondo quanto da lui riferito, evoca scenari grossolanamente anti-democratici, probabilmente le dimissioni sono una conseguenza nemmeno troppo dura. Per rispetto nei confronti della Repubblica Austriaca non si può permettere ad Heinz-Christian Strache di farla franca. La sua messa in scena come vittima sacrificale non cambia il fatto che non solo è inadatto al ruolo di vice cancelliere, ma rappresenta anche un pericolo per il suo paese.

Indipendentemente da ciò, il modo in cui Strache si è dimesso solleva molte domande. Sono di natura politica e di etica dei media. Strache è stato filmato a sua insaputa - una classica trappola. Nel gergo dei servizi segreti russi si tratta di Kompromat. (Sono i russi ad aver perfezionato le tecniche per creare prove incriminanti sui loro nemici e tirarle fuori al momento giusto). Il video è stato tenuto nel cassetto per due anni, poi a pochi giorni dalle elezioni europee è stato recapitato allo "Spiegel" e alla "Sueddeutsche Zeitung". Per la sua pubblicazione i media hanno abbandonato la loro abituale concorrenza - uniti per un obiettivo più alto.

Chi ha messo in piedi la trappola a Strache ha investito molto. Gli attivisti anonimi hanno prima impiegat tempo per conquistare la fiducia del politico della FPÖ Johann Gudenus, per poi finalmente riuscire ad incontrare Strache. Prima hanno inventato delle storie, poi anno affittato una villa a Ibiza, e si sono procurati della tecnologia di sorveglianza. Tutto ciò costa denaro, tempo e fatica.

Questa azione non solo è stata studiata a tavolino, ma è stata soprattutto una messa in scena: chi c'è dietro, non può nascondersi nel ruolo di un giornalista che casualmente (o intenzionalmente) era presente quando Strache ha svelato i suoi piani anti-democratici. La situazione è stata deliberatamente creata per ridicolizzare Strache.

Il comico satirico Jan Böhmermann (ZDF), noto per il suo attivismo politico camuffato da satira, già da tempo era a conoscenza del video, in piu' occasioni vi aveva già fatto delle allusioni. Sono osservazioni fatte da chi si considera un manovratore dietro le quinte: "può darsi che l'Austria domani inizi a bruciare. Lasciatevi sorprendere", aveva detto Jan Böhmermann ad Aprile. Anche i controversi artisti del „Zentrum für politische Schönheit“ (Berlino) erano già stati informati da tempo. Il ruolo svolto da Böhmermann e dagli attivisti non è ancora chiaro.

Lo scopo giustifica i mezzi? In ogni caso il modo in cui è stato fatto fuori dal suo ufficio permetterà a Strache di dire che si è dimesso perché gli è stata tesa una trappola. E non perché è un populista che disprezza la democrazia e progetta di abolire il pluralismo dei media. Questo funzionerà fino a quando non saranno resi noti ulteriori dettagli sulla realizzazione del video. Le redazioni di diversi paesi ci stanno lavorando. La questione non è ancora chiusa.


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sabato 18 maggio 2019

Perché lo scontro tra Francia e Germania è destinato a proseguire

Dopo il recente riposizionamento di Macron, il cosiddetto asse franco-tedesco è sempre piu' debole. Ad allontanare Berlino da Parigi non ci sono solo le questioni di politica europea, ma anche la battaglia per le tradizionali zone di influenza geopolitica nel Mediterraneo e nei Balcani. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Lealtà limitata

A fine aprile il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una nuova fase "di confronto" con la Germania. Lo sfondo sul  quale si svolge lo scontro: mentre il governo tedesco chiede la piena lealtà francese per imporre gli interessi tedeschi nell'UE, Berlino invece continua sistematicamente a contrastare ogni proposta avanzata da Parigi per la difesa degli interessi francesi [1]. Macron, che in materia di politica europea a causa del blocco di Berlino è rimasto a bocca asciutta, e in politica interna si trova con le spalle al muro, già da febbraio ha iniziato a negare al governo tedesco la fedeltà a cui da tempo a Berlino si erano abituati. Tra le altre cose, il gasdotto Nord Stream 2, per il quale sorprendentemente è venuto a mancare il supporto francese. Per Berlino, che dal gasdotto spera di ottenere dei significativi benefici, si tratta senza dubbio di un duro colpo.

Contro il candidato tedesco

Il nuovo corso politico di scontro annunciato apertamente verso la fine di aprile, è proseguito anche a maggio. Così Parigi in occasione del vertice informale dell'UE di giovedi scorso a Sibiu ha presentato una proposta in materia di politica climatica che chiede all'UE di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030, piu' rapidamente del previsto, e di diventare "carbon neutral entro e non oltre il 2050". La proposta, concordata dal presidente francese con altri sette paesi dell'Unione europea, che tuttavia non era stata discussa con la Repubblica federale, non è passata, come era prevedibile. Berlino, infatti, in considerazione del sostegno del governo all'industria automobilistica tedesca, l'ha bocciata. Oltre a ciò Macron - con l'appoggio non secondario del primo ministro lussemburghese Xavier Bettel - si è pronunciato contro il meccanismo che prevede che il candidato di una delle diverse famiglie politiche europee possa essere eletto come successore del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Si ritiene "non vincolato da questo modello", ha detto Macron a Sibiu. [3] Si stava rivolgendo infatti al candidato alla Presidenza della Commissione del gruppo che probabilmente dopo l'elezione di fine maggio sarà il piu' numeroso al Parlamento europeo, cioè Manfred Weber della CSU, il leader del Partito popolare europeo (PPE).

Nell'area di egemonia tedesca

La resistenza di Macron all'egemonia tedesca non riguarda solo la politica europea, ma anche la classica politica estera. Ad esempio, il 30 aprile scorso il governo francese ha annunciato una nuova strategia per l'Europa sud-orientale che prevede nuove attività soprattutto nei sei paesi della regione non ancora nell'UE [4]. Oltre all'espansione delle relazioni politiche, è previsto un ampliamento anche di quelle economiche; fra le altre cose, Parigi metterà immediatamente a disposizione dei fondi per lo sviluppo fra i 100 e 150 milioni di euro. Ad essere intensificata sarà soprattutto la cooperazione militare: oltre ad un rafforzamento della cooperazione per la formazione in Francia degli ufficiali dell'Europa sud-orientale, ci sono anche dei piani per coinvolgere sempre di più i soldati della regione nelle operazioni militari francesi. [5] Già a febbraio, l'ex ministro francese degli affari europei, Nathalie Loiseaux, durante una visita in Serbia aveva firmato degli accordi dettagliati per una più stretta cooperazione economica 

Vecchie alleanze

Con il suo rinnovato slancio nell'Europa del sud-est, la Francia non solo torna ad essere attiva in una regione che tradizionalmente viene considerata dalla Germania come la sua principale area di influenza. Riprende anche delle vecchie relazioni con degli ex-alleati in un quadro di contrasto all'egemonia tedesca. La Serbia pertanto sarà al centro della nuova politica francese nell'Europa sud-orientale. Nel mese di marzo, pochi giorni dopo la visita a Belgrado del Ministro per gli affari europei francese, il Ministero degli Esteri francese, in una dichiarazione appositamente redatta, ha sottolineato l'importanza della stretta cooperazione franco-serba, iniziata nel 1838. [6] A partire dagli anni '90 del secolo scorso la cooperazione tuttavia è stata duramente messa alla prova: da quando cioè la Germania ha schierato con sé l'intera UE in una posizione ostile alla Serbia - fino alla guerra. Parigi invano all'epoca aveva tentato di impedire l'escalation dell'aggressione condotta da Bonn [7]. Macron, inoltre, a luglio intende visitare Belgrado. Parigi infatti sta ristabilendo la sua tradizionale politica nell'Europa sud-orientale, e lo fa scontrandosi con gli interessi di Berlino

Contrappeso all'allargamento ad est

Lo stesso vale per la politica mediterranea. Un po' più di dieci anni fà, il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già cercato di ribilanciare l'orientamento unidirezione dell'UE verso l'Europa orientale e sud-orientale. Fino ad allora, infatti, l'espansione verso est dell'Unione aveva indirizzato le risorse e la capacità dell'UE prevalentemente verso la tradizionale sfera d'influenza tedesca ad est del continente e in questo modo aveva dato alla Germania dei chiari vantaggi politici ed economici.  Con la fondazione dell'Unione del Mediterraneo, Sarkozy aveva cercato di creare un contrappeso mediterraneo nella tradizionale area di interesse francese in Nord Africa e nel Medio Oriente [8]. Berlino finora è sempre riuscita a frenare il progetto. Ora Macron invece intende rilanciare quella proposta. Fra poco meno di sei settimane (23-24 giugno) si terrà a Marsiglia un summit ("Sommet des deux rives", "Forum de la Méditerranée"), che intende intensificare la cooperazione fra i cinque paesi dell'Europa meridionale (Francia, Portogallo, Spagna, Italia, Malta) e cinque paesi nordafricani (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia). Macron si riallaccia esplicitamente ai piani di Sarkozy.

Non c'è più una minoranza di blocco

Il nuovo corso di Parigi trae slancio dalla prospettiva secondo cui Berlino dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non avrà più una minoranza di blocco per difendere la sua politica di austerità. Lo ha ripetutamente sottolineato anche l'ex presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn. La minoranza di blocco richiede almeno quattro stati con il 35% della popolazione dell'UE. Nelle controversie in materia di austerità, ispirate da Berlino, infatti, la Germania era sempre stata in grado di contare sull'appoggio di Londra. H.W. Sinn scrive a tal proposito: "con la Gran Bretagna nell'UE, i paesi del nord hanno sempre avuto il 38 % dei voti da opporre ai paesi meridionali dell'UE, senza gli inglesi sarà solo il 30 % .." [9 ] La Francia, che sinora si è sempre ribellata invano contro l'austerità dettata da Berlino, all'interno di un'alleanza con i paesi del sud Europa, avrà la possibilità di scrollarsi di dosso, almeno in parte, la spietata presa di Berlino sulla sua economia.
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[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Die Macht der Röhren.
[3] Matthias Kolb, Alexander Mühlauer: Macron schmiedet Pakt gegen Weber. sueddeutsche.de 13.05.2019.
[4] Es handelt sich um Albanien, Bosnien-Herzegowina, Mazedonien, Montenegro, Serbien und die illegal von Serbien abgespaltene Provinz Kosovo.
[5] Stratégie française pour les Balkans occidentaux. diplomatie.gouv.fr mai 2019.
[6] Commémoration des 180 ans des relations diplomatiques entre la France et la Serbie. diplomatie.gouv.fr.
[7] S. dazu Kein Tandem.
[8] S. dazu Im Schatten
[9] Florian Schwiegershausen: "Brexit ist ein Zeichen der Dummheit". weser-kurier.de 04.12.2018.





giovedì 16 maggio 2019

Volkswagen vota Europa

Le élite industriali tedesche lanciano una campagna congiunta e una serie di accorati appelli in favore di questa Europa, che a loro evidentemente non dispiace. La grande industria celebra l'Europa tedesca per convincere i suoi numerosi dipendenti, non solo in Germania ma in tutta Europa, a non votare per i populisti e i partiti di protesta. Ne scrive Die Welt


Mai prima d'ora le aziende e le associazioni imprenditoriali tedesche avevano fatto una campagna elettorale così forte per l'Europa. Pensano che i loro dipendenti alle prossime elezioni siano in qualche modo obbligati. Soprattutto c'è una preoccupazione che non dà pace agli amministratori delegati.

Il CEO di Lufthansa Carsten Spohr ha fatto dipingere bello grande su un Airbus lo slogan: "Say Yes to Europe". È l’esortazione volante fatta a tutti i dipendenti e ai clienti di andare a votare alle elezioni europee. Anche il collega di Spohr, Richard Lutz di Deutsche Bahn, per la comunità dei 28 paesi è diventato un esempio da imitare. Fino alle elezioni del 26 maggio la principale stazione ferroviaria di Berlino ogni notte si illuminerà di una luce "blu Europa". E anche all'Europa Park di Rust, nel Baden-Württemberg, nelle prossime settimane il nome stesso del parco sarà più del solito all'interno del programma. Roland Mack, fondatore e socio, infatti, ha predisposto che gli schermi nella hall ricordino a ogni visitatore di andare a votare.

Per l'economia tedesca il blu Europa è il colore del momento . Mai fino ad ora le associazioni imprenditoriali, le aziende e i loro manager, si erano pronunciati così in favore dell'Europa. Sui cartelloni e nelle pubblicità, agli eventi e sui social media, si danno da fare affinché il maggior numero possibile di persone partecipi al voto. Tutti perseguono lo stesso obiettivo: un'alta affluenza alle urne dovrebbe impedire ai partiti populisti di raggiungere dei buoni risultati.

"Vogliamo un'Europa forte, diversificata e competitiva", scrivono ad esempio in un appello congiunto le principali associazioni dei datori di lavoro (BDA), dell'industria (BDI), delle camere di commercio (DIHK) e dell'artigianato (ZDH). Solo un'Unione Europea unita sarà in grado di negoziare alla pari con le altre potenze mondiali e di "difendere i valori e gli interessi economici che ci uniscono". Uno stato singolo come la Germania sarebbe troppo piccolo per farlo.

Nell'appello al voto lanciato dalle banche private si legge invece: "usa il tuo diritto di voto democratico e conferisci al Parlamento europeo una forte legittimità". L'appello oltre al CEO di Deutsche Bank Christian Sewing e al collega di Commerzbank Martin Zielke, vede fra i firmatari più di 100 manager di grandi e piccoli istituti di credito. E' necessario rafforzare il potenziale di crescita dell'economia sociale di mercato e promuovere dei processi non burocratici, secondo l'appello.

Con i loro appelli, i manager vorrebbero raggiungere soprattutto i loro dipendenti e renderli consapevoli dell'importanza della comunità internazionale per il successo dell'azienda e quindi per il loro posto di lavoro.

Guido Kerkhoff, CEO di ThyssenKrupp, afferma: "è incredibile quanto sia facile per alcuni nascondere ciò che l'Europa significa per noi”. Egli ritiene infatti che il suo compito oggi sia quello di spiegare ai suoi 90.000 dipendenti "perché l'Europa per noi è importante, perché per il nostro successo abbiamo bisogno di mercati liberi e di libero scambio - e non del ritorno al guscio di lumaca nazionale".

Anche il Betriebsrat e la dirigenza di Volkswagen hanno lanciato un appello congiunto alla forza lavoro, e in questo modo un impegno nei confronti dell'Europa e dell'Unione europea. I destinatari sono i 490.000 dipendenti attualmente impiegati dal gruppo nei 29 paesi dell'UE.

"Le elezioni per il Parlamento europeo si svolgeranno dal 23 al 26 maggio. Queste elezioni rappresentano un momento fondamentale per il futuro dell'Europa", si legge nell'appello; indipendentemente dal paese in cui ci si trova, nessuno deve mancare l'appuntamento elettorale e restarsene a casa.

Il consiglio di amministrazione e il Betriebsrat poi danno un altro paio di motivi per andare alle urne: il mercato interno europeo, il commercio transfrontaliero, la libertà di movimento per i lavoratori e lo scambio di conoscenze sono le condizioni di base per la competitività del gruppo. Dopo tutto, circa la metà del fatturato, viene realizzato in Europa.

Le aziende sono preoccupate per la forza economica del continente

Anche per Tim Höttges, il capo di Telekom, alle elezioni europee in gioco ci sarà niente di meno che la comunità europea. "Dobbiamo pronunciarci in favore dell'Europa e votare per l'Europa", dice il manager in un video. Pensare a livello nazionale non è di aiuto nelle crisi finanziarie o dei rifugiati. E non serve nemmeno alla competizione internazionale, specialmente con il Nord America e l'Asia. La sua visione per l'Europa è digitale, fondata sui valori della competitività e della comunità economica, afferma il manager. Deutsche Telekom in Europa ha più di 110.000 dipendenti - 60.000 di questi sono in Germania.

Anche gli imprenditori di medie dimensioni come Mack dell'Europa-Park vedono per loro stessi e per i loro dipendenti, soprattutto in queste elezioni, un obbligo. "Alle prossimi elezioni sarà importante difendere il progetto di pace europeo dal populismo e dall'isolazionismo", dice l'amministratore del parco, che durante la stagione occupa circa 3.500 dipendenti. Il pensiero europeista nel suo parco ha sempre avuto un ruolo centrale. Da lui si incontrano i giovani e le famiglie provenienti da paesi e culture diverse e insieme imparano a conoscere giocosamente l'Europa delle frontiere aperte e della diversità culturale, spiega l'imprenditore. L'Europa-Park ogni stagione conta oltre cinque milioni di visitatori (...)

L'economia tedesca è fortemente dipendente dalle esportazioni

È una miscela di paura e fiducia quella che emerge dalle parole di molti imprenditori quando vengono loro poste delle domande sull'Europa. Gli "ultimi sviluppi negativi come il nazionalismo, l'isolamente e il protezionismo" agitano anche Spohr, il CEO  di Lufthansa, ad esempio. Per decenni Lufthansa ha beneficiato dei mercati aperti e ora è una società ampiamente presente in tutta Europa. L'azienda ora vorrebbe mostrare la propria convinzione e difendere l'idea di un'Europa unita e libera, dice Spohr.

Con oltre 3.000 voli intra-europei giornalieri, il gruppo contribuisce allo scambio culturale e alla comprensione fra i popoli. Perfino il direttore della Deutsche Bahn Richard Lutz fa affidamento sulle frontiere aperte. "Le frontiere aperte e una rete di trasporti ben sviluppata consentono la libertà di viaggio e lo scambio di beni e servizi", afferma. Le ferrovie sono la spina dorsale della mobilità in Europa; la mobilità e la logistica su rotaia sono le basi della crescita nazionale ed europea.

Soprattutto le industrie che dipendono dalle esportazioni e che in Germania rivestono un ruolo particolarmente importante per la forza economica del paese sono alquanto preoccupate per il loro futuro. "Certo le PMI hanno beneficiato immensamente dalla creazione del mercato unico", dice Karl Haeusgen, vice presidente dell'associazione di ingegneria VDMA e proprietario di HAWE Hydraulik a Monaco di Baviera, un produttore di componenti idraulici con un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro. Il settore non deve più fabbricare macchine in 28 varianti diverse, ma può servire il mercato europeo con un'unica "macchina europea". "Ci ha permesso di crescere e di riuscire ad aprire nuovi mercati in altre regioni del mondo". Anche in futuro in considerazione del processo di digitalizzazione, l'Europa unita sarà necessaria per sviluppare ulteriormente il mercato unico.

Ai manager per lanciare i loro appelli piace anche utilizzare i social media. Sabine Herold, ad esempio, a capo del produttore di colla Delo, ha lanciato su Twitter il suo appello elettorale. "Mi scontro spesso con la burocrazia europea, ma 70 anni di pace valgono ogni singolo euro. Andare a votare per me è sottinteso e per questo incoraggio tutti i colleghi di DELO  a partecipare al voto", ha scritto. Se l'appello dell'élite imprenditoriale tedesca sarà efficace, lo vedremo entro la fine di maggio.

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martedì 14 maggio 2019

Hartz IV: obbligati a stare a casa

Fra le assurdità di Hartz IV c'è anche l'obbligo di dimora che impedisce ai sussidiati, come accade anche ai richiedenti asilo, di assentarsi per piu' di 3 settimane all'anno dalla loro abitazione o dalla zona in cui risiedono abitualmente. Si tratta di un criterio non definito in maniera chiara dalla legge e quindi per il disoccupato è concreto il rischio di essere vessato dal Jobcenter. Ne scrive Susan Bonath su RT Deutsch



L’obbligo di dimora non riguarda solo i richiedenti asilo, ma anche i destinatari di Hartz IV, i quali in caso di violazione devono temere delle sanzioni. La zona "di prossimità alla residenza" viene interpretata in maniera diversa dai singoli Jobcenter. La norma doveva essere già modificata con un emendamento del 2011 che tuttavia il Ministero del lavoro non ritiene necessario. 


di Susan Bonath 

Si parla molto della libertà senza confini, soprattutto si parla molto della libertà di movimento nel sistema capitalista. Sfortunatamente questo vale soprattutto per il capitale e per i profitti arraffati in questo modo, non certo per la maggior parte della classe lavoratrice sfruttata. Quello che in molti tuttavia non sanno è che per milioni di persone in Germania vige un rigido obbligo di dimora. Fra questi ci sono i richiedenti asilo, ma anche sei milioni di destinatari di Hartz IV. Se vengono beccati al di fuori della loro "zona di prossimità alla residenza", rischiano il blocco totale dell'unica entrata in grado di assicurare loro la sopravvivenza, il sussidio appunto. 


Ogni assenza dal luogo di residenza deve essere approvata 

Mentre la libertà di movimento dei richiedenti asilo è limitata al distretto (Landkreis) in cui si trova il loro centro di accoglienza, la legge per i disoccupati e gli Aufstocker è formulata in maniera alquanto vaga. Si parla solo di "un'area temporalmente e geograficamente vicina". Purché "l'integrazione nel mondo del lavoro" delle persone oggetto delle misure - per quanto improbabile essa sia - non venga "compromessa". E i centri per l'impiego, su richiesta, possono concedere fino a tre settimane all'anno lontano da casa, sempre che l'inserimento nel mondo del lavoro non sia a rischio. L'enfasi è su "richiesta", "possono" e "sempre che". 

Il risultato: tutti i Jobcenter interpretano la legge in maniera diversa. Dove finisce esattamente la zona di prossimità alla residenza? In caso di visita alla madre malata residente nella città vicina c’è un rischio di interruzione della prestazione? Inoltre, gli uffici del lavoro autorizzano a proprio piacimento le richieste di allontanamento dal luogo di residenza - oppure le rifiutano, spiano e controllano in tutti i modi possibili i loro clienti, oppure effettuano controlli via posta, e a volte anche telefonici - senza considerare il fatto che l'obbligo di residenza esorta e incoraggia ogni forma di delazione. 

Nonostante la denuncia della Corte dei conti: il ministero non vede alcun problema 

In realtà, proprio per questa ragione, la legge sin dal 2011 avrebbe avuto bisogno di un chiarimento interpretativo. Ma l’emendamento non è mai entrato in vigore. Il motivo: il Ministero del lavoro e degli affari sociali (BMAS) non ha presentato alcuna ordinanza, ad esempio, per definire con piu’ precisione l'area di prossimità, oppure per limitare la durata oltre la quale le persone interessate dalle misure dei Jobcenter devono richiedere un permesso di congedo. 

La corrispondente richiesta con la quale la Corte dei conti federale ha chiesto al Ministero di prendere in considerazione questi elementi viene ignorata sin dal 2017. Il BMAS ipotizza che i singoli centri per l'impiego in materia abbiano stabilito degli standard diversi, accusa la Corte dei conti federale. Il BMAS "non vede alcuna necessità", ha recentemente spiegato una portavoce del ministero ad una domanda specifica. 

Carta bianca ai Jobcenter per vessazioni arbitrarie 

Ai Jobcenter piu’ che altro interessa garantire la raggiungibilità per posta, spiega Harald Thomé dell'associazione sociale Tacheles. Per questo motivo l’obbligo di residenza in realtà è totalmente superfluo. La corrispondenza infatti può essere trasmessa digitalmente, ci sono i telefoni cellulari e le e-mail, critica Thomé. La nuova legge non eliminerebbe affatto il divieto di allontanamento. Ma almeno potrebbe contenere l'arbitrarietà dei Jobcenter, secondo Thomé: "con la vecchia legge, infatti, per i centri per l’impiego è molto piu’ facile vessare i percettori di un sussidio Hartz IV". 

Il fatto che i Jobcenter puniscano solo sulla base di un puro sospetto è mostrato anche da un catalogo che fa parte di una direttiva dell'Agenzia federale per l'impiego (BA) e al quale la portavoce del BMAS gentilmente rinvia. Nella lista degli indizi di un allontanamento dalla residenza, sufficienti per giustificare delle "misure" punitive ci sono: addebiti sul conto corrente da parte di agenzie di viaggio, addebiti per pagamenti su stazioni di servizio fuori zona, non presentarsi agli appuntamenti, non raggiungibilità telefonica, posticipo continuo di un appuntamento, cassetta della posta permanentemente piena, serrande di casa sempre abbassate, delazioni anonime, avvisi da terze parti, chiamate da località fuori zona o mancata reazione all’offerta di una misura di integrazione.



domenica 12 maggio 2019

Trucchi tedeski - Verso il superamento del pareggio di bilancio

Dopo aver imposto il loro Schuldenbremse in Europa, ai primi segnali di rallentamento dell'economia i tedeschi si rendono conto che il pareggio di bilancio è un problema serio e che hanno necessariamente bisogno di qualche trucchetto per aggirarlo. Il fatto che in Germania si torni a parlare dell'assurdità del pareggio di bilancio è sicuramente un buona notizia, la politica di Berlino tuttavia non puo' perdere la faccia e avrà bisogno di qualche soluzione creativa. Ne scrive Mark Schieritz su Die Zeit


Ci sono molti modi per superare una legge che non si adatta più al clima politico del tempo. I politici possono abolirla, possono riformarla o ricorrere alla variante più popolare: interpretarla in maniera creativa. Ed è esattamente questo il destino che minaccia lo Schuldenbremse (il pareggio di bilancio), introdotto quasi dieci anni fà. Mentre nell'opinione pubblica si continua a discutere se la legge sia ancora adeguata ai tempi, a Berlino si sta già pensando al modo migliore per superarla.

Come promemoria: lo Schudenbremse limita il ricorso all'indebitamento del governo. In tempi normali, i governi regionali e statali in linea di principio devono presentare un "bilancio in pareggio". In pratica ciò significa che i Laender non saranno autorizzati a fare nuovo debito, e il governo federale potrà farlo, ma solo in misura molto modesta. La legge era stata introdotta al culmine della crisi finanziaria, quando la spesa per i programmi di stimolo pubblico e per il salvataggio delle banche avevano fatto aumentare il debito pubblico. Solo in Germania, il debito era passato dal 60 % a oltre l'80% del PIL.

Nel frattempo il rapporto debito/PIL è tornato nuovamente a scendere. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, nei prossimi cinque anni in Germania scenderà al 43% del PIL. Si tratterebbe del livello più basso dalla riunificazione. Alla luce di tali previsioni, anche tra gli economisti conservatori le richieste di una riforma dello Schuldenbremse stanno diventando sempre più forti. Ad esempio, Michael Hüther, direttore dell'Institut der deutschen Wirtschaf, da sempre vicino ai datori di lavoro, afferma che dal punto di vista della politica economica si tratta di una legge miope, in quanto "a causa del blocco all'indebitamento non è piu' possibile fare importanti investimenti per il futuro".

L'unica problema: la legge è ancorata nella Costituzione, e per cambiarla, è necessaria una maggioranza di due terzi sia al Bundestag che al Bundesrat. Ma di fronte a un paesaggio politico sempre più frammentato, sarà molto difficile da organizzare. Al momento nemmeno i due partiti piu' grandi messi insieme avrebbero abbastanza voti per farlo. In ogni caso, al Ministero delle Finanze federale guidato dalla SPD si è arrivati alla conclusione che lo Schuldenbremse resterà per anni, se non per decenni.

Per questo i critici si concentrano sui dettagli della legge. Il testo della legge infatti contiene delle scappatoie che in casi speciali consentono allo stato di spendere di più. In particolare, secondo quanto previsto dallo Schuldenbremse, la vendita di beni pubblici non è da considerarsi come un'entrata pubblica. Ciò era pensato per impedire allo stato di risanare il proprio bilancio privatizzando il suo patrimonio e i suoi terreni. Dall'altro lato, ciò significa che l'acquisizione di proprietà da parte dello stato non viene considerata spesa pubblica.

Quindi, se il governo federale si indebitasse per acquistare azioni di una società pubblica che fa investimenti, queste spese, a determinate condizioni, non sarebbero calcolate nel bilancio dello Stato. "Lo Schuldenbremse offre maggiori possibilità di investimento rispetto a quanto a prima vista potrebbe sembrare", afferma Jeromin Zettelmeyer, esperto di finanza pubblica presso il Peterson Institute for International Economics di Washington. Zettelmeyer sa di cosa sta parlando: è stato capo dipartimento al Ministero degli affari economici sotto Sigmar Gabriel e si è confrontato con la necessità di far aumentare gli investimenti pubblici in Germania.

All'epoca della sua introduzione, probabilmente la politica non se ne era interessata piu' di tanto, lo stato anno dopo anno incassava sempre piu' tasse, e c'erano abbastanza soldi. La situazione tuttavia per la prima volta da diversi anni a questa parte sembra essere cambiata. A maggio il Ministero federale delle finanze ha presentato una nuova stima relativa allo sviluppo delle entrate fiscali. Già oggi si può prevedere che lo Stato da ora in poi dovrà accontentarsi di entrate inferiori rispetto a quanto precedentemente ipotizzato, perché l'economia negli ultimi tempi ha perso slancio. I soldi a disposizione diminuiscono, soprattutto perché la coalizione di governo ha già deciso di spendere miliardi di euro per le pensioni, che dal punto di vista politico difficilmente potranno essere recuperati.

Con ogni probabilità, tuttavia, la questione dello Schuldenbremse presto tornerà ad essere al centro del dibattito politico. Perché i grandi partiti vogliono arrivare alla prossima campagna elettorale con dei piani costosi da presentare agli elettori. La SPD per mobilitare la sua base elettorale vorrebbe utilizzare gli investimenti pubblici nell'edilizia abitativa o nella scuola. Poiché molte imprese costruttrici in Germania hanno già cosi' tanti ordini da non poterne piu' accettare di nuovi nel breve periodo, si sta già lavorando a un programma pluriennale di investimenti.

L'Unione, d'altra parte, con il taglio delle tasse vorrebbe recuperare dei punti di consenso politico nel mondo economico e fra i contribuenti. Si stima tuttavia che la completa abolizione del contributo di solidarietà, da solo avrebbe un costo di circa 11,5 miliardi di euro, anno dopo anno. Il freno all'indebitamento perciò, con grande dolore per l'Unione, rappresenta un limite alla riduzione delle imposte. Se fosse possibile spostare gli investimenti su dei bilanci secondari, allora ci sarebbero più soldi per abbassare le tasse.

La tempistica di una tale azione sarebbe favorevole: grazie ai bassi tassi di interesse il governo tedesco al momento può indebitarsi a un costo estremamente basso. Se oggi prende a prestito un euro, fra 10 anni dovrà rimborsarne alle banche meno di 90 cent, dedotta l'inflazione. I partiti perciò sono sempre piu' interessati a dei suggerimenti sul modo in cui il freno all'indebitamento può essere aggirato.

Fra gli economisti si stanno già diffondendo i corrispondenti modelli. La Bundesanstalt für Immobilienaufgaben di Bonn potrebbe essere dotata di capitale, e quindi essere utilizzata per la costruzione di alloggi sociali. In alternativa, il governo federale potrebbe concedergli il diritto di contrarre prestiti che non verrebbero calcolati nel bilancio dello Stato. Anche le ferrovie - una società per azioni di cui il governo federale detiene il 100 % delle azioni - potrebbe procurarsi del capitale aggiuntivo.

Alcuni stati federali stanno già sperimentando tali approcci alternativi. Il Senato di Berlino, ad esempio, per ristrutturare e costruire nuove scuole si sta concentrando sempre di più sui cosiddetti partenariati pubblici-pubblici. Il Land trasferisce i terreni o le scuole da ristrutturare ad una società per l'edilizia residenziale municipale. Questa si fa prestare denaro sul mercato dei capitali, costruisce o rinnova le scuole e le affitta per 25 anni ai diversi municipi della capitale. In questo modo, "nonostante lo Schuldenbremse, gli investimenti necessari per il futuro vengono realizzati su ampia scala", afferma Sebastian Dullien, il nuovo direttore dell'Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung di Dusseldorf.

Lo svantaggio: ci sono dei costi aggiuntivi. Una società per l'edilizia abitativa, a causa del suo basso merito di credito, quando deve ottenere nuovo capitale, lo può fare solo pagando tassi di interesse più elevati rispetto allo stato. E una tale società non è nemmeno controllata direttamente dal parlamento. Ciò potrebbe rappresentare un problema se il modello venisse trasferito a livello federale, visto che il Bundestag  solo con una certa riluttanza sarebbe disposto a rinunciare ai diritti di partecipazione in materia di bilancio.

Anche da un punto di vista politico, una tale elusione dello Schuldenbremse per la coalizione di governo non sarebbe di aiuto. L'Unione teme che ciò comprometta la sua reputazione di partito delle finanze pubbliche sane. Scholz, d'altra parte, è preoccupato che i tagli alle tasse indeboliscano permanentemente la base delle entrate dello stato. Ciò potrebbe essere un problema quando i tassi di interesse  a un certo punto torneranno ad aumentare. Perché allora finanziare gli investimenti con dei prestiti potrebbe diventare troppo costoso. Gli aumenti delle tasse, infatti, spesso dal punto di vista politico sono difficili da far accettare, e allora lo stato dovrebbe tagliare la spesa.

Pertanto non è ancora chiaro se i vari piani di simulazione potranno essere implementati nella realtà. Ma è chiaro che più la situazione finanziaria si deteriora, maggiore sarà la pressione per farlo.



Se ne era parlato anche qui:


Marcel Fratzscher: "potrebbe accadere anche in Germania"


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Verso una nuova legge sull'immigrazione

La nuova legge sull'immigrazione che renderà ancora piu' facile l'ingresso di cittadini extra-UE in cerca di un lavoro e la permanenza dei richiedenti asilo la cui domanda di asilo non è stata accettata sta per essere approvata dal Bundestag. Ufficialmente è pensata per ridurre la mancanza di forza lavoro in alcuni settori a corto di manodopera, come l'assistenza agli anziani e molti lavori manuali nelle costruzioni, nella pratica probabilmente servirà a contenere l'aumento del costo del lavoro e spianerà la strada ad un'altra ondata di migranti. Ne scrive Der Spiegel


La nuova legge è destinata a ridurre la presunta mancanza di lavoratori qualificati di cui da tempo si lamenta l'economia tedesca: nel primo dibattito al Bundestag, la coalizione di governo ha difeso la nuova legge sull'immigrazine dalle critiche dell'opposizione - cinque mesi dopo l'approvazione del provvedimento da parte del governo.

I Verdi e la FDP hanno criticato la legge definendola insufficiente. La Linke ha accusato il governo di non prendersi sufficientemente cura di garantire un "lavoro per tutti". Il ministro dell'Interno Horst Seehofer (CSU), d'altra parte, ha parlato di uno "storico cambio di passo".

"In questo modo intendiamo mettere in chiaro che il nostro obiettivo è gestire l'immigrazione di lavoratori qualificati", ha detto Seehofer. In generale, anche i lavoratori qualificati provenienti dai paesi al di fuori dell'UE, se hanno un contratto di lavoro e una qualifica professionale riconosciuta, potranno lavorare in Germania. La limitazione prevista per le occupazioni per le quali vi è una mancanza di personale verrebbe meno, come il test sulla priorità, vale a dire la verifica della disponibilità di cittadini tedeschi o europei idonei per la posizione in questione. Questo test potrebbe essere reintrodotto solo a livello regionale.

Chiunque sia qualificato e parli il tedesco, potrà restare, anche senza un contratto, per un determinato periodo di tempo in cerca di un lavoro. In passato potevano farlo solo i laureati. La nuova legge dovrà essere testata per cinque anni.

Un altro disegno di legge intende offrire ai richiedenti asilo respinti un'opportunità di lavoro permanente. Ciò riguarderà gli stranieri che avviano un corso di formazione professionale o garantiscono per il proprio sostentamento e sono ben integrati. "Abbiamo nel nostro paese persone che possiamo ben utilizzare", ha detto il Ministro del lavoro federale Hubertus Heil.

Immigrazione qualificata solo insieme alla "legge sul rientro ordinato".

La legge sull'immigrazione dei lavoratori qualificati era  già stata approvata dal governo, dopo una lunga discussione, nel dicembre 2018. L'Unione probabilmente ha voluto rallentare il processo perché riteneva che la legge proposta dovesse essere collegata ad un altro disegno di legge pensato per rafforzare l'obbligo di lasciare il paese. Questa "legge sul rientro ordinato" sarà discussa la prossima settimana, come annunciato da Heil.

Seehofer ha detto che "l'obiettivo politico molto importante" da raggiungere è quello di rafforzare la migrazione legale e sopprimere quella illegale. Heil ha sottolineato che grazie al sostegno della formazione professionale il governo sta già facendo molto per i lavoratori in Germania. "Avremo tuttavia bisogno di ulteriore immigrazione qualificata dall'estero". In molte aree - come nelle professioni tecniche, nel settore della cura, nel campo dell'artigianato - ci sarebbe già oggi una forte carenza di lavoratori qualificati.

Per l'opposizione la proposta di legge non va abbastanza lontano

Il segretario generale della FDP Linda Teuteberg ha criticato il disegno di legge definendolo "privo di coraggio". Ciò di cui c'è bisogno è un "nuovo approccio coerente per una legge comprensiva sull'immigrazione". Il leader dei Verdi Katrin Göring-Eckardt ha accusato la coalizione di governo di voler impedire un'immigrazione qualificata, invece di promuoverla attivamente. "Siamo un paese di immigrazione, e questo paese di immigrazione ha bisogno di una legge moderna sull'immigrazione".

Il deputato di AfD Gottfried Curio ha accusato la coalizione di creare un "incentivo all'immigrazione con una capacità di attrazione su scala mondiale". La separazione fra la legge sull'asilo e quella sull'immigrazione andrebbe a scomparire.

L'esperta di temi sociali della Linke Susanne Ferschl, tuttavia, ha criticato: "il governo federale sta servendo solo gli interessi economici, invece di fare un buon lavoro per tutti".

L'economia da tempo chiede un ingresso semplificato per i lavoratori qualificati. L'Associazione centrale dell'artigianato tedesco sottolinea: "Gli artigiani si aspettano che il processo legislativo venga portato avanti rapidamente senza una ulteriore riduzione del suo contenuto".

La conservatrice Werteunion ha avvertito che all'Unione la legge costerà la fiducia degli elettori, come ha detto il suo presidente Alexander Mitsch.


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