lunedì 30 settembre 2019

Un'autostrada per il populismo tedesco

Le dimissioni di Sabine Lautenschläger dal direttorio BCE e il progressivo allontanamento dalla tradizione della Bundesbank, secondo Anja Ettel, sono il terreno perfetto su cui far crescere e fiorire il populismo tedesco. Ne scrive Anja Ettel su Welt


Mario Draghi nel 2012 probabilmente è riuscito ad impedire il collasso dell'eurozona, ma a causa della sua politica monetaria i tedeschi ora si sentono espropriati della loro previdenza integrativa. Le dimissioni del membro tedesco dal direttorio BCE, Sabine Lautenschläger, sono l'espressione di una crescente alienazione dalla banca centrale europea.

La Banca centrale europea (BCE) fin dalla sua nascita ha sempre sottolineato che la nazionalità, all'interno dell'autorità di controllo della moneta unica, non gioca alcun ruolo. Ancora più notevole è il fatto che nei due decenni dall'avvio della BCE, i tedeschi in piu' di un'occasione abbiano gettato la spugna. Le dimissioni del membro del board della BCE Sabine Lautenschläger sono solo l'ultimo esempio ed espressione di una crescente alienazione. Il divario tra ciò per cui la Bundesbank si era distinta e ciò che la BCE, modellata sull'esempio della banca centrale tedesca, sotto la pressione delle numerose crisi è riuscita a fare, si è ampliato.

La famosa promessa del 2012 del presidente della BCE Mario Draghi di fare "tutto il necessario" per salvare l'euro avrà impedito il crollo imminente dell'unione monetaria. Ma allo stesso tempo ha rappresentato l'addio all'eredità della Bundesbank e al suo attenersi a delle regole ferme e affidabili in materia di politica monetaria. Una valuta che funziona si basa sulla fiducia. Vi sono quindi delle ottime ragioni per stabilire dei confini molto chiari tra la politica fiscale e quella monetaria e per non praticare il finanziamento monetario agli stati.

Negli ultimi anni questa fiducia tuttavia ha sofferto molto. Soprattutto in Germania, dove molti risparmiatori, dopo anni di interessi negativi, si sentono deprivati delle loro pensioni integrative. E tutto ciò da parte di un'istituzione che, per una buona ragione, è separata dal processo democratico e quindi in grado di agire e governare in maniera indipendente. Se i banchieri centrali si allontanano dai cittadini, si crea il terreno fertile per far prosperare i populisti. Anche la BCE dovrebbe prendere sul serio queste preoccupazioni, invece di mettere a tacere queste legittime preoccupazioni fra le proprie fila.

Deve essere chiaro: con le dimissioni di Lautenschläger la Germania non dovrà in alcun modo rinunciare a un posto nel direttorio. La Germania con un buon 26 %, resta il principale azionista. Sarebbe un segnale fatale se il maggiore azionista in futuro non fosse più rappresentato nel direttorio. Pertanto ora si dovrà cercare un guardiano della moneta di alto livello professionale e con una forte tolleranza alla frustrazione. E già questo restringe il numero dei possibili candidati. Il governo federale farebbe bene a non ridimensionare l'importanza della selezione, senza restringere i criteri sulla base del partito o del sesso. C'è troppo in ballo.

-->

domenica 29 settembre 2019

"Un incarico alla persona sbagliata"

"Lautenschläger non avrebbe dovuto attaccare Draghi, ma Scholz. Le sue dimissioni ci mostrano che non ha mai veramente capito quale fosse il suo compito. La sua uscita di scena pertanto non è un peccato. Si trattava comunque di un incarico assegnato alla persona sbagliata". L'ottima Ulrike Herrmann sulla Taz commenta le dimissioni di Sabine Lautenschläger.


È un danno di immagine per la Banca centrale europea: il membro tedesco del direttorio, Sabine Lautenschläger, ha dato le dimissioni dal suo incarico. Ufficialmente non vengono indicate le ragioni, ma ufficiosamente è chiaro che intende protestare contro la politica monetaria del presidente della BCE Mario Draghi.

Draghi recentemente ha imposto l'acquisto di nuove obbligazioni: a partire da novembre dovranno essere investiti ogni mese 20 miliardi di euro. Le penali per le banche, inoltre, sono state ridotte. In futuro le banche dovranno pagare lo 0,5 % di interessi sui depositi presso la Banca centrale europea, rispetto allo 0,4 % di oggi.


Un grido di protesta ha attraversato la Germania. Ancora una volta si è parlato di un "esproprio" dei risparmiatori tedeschi i quali sarebbero stati privati dei tassi di interesse sui loro risparmi. Le banche si lamentano del fatto che presto finiranno tutte in bancarotta, e molti tedeschi ancora una volta ritengono che la Germania sia "l'ufficiale pagatore d'Europa". La Bundesbank e la Lautenschläger ovviamente hanno fatto del loro meglio per gonfiare ulteriormente questa isteria collettiva presentandosi sulla scena come i critici di Draghi.

Ma questa eccitazione collettiva è chiaramente esagerata. Draghi non è un "Conte Draghila", come è stato soprannominato dalla Bild Zeitung, che succhia il sangue dei tedeschi. La sua politica monetaria è sostenuta da una maggioranza all'interno del Consiglio direttivo della BCE ed è un compromesso: sebbene le banche stiano pagando un tasso di interesse negativo dello 0,5 % - recentemente sono state introdotte molte eccezioni, con le banche che nel complesso devono pagare alla BCE meno di quanto non accadesse fino ad ora. Anche gli acquisti di obbligazioni sono modesti: ci sono stati tempi in cui la BCE spendeva 60 miliardi di euro al mese per rilanciare l'economia dell'Eurozona.

Soprattutto, va ricordato che la congiuntura dell'economia tedesca non è affatto robusta come invece ritengono la Lautenschläger e la Bundesbank. Nel secondo trimestre, l'economia del paese si è fermata, mentre l'umore ai piani alti è pessimo. Non c'è alcun spazio per aumentare i tassi di interesse.

Cosa c'è di vero: la politica monetaria di Draghi non è stata particolarmente efficace. Sebbene la BCE sia stata in grado di impedire il collasso dell'Eurozona, l'economia europea tuttavia non ha mai fatto realmente progressi.

E nessuno lo sa meglio di Draghi stesso. In ogni discorso non manca di sottolinearlo: il potere della banca centrale è limitato. La sua politica sui tassi di interesse può essere efficace solo se i principali paesi dell'eurozona fanno la loro parte. Draghi ha ripetutamente fatto appello alla Germania: i salari nel paese sarebbero dovuti crescere piu' in fretta e il governo tedesco avrebbe dovuto investire di più. Come sappiamo, le cose sono andate diversamente. Il ministro delle finanze della SPD Olaf Scholz continua a insistere sullo "schwarze Null" .

Lautenschläger quindi non avrebbe dovuto attaccare Draghi, ma Scholz. Le sue dimissioni ci mostrano che non ha mai veramente capito quale fosse il suo compito. La sua uscita di scena pertanto non è da considerarsi un peccato. Si trattava comunque di un incarico assegnato alla persona sbagliata.

sabato 28 settembre 2019

Welt - Tempi sempre piu' duri per il risparmiatore tedesco

Prosegue la retorica del risparmiatore tedesco tradito ed espropriato da una BCE ormai saldamente in mano ai latini, questa volta è Die Welt a incensare il contributo di Sabine Lautenschläger e a rammaricarsi per la sua partenza anticipata dalla BCE. Ne scrivono su Die Welt i soliti Anja Ettel e Holger Zschäpitz


Sabine Lautenschläger, membro del board della BCE, si dimette in anticipo sulla scadenza del suo mandato. È già la terza tedesca a gettare la spugna. Secondo le informazioni disponibili a Die Welt, era sempre più frustrata per lo stile autoritario della leadership di Draghi.

Può sembrare paradossale, ma ad inizio anno la quota tedesca della Banca Centrale Europea è salita dal 25,5 al 26,4 %. Dal punto di vista dei contenuti, tuttavia, continua a ridursi l'influenza del maggiore azionista. Il fatto che la Germania al momento all'interno della BCE si trovi sulla difensiva, lo si può  leggere anche nella recente decisione.

Sabine Lautenschläger, il rappresentante tedesco nel consiglio di amministrazione della BCE, ha dato le dimissioni. La ex vicepresidente della Bundesbank lascerà l'incarico a fine di ottobre, due anni prima di quanto previsto dal suo mandato.

Le ragioni della sorprendente decisione, nel secco comunicato stampa della BCE, non sono state indicate. Secondo quanto risulta a Die Welt, tuttavia, Lautenschläger non era più d'accordo con il corso della BCE e apparentemente sempre più frustrata a causa dello stile di leadership autoritario del presidente Mario Draghi. La recente decisione del Consiglio direttivo di tagliare ulteriormente i tassi di interesse e rilanciare il controverso programma di acquisto delle obbligazioni sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

"Le dimissioni non sono state una sorpresa, Sabine Lautenschläger da molto tempo ormai nella BCE si trova in un ruolo di opposizione interna e per questo è stata emarginata nella comunicazione", afferma l'ex capo-economista della BCE Jürgen Stark, il quale aveva lasciato prematuramente la banca centrale nel 2011. "Se con i propri argomenti alla lunga non si riesce ad incidere, si può restare fedeli e accettare la situazione. Ma poi devi anche essere in grado di guardarti allo specchio".

Lautenschläger lascerà la BCE esattamente insieme a Draghi. Il mandato del terzo presidente della BCE durerà regolarmente fino al 31 ottobre. Sebbene il successore Christine Lagarde sia considerata piu' conciliante nei modi e nella comunicazione, si può tuttavia supporre che Lagarde  - la cui permanenza dal punto di vista temporale supera di gran lunga la partenza di Draghi - sia probabilmente d'accordo con la decisione presa a settembre. Lagarde, soprattutto, durante la sua audizione al parlamento europeo, ha lasciato intendere che vede ancora spazi di azione aggiuntivi nella politica monetaria della BCE.

Una comprensione completamente diversa della politica monetaria

Il fatto che Lautenschläger per il prossimo futuro non potesse sperare in alcun modo in un cambiamento sostanziale della politica monetaria potrebbe aver contribuito alla decisione. Il modo in cui la decisione è stata comunicata fornisce una visione più profonda dei fatti. Alle 19:45, dopo il normale orario di ufficio, la banca centrale ha informato della decisione di Lautenschläger con sette brevi righe di comunicato.



Lautenschläger è il terzo membro tedesco che in soli due decenni di storia della BCE sceglie di lasciare prematuramente il lavoro nel board della BCE. Nel dicembre 2011, era stato l'allora capo economista Stark a lasciare il consiglio in quanto non voleva sostenere il corso di salvataggio dei paesi in difficoltà avviato dall'allora presidente Jean-Claude Trichet.

In particolare, la frattura allora si era consumata sul programma di acquisto di obbligazioni SMP. Stark come Segretario di Stato presso il Ministero delle finanze aveva svolto un ruolo chiave nella redazione del Patto di stabilità dell'UE tra il 1995 e il 1998 e in qualità di capo economista della BCE non voleva partecipare allo smantellamento del suo lavoro.

"Il problema che spinge i rappresentanti tedeschi a lasciare la BCE mostra chiaramente quanto siano cambiate l'unione monetaria e la BCE", afferma Stark. Chiunque sia cresciuto nella Bundesbank ha una comprensione completamente diversa della politica monetaria e di cosa faccia parte del mandato della banca centrale - e di cosa no.

Nel 2011 si era dimesso anche il capo della Bundesbank Axel Weber. Weber all'epoca era considerato il candidato più probabile per la successione di Trichet, il cui mandato terminava nel 2011. In quell'occasione tuttavia fu l'italiano Draghi a diventare il capo della BCE. Persino il successore di Stark, Jörg Asmussen, trasferitosi dal Ministero delle finanze al Comitato esecutivo della BCE, ha resistito solo 2 anni a Francoforte. La sua partenza, tuttavia, aveva probabilmente a che fare con dei motivi di carriera. Asmussen nel 2014 è tornato nella politica di Berlino.

La BCE perde una sostenitrice della politica monetaria più dura

Lautenschläger, invece, che aveva preso il suo posto nel board, lascia dopo soli cinque anni. La giurista è considerata una profonda conoscitrice delle banche. Si era occupata di vigilanza bancaria già presso la Bundesbank, compito per il quale era stata responsabile anche a livello europeo, fino a febbraio di quest'anno, in qualità di vicepresidente della supervisione bancaria della BCE .

Anche i risparmiatori ne subiranno le conseguenze. La possibile inversione nella tendenza dei tassi di interesse potrebbe essere ulteriormente rimandata. Con la partenza di Lautenschläger, la BCE perde un sostenitore convinto di una politica monetaria più dura. Il predominio delle cosiddette colombe continuerà ad espandersi.

Le prime reazioni del mercato sono state abbastanza chiare: l'euro è sceso al livello più basso dal 2017, in quanto le attese di una politica monetaria più conciliante rendono la moneta unica meno attraente. Allo stesso tempo anche i rendimenti dei titoli di stato a lunga scadenza sono fortemente diminuiti, è probabile infatti che i tassi di interesse rimangano bassi a lungo. In borsa invece hanno perso valore i titoli degli istituti di credito che vivono di interessi. Le azioni di Deutsche Bank sono scese dell'1,5 per cento.

Ora ci si inizia a chiedere chi sarà il successore di Lautenschläger. La Germania, come la Francia e l'Italia, tradizionalmente ambisce ad avere uno dei sei seggi del Consiglio Direttivo. La variante più probabile è che il governo federale invii nel direttorio un'altra donna. Tra i possibili candidati vi sono l'attuale vicepresidente della Bundesbank Claudia Buch o l'economista di Bonn Isabel Schnabel, che è anche un membro del cosiddetto Consiglio dei saggi economici.

-->

Verso la fine del boom immobiliare

Dopo il violento crollo della manifattura, gli istituti di ricerca tedeschi segnalano che il lunghissimo boom immobiliare ormai è agli sgoccioli e  anche per il mattone si avvicina il punto di svolta. Cosa accadrà alle banche e agli investitori una volta che la bolla immobiliare sarà scoppiata? Ne scrive Handelsblatt su dati forniti dall'Institut der deutschen Wirtschaft (IW)


Il mercato immobiliare tedesco si avvicina irrimediabilmente ad una svolta. "Siamo alla fine del boom", afferma Ralph Henger, specialista nel settore immobiliare presso l'Institut der deutschen Wirtschaft (IW). Ogni quattro mesi, infatti, l'IW redige un indice immobiliare disponibile in esclusiva per Handelsblatt. I dirigenti delle società di sviluppo immobiliare e gli investitori istituzionali valutano la situazione del settore e gli sviluppi sul mercato immobiliare tedesco.

Il risultato: in questo autunno è stato registrato il peggiore valore a partire dal 2014. Il clima nel  settore immobiliare è calato per la terza volta consecutiva. Per quanto riguarda gli uffici, la consulenza immobiliare internazionale di JLL prevede per quest'anno un calo dei nuovi spazi in affitto nelle sette maggiori città tedesche, tra cui Berlino, Francoforte e Monaco, di circa il 4 % rispetto al 2018. Alcuni esperti sono ancora più pessimisti per quanto riguarda il mercato degli spazi adibiti al commercio al dettaglio.


Il mutato clima immobiliare colpisce anche Henning Koch. Koch è un gestore che compra immobili in tutto il mondo per conto di Commerz-Real, la consociata di gestione dei fondi di Commerzbank, e si muove a livello internazionale alla ricerca di investimenti di valore  per i fondi dell'azienda - in particolare per il fondo immobiliare aperto da 15 miliardi di euro Hausinvest.

Negli ultimi tempi, tuttavia, si è mosso più che altro come venditore: nel suo bilancio di vendita di questi primi nove mesi dell'anno ci sono un edificio per uffici a Singapore, uno a Vienna, due hotel a Londra, un negozio al dettaglio vicino Lisbona. Koch vorrebbe investire il capitale il piu' rapidamente possibile, anche sul mercato interno. Ma è esigente: "nella situazione attuale, siamo molto selettivi quando si tratta di acquistare".

Il manager di Wiesbaden condivide questa sua riluttanza con molti colleghi. Dopo anni di boom, per la prima volta quest'anno, l'indagine autunnale sull'indice immobiliare IW è stata dominata da aspettative negative: "per i prossimi dodici mesi, nel settore ci sono più aziende che prevedono uno sviluppo negativo rispetto a quelle che ne prevedono uno positivo", sintetizza Ralph Henger. Ad essere sondati sono stati gli sviluppatori di grandi progetti di costruzione, gli investitori e i proprietari di uffici, centri commerciali o grandi complessi abitativi.


Le loro dichiarazioni sulla situazione attuale e sulle aspettative future del business nell'ultimo sondaggio autunnale hanno causato una discesa di quasi undici punti percentuali dell'indice sul clima degli affari, indice che ha raggiunto il livello più basso dall'inizio della raccolta dati nel 2014. "E' stato decisivo il fatto che il clima nel settore immobiliare sia peggiorato per la terza volta consecutiva", afferma Henger. Secondo la teoria della ricerca, ciò segnala un cambio di direzione nello sviluppo economico.

Inversione di tendenza con ritardo

Il mercato immobiliare quindi segue l'umore generale dell'economia tedesca. Nel secondo trimestre questa si è contratta dello 0,1 %. Molti esperti si aspettano un segno negativo anche per il terzo trimestre, e in quel caso la Germania entrerebbe ufficialmente in recessione. A ciò bisogna aggiungere che i principali istituti di ricerca tedeschi hanno recentemente abbassato le loro previsioni di crescita sia per il 2019 che per il 2020.

Ma l'inversione di tendenza sul mercato immobiliare non è ancora visibile. Per una semplice ragione: "il settore immobiliare è un settore in ritardo, il rallentamento dell'economia quindi si farà sentire con un certo ritardo sia sugli affitti che sui rendimenti", spiega Christian Schulz-Wulkow, Managing Partner di Ernst & Young Real Estate. Ciò può essere dimostrato, ad esempio, nel mercato immobiliare degli uffici.

Lì la domanda dipende dal fatto che le aziende creino o sopprimano posti di lavoro. Secondo una elaborazione della consulenza immobiliare internazionale JLL vi sarebbe una chiara correlazione tra il barometro sull'occupazione dell'istituto Ifo e la domanda di uffici. Se l'indice diminuisce di cinque punti percentuali, il numero di nuovi spazi per gli uffici diminuisce del dieci percento, con circa 3 trimestri di ritardo.


In effetti il barometro dell'occupazione Ifo nella prima metà dell'anno è sceso di circa il 5%. Ma questo calo non è ancora arrivato sul mercato dell'affitto per gli uffici. Entro la fine dell'anno, tuttavia, JLL prevede un calo significativo dello spazio affittato per i nuovi uffici.



La tendenza al ribasso tuttavia non è ancora visibile, afferma Timo Tschammler, capo tedesco della società di consulenza immobiliare internazionale JLL, e fa riferimento alla bassa percentuale di spazi inoccupati nelle grandi città. "A Berlino, ad esempio, meno del 2% di tutti gli uffici è vuoto. Prima che gli affitti diminuiscano, questa quota dovrà aumentare al 7,4 per cento, secondo i nostri calcoli".

Al momento secondo l'esperto dell'IW Henger non è questo il caso: "nel mercato degli uffici non c'è quasi nessuna costruzione speculativa". Molti degli edifici per uffici previsti sono già stati affittati prima del completamento. "Gli errori del passato, che hanno portato a edifici vuoti per ben oltre il 10% nei centri per uffici di Dusseldorf e Francoforte, non sembrano ripetersi", afferma l'economista dell'IW.


Le prospettive nel settore del commercio sono invece più pessimistiche: "stiamo osservando con preoccupazione il settore del commercio al dettaglio", afferma Koch, manager di Commerz-Real. "Sicuramente in questo settore ci troveremo di fronte ad un grande cambiamento" Non c'è da meravigliarsi quindi che le aspettative dei dirigenti immobiliari in nessun altro settore siano così negative come nel settore del commercio al dettaglio.

Nonostante ciò il manager di EY Schulz-Wulkow ritiene che l'industria abbia ancora risorse per attutire il rallentamento economico. Ma ne limita l'ambito: "gli investitori immobiliari a causa dei prezzi già alti, ora avranno bisogno di piani aziendali molto ambiziosi per ottenere nel lungo termine un risultato dai loro investimenti".

Alcuni dirigenti di società immobiliari intervistati dall'IW ne sono ben consapevoli: "le risposte alle nostre dettagliate domande ci mostrano che ci sono già i primi amministratori delegati che si aspettano addirittura una riduzione degli affitti e dei prezzi", afferma l'autore dello studio Henger. La maggior parte degli intervistati tuttavia prevede che gli affitti continueranno a salire, più dei prezzi di acquisto. Una novità per Henger e quindi un altro indizio del fatto che il punto di svolta è stato raggiunto: finora gli affitti sono sempre rimasti indietro rispetto ai prezzi di acquisto.

"Il cambio di aspettative per quanto riguarda i prezzi e gli affitti è il tipico segnale di un'inversione di tendenza sul mercato immobiliare." Gli aumenti degli affitti tuttavia non saranno in grado di compensare l'indebolimento della dinamica dei prezzi, Henger ne è convinto. Ciò significa che i rendimenti immobiliari storicamente bassi a causa dei prezzi esageratamente alti torneranno a crescere. "E i rendimenti più elevati sono un'espressione del fatto che i rischi dell'investimento immobiliare torneranno ad essere presi in considerazione", afferma l'economista.

I mercati immobiliari rimangono tesi

Gli inquilini e gli acquirenti di appartamenti nelle metropoli tedesche possono sperare in un imminente calo degli affitti e dei prezzi? Non proprio. Come la maggior parte degli osservatori, anche Henger prevede che la situazione di elevata domanda di alloggi e l'offerta ancora insufficiente nelle aree metropolitane per il momento resteranno invariate.

Tuttavia, sia per i proprietari che per gli sviluppatori di nuovi immobili, non sarà facile come lo è stato di recente imporre dei prezzi di vendita e degli affitti sempre più elevati. "Per le aziende che operano nelle aree residenziali, il motto attuale è: non potrà andare meglio di ora".

Per quanto tempo ancora il settore rimarrà sui livelli attuali non è prevedibile. Dopotutto, gli osservatori del mercato concordano sul fatto che l'allentamento monetario annunciato dalla BCE nella sua ultima seduta compenserà almeno parzialmente gli effetti economici negativi.

Gli assicuratori, i fondi pensione, i fondi di investimento e gli investitori privati ​​in cerca di investimenti relativamente sicuri continueranno a fare affidamento sul settore immobiliare per mancanza di alternative, afferma Tschammler, capo della JLL Germania. "Nonostante i prezzi siano cresciuti, ci sono ancora tassi positivi". Inoltre, secondo il sondaggio IW, la Germania resta una destinazione popolare per gli investitori stranieri. "E anche questo dovrebbe contribuire a supportare l' economia del settore", conclude Henger.

E anche se secondo il sondaggio dell'IW è cresciuto il numero di amministratori delegati locali che ora puntano sulle vendite, c'è ancora una maggioranza che punta sulla crescita del settore. Il manager di Commerz-Real Koch è ottimista: entro la fine dell'anno, vuole concludere diversi affari. Questa volta come acquirente.


giovedì 26 settembre 2019

Boom delle Tafel fra i pensionati

Le Tafel sono associazioni di volontariato che distribuiscono ai bisognosi i generi alimentari ricevuti in dono dai supermercati o dalle aziende, in pratica un indicatore affidabile del livello di povertà nella società tedesca. Anche in questi anni di boom economico le Tafel hanno continuanto a registrare afflussi da record, soprattutto fra i pensionati. Ne scrive Die Welt





Il numero delle persone costrette a fare ricorso all’assistenza delle Tafel nell’ultimo anno è aumentato del 10%. Attualmente ci sono 1,65 milioni di persone che dipendono dalle donazioni di cibo. Particolarmente significativo è stato l'aumento fra i pensionati. 



Il numero di utenti delle Tafel nell’ultimo anno è aumentato del 10% salendo a circa 1,65 milioni. Soprattutto fra gli anziani, l'aumento del 20 % rispetto allo scorso anno è stato "drammatico", commenta da Berlino l'Associazione delle Tafel tedesche. L’associazione mette in guardia da un ulteriore aggravamento del problema e chiede contromisure drastiche. 



"Questo sviluppo è allarmante: nei prossimi anni il tema della povertà fra gli anziani ci travolgerà con forza, come accade oggi con il cambiamento climatico", ha dichiarato il capo dell'associazione Jochen Brühl durante il recente bilancio annuale. Per combattere la povertà sono pertanto necessarie "riforme di vasta portata" e "obiettivi interministeriali vincolanti ". 


Una pensione troppo bassa, dopo quello di una disoccupazione di lunga durata, è il secondo motivo più comune che spinge le persone a chedere aiuto alle Tafel, afferma Bruhl. Ma ad essere "completamente inaccettabile” è anche il “numero crescente di utenti fra i bambini e gli adoloscenti". Ci sono quasi 50.000 giovani in più che dipendono dal sostegno alimentare delle Tafel, con una crescita del 10%. 

Complessivamente, la percentuale di bambini e adolescenti fra gli utenti delle Tafel è del 30%. In Germania i bambini vengono "sistematicamente" trascurati, il sistema educativo tedesco è uno dei "più impermeabili" fra quelli dei paesi OCSE. 

C'è stata una riduzione tra i rifugiati 

Con gli attuali 500.000 fra bambini e adolescenti bisognosi costretti a fare ricorso alle Tafel, stiamo coltivando la "povertà fra gli anziani di domani". E’ sempre più chiaro che anche la povertà viene ereditata, afferma Brühl. Sarebbe pericoloso per la società se una parte delle diverse generazioni dovesse considerarsi esclusa e abbandonata. Al contrario, nell’ultimo anno i rifugiati sono scesi al 20 % del totale. 

Brühl è molto critico in quanto questo sviluppo, prevedibile da almeno dieci anni, le Tafel lo sottolineano da anni - senza tuttavia aver suscitato una reazione nella politica. "Il tema della povertà ha bisogno di proposte orientate ad una soluzione concreta e deve essere posto in cima all'agenda politica", chiede il capo del Tafel. "Noi delle Tafel siamo una specie di sismografo della società", ha detto Brühl parlando di uno "sviluppo allarmante". 

A livello nazionale, attualmente ci sono 947 Tafel con 60.000 collaboratori. Il 90 pe cento è composto da volontari. "20,4 milioni di ore all'anno di volontariato", ha dichiarato Brühl. Se dovessimo pagare un salario minimo, equivarrebbe a un controvalore di 180 milioni di euro. La maggior parte dei volontari sono donne (61 %) e anziani (63 %). Il 20 % sono bisognosi o ex-bisognosi. Solo il 6 % dei volontari ha meno di 30 anni.
-->

martedì 24 settembre 2019

Perché Berlino alimenta l'indipendentismo scozzese

Per German Foreign Policy la politica tedesca sta alimentando l'indipendentismo scozzese in chiave geopolitica: l'obiettivo sarebbe quello di indebolire dall'interno la Gran Bretagna, un paese alleato, nella fase decisiva della Brexit. Nei giorni scorsi Nicola Sturgeon, il primo ministro scozzese nonché leader degli indipendentisti scozzesi, è stata accolta con i massimi onori a Berlino. Ma per i tedeschi potrebbe essere solo un'altra vittoria di Pirro. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy





Un secondo referendum sull‘indipendenza 

Il governo regionale scozzese guidato dal Primo Ministro Nicola Sturgeon prosegue la sua campagna in favore di un secondo referendum sulla secessione. Prima del referendum del 18 settembre 2014, i nazionalisti scozzesi, fra questi anche Sturgeon, in diverse occasioni avevano dichiarato che il voto espresso nelle urne dal popolo scozzese sarebbe stato valido e vincolante per almeno una generazione. (…) 



Applausi incoraggianti 

Ciò ha spinto i politici dei partiti di governo e persino alcuni ministri tedeschi a sostenere apertamente gli sforzi indipendentisti dei nazionalisti scozzesi e quindi a sostenere il separatismo in un paese ufficialmente alleato. Già il 26 giugno 2016, infatti, il presidente della Commissione per gli affari europei del Bundestag, Gunther Krichbaum (CDU), aveva dichiarato di aspettarsi un "successo" da un eventuale nuovo referendum sulla secessione scozzese: la Scozia rimarrà nell'UE, aveva detto. Sempre ad inizio luglio 2016, l'allora vice-cancelliere Sigmar Gabriel (SPD) aveva affermato che se la Scozia avesse lasciato il Regno Unito, l'UE "senza dubbio ... l’avrebbe accolta". [2] Il 9 agosto 2016, il Primo Ministro Sturgeon era stata ricevuta dal sottosegretario di stato presso il Ministero degli Esteri di Berlino, Michael Roth. Nel settembre 2016, il capogruppo del Partito nazionale scozzese (SNP) alla Camera dei Comuni, Angus Robertson, aveva invece partecipato a una riunione a porte chiuse del gruppo parlamentare bavarese della SPD a Bad Aibling. [3]


Media Award per Sturgeon 

Nel frattempo, i nazionalisti scozzesi hanno continuato a ricevere aperto sostegno da parte della Repubblica Federale. Così il primo ministro Sturgeon la scorsa settimana è stata in Germania per una serie di colloqui politici. Martedì 17 settembre ha ricevuto il M100 Media Award a Potsdam, premio assegnato ogni anno da una giuria di giornalisti dei principali media tedeschi. Tra i vincitori precedenti l'ex ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher (2009), il presidente della BCE Mario Draghi (2012) e il politico ucraino Vitali Klitschko, premio assegnato subito dopo il rovesciamento del 2014 in Ucraina, che egli aveva contribuito a causare in cooperazione con i centri di potere tedeschi. [6] Sturgeon ufficialmente è stata insignita del prestigioso premio per essersi distinta nel Regno Unito come "un politico con una posizione chiaramente pro-europea". [7] Il discorso di elogio è stato pronunciato dal Primo Ministro della Nordrhein-Westfalen, Armin Laschet (CDU); il principale discorso politico è stato tenuto dal presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble (CDU). Sturgeon nel suo discorso di accettazione, davanti a un pubblico di spicco, ha approfittato dell'occasione per promuovere direttamente un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese: la Scozia, secondo lei, dovrebbe aderire all'UE come "paese indipendente" [8]. 

In un round confidenziale 

Mercoledì 18 settembre Sturgeon ha poi proseguito la sua campagna per la separazione della Scozia dal Regno Unito e la successiva ammissione all'UE presso la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), uno dei Think Tank piu’ influenti in materia di politica estera tedesca. Il primo ministro scozzese prevede "che nei prossimi anni la Scozia sarà indipendente ... e diventerà quindi un membro indipendente dell'UE", ha detto durante la conferenza stampa. [9] Prima della sua apparizione, coperta in maniera benevola dai principali media della Repubblica Federale ("Nicola Sturgeon - il bel volto del nazionalismo" scriveva il Tagesspiegel, [10]), ha anche avuto uno scambio di opinioni, riferisce la DGAP, "in un giro confidenziale con alcuni specialisti di politica europea". Ha inoltre incontrato, sempre in via confidenziale, il sottosegretario di Stato presso il Ministero degli Esteri Michael Roth. Roth ha poi elogiato via Twitter il "rapporto positivo tra la Germania e le controparti scozzesi". 

Spinti fuori dall’UE 

Con il suo supporto ai nazionalisti scozzesi, Berlino punta in alto. In termini geopolitici, a Berlino potrebbe sembrare vantaggioso riuscire ad imporre la secessione della Scozia e il suo ingresso nell'UE: la Gran Bretagna ne uscirebbe notevolmente indebolita. Al contrario, la Germania e l'UE uscirebbero in qualche modo rafforzate dall'adesione all'UE di un nuovo stato membro dipendente da Berlino. Non è tuttavia chiaro se e in che modo la secessione della Scozia possa essere forzata. Anche se avesse successo, l'ingresso del paese nell'UE resterebbe altamente incerto: diversi stati dell'UE, tra i quali la Spagna, respingono qualsiasi coinvolgimento dei separatisti in quanto essi stessi sono minacciati al proprio interno dalle lotte secessioniste. Al momento è piu’ probabile che una Scozia indipendente resterebbe isolata e fuori dall'UE. Berlino finirebbe quindi per portare i suoi partigiani scozzesi in una posizione scomoda che non avrebbero mai desiderato. 

Non sarebbe la prima vittoria di Pirro 


A ciò si aggiunge il fatto che Londra difficilmente accetterebbe il sostegno tedesco ai nazionalisti scozzesi. I piani del governo federale, infatti, prevedono di continuare a lavorare a stretto contatto con il Regno Unito, anche dopo che questo avrà lasciato l'UE, in modo da poter competere con gli Stati Uniti all’interno di un blocco europeo [11]. Nella capitale tedesca ciò è auspicabile per motivi politici, ma soprattutto per ragioni militari. Si può tuttavia dubitare che questo progetto sia realizzabile, soprattutto nel caso in cui Berlino dovessse contribuire alla disintegrazione della Gran Bretagna. Una separazione della Scozia dal Regno Unito, con il sostegno energico di Berlino, non sarebbe in ogni modo la prima vittoria di pirro dei tedeschi.




[1] Kevin McKenna: Nicola Sturgeon's strike for independence should not let the SNP off the hook. theguardian.com 28.04.2019.

[2] S. dazu Das Druckmittel Sezession.

[3] S. dazu Das Druckmittel Sezession (II).

[4] Simon Johnson: Nicola Sturgeon hails "phenomenal" new poll showing majority for Scottish independence. telegraph.co.uk 05.08.2019.

[5] Simon Johnson: Independence referendum fifth anniversary poll shows six out of 10 Scots want to remain in UK. telegraph.co.uk 17.09.2019.

[6] S. dazu Unser Mann in Kiew.

[7] Nicola Sturgeon erhält M100 Media Award. m100potsdam.org 02.09.2019.

[8] Acceptance Speech of Nicola Sturgeon. m100potsdam.org.

[9] Schottland sieht seine Zukunft in der EU. dgap.org 18.09.2019.

[10] Albrecht Meier: Nicola Sturgeon - das nette Gesicht des Nationalismus. tagesspiegel.de 18.09.2019.

[11] S. dazu Ein gefährliches Spiel.



lunedì 23 settembre 2019

La favola dell'integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro tedesco

Secondo gli ultimi dati ministeriali, l'integrazione nel mercato del lavoro tedesco dei rifugiati arrivati a partire dal 2015 sarebbe un successo inatteso. Ad un'analisi piu' attenta dei numeri, tuttavia, si può dire che appena il 20% dei rifugiati in età lavorativa arrivati a partire dall'autunno 2015 risulta occupato.  Ne scrive Roland Springer su Tichys Einblick


Nella disputa tra i rappresentanti del fronte degli ottimisti e dei pessimisti in merito all'integrabilità dei richiedenti asilo provenienti dalle regioni di guerra e dalle ragioni povere del Medio Oriente e dell'Africa, ancora una volta i media mainstream hanno preferito dare spazio agli ottimisti, in particolare alla Commissaria del governo federale per l'integrazione, Annette Wiedmann-Mauz. Ad esempio, la Stuttgarter Zeitung (StZ) del 10 settembre riporta che questa collaboratrice della Cancelliera, sulla base degli ultimi dati della Bundesanstalt für Arbeit (BA) relativi all’occupazione fra i richiedenti asilo, ritiene che negli ultimi quattro anni la loro integrazione nel mercato del lavoro “sia andata decisamente meglio di quanto avevano previsto gli esperti”. Ad incoraggiarla, tra le altre cose, c’è l’esperto di mercato del lavoro dell’Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) Herbert Brücker. Il Tagesschau del 9 settembre, infatti, fa riferimento ad una sua citazione quando scrive: "in autunno, è probabile che circa il 40% dei rifugiati in età lavorativa abbia un impiego".

Questa affermazione fa riferimento alle 399.000 persone provenienti dagli otto principali paesi di origine dei rifugiati, che a giugno 2019 alla BA erano registrate come occupate e coperte da assicurazione sociale (324.000 sozialversicherungspflichtig) oppure con un impiego marginale (75.000 geringfügig beschäftigt o minijobber).  Secondo la BA, ciò corrisponderebbe a un tasso di occupazione di circa il 40% per i dipendenti soggetti ad assicurazione sociale, percentuale che viene ottenuta calcolando il rapporto tra gli occupati e tutte le persone tra i 15 ei 65 anni provenienti da questi otto paesi. Per tutti gli stranieri (senza cittadinanza tedesca), attualmente il tasso corrispondente è di circa il 52%, per i cittadini tedeschi del 69 %.

Tra le circa 400.000 persone provenienti dagli otto paesi che alla BA sono state registrate come assicurate o come minijobber, non vengono calcolati solo i "rifugiati" arrivati a partire dal 2015, ma anche quelli che erano arrivati in Germania già (molto) tempo prima del 2015 o come richiedenti asilo o come migranti regolari, oppure studenti.  Fra queste persone ci sono inoltre anche coloro che sono arrivati in Germania da questi 8 paesi a partire dal 2015, ma grazie ad un altro titolo di soggiorno. Fra i circa 400.000 occupati citati da Widmann-Mauz e altri come una prova del successo non ci sono solo i richiedenti asilo arrivati in Germania dal 2015.

Le statistiche della BA infatti non mostrano le proporzioni dei vari gruppi di immigrati sul numero totale dei dipendenti degli otto paesi, a cui tuttavia gli esperti per le informazioni statistiche della BA a richiesta specifica rispondono. Nel giugno 2015, all'Agenzia federale del lavoro risultava un totale di 77.000 persone già registrate e soggette a contributi sociali (sozialversicherungspflichtig), e provenienti da questi paesi. A voler essere corretti, se l’obiettivo è quello di capire quale sia stato il successo dell’integrazione nel mercato del lavoro a partire dall'apertura delle frontiere del 2015, questi 77.000 dovrebbero essere detratti dalle 324.000 persone con assicurazione sociale dell'agosto 2019. Invece di 324.000, sarebbero quindi solo 250.000 le persone che dal 2015 sono arrivate dagli otto principali paesi di origine e che hanno un’occupazione coperta da contributi sociali, dei quali un'ampia maggioranza sicuramente arrivata come richiedente asilo e solo una piccola minoranza come migrante economico.

Il tasso di occupazione del 40%, che secondo Brücker nel frattempo sarebbe stato raggiunto, è corretto se rapportato a tutte le persone occupabili provenienti dagli otto principali paesi di origine degli attuali richiedenti asilo, che vivono in Germania da anni o addirittura da decenni, ma non è corretto se riferito ai "rifugiati" arrivati in Germania da questi paesi a partire dal 2015. Quale sia questo dato, in realtà non è mostrato dalle statistiche della BA, ma può essere calcolato in maniera approssimativa usando altre statistiche. A fine 2018 secondo l'Ufficio federale di statistica in Germania c’erano circa 1,8 milioni di richiedenti asilo. È probabile che siano entrati quasi tutti a partire dal 2015. I dati sulle fasce di età mostrano che circa il 70% dei richiedenti asilo è in età lavorativa. Abbiamo quindi a che fare con circa 1,3 milioni di richiedenti asilo occupabili, arrivati in Germania a partire dal 2015. Il loro tasso di occupazione attuale, sulla base dei 250.000 occupati soggetti ad assicurazione sociale, dovrebbe essere quindi non del 40, ma piuttosto del 20 %. Se fosse effettivamente al 40 %, considerando i circa 1,8 milioni richiedenti asilo indicati dall'Ufficio federale di statistica, allora la persone in età lavoratoriva dovrebbero essere solo 625.000.

In altre parole: su base realistica, solo il 20 % dei richiedenti asilo arrivati dal 2015 è occupato con un’assicurazione sociale. Sempre meglio di nulla, ma tutt'altro che una conferma del successo delle politiche e delle idee della lobby dell'asilo presente nella politica, negli affari, nelle organizzazioni dei datori di lavoro, nei sindacati, nelle chiese, nell’associazionismo, nelle NGO, nei media, e grazie ai quali il costante abuso dell'articolo 16 della Legge fondamentale è servito a favorire l’immigrazione economica. A ciò si aggiunge il fatto che il tasso di occupazione viene calcolato come il rapporto fra occupati e forza lavoro. Non aumenta solo quando aumenta il numero degli occupati, ma anche quando diminuisce il numero dei lavoratori. Un aumento del tasso di occupazione fra i richiedenti asilo non deriva solo ed esclusivamente dalla crescente integrazione nel mercato del lavoro, ma può anche essere il risultato di un declino dell'immigrazione dei richiedenti asilo occupabili.

Entrambi i fenomeni in Germania sono riscontrabili a partire dal 2015. Il numero degli immigrati provenienti dagli otto principali paesi di origine e registrati come lavoratori con assicurazione sociale è aumentato passando dai 77.000 di giugno 2015 ai 324.000 di giugno 2019, la maggior parte dei quali sono richiedenti asilo. Nello stesso periodo, il numero di richieste di asilo presentate all'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (BAMF) è sceso passando dalle 745.000 del 2016 alle 185.000 del 2018. Se l'arrivo dei richiedenti asilo si fosse fermato o se il numero si fosse ridotto a causa del rientro nei loro paesi d'origine, il tasso di occupazione dei richiedenti asilo rimasti nel paese sarebbe comunque cresciuto, anche nel caso di una lenta integrazione nel mercato del lavoro. In teoria potrebbe anche avvicinarsi a quello registrato fra tutti gli stranieri (52 %), che ovviamente, è piu' basso rispetto a quello registrato fra i cittadini tedeschi (69 %). 

Certo, siamo ancora lontani da una situazione del genere. Sebbene il declino delle domande di asilo registrato a partire dal 2016 sia considerevole, il numero di richieste continua ad essere significativamente superiore rispetto a quello registrato negli anni fra il 2000 e il 2012. Allo stesso tempo, il rimpatrio dei richiedenti asilo (la cui domanda è stata respinta) è più lento che mai. L'arrivo di circa 200.000 richiedenti asilo all'anno, previsto dal contratto di coalizione, rende difficile o addirittura impedisce un aumento significativo del tasso di occupazione, e allo stesso tempo garantisce un costante aumento dei destinatari di Hartz IV. Il numero dei percettori di un sussidio fra i richiedenti asilo è più che raddoppiato, passando dai circa 290.000 del giugno 2016 ai circa 600.000 di agosto 2019. Tra i richiedenti asilo arrivati dal 2015 ci sono attualmente più di mezzo milione di destinatari di Hartz IV, a fronte di circa 250.000 occupati con un'assicurazione sociale.

Chi vuole considerare questo dato come una prova convincente di una integrazione riuscita nel mercato del lavoro, probabilmente pensa più alla giustificazione di una decisione sbagliata presa nel 2015 dalla Cancelleria che non ai richiedenti asilo attirati nel paese con false promesse o la soluzione di problemi del mercato del lavoro.

In materia di asilo e integrazione la poesia e la realtà spesso vengono fra loro confuse, non solo dai sostenitori dichiarati di una società etnicamente e culturalmente omogenea, ma anche dagli aperti sostenitori di una società etnicamente e culturalmente sempre più eterogenea.


-->