venerdì 22 maggio 2020

Perché i minijob sono un fallimento e perché dovrebbero essere aboliti

Ci avevano spiegato che i minijob alla tedesca erano una buona soluzione e che bisognava importarli anche in Italia. Ma con l'arrivo della crisi i minijob si sono mostrati per quello che sono: una forma di dumping salariale, non troppo diversa dalla legalizzazione del lavoro nero. Ne scrive David Gutensohn su Zeit.de





Prima della crisi, piu' di sette milioni di persone in Germania avevano un minijob, un cosiddetto "lavoro marginale". Marginale (Geringfügig) per il Duden è sinonimo di insignificante, irrilevante o esiguo. E proprio i lavori irrilevanti, apparentemente sono stati fra i primi ad essere colpiti dalla crisi da Coronavirus. Solo a marzo, infatti, sono stati licenziati 224.000 minijobber. Il periodo di preavviso di sei settimane, che si applica anche ai minijob, in molti casi è stato ignorato. La minijob-Zentrale parla di un "declino significativo" e  tra qualche settimana prevede anche una seconda ondata di licenziamenti. I minijob non sono a prova di crisi. È giunto il momento di liberarsene.

Chi ha un monijob guadagna fino a 450 euro mensili senza doverci pagare le tasse sopra. Non ci sono costi per l'assicurazione sanitaria, per quella contro l'invalidità o la disoccupazione. E il pagamento dei contributi pensionistici è solo su base volontaria. Per i dipendenti c'è un vantaggio decisivo: i salari lordi spesso corrispondono ai guadagni netti. Originariamente i minijob -  riformati in maniera sostanziale dal governo Schröder nel 2003 - erano stati pensati per contenere il lavoro nero nelle famiglie e nelle abitazioni private, ad esempio per le pulizie o le lezioni private.

4,4 milioni di persone dipendono dai minijob

Oggi, tuttavia, la maggior parte dei minijobber in Germania non lavora nelle abitazioni private, ma negli hotel, nelle fabbriche e nell'assistenza sanitaria. Per molti di loro il lavoro da 450 euro al mese non è affatto un piccolo reddito extra di cui facilmente possono fare a meno. 4,4 milioni di tedeschi, infatti, dipendono esclusivamente dalle entrate dei minijob, e non hanno nessun altro lavoro oltre a questo. Fra questi ci sono molti studenti, genitori single e pensionati.

Durante la crisi, tuttavia, il grande vantaggio dei minijob si è trasformato in uno svantaggio: perché i minijobber non pagano alcun contributo sociale, non hanno diritto a prestazioni sociali, né ai sussidi di disoccupazione, né alla cassa integrazione. Se perdono il lavoro, come sta accadendo a centinaia di migliaia di persone, hanno solo la sicurezza di base (Hartz IV). E la crisi attuale mostra anche che per i datori di lavoro alla fine il minijob non è redditizio: non è un caso che siano proprio questi lavoratori i primi ad essere stati scaricati. Contrariamente alla credenza popolare, il minijob per i datori di lavoro non è affatto più economico rispetto ai normali rapporti di lavoro. Per un normale dipendente, infatti, il datore di lavoro deve pagare circa il 20% in termini di tasse e imposte, per i minijob piu' del  30% sotto forma di tassa forfettaria. E questo anche se il minijobber non ha diritto alle prestazioni previste dalle assicurazioni sociali.

Le posizioni a tempo pieno sono state sostituite con dei minijob

Allo stesso tempo, un certo numero di datori di lavoro ha saputo sfruttare questo costrutto. Le imprese, alla ricerca di flessibilità, hanno sostituito le loro posizioni a tempo pieno con piu' minijob, sostiene il ricercatore in scienze sociali Stefan Sell della Hochschule Koblenz. Anche l'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung afferma che molti minijob alla fine sono serviti solo per sostituire dei dipendenti a tempo pieno. Per questa ragione i minijob  da molto tempo ormai sono diventati il bersaglio di molte critiche. Invece di creare lavori più sicuri, ci sono sempre più minijob sottopagati. Invece di una cassiera a tempo pieno, in molti luoghi di lavoro hanno messo tre mini-jobber. Invece di assumere in maniera corretta i camerieri, i ristoranti preferiscono assumere tre studenti non sindacalizzati, che non fondano un Betriebsrat e non chiedono aumenti salariali.

In tempi di crisi, i datori di lavoro utilizzano questa flessibilità per poter ridurre il personale piu' rapidamente. E questa è una minaccia esistenziale, soprattutto per quelle persone per le quali il mini-job non rappresenta solo un piccolo extra-reddito.

Non ci sono aumenti salariali

E i minijob hanno anche un altro svantaggio: se in qualche settore aumentano i salari, i minijobber devono comunque restare al di sotto dei 450 euro mensili. Questo può essere fatto solo riducendo l'orario di lavoro. Per questo motivo, ad esempio, un certo numero di imprese di pulizia all'inizio di quest'anno hanno chiesto che i minijob venissero aboliti. Dal 1 ° gennaio, infatti, i salari per il personale addetto alle pulizie sono aumentati. Ma poiché nessuno può guadagnare più di 450 euro con un minijob, oltre 100.000 addetti alle pulizie hanno dovuto ridurre l'orario di lavoro. Se fosse stato solo il loro stipendio a crescere, avrebbero superato i 450 euro e sarebbero stati assoggettati a dei contributi previdenziali. Ma a causa di tasse e imposte non sarebbe rimasto quasi nulla di quell'aumento salariale. Anche per questo motivo, molti dipendenti del settore della ristorazione, dopo l'aumento del salario minimo hanno dovuto ridurre l'orario di lavoro.

Il succo della questione è che i minjobs possono essere usati per evitare gli aumenti salariali. Sostituiscono i lavori regolari e in tempi di crisi rappresentano un onere per i datori di lavoro. È arrivato il momento di rinunciare a questo modello di lavoro. Esperti come Enzo Weber  dell'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung e i Verdi, ad esempio, suggeriscono di sostituire i minijob con dei lavori soggetti a dei contributi previdenziali. E questa è anche l'unica strada giusta.

Il lavoro dovrebbe prevenire la povertà in vecchiaia

Affinché le persone in futuro possano avere una maggiore protezione dai rischi, è necessario che i lavoratori versino dei fondi nelle casse della previdenza sociale in modo da maturare un diritto a delle prestazioni future. Sono necessari dei posti di lavoro in grado di prevenire la povertà in vecchiaia, perché con questi impieghi sarà possibile riempire le casse della previdenza sociale. E c'è bisogno anche di un altro modo di guadagnare un secondo reddito aggiuntivo, che sia anche esente da imposte e quindi attraente per i pensionati, gli studenti e i genitori single.

Per fare si' che ciò sia possibile, ogni ora lavorata dovrà essere coperta dalle assicurazioni sociali. Allo stesso tempo, lo stato dovrà sovvenzionare chi guadagna poco rinunciando a tassare queste persone, come fa ad esempio per i cosiddetti midijobs. Dal 2019 infatti è possibile guadagnare tra i 450 e 1.300 euro lordi al mese, con una bassa tassazione e con pochi contributi sociali, che però crescono all'aumentare dello stipendio. Contrariamente ai mini-jobs, questi posti di lavoro sono a prova di crisi: le aziende possono fare domanda per la cassa integrazione invece di licenziare i lavoratori. Alla fine tutti ne traggono un beneficio.



giovedì 21 maggio 2020

Perché Merkel è dovuta andare incontro alle richieste di Macron

Eric Bonse è un corrispondente indipendente da Bruxelles, sempre ben informato sui retroscena europei e mai troppo allineato con il conformismo tipico della grande stampa tedesca. Dalle colonne di Cicero ci spiega perché Merkel dopo una lunga esitazione e molti tatticismi è dovuta andare incontro alle richieste di Macron e degli europei del sud.  Eric Bonse da Cicero.de

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Le immagini video sembrano arrivare da un'altra epoca. Dal palazzo dell'Eliseo a Parigi arriva il volto di un radioso capo di stato francese abbronzato che ondeggia davanti a una cancelliera di buon umore. Emmanuel Macron e Angela Merkel sembrano essersi vestiti a festa per questo giorno importante. Il giorno che segna la rinascita dell'UE dopo la crisi del coronavirus, ma anche la rinascita del tandem franco-tedesco.

Merkel e Macron avevano già concordato in precedenza che 500 miliardi di euro sarebbero dovuti confluire nella ricostruzione economica del dopo-crisi. Gli aiuti dell'UE sarebbero dovuti andare ai paesi in crisi dell'Europa meridionale, sia come sovvenzioni permanenti che come prestiti rimborsabili. La Commissione europea da Bruxelles dovrebbe garantirne il finanziamento tramite obbligazioni emesse "a nome dell'UE" sui mercati finanziari.

Rottura della diga o passaggio storico?

Cosa è successo? È davvero "un passo storico per la Francia e la Germania e anche un passo storico per l'intera Unione europea", come celebrato dal Ministro delle finanze francese Bruno Le Maire? Oppure è una "rottura della diga che capovolge l'intero quadro giuridico attualmente in vigore", come teme il capo-gruppo parlamentare di AfD al Bundestag, Alice Weidel?

Innanzitutto è una vera sorpresa. Perché Macron e Merkel da molto tempo non si mostravano cosi' uniti. Sei settimane fa, infatti, durante una videoconferenza in un vertice UE fallito, si erano scontrati violentemente. La Cancelliera si era schierata con gli europei del nord, a sostegno di una rigida disciplina di bilancio, rifiutando categoricamente ogni indebitamento dell'UE.

La Cancelliera ha esitato a lungo

Macron, dall'altra parte, insieme a Italia, Spagna e altri sei paesi dell'UE, chiedeva un „Recovery Fund“ finanziato a debito. Poiché non vi era stato un accordo, la decisione controversa era stata rinviata e la Commissione europea era stata incaricata di sondare un compromesso e di elaborare un piano in grado di raggiungere un consenso. Anche il presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva avuto delle difficoltà: chiedeva di produrre risultati entro pochi giorni.

E ora invece arriva questo accordo. Il primo colpo non è arrivato da Bruxelles, ma da Berlino e Parigi. E ha poco a che fare con i ferrei principi degli europei del nord, ma si avvicina piuttosto ai desideri degli europei del sud. Almeno a prima vista. A un esame più attento, però, le cose sono un po' diverse. Sia Macron che Merkel hanno dovuto fare qualche spostamento. E dopo una lunga esitazione, Merkel ha dovuto abbandonare quelle posizioni che nel frattempo erano diventate insostenibili.

Eccezione e responsabilità proporzionale

Secondo il compromesso franco-tedesco, in futuro ci saranno dei debiti dell'UE, ma solo una volta, e solo per questa situazione eccezionale legata al coronavirus. Merkel apparentemente si augura che non diventi un precedente. La Cancelliera è stata anche in grado di garantire l'esclusione di ogni responsabilità solidale. La Germania e gli altri paesi dell'UE dovrebbero essere responsabili solo per quella (limitata) quota versata nel bilancio dell'UE a titolo di garanzia.

Sarà comunque costoso, perché i debiti dovrebbero essere rimborsati a rate da tutti i paesi dell'UE e non dai destinatari degli aiuti, come chiedono gli europei del Nord. La Germania pertanto per anni dovrà pagare dei contributi più elevati all'UE. Ciò sarà tuttavia parzialmente compensato dal congelamento del futuro bilancio europeo a poco più dell'1% del PIL. Macron qui ha dovuto ingoiare un rospo, chiedeva infatti molto di più.

Il capo di stato francese inoltre ha dovuto accettare che gli aiuti dell'UE in futuro siano collegati a delle riforme. Nel documento tedesco-francese si parla di "resilienza, convergenza e competitività". Questa è una vecchia richiesta della Cancelliera, e risale ai tempi dell'eurocrisi. Anche allora Merkel voleva costringere i paesi in crisi a fare dei tagli con dei "contratti di riforma" - e ora è tornata a fare questa richiesta proprio durante la crisi da coronavirus.

Perché la Commissione Europea non ha prodotto risultati?

A monitorare l'attuazione delle riforme dovrebbe essere la Commissione europea. Le autorità di Bruxelles, infatti, aspettavano da tempo un'opportunità del genere per poter attuare le loro raccomandazioni di politica economica liberista. Finora non erano mai riusciti a farlo durante il "semestre europeo", perché la maggior parte dei paesi ignorava il parere dell'UE. Ora saranno in grado di imporle: anche Parigi da sempre è contraria ai requisiti di riforma richiesti da Bruxelles. Si sono mossi tutti, Merkel come Macron.

Ma perché Merkel è andata incontro ai francesi? Non avrebbe potuto portare avanti le sue idee insieme alla collega di partito von der Leyen? A questa domanda probabilmente non si potrà mai dare una risposta definitiva. Le discussioni che contano a Bruxelles vengono tenute dietro le quinte; persino gli insider non saprebbero dire perché von der Leyen non abbia prodotto dei risultati più rapidamente.

Tedeschi vincitori della crisi 

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che Merkel ha esitato con dei tatticismi fino a quando non è stata lei stessa a finire sotto pressione. Da quando la Corte costituzionale federale si è pronunciata in merito agli acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (BCE), la Germania si trova sul banco degli imputati. Von der Leyen minaccia persino di avviare una procedura di infrazione contro la Germania in quanto i giudici di Karlsruhe ritengono di essere al di sopra del diritto dell'UE e della Corte di giustizia europea del Lussemburgo. E questo ha danneggiato anche la posizione di Merkel nell'UE.

La posizione tedesca nel corso della crisi da coronavirus inoltre era diventata insostenibile. All'inizio della pandemia, infatti, Merkel poteva ancora sostenere che la Germania fosse stata colpita quanto gli altri paesi dell'UE e respingere le richieste dell'Europa meridionale. Ora che l'ondata del coronavirus si sta attenuando, questo argomento non funziona più. La Germania è il grande vincitore di questa vicenda - non solo nella lotta contro l'epidemia, ma anche nell'affrontare le conseguenze economiche e sociali della crisi.

Nuovo piano finanziario in estate

Se sei il vincitore, tuttavia, devi anche essere più generoso, soprattutto se vuoi continuare a beneficiare dell'UE e del suo redditizio mercato interno. Merkel lo ha riconosciuto e ha abbandonato le posizioni dell'Europa del nord diventate ormai insostenibili. Si è avvicinata a Macron e agli Europei del sud, ma non piu' di quanto fosse necessario - e ora spera di riuscire a portare dalla sua parte anche gli altri europei del nord.

Ma questo potrebbe essere più difficile del previsto. Il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, il primo ministro olandese Mark Rutte e gli altri oppositori dell'indebitamento dell'UE erano al corrente dei piani di Merkel. Berlino ha sempre mantenuto stretti contatti con i "quattro frugalisti". Ma la loro resistenza sembra essere più dura del previsto. Kurz ha persino annunciato una proposta alternativa.

E questo piano minaccia la riedizione di quell'aspra disputa che ha causato il fallimento del primo vertice sul bilancio europeo di febbraio. Ma Merkel nella manica ha ancora una carta vincente. L'ultima parola sul nuovo piano finanziario dovrebbe essere pronunciata fra qualche settimana, proprio sotto la presidenza tedesca dell'UE. Sarà quindi Merkel ad avere la pistola in mano. Con il suo accordo con Macron, si è assicurata una posizione in prima fila e in autunno potrebbe sgomberare il tavolo.

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mercoledì 20 maggio 2020

La strada che porta alla fine dell'euro

Martin Höpner, grande intellettuale tedesco e professore di scienze politiche al prestigioso Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung di Colonia, prova a ipotizzare cosa accadrebbe se la BCE desse ascolto agli unionisti piu' facinorosi e ignorasse la sentenza della Corte di Karlsruhe. Ne scrive Martin Höpner su Makroskop.eu


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Diversi critici della sentenza della Corte costituzionale tedesca chiedono di ignorare il verdetto del 5 maggio. Ma sono consapevoli che alla fine di questa sequenza, con la quale in realtà vorrebbero punire Karlsruhe, potrebbe esserci proprio la fine dell'Eurozona?

Nell'ambito del dibattito sulla recente sentenza della Corte costituzionale federale sull'operato della BCE, i critici chiedono alla Banca centrale europea di ignorare qualsiasi richiesta del Bundestag di presentare una prova della proporzionalità del programma di acquisto delle obbligazioni PSPP: la BCE non dovrebbe ricevere alcuna linea di indirizzo dai parlamenti nazionali.

Gli autori di tali proposte e di altre simili vorrebbero una ulteriore intensificazione del conflitto. È chiaro o meno ai critici (decisamente filo-europeisti) che alla fine di questa sequenza, con la quale vorrebbero punire Karlsruhe, potrebbe esserci la fine dall'Eurozona? È davvero quello che vogliono?

Qui sotto potete leggere come potrebbe andare avanti il conflitto se le parti in causa dovessero persistere senza compromessi sulle loro posizioni:

3 giugno 2020: sulla base dei risultati delle audizioni pubbliche del parlamento tedesco del 25 maggio, il governo federale e il Bundestag rispettano i loro obblighi ai sensi dell'orientamento numero 9 della sentenza di Karlsruhe e pertanto chiedono alla BCE di preparare un'analisi in merito alla proporzionalità degli acquisti di obbligazioni effettuati nell'ambito del PSPP.

9 giugno 2020: il Consiglio della BCE si riunisce e respinge le richieste arrivate da Berlino. Le istruzioni provenienti dagli organi degli Stati membri non sono accettate. Il non dover seguire le indicazioni dei parlamenti e dei governi, è la garanzia ultima dell'autonomia della banca centrale. I fautori della linea morbida restano una minoranza isolata.

5 agosto 2020: il termine stabilito dalla Corte costituzionale federale è scaduto senza che la BCE abbia presentato l'analisi richiesta in merito alla proporzionalità del PSPP.

6 agosto 2020: la Bundesbank interrompe la sua partecipazione alla realizzazione del PSPP.

7 agosto 2020: la Commissione rilascia una dichiarazione in cui invita la Germania ad accettare il primato del diritto europeo sul diritto costituzionale degli Stati membri e ad ordinare alla Bundesbank di riprendere con l'attuazione dei programmi.

10 agosto 2020: data la gravità della crisi costituzionale europea, i membri del governo tedesco annullano le loro vacanze estive.

11 agosto 2020: un vertice anti-crisi a Bruxelles si conclude senza risultati. La Germania afferma di essere vincolata dalle sentenze della Corte costituzionale federale.

12 agosto 2020: la BCE annuncia che d'ora in poi effettuerà autonomamente la parte tedesca degli acquisti di titoli.

1 settembre 2020: dopo che da settimane cresce la pressione sul presidente tedesco della Commissione, la von der Leyen alla fine cede e annuncia una procedura di infrazione contro la Germania.

1 novembre 2020: si apre la procedura.

5 maggio 2021: la Corte di giustizia europea annuncia la sua sentenza sulla causa "Commissione contro Germania". La Commissione vince. La Germania è condannata a pagare una penale per ogni giorno aggiuntivo in cui ha violato i suoi obblighi ai sensi del diritto europeo.

6 maggio 2021: il governo federale annuncia che accetterà la multa con riserva e che lavorerà ad una soluzione politica al conflitto.

13 maggio 2021: un gruppo comprendente Markus Kerber, Peter Gauweiler e Johann Heinrich von Stein fa un ricorso alla Corte costituzionale federale contro il pagamento della penale.

12 marzo 2022: la Corte costituzionale federale accoglie il ricorso e giudica il verdetto del caso "Commissione contro Germania" come "ultra vires". La Corte dà alla BCE un altro periodo di tre mesi per presentare una valutazione della proporzionalità degli acquisti nell'ambito del PSPP. In caso contrario, la partecipazione della Germania all'unione monetaria, mette in chiaro la corte di Karlsruhe, non è compatibile con la Legge fondamentale.

12 giugno 2022: la scadenza fissata viene superata senza che la BCE abbia presentato una prova della proporzionalità.

1 ottobre 2022: la Germania lascia l'euro. Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Finlandia, Austria, Estonia, Lettonia e Slovenia annunciano che seguiranno l'esempio tedesco.


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domenica 17 maggio 2020

Fino a 3 anni di reclusione per chi brucia la bandiera dell'UE

Giovedi' sera il Bundestag ha approvato una nuova legge che prevede fino a 3 anni di reclusione per il reato di vilipendio della bandiera dell'UE oppure dell'inno europeo. Ne scrive RT Deutsch





Chiunque dia fuoco in pubblico alla bandiera dell'UE o alla bandiera di un paese straniero in futuro rischierà fino a tre anni di carcere. Il Bundestag giovedì sera ha approvato una modifica della legge corrispondente. Grazie a questa nuova legge anche l'inno dell'UE avrà una maggiore tutela.

Finora solo i simboli di stato della Repubblica Federale Tedesca erano protetti contro il vilipendio. Per gli emblemi nazionali degli altri paesi o dell'Unione Europea, una simile protezione era possibile solo a determinate condizioni

Con l'introduzione di un ulteriore passaggio nel codice penale, questa scappatoia legale in futuro non ci sarà piu'. D'ora in poi, infatti, le violazioni della nuova legge potranno essere punite con un massimo fino a tre anni di carcere o con una multa. Oltre al vilipendio della bandiera dell'UE e degli altri paesi, viene inclusa anche la loro distruzione, il danneggiamento o la deturpazione. Anche il solo tentativo è considerato punibile. I nuovi regolamenti hanno anche lo scopo di migliorare la protezione dell'inno dell'UE dagli insulti e dalle ingiurie. (...)

Il cambiamento introdotto era stato deciso in seguito agli incidenti del 2017 quando a Berlino dei manifestanti avevano fatto a pezzi delle bandiere israeliane. Christine Lambrecht, ministro federale della giustizia, sull'argomento ha commentato:

"Il rogo di una bandiera in pubblico non ha nulla a che fare con la protesta pacifica. Le bandiere in fiamme feriscono i sentimenti di molte persone."

Secondo il ministro tali atti alimenterebbero invece "l'odio, la rabbia e l'aggressività". Con l'estensione del reato appena approvata, d'ora in poi "per le bandiere straniere e i simboli dell'Unione europea dal punto di vista penale ci sarà una protezione uniforme", ha affermato il ministro.


sabato 16 maggio 2020

Andreas Nölke - Perché non possiamo lasciare solo alla destra tedesca la difesa della sentenza della Corte di Karlsruhe

Il grande intellettuale tedesco Andreas Nölke ci spiega perché la difesa delle prerogative della Corte Costituzionale federale non può essere lasciata solo alla destra tedesca e perché anche a sinistra bisogna avere il coraggio di schierarsi con i giudici di Karlsruhe. Una riflessione molto interessante di Andreas Nölke su Makroskop.eu




L'eccitazione per la recente sentenza della Corte costituzionale federale sembra non avere fine. Gli economisti continuano a discutere dell'impatto potenzialmente grave che la limitazione degli acquisti di titoli di stato potrebbe avere sulla stabilità dell'Unione economica e monetaria. I giuristi discutono in merito alla questione della gerarchia tra il diritto europeo e il diritto costituzionale nazionale e la possibile destabilizzazione dell'Unione europea, nel caso in cui la Corte di giustizia europea non dovesse essere  piu'  considerata la massima autorità.

Dal punto di vista delle scienze politiche, tuttavia, c'è un aspetto della discussione finora completamente trascurato: quello della democrazia. Nel dibattito, ovviamente, entrambe le parti presumono che alla fine siano le Corti a dover decidere su questioni come l'acquisto di obbligazioni. Tutto ciò sembra invece alquanto dubbio, dal momento che ne emerge una comprensione discutibile della democrazia.

Concezione liberale contro concezione repubblicana della democrazia

La comprensione liberale della democrazia presuppone che debbano essere imposte delle chiare restrizioni alla maggioranza, non solo attraverso i diritti fondamentali, ma anche attraverso dei tribunali costituzionali molto attivi e potenti. Dal punto di vista di una comprensione repubblicana della democrazia, tuttavia, questo punto di vista resta problematico. Perché ad essere limitato,  in questo modo, è soprattutto il nucleo di quello che gli elettori possono decidere. Allo stesso tempo, le elezioni, i parlamenti e le maggioranze in pratica spesso vengono sostituite da istituzioni non maggioritarie che hanno solo una legittimità democratica molto indiretta.

Nella prospettiva repubblicana, la democrazia viene principalmente intesa come l'autodeterminazione delle comunità politiche, attraverso una forte partecipazione mediata da elezioni, trasparenza e deliberazione. Nella prospettiva liberale, invece, si tratta principalmente dell'autodeterminazione dell'individuo. Qui la partecipazione politica è meno importante rispetto alla protezione delle libertà individuali, per le quali le corti costituzionali in particolare svolgono un ruolo centrale.

Nessuno può sostenere che ci sia stato un processo decisionale per la nomina dei giudici di Karlsruhe o addirittura del Lussemburgo, che dal punto di vista repubblicano soddisfi i criteri tipici dei processi democratici: un collegamento diretto con le decisioni elettorali, la trasparenza e la deliberazione pubblica. Da questo punto di vista, è quindi importante limitare, invece che rafforzare, la posizione di potere di tali istituzioni non maggioritarie. Dovrebbero essere almeno invitate a prestare attenzione.

Contrariamente a una comprensione ampiamente diffusa in Germania (e implicitamente liberale), una democrazia ben funzionante non richiede necessariamente una corte costituzionale energica. La Svizzera, ad esempio, che ha un sistema politico particolarmente vicino alle idee repubblicane sulla democrazia, ha una giurisdizione costituzionale molto debole, e molto limitata nei suoi poteri. Allo stesso tempo, la Svizzera spesso viene  vista come una democrazia esemplare.

Forse troppo miope

Nel dibattito in corso è sorprendente che molti commentatori che si considerano "di sinistra" o "progressisti" si limitino a schierarsi dalla parte dell'una o dell'altra corte. Entrambe le posizioni sono problematiche.

Gli unionisti stanno incoraggiando la Commissione ad avviare una procedura di infrazione per consentire alla Corte di giustizia europea di rimpiazzare la Corte costituzionale federale e di garantire che la BCE continui a perseguire la politica economica necessaria a stabilizzare la fragile eurozona.

Gli euroscettici, invece, sono lieti che il corso verso la sovranazionalizzazione dell'UE sia stato finalmente fermato dalla Corte costituzionale federale. Entrambi sono atteggiamenti legittimi (ed è noto che io sono propenso verso quest'ultimo, specialmente fino a quando l'UE resterà così neoliberista), ma da una prospettiva repubblicana, bisogna prima considerare per quale istituzione ci si sta battendo.

Martin Höpner ha giustamente sottolineato più volte che la Corte di giustizia europea nel processo di integrazione europea svolge un ruolo molto problematico in quanto non solo è uno dei principali motori della macchina che lavora alla liberalizzazione economica, ma ha anche sancito il primato del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale, originariamente non previsto dai trattati europei e che invece è stato introdotto dalla sentenza "Costa contro Enel" del 1964 senza un mandato dei parlamenti e dei governi. Si tratta di una decisione chiaramente problematica dal punto di vista di ogni teoria della democrazia.

Ma anche la Corte costituzionale federale non appartiene necessariamente al fronte dei "bravi ragazzi", se ogni tanto mette un bastone tra le ruote degli unionisti. Dopotutto, esiste una lunga tradizione di critiche da sinistra nei confronti del ruolo della Corte costituzionale tedesca in quanto "legislatore sostitutivo" non sufficientemente legittimato. Invece di limitarsi al ruolo di correttivo per le decisioni nelle quali il legislatore o il governo hanno chiaramente superato le proprie competenze, la Corte costituzionale federale formula regolarmente delle proprie disposizioni che prescrivono specificamente per il legislatore il contenuto delle leggi.

Gli osservatori da sinistra potrebbero aver dimenticato questo problema perché da molto tempo ormai non abbiamo piu' un governo progressista che si sia potuto scontrare con la Corte costituzionale federale.

Cosa emerge nell'attuale dibattito sulla comprensione repubblicana della democrazia? Bene, prima di tutto bisogna trattenersi dal fare il tifo per il verdetto dell'una o dell'altra Corte. In questo round, il "piatto preferito" potrebbe aver rafforzato la propria posizione, ma nel prossimo può cambiare tutto molto alla svelta. Dal punto di vista della sovranità popolare tipica della forma repubblicana, le decisioni politiche più importanti non dovrebbero essere prese dai tribunali, ma dai parlamenti.

A proposito: il riferimento è ai parlamenti nazionali, perché nessuno può dire che la sovranità popolare democratica a livello del Parlamento europeo funziona come al Bundestag (con tutti i deficit del nostro sistema politico nazionale).

Controllo democratico delle banche centrali

Da questo punto di vista, il controllo democratico sull'attività delle banche centrali in futuro sarà ancora più importante. Come le corti costituzionali, queste ultime sono istituzioni non maggioritarie che dal punto di vista dei liberali sono molto apprezzate, ma vengono invece viste criticamente dai repubblicani. Indipendentemente da come vengono valutate economicamente le decisioni delle banche centrali contemporanee, dal punto di vista della comprensione repubblicana della democrazia, il loro impatto economico-politico supera di gran lunga le competenze che possono essere concesse alle istituzioni non elette. Le decisioni con simili effetti di redistribuzione sono nelle mani dei parlamenti nazionali.

L'indipendenza delle banche centrali dai parlamenti e dai governi storicamente è stata giustificata dal fatto che diversamente le banche centrali avrebbero teso ad adottare politiche inflazionistiche per sostenere la rielezione del governo, favorendo la crescita economica di breve termine. Ciò può o non può essere vero (piu' no che si, visto che l'inflazione ha cause completamente diverse dalla politica monetaria), ma nella migliore delle ipotesi può essere legittimata se il legislatore assegna alle banche centrali una gamma molto ristretta di compiti tecnici per mantenere un certo tasso di inflazione, senza soppesare gli effetti delle diverse politiche.

Senza considerare il fatto che la BCE ha fissato autonomamente il proprio obiettivo di inflazione, le sue attività per anni sono state lontane da questo mandato tecnocratico - soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2007/2008, nella misura in cui (volenti o nolenti) la banca centrale in pratica ha usurpato il compito del governo economico d'Europa. Il fatto che gli organismi effettivamente legittimati per fare ciò non si occupino del governo economico europeo non cambia il fatto che questo stato di cose sia insopportabile dal punto di vista della sovranità popolare democratica.

Le questioni politiche fondamentali - come il bilanciamento fra crescita e stabilità dei prezzi (e dei rendimenti per i risparmiatori) - devono essere decise dai parlamenti nazionali, non dalle banche centrali o dalle corti costituzionali, dati i loro significativi effetti redistributivi. Sebbene questa massima non sia molto di aiuto nell'attuale concorso di bellezza fra le Corti (oppure nella valutazione della politica economica dei programmi della BCE), non la si dovrebbe dimenticare quando si discute del futuro delle nostre istituzioni legali, economiche e politiche.


giovedì 14 maggio 2020

Carne da cannone per i grandi macelli tedeschi

Nei grandi macelli tedeschi l'epidemia di Covid-19 ha colpito centinaia di lavoratori migranti provenienti dall'Europa dell'est, scatendando addirittura la protesta ufficiale delle ambasciate dei paesi di origine. Si tratta di forza lavoro a basso costo, fornita spesso da subappaltatori senza troppi scrupoli, che garantisce ai grandi mattatoi tedeschi la possibilità di invadere i mercati europei e mondiali con dei prodotti dal prezzo competitivo e Made in Germany. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy



Troppo lavoro, salario troppo basso

Le condizioni catastrofiche nelle quali i lavoratori migranti, provenienti in particolare dall'Europa dell'est o del sud-est, sono costretti a lavorare nei mattatoi tedeschi sono note da anni. L'orario di lavoro spesso è molto più lungo di quanto consentito dalla legge; nello Schleswig-Holstein, ad esempio, è stato documentato un caso in cui i dipendenti dovevano fare un turno di dodici ore per cinque giorni alla settimana, a volte con un sesto giorno lavorativo. [1] I bassi salari spesso vengono pagati in maniera non regolare; in caso di malattia il pagamento dello stipendio non sempre è garantito. Anche la salute e la sicurezza sul lavoro lasciano molto a desiderare; numerosi lavoratori hanno dovuto lottare contro i licenziamenti arbitrari oppure sono stati minacciati. I gestori dei macelli possono continuare a mantenere queste miserabili condizioni di lavoro solo grazie all'evidente divario in termini di ricchezza presente nell'UE: i miseri guadagni promessi, infatti, restano comunque attraenti per molti lavoratori provenienti dai paesi ad est o sud-est dell'UE. Numerosi lavoratori - in alcuni mattatoi fino all'80% della forza lavoro - vengono infatti intermediati da dei subappaltatori parzialmente o estremamente dubbi, il che favorisce ulteriormente lo sfruttamento delle persone colpite. Questi - soprattutto a causa della mancanza di competenze linguistiche - hanno poche possibilità di difendere i loro diritti.

Difficile trovare un macello senza violazioni

Lo sfruttamento senza limiti dei lavoratori provenienti dall'Europa dell'est e sud-est da anni viene duramente criticato dai sindacati tedeschi, dalle associazioni religiose e dalle organizzazioni non governative. Le agenzie governative, d'altra parte, non hanno mai preso le misure necessarie e appropriate per contrastare il fenomeno; a parte i controlli inadeguati, come affermato in una lettera di fine gennaio della confederazione sindacale DGB dello Schleswig-Holstein, esistono "lacune legali e lacune procedurali" che "offrono ancora troppo spazio ai subappaltatori e agli operatori dei macelli", "leggi senza sanzioni e molto facili da eludere (ad esempio: legge sull'orario di lavoro e le leggi sulla salute e la sicurezza sul lavoro)". [2] L'estensione del fenomeno emerge da un controllo che il Land Nordrhein-Westfalia ha effettuato l'estate scorsa in 30 dei 34 macelli più grandi. Solo in due aziende non sono state riscontrate violazioni, è stato riferito; già dopo un'analisi del 40 % dei documenti sequestrati, sono state scoperte oltre 3.000 violazioni dell'orario di lavoro, inclusi i contratti di lavoro da 16 ore; in oltre 900 casi, l'assistenza sanitaria prescritta non era garantita; in 26 delle 30 società vi erano numerosi gravi mancanze in termini di salute e sicurezza [3].

Posizione di vertice nel mercato mondiale

Le disastrose condizioni nei macelli non solo consentono all'industria della carne tedesca di vendere carne a basso prezzo sul mercato interno. Ma offrono anche l'opportunità di competere sul mercato mondiale per importanti quote di export. Le aziende tedesche, infatti, hanno avuto negli ultimi anni un discreto successo. La Germania attualmente è il quinto esportatore di carne al mondo (dopo Stati Uniti, Brasile, Australia e Paesi Bassi) e il terzo esportatore di carne di maiale (dopo Spagna e Stati Uniti) in termini di valore dell'export; le vendite provenienti dalle sole esportazioni di maiale nel 2019 sono state di circa 5 miliardi di dollari. Il più grande mattatoio tedesco, Tönnies a Rheda-Wiedenbrück, nel Nord Rhein-Westfalia, nell'ultimo anno, con la lavorazione di circa 20,8 milioni di suini - più di tre quarti in Germania - e 440.000 capi di bovini, ha raggiunto un fatturato record di 7,3 miliardi di euro. [4] La società non diffonde i dati sui suoi profitti.

Aumento del rischio di infezione

Fra le condizioni che consentono all'industria della carne tedesca di generare vendite importanti e di mantenere una posizione di vertice sul mercato mondiale c'è anche quella di far alloggiare i lavoratori dell'Europa orientale e sud-orientale in abitazioni alquanto misere, per le quali gli affitti sono troppo alti e che di solito vengono regolarmente detratti dai loro salari. Fra questi ci sono gli alloggi collettivi nelle ​​stalle riconvertite oppure dei vecchi appartamenti, spesso sovraffollati, scarsamente arredati e con delle attrezzature igieniche insufficienti: "alloggi collettivi, in stabili disastrati, in stanze distrutte, stipate di persone", afferma il prete cattolico Peter Kossen, che da anni si batte per avere migliori condizioni lavorative nel settore della carne [5]. La sistemazione di gruppi di lavoratori in spazi angusti, con la presenza di muffa che causa malattie respiratorie, favorisce la diffusione di malattie virali, come del resto accade con il trasporto dei lavoratori a basso salario verso i macelli effettuato con dei minibus molto piccoli. Il Robert Koch Institute lo aveva confermato espressamente quasi un anno fa. All’epoca, nel corso del 2018, si erano verificati 13 casi di tubercolosi tra i dipendenti di due macelli della Bassa Sassonia; uno conclusosi fatalmente. Dei 13 malati, undici erano rumeni. Il Robert Koch Institute aveva dichiarato esplicitamente che "le condizioni di vita ristrette all’interno di spazi condivisi" hanno portato "ad un aumento del rischio di trasmissione"; inoltre, potrebbe esserci un "rischio di infezione ... a causa dei lunghi tempi di viaggio in veicoli condivisi, sia nei viaggi dal paese di origine verso la Germania", che " nei viaggi tra casa e lavoro (principalmente nel servizio navetta delle società subappaltatrici)". I 13 casi sono stati una “evidente esplosione" di tubercolosi. [6]

Centinaia di infezioni da Covid-19

L'aver totalmente ignorato per molti anni le disastrose condizioni di vita e di lavoro degli europei dell'est e del sud-est, che con il loro lavoro garantiscono la disponibilità di carne a basso costo nei supermercati tedeschi e alti profitti alle aziende tedesche nel settore della macellazione, ora sta avendo un impatto anche sulla pandemia di Covid 19. A fine aprile, il governo rumeno ha fatto sapere che 200 dei 500 lavoratori rumeni occupati in un macello a Birkenfeld (Baden-Württemberg) erano stati infettati dal virus Covid-19. [7] Nel frattempo, sono emersi anche altri casi che riguardano i macelli di Oer-Erkenschwick (Renania settentrionale-Vestfalia) e Bad Bramstedt (Schleswig-Holstein). Recentemente ha fatto notizia un mattatoio a Coesfeld (Renania settentrionale-Vestfalia), dove fino a ieri 249 dipendenti erano risultati positivi al Covid-19, inclusi numerosi rumeni, bulgari e polacchi; 278 risultati dei test erano ancora in sospeso. [8] Le tristi condizioni che costringono molti lavoratori dell'Europa orientale e sudorientale in Germania a vegetare destano meno attenzione rispetto al fatto che le infezioni hanno fatto crescere le statistiche Covid-19 del distretto di Coesfeld al di sopra della soglia dei 50 nuovi contagi ogni 100.000 abitanti, soglia oltre la quale il lockdown deve essere prolungato.

La protesta

Il fatto che decine di migliaia di cittadini provenienti dall'Europa dell’est e sud-est debbano vivere e lavorare in condizioni che li espongono sistematicamente al rischio di infezione da Covid-19, ha causato proteste in molti dei loro paesi di origine. La Germania non solo deve fornire "più risorse per le ispezioni" nei macelli, ma dovrebbe anche avviare "una campagna di informazione", che "enfatizzi i diritti che i datori di lavoro tedeschi dovranno rispettare", afferma il deputato rumeno Dragoș Pîslaru dell'alleanza USR-PLUS. [9] Inoltre, come ammesso anche dal Ministro del lavoro tedesco Hubertus Heil, diverse ambasciate degli Stati membri dell'UE dell'Europa orientale e sud-orientale si sono lamentate con il governo federale per il trattamento riservato ai loro cittadini in Germania e si sono "espressamente riservati di prendere altre misure", ad esempio fermando la partenza dei lavoratori stagionali, che vivono e lavorano in condizioni analoghe a quelle dei loro colleghi nei macelli. [10] E ciò significa che Berlino, oltre a dover affrontare un forte risentimento da parte di Francia e Lussemburgo [11] causato della chiusura unilaterale delle frontiere, e a confrontarsi con una rabbia crescente nell'Europa meridionale causata della sua politica anti-crisi, specialmente in Italia [12], ora potrebbe trovarsi di fronte anche ad un altro conflitto radicato molto in profondità fra le popolazioni dei paesi colpiti.
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[1], [2] Schleswig-Holsteinischer Landtag: Umdruck 19/3501. 29.01.2020.
[3] Sabine Tenta: Desaströse Arbeitszustände in NRW-Schlachthöfen. www1.wdr.de 16.10.2019.
[4] Anja Müller, Katrin Terpitz: Großschlachterei Tönnies knackt die Umsatzmarke von sieben Milliarden Euro. handelsblatt.com 05.03.2020.
[5] Wenke Husmann: "Die Leute haben große Angst". zeit.de 10.05.2020.
[6] Robert Koch-Institut: Epidemiologisches Bulletin Nr. 26. 27.06.2019.
[7] Mehr als 200 rumänische Arbeiter in Schlachthof mit Coronavirus infiziert. spiegel.de 29.04.2020.
[8] Infektionszahlen in Coesfeld weiter gestiegen. aerzteblatt.de 11.05.2020.
[9] Dana Alexandra Scherle: Rumänischer EU-Abgeordneter Pîslaru: Mehr Schutz für Saisonarbeiter! dw.com 08.05.2020.
[10] Massimo Bognanni, Oda Lambrecht: "Unhaltbare Zustände". tagesschau.de 08.05.2020.
[11] S. dazu Bleibende Schäden (I).
[12] S. dazu Die Solidarität der EU (II) und Germany First.

martedì 12 maggio 2020

Jörg Meuthen: "Von der Leyen contro il nostro paese"

“Von der Leyen dovrebbe vergognarsi anche solo per aver preso in considerazione la possibilità di aprire una procedura di infrazione contro il suo paese. Ma lei ovviamente non sa nemmeno cosa sia la vergogna…” scrive Jörg Meuthen, leader di AfD. E su questo tema molto probabilmente nei prossimi mesi AfD cercherà di alzare il livello dello scontro e stanare il governo di Berlino. Questo non è il blog di AfD in lingua italiana, tuttavia ogni tanto vale la pena andare a sbirciare cosa scrive sul suo profilo FB Jörg Meuthen

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Cari lettori, cosa accadrebbe nel nostro paese se ad esempio, Alexander Gauland o io provassimo non solo a commentare criticamente le decisioni della Corte costituzionale federale, ma anche ad attaccarla in maniera dura mettendone in discussione la sua autorità? 

Ve lo dico io: politicamente saremmo finiti (e giustamente) e verremmo messi sotto la sorveglianza dei servizi (Verfassungsschutz) in quanto nemici dell'ordine liberal-democratico. 

Questo, vale a dire attaccare duramente la Corte costituzionale federale tedesca e mettere in discussione la sua massima autorità giudiziaria, è esattamente ciò che ha fatto la signora von der Leyen, presidente della Commissione europea. 

Dopo la sentenza di Karlsruhe sulla presunta incompatibilità fra la condotta della Banca centrale europea e la Legge fondamentale tedesca, infatti, la von der Leyen ha annunciato che attualmente sarebbe all'esame della Commissione UE l'apertura di una procedura di infrazione contro la Germania. 

E proprio alla luce di questa decisione della Corte - si tratta di uno scandalo. 

Come è noto, la Corte costituzionale martedì ha messo in discussione gli acquisti di titoli di Stato della BCE, e per la prima volta, con delle ottime ragioni, si è schierata contro una sentenza della Corte di giustizia europea. I nostri giudici costituzionali hanno definito questa sentenza della Corte di giustizia europea come "oggettivamente arbitraria" e "metodologicamente non giustificabile" - la BCE avrebbe oltrepassato il proprio mandato. Che schiaffo in faccia alla BCE, e che schiaffone anche per la Corte di Giustizia. 

Un giudizio che mostra i limiti della BCE e della CGE - non è possibile! Un certo Sven Giegold, eurodeputato dei cosiddetti "Verdi" e, come quasi tutti i "Verdi" non lo si può proprio definire un amico del suo paese, ha prontamente chiesto alla Commissione europea di avviare una procedura di infrazione. 

Ed è proprio questa la richiesta anti-tedesca a cui si è unita la signora von der Leyen: una procedura di infrazione contro la Germania basata su di una sentenza della Corte costituzionale tedesca. 

Questa donna dovrebbe vergognarsi anche solo per aver preso in considrerazione la possibilità di aprire una procedura di infrazione contro il suo paese. Ma lei ovviamente non sa nemmeno cosa sia la vergogna, come ha già dimostrato nei vari scandali accaduti durante il suo ufficio come Ministro della Difesa federale. 

Quindi per essere chiari: il presidente della Commissione europea non rispetta la massima autorità giudiziaria tedesca. Come del resto fanno anche i "Verdi", per i quali ormai non ci si sorprende più, la von der Leyen si schiera apertamente contro la nostra Corte costituzionale e quindi in definitiva contro la massima autorità del nostro ordinamento costituzionale. 

Di fatto non fa nient'altro che scavalcare la giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca. Si profila come un nemico della giurisprudenza della nostra più alta corte - nientemeno. 

E per questo comportamento non può neanche essere perseguita perché nella sua funzione gode dell'immunità. Le sue azioni tuttavia vanno contro gli interessi della Germania, e noi cittadini dovremmo osservare con maggiore attenzione e mettercelo nella testa: la signora von der Leyen, come presidente della Commissione, sta attaccando il suo paese! Quindi, per favore, siate consapevoli della persona con cui abbiamo a che fare. 

È significativo, per inciso, che la signora von der Leyen nella sua risposta al "Verde" Giegold abbia sproloquiato sulla "sovranità europea". Signora von der Leyen, glielo dico io: sovrani sono gli stati, ma non le alleanze burocratiche sovranazionali come l'UE. 

È il tempo di difendere la nostra sovranità nazionale dagli attacchi degli eurocrati di Bruxelles. Tempo per porre fine alle irresponsabili politiche della BCE. E’ il momento per #AfD.
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