sabato 13 giugno 2020

Heiner Flassbeck - Perché i 130 miliardi del governo tedesco non basteranno

Basteranno i 130 miliardi di euro promessi dal governo di Berlino per tenere in piedi l'economia tedesca? Per il grande economista tedesco Heiner Flassbeck non sono affatto sufficienti, perché la crisi economica in corso, ben visibile nel recente boom del Kurzarbeit, è di dimensioni mai viste prima e ampiamente sottovalutata dal governo di Berlino. I recenti dati sull'export poi mostrano un crollo storico della domanda estera, indispensabile per tenere a galla un sistema produttivo fondato sulla moderazione salariale. Alla fine a pagare il conto di questo modello produttivo orientato all'export come al solito saranno i lavoratori: prima in cassa integrazione, poi in disoccupazione e infine in Hartz IV. Un'analisi molto interessante di Heiner Flassbeck e Friedericke Spiecker da Makroskop.de



Sin dall'inizio della crisi da coronavirus abbiamo sottolineato (vedi l'articolo del 21 marzo) che questo shock causato dai governi non deve essere paragonato a una recessione o a un normale rallentamento economico. Questo shock è molto più grande e complesso rispetto a qualsiasi altra cosa vista finora. Guardando solo all'industria tedesca, si possono fare dei confronti con la grande recessione globale del 2008/2009 (Figura 1). Sebbene la domanda misurata in termini di nuovi ordini sia diminuita ad un ritmo molto più rapido rispetto ad allora, le dimensioni della crisi sono ancora simili. Nel complesso, i nuovi ordini (linea arancione) sono scesi a un livello di poco inferiore rispetto al livello di quel periodo.


Questo tuttavia vale solo per la media dei settori. Per l'industria automobilistica, ad esempio, lo shock attuale è molto peggiore (Figura 2). La produzione in aprile è scesa di oltre il 70% rispetto a marzo di quest'anno, ad un livello ben al di sotto del livello più basso del 2008/2009. L'industria tedesca di punta degli ultimi dieci anni si trova ora in una crisi esistenziale perché né in patria né all'estero, a causa dell'incertezza dei consumatori, l'acquisto di un'auto nuova al momento è all'ordine del giorno.



Il fatto che anche il totale delle esportazioni tedesche in aprile sia calato di quasi il 25% rispetto al primo trimestre è probabilmente dovuto in gran parte alla fondamentale debolezza della domanda di automobili. Ma anche la meccanica sta vivendo un crollo storico; dall'inizio dell'anno la domanda è diminuita di un terzo.



Il mercato del lavoro è il migliore indicatore

Ma questo non è tutto. A differenza della crisi finanziaria 2008/2009, questa volta sono state colpite molte più branche dell'economia nel suo complesso, perché la chiusura ha riguardato in gran parte anche settori che, come gli alberghi e i ristoranti, normalmente non hanno quasi mai percepito le battute d'arresto dell'economia. Anche il settore delle costruzioni, che in Germania non è stato interessato direttamente dalle misure restrittive e che fino a marzo aveva registrato un buon andamento, in aprile ha registrato un significativo calo della domanda, che si rifletterà anche in un sensibile calo delle costruzioni nei prossimi mesi.

La vera dimensione della crisi la si può capire solo guardando al mercato del lavoro. Gli ultimi dati dell'Agenzia Federale per il Lavoro (BA) sulla cassa integrazione (Kurzarbeit) mostrano le reali dimensioni della drammatica crisi economica avviata con l'introduzione delle misure restrittive per combattere la pandemia da coronavirus. A partire da marzo, infatti, il numero di aziende che hanno richiesto la cassa integrazione e le cui domande sono state esaminate dall'Ufficio federale di statistica ha raggiunto un ordine di grandezza che non ha nulla in comune con la crisi finanziaria del 2008/2009 (cfr. la linea blu nella figura 3):


Dopo le drammatiche 625.000 richieste di aprile, anche con le 67.000 di maggio siamo ancora di molto sopra al doppio della cifra massima mai raggiunta nel corso del 2009 (all'epoca poco meno di 25.000 ). L'ultimo dato riportato per il mese di maggio probabilmente sarà corretto nuovamente verso l'alto, così come è accaduto con i dati di marzo e aprile. Il dato attualmente riportato per il mese di aprile, ad esempio, è superiore di 37.462 richieste rispetto al dato preliminare di fine aprile. La BA a questo proposito scrive nella spiegazione delle relative statistiche:

"È possibile che in un periodo di aumento dei volumi, le richieste di cassa integrazione siano già state ricevute in massa dalle competenti Agentur für Arbeit, ma che non siano ancora state registrate elettronicamente nelle procedure specialistiche della BA, e che questa registrazione avvenga solo dopo un certo lasso di tempo. Attualmente, le notifiche relative alle procedure specifiche della BA probabilmente sono sottorappresentate in misura non trascurabile"

La BA ha ripreso la sua estrapolazione dei dati, che nel frattempo era stata interrotta, con una procedura estesa per determinare a partire dal numero di richieste segnalate e controllate, il numero effettivo di imprese in cassa integrazione. Questa estrapolazione serve da guida durante un periodo di cinque mesi nel quale la liquidazione della indennità di cassa integrazione non è stata ancora completata e i dati sul lavoro a tempo parziale (Kurzarbeit) non sono ancora definitivi.

Per il mese di marzo, ultimo mese per il quale al momento è disponibile un'estrapolazione, il dato calcolato (poco meno di 220.000 aziende) differisce di un terzo rispetto al numero di aziende segnalate e controllate ufficialmente (poco meno di 164.000). Questo suggerisce che l'estrapolazione dei dati di aprile relativamente al numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto, rispetto al numero di aziende che effettivamente lavorano a orario ridotto, sarà anche peggiore. Dopotutto, il numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto da marzo ad aprile è quasi quadruplicato. Il netto calo del numero di richieste a maggio, tuttavia, indica che la situazione, almeno per le nuove domande, si sta stabilizzando.

E il numero di persone che lavorano a orario ridotto? L'ingorgo dovuto al numero insolitamente elevato di richieste nei mesi di marzo e aprile aveva indotto la BA a stimare in 10,1 milioni il numero di persone in cassa integrazione a marzo e aprile (cfr. il comunicato stampa della BA del 30 aprile). Nel frattempo l'esame delle domande è progredito e per entrambi i mesi il risultato è stato di crica 10,6 milioni di persone (2,6 milioni a marzo e 8,0 milioni ad aprile). A maggio, il numero dei (nuovi) lavoratori a tempo ridotto viene stimato in via provvisoria in 1,06 milioni di persone (cfr. figura 4).


Dei circa 2,6 milioni di persone indicate come lavoratori a orario ridotto per il mese di marzo, la BA ha calcolato un numero effettivo di lavoratori a orario ridotto di circa 2,0 milioni. E' il 77%. Applicando lo stesso tasso alle persone registrate, nel solo mese di aprile si otterrebbe un numero di lavoratori a tempo parziale (cassintegrati) di oltre 6 milioni. Insieme al numero accumulato a marzo, che probabilmente ad aprile non si è ridotto, si arriva ad una stima del numero totale di lavoratori in cassa integrazione (Kurzarbeit) di circa 8 milioni.

L'Istituto Ifo stima in 7,3 milioni il numero di persone effettivamente in cassa integrazione nel mese di maggio. Se si ipotizza che a giugno grazie all'allentamento delle misure anti-coronavirus la situazione migliorerà, considerando un calcolo a campione ottimistico, si può ipotizzare che il numero di lavoratori ancora a tempo parziale a fine giugno sia la metà di quello di maggio, ovvero 3,65 milioni. Ne risulterebbe una media di circa 6,3 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre.

Anche ipotizzando che il numero di nuovi lavoratori a tempo parziale nel mese di giugno sia pari a zero, ciò comporterebbe comunque una media di oltre 5 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre. Anche in questa stima estremamente positiva, per non dire irrealistica, siamo ancora molto lontani dai 2,4 milioni ipotizzati nella diagnosi congiunta degli istituti di ricerca economica. Naturalmente, è ancora completamente aperta la questione del numero di ore lavorate in meno che sono o saranno effettivamente svolte.

E' ovvio tuttavia che la dimensione del crollo economico che sta dietro queste cifre supera di gran lunga la crisi finanziaria. La previsione comune stimava un calo di quasi il 10 % rispetto al primo trimestre. Se ciò fosse coerente con il numero di lavoratori a tempo parziale stimato, una visione realistica della cassa integrazione dovrebbe presupporre che il calo è di almeno il doppio.

In questo contesto, nel 2020 il prodotto interno lordo si ridurrà molto più di quanto previsto, numero del resto ancora in fase di discussione. Nel frattempo, il Consiglio dei saggi economici è già passato ad una stima di - 6,5% del PIL, dopo aver indicato un - 2,8% nel suo rapporto speciale di marzo (scenario più probabile), e anche nello scenario più pessimistico era rimasto ben al di sopra della cifra considerata probabile oggi.

È estremamente importante avere un quadro ragionevolmente realistico della situazione attuale e della situazione prevista nell'immediato futuro, per poter consigliare in modo ragionevole i responsabili politici sulla natura e la portata delle misure di sostegno. Finora i  pronosticatori di professione non sono ancora riusciti a farlo. E questo è uno dei motivi per cui la politica è sempre rimasta indietro, invece di fare con slancio un passo in avanti.

Le conseguenze politiche della sottovalutazione

Nel frattempo, il governo federale ha presentato un "pacchetto di stimolo per l'economia", la cui entità (130 miliardi di euro) viene generalmente considerata come significativa e sufficiente. C'è il rischio tuttavia che si ripeta il solito modello dei politici costretti a rincorrere gli eventi, dopo aver sottovalutato in una prima fase l'entità del crollo economico. La coalizione di governo ha adottato un gran numero di misure economiche, e non è affatto chiaro come e quando entreranno in vigore. L'unica misura di ampia portata sembra essere la riduzione di tre punti e per sei mesi dell'IVA .

Ma anche questa misura dal punto di vista quantitativo resta poco impressionante, almeno se si considera quanto sia ampia l'entità della riduzione della domanda da parte delle famiglie. Se il tasso medio di risparmio delle famiglie aumenta di un punto percentuale passando dall'11% al 12% (nel 1° trimestre 2020 il tasso è salito al 12,4% rispetto all'11,1% del 4° trimestre 2019), ci saranno circa 10 miliardi di euro in meno per semestre in termini di consumi (il reddito disponibile totale delle famiglie nel 2019 è stato di 2.400 miliardi di euro, vale a dire 1.200 miliardi di euro per semestre, un aumento del risparmio di un punto percentuale equivale a 12 miliardi di euro in più).

La perdita di reddito dovuta alla cassa integrazione e alla disoccupazione ammonterà a circa 5 miliardi di euro nel 2° trimestre 2020 (tenendo conto dell'indennità per la cassa integrazione). La retribuzione netta media per dipendente nel 2019 era pari a 24.951 euro. Supponendo che le persone colpite da misure di lavoro ad orario ridotto e dalla disoccupazione tendano a guadagnare di meno (solo 20.000 euro di salario netto all'anno) e che si lavori solo per il 50% del tempo (perdita di ore lavorative a causa della cassa integrazione), queste famiglie avranno perso circa 2.500 euro netti, senza calcolare l'indennità di cassa integrazione. Se circa il 70% delle perdite è compensato dall'indennità per il Kurzarbeit (60% per i dipendenti senza figli, 67% per i dipendenti con figli; piu' aumenti parziali tramite i contratti collettivi), rimane una perdita di reddito pro-capite di circa 750 euro netti nei tre mesi del 2° trimestre.

Con circa 6,5 milioni di persone colpite (numero di cassintegrati nel 2° trimestre + 0,5 milioni di disoccupati in più), si dovrebbe tradurre in una perdita di reddito nel 2° trimestre di quasi 5 miliardi di euro. Se con un certo ottimismo ipotizzassimo che le perdite di reddito dovute al lavoro a orario ridotto e alla disoccupazione nel terzo e nel quarto trimestre saranno la metà di quelle del secondo trimestre (in parte perché le misure di chiusura sono state revocate, in parte perché l'indennità per il lavoro a orario ridotto è stata aumentata all'80-87%), ci saranno in totale altri 5 miliardi di euro di perdite reddituali. Ciò si traduce quindi in circa 10 miliardi di euro in meno di reddito disponibile e altri 10 miliardi di euro dovuti ad ulteriore probabile risparmio.

Il governo stima che lo sgravio per le famiglie derivante dalla riduzione dell'IVA sarà di circa 20 miliardi di euro, se il taglio dell'IVA dovesse essere trasferito integralmente ai consumatori. Ciò significa che lo sgravio dovuto alla riduzione dell'IVA, nella migliore delle ipotesi (cioè in un quadro molto ottimistico), compenserebbe il calo dei consumi privati da noi stimato. E' prevedibile inoltre che l'effetto positivo di questa misura nell'ultimo semestre di quest'anno, possa portare invece, già nel primo semestre del 2021, ad una nuova incertezza dovuta ad un calo dei consumi (dopo gli effetti di traino per il 2020, e dovuti ad un ritorno dell'IVA alla vecchia aliquota a partire dal 2021).

Anche il calo della domanda da investimenti sta chiaramente avendo un impatto negativo sullo sviluppo dell'economia. È improbabile che ciò possa essere compensato dalle misure annunciate, dato che l'utilizzo della capacità aziendale è catastroficamente basso. Come già rilevato all'inizio, inoltre, la domanda proveniente dall'estero, molto importante per la Germania, sta crollando senza alcuna possibilità di un rilancio nell'immediato. Il calo dell'80 % del saldo della bilancia commerciale con l'estero ad aprile, rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, non potrà essere attenuato in modo significativo nemmeno da un calo del turismo all'estero dei tedeschi: Il saldo di conto corrente nel mese di aprile, infatti, è diminuito di quasi due terzi rispetto all'anno precedente.

L'enorme surplus di domanda proveniente dall'estero, di cui i tedeschi da molti anni ormai hanno "bisogno" per smaltire la loro produzione - nel 2019 ha superato il 7 % del PIL - e per mantenere a galla il loro modello economico fondato sul dumping salariale, si manifesterà in misura estremamente negativa durante tutta la durata della crisi causata dal coronavirus. La distorsione strutturale verso l'export delle nostre attività produttive nel breve periodo non potrà essere corretta senza molte difficoltà. I lavoratori dei settori interessati, come ad esempio l'industria automobilistica, dovranno pagarne il prezzo con la perdita del loro posto di lavoro o i tagli salariali. L'indennità di cassa integrazione probabilmente è solo l'inizio.

E questo fenomeno ancora una volta é abbastanza simile alla precedente crisi finanziaria: per anni, il dumping salariale è stato utilizzato per costruire e promuovere una struttura insostenibile nel lungo periodo. Nel breve e medio periodo, infatti, i lavoratori dipendenti e i loro salari vengono privati della loro legittima quota di aumento in termini di produttività. I profitti derivanti dalle eccedenze nel commercio con l'estero vengono trattenuti dai datori di lavoro e distribuiti agli azionisti. Se questo modello dovesse crollare, lo Stato dovrebbe intervenire prima con l'indennità di Kurzarbeit, poi con l'indennità di disoccupazione e infine con la sicurezza sociale di base (Hartz IV). Questo non solo sarebbe iniquio, ma soprattutto avrebbe potuto essere evitato se il governo avesse affrontato in anticipo e senza pregiudizi gli aspetti negativi legati al ruolo di campione mondiale dell'avanzo commerciale con l'estero.

Nel complesso, il cosiddetto pacchetto di stimoli economici avrà molti effetti, ma la maggior parte di essi arriverà troppo tardi o comunque non sarà in grado di rilanciare l'economia. Effetti che sono attesi fra tre anni, oggi possono essere tranquillamente ignorati, se l'obiettivo è quello di stabilizzare le aspettative. Anche le misure di sgravio che impediscono possibili oneri aggiuntivi, non avranno alcun effetto positivo diretto sullo sviluppo economico.

Sarebbe stato molto piu' coraggioso se il governo, ad esempio, avesse deciso di abbassare permanentemente l'IVA, aumentare in modo significativo il salario minimo e portare le indennità Hartz IV a un livello doppio rispetto a oggi. Inoltre, dato il rischio di un drastico aumento della disoccupazione, che questa volta in realtà non è dovuto ad un "comportamento errato" da parte dei lavoratori, il sostegno alle indennità di disoccupazione avrebbe dovuto essere regolato in modo molto più generoso aumentando le indennità e prolungando il periodo delle prestazioni.


giovedì 11 giugno 2020

DW - La Germania può difendere i propri interessi strategici?

E' la domanda che si pone la Deutsche Welle, testata online pubblica e da sempre molto vicina alle posizioni del governo di Berlino, dopo gli ultimi scontri fra tedeschi ed americani. A Berlino si augurano apertamente una sconfitta di Trump alle elezioni di novembre, e stanno facendo di tutto per agevolarla, consapevoli che se l'attuale presidente dovesse essere confermato, il livello dello scontro salirebbe ancora e Berlino non potrebbe perseguire i propri interessi strategici. Dalla Deutche Welle, emittente radio-televisiva e testata online pubblica.


La Germania può avere dei propri interessi e perseguirli? La risposta di Washington sembra essere chiara: solo con la benedizione del governo americano! Minaccia sanzioni per le aziende europee che partecipano alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2, già completato al 96 %. Ricordiamo che il gasdotto servirà a trasportare sul fondo del Mar Baltico il gas naturale dalla Russia alla Germania, e da lì verso altri paesi dell'UE, bypassando tutti gli altri stati.

La Germania vive di esportazioni. La sua industria ha bisogno di sicurezza energetica. Per questo motivo l'industria e il governo federale sostengono la realizzazione del gasdotto. Ma Washington sta anche cercando di convogliare nella sua politica tutte quelle riserve che su questo progetto arrivano dagli altri paesi - soprattutto quelle provenienti dalla Polonia e dall'Ucraina.

Un ambasciatore come un agitatore

Ma niente di tutto ciò sembra aver convinto la Casa Bianca. Il Presidente Trump è determinato a fermare questo gasdotto con ogni mezzo possibile. Uno dei suoi agitatori è Richard Grenell, l'ex ambasciatore americano a Berlino. Nel frattempo, il diplomatico poco diplomatico ha dato un contributo significativo alle relazioni bilaterali: si è dimesso il 1° giugno lasciando la Germania.

Un altro forte agitatore contrario all'oleodotto è Ted Cruz, il senatore repubblicano di estrema destra del Texas. Un uomo che alcuni dei suoi compagni di partito definiscono "l'incarnazione del diavolo". Altri dicono: se Cruz dovesse sentirsi male al Congresso, nessuno chiamerebbe il pronto soccorso. Ted Cruz da anni viene sponsorizzato dall'industria  americana del fracking... che vorrebbe vendere il suo gas in Europa. Il loro problema: il gas americano, che tecnicamente può essere prodotto solo con grandi costi, è più caro di quello russo. Washington - chi l'avrebbe mai pensato dell'ex sostenitore dell'economia di libero mercato? - preferisce sottrarsi alla concorrenza. E' molto più facile sventolare il bastone delle sanzioni. Una politica che Trump chiama "America first". Così facendo, però, rischia di danneggiare i rapporti con uno dei suoi alleati più fedeli.


Sebbene elogi pubblicamente la Cancelliera Merkel, sia i media che i rappresentanti del governo invece continuano a ripetere che i loro colloqui sono molto duri. La Cancelliera probabilmente è di tutt'altro calibro rispetto a un capo di governo montenegrino che il Presidente degli Stati Uniti semplicemente spinge da parte quando si mette in mezzo o disturba. Con Merkel questo non è possibile. Lei non si fa intimidire. Il che sembra infastidire molto Trump.

Ritiro di quasi un terzo dei soldati americani

E ora vorrebbe punirla per la sua insubordinazione e ritirare quasi 10.000 soldati americani dalla Germania entro l'anno. La maggior parte dei tedeschi non sembra neanche esserne particolarmente colpita, almeno fino a quando il paese non sarà esposto a una minaccia militare esterna. Dopo tutto, da anni il rumore e l'inquinamento ambientale causato dalle truppe americane sono oggetto di forti critiche. Solo i sindaci e i dirigenti delle imprese presenti nelle città che ospitano le basi americane temono realmente un ritiro delle truppe. Ma soprattutto: gli americani sono presenti in Germania perché è nel loro interesse (da qui vengono controllate tutte le missioni in Iraq e in Afghanistan), ed è anche nell'interesse della NATO. Se Trump ora dovesse ritirare un contingente ancora più grande, farebbe soprattutto del male a se stesso e allontanerebbe ulteriormente gli Stati Uniti dall'Europa.

Il terzo che gode invece sarà la Cina. Ogni conflitto all'interno dell'Occidente rafforza la posizione di Pechino nei confronti di Washington. Per il modo in cui gli americani si stanno comportando, difficilmente potranno contare sull'aiuto dell'UE nella disputa commerciale con la Cina. Al contrario. Berlino a luglio assumerà la presidenza del Consiglio UE. La cancelliera Merkel continua ad attenersi al piano di voler tenere un incontro di tutti i capi di Stato e di governo dell'UE con il presidente Xi Jinping - anche se la data originaria di metà settembre nel frattempo è stata annullata a causa della pandemia di Coronavirus. Tenere un tale incontro immediatamente prima delle elezioni presidenziali americane, sarebbe stata ovviamente una provocazione diplomatica. Trump non sarebbe stato invitato. E come osservatore avrebbe solo potuto twittare.

Sperando per il 3 novembre

Se la sua amministrazione a novembre dovesse essere bocciata dagli elettori, le relazioni tra gli Stati Uniti e la Germania tornerebbero rapidamente alla normalità. Lo sfidante democratico Joe Biden semplicemente capisce che anche la Germania ha i suoi interessi, e che può perseguirli.



lunedì 8 giugno 2020

FAZ - L'Italia ha bisogno di un taglio del debito?

Ristrutturare o non ristrutturare il debito italiano? Friedrich Heinemann dello Zew di Mannheim, dichiara alla FAZ: "quando nel 2022 la fase acuta della crisi sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente, i detentori dei titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare in parte ai loro crediti". Anche Hans Werner Sinn è d'accordo nel far pagare il conto della crisi ai detentori dei titoli di stato italiani. Lars Feld, il consigliere del governo tedesco, invece è molto piu' cauto e tende ad escludere un taglio del debito pubblico italiano. Dalla FAZ e dalla Germania arriva l'ennesimo pistolotto sulla ristrutturazione del debito italiano.




(...) La situazione di partenza quindi è piuttosto tetra. La questione ora è la seguente: per risolvere i suoi problemi l'Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?. Ad ogni modo, un passo del genere non deve più essere considerato un tabù, raccomanda Hans-Werner Sinn, ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco di Baviera. "Per quanto io sia favorevole ad un generoso aiuto finanziario nei confronti dell'Italia: è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei invece di partecipare essi stessi alle perdite", dice l'economista. Sinn fa riferimento al "Club di Parigi", un circolo informale per la negoziazione internazionale nell'ambito del quale solitamente vengono regolamentate tali cancellazioni del debito. "Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito". Dalla seconda guerra mondiale in poi, sostiene Sinn, ci sono state circa 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. "E il mondo non è ancora finito". Anche nell'eurozona, un parziale taglio del debito per l'Italia, non sarebbe affatto una novità. Nel caso della Grecia, infatti, un taglio del debito è già stato effettuato durante la crisi dell'euro del 2012, ed è stato uno dei piu' grandi nella storia della finanza. A questi poi si sono aggiunti i controlli sui movimenti di capitale. "Temo che prima o poi dovremo farne uso anche nel caso dell'Italia, perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo", dice Sinn.

E questa è l'opinione anche di Friedrich Heinemann, esperto di finanze pubbliche dell'istituto di ricerca economica ZEW di Mannheim, il quale prevede: "il Fondo per la ricostruzione, alla fine non sarà in grado di risolvere i drammatici problemi finanziari italiani". Il denaro da mobilitare per gli aiuti è enorme - ma non sarà mai abbastanza per l'Italia. Molto più importante per l'Italia, dice, è che la Banca Centrale Europea (BCE) continui a sottoscrivere diligentemente i nuovi titoli di stato che il ministro delle Finanze a Roma contina ad emettere sui mercati. Ma in ultima analisi, saranno i contribuenti europei ad essere responsabili per i crescenti rischi che gravano sul bilancio della BCE.

Come Hans-Werner Sinn, Heinemann ritiene che non ci sia modo di evitare un taglio del debito pubblico italiano. "Il debito è troppo alto, il Paese non può uscirne", dice l'economista dello ZEW. "Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E, naturalmente, i detentori di titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti". Heinemann vuole far pagare il conto anche ai creditori.

Ma ci sono altri esperti che vedono le cose in maniera diversa. "L'Italia non ha bisogno di un taglio del debito", dice Lars Feld. L'economista di Friburgo presiede il Consiglio dei saggi economici, il cui compito è quello di consigliare il governo federale. In Grecia la riduzione del debito all'epoca si era resa inevitabile, ma questo confronto è fuorviante, spiega Feld: "L'Italia ha una consistenza economica completamente diversa. Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica". Egli conta sul fatto che il paese possa uscire dalla attuale situazione di indebitamento, in quanto la crescita economica sarebbe capace di generare maggiori entrate fiscali.

Un taglio del debito, d'altra parte, probabilmente farebbe piu' male che bene, sottolinea Feld: "Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l'esatto opposto di ciò di cui l'Italia ha bisogno". La Grecia ne è l'esempio ammonitore: il taglio del debito di otto anni fa ha ridotto solo temporaneamente il rapporto debito/PIL del paese. In assenza di una crescita economica, è tornato ad aumentare molto rapidamente - e ora è addirittura piu' elevato rispetto a prima della cancellazione del debito.

Nel caso dell'Italia, anche Feld considera troppo rischioso un taglio del debito. Il problema principale è che i maggiori creditori dello Stato italiano restano di gran lunga le banche italiane, che nei loro bilanci hanno delle quantità enormi di titoli di stato e crediti verso le istituzioni statali. A metà dello scorso anno le banche italiane erano creditrici nei confronti dello stato italiano per un totale di 690 miliardi di euro. Se questi titoli dovessero essere cancellati nell'ambito di una ristrutturazione del debito pubblico, molte banche finirebbero per trovarsi in difficoltà.

"Avremmo immediatamente una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei a causa degli stretti legami creatisi", dice Feld. Le banche francesi, in particolare, hanno dei crediti elevati nei confronti dell'Italia e subirebbero quindi delle perdite massicce. Ma non si tratta solo delle banche. Anche le assicurazioni, i fondi di investimento e altri importanti investitori sono anch'essi creditori dello Stato italiano e sarebbero quindi colpiti da una ristrutturazione del debito.

Ancora una volta, quello della Grecia è stato un esempio ammonitore: la ristrutturazione del debito del Paese nella primavera del 2012 ha portato il panico sui mercati, in una fase già molto critica. "Guardando indietro, va detto che il taglio ha accelerato l'incendio dell'eurocrisi", lo ammette anche Heinemann dello ZEW, sostenitore di un taglio del debito. Per questo motivo non convocherebbe immediatamente quella "conferenza internazionale sul debito italiano" da lui raccomandata, ma lo farebbe solo nell'anno successivo - e anche in quel caso farebbe gravare sui creditori detentori delle obbligazioni solo una parte dell'onere della ristrutturazione. "Ora, nel bel mezzo della crisi economica, non lo si può fare. I mercati sono troppo fragili per una scelta del genere".

Hans-Werner Sinn non nega il rischio di una crisi finanziaria associata a un taglio del debito, ma ritiene che questo rischio sia il minore fra i due mali. La Francia è abbastanza forte per sostenere le sue banche in caso di emergenza, dice. In definitiva, si tratta di soppesare i rischi - e i politici mancano di lungimiranza in questo senso: "Hanno sempre paura dei rischi di breve termine per i mercati finanziari e in cambio accettano rischi che nel lungo termine sono molto piu' minacciosi", critica il Sinn. "Il salvataggio dei creditori tramite una messa in comune del debito erode gli stati e crea il pericolo di un'enorme guerra debitoria in Europa, che potrebbe far crollare l'UE".

Una cosa però deve essere chiara: anche se non ci fosse una nuova crisi finanziaria in Europa, un taglio del debito pubblico italiano probabilmente non sarebbe comunque gratuito per i contribuenti tedeschi. Perché negli ultimi anni la BCE ha acquistato montagne di titoli di stato italiani, e anche la banca centrale sarebbe inevitabilmente colpita da un taglio del debito. La Germania dovrebbe farsi carico di una parte di queste perdite. "La Bundesbank dovrebbe poi essere ricapitalizzata dallo Stato tedesco", dice Sinn. In casi estremi, questo potrebbe costare fino a 150 miliardi di euro.

Qual è la conclusione? Gli argomenti di entrambe le parti possono essere riassunti approssimativamente così: un taglio del debito per un grande paese come l'Italia sarebbe una ripartenza radicale, dopo dieci anni in cui i contribuenti hanno sostenuto direttamente o indirettamente dei costi molto elevati per i salvataggi nella zona euro. Ma i rischi di questo cambiamento di rotta sarebbero notevoli. E se la riduzione del debito possa essere davvero d'aiuto per l'Italia e gli altri Stati dell'euro, nel lungo periodo non è affatto certo. "Non c'è una via d'uscita facile", dice Hans-Werner Sinn. "Ci siamo davvero impantanati".


domenica 7 giugno 2020

Der Spiegel - Bella Italia, wir kommen!

"Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché il piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire", scrive Alexander Neubacher su Der Spiegel. Anche per la cosiddetta "stampa di qualità" l'unione di trasferimento è già iniziata e i contribuenti tedeschi saranno chiamati a pagare il conto per lo stile di vita un po' troppo rilassato degli italiani. Un commento dal tono ironico da Der Spiegel.




L'Italia ha riaperto le frontiere ai turisti. E dato che fra qualche giorno sarà rimossa anche l'allerta sui viaggi all'estero del governo tedesco, non c'è piu' nulla che impedisca di fare una vacanza estiva nel paese della Sehnsucht tedesca: bella Italia, evviva, stiamo arrivando!

Quest'anno, tuttavia, i viaggiatori dovranno fare uno sforzo speciale per non ferire i sentimenti di chi li ospita. Solo poche settimane fa, infatti, nell'Italia martoriata dal Coronavirus, si aveva come l'impressione che l'amicizia italo-tedesca fosse ad un passo dalla rottura a causa dell'avarizia germanica.

Un senatore dei Cinque stelle, partito di governo a Roma, ha detto di averne abbastanza dei "dettami dei nipotini di Hitler". Decine di migliaia di italiani hanno condiviso un video nel quale un noto attore italiano accusava i tedeschi di essere degli "arroganti senza pietà" che si considerano ancora "una razza superiore". Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, invece, ha acceso gli animi accusando i tedeschi di essere egoisti e nazionalisti dopo che il governo di Berlino si era schierato contro i Coronabond.

E' stata davvero una fortuna per i turisti tedeschi, il fatto che Angela Merkel e il presidente francese Macron improvvisamente abbiano deciso di sostenere un programma di aiuti europei da 750 miliardi di euro. La maggior parte dei soldi, oltre 170 miliardi di euro, è destinata all'Italia, 80 dei quali dovrebbero essere a fondo perduto. Quale italiano avrebbe mai potuto credere che i tedeschi sarebbero stati così generosi?

Ad essere considerati degli avari restano gli olandesi, insieme ad austriaci, svedesi e danesi, i quali stanno ancora cercando di fermare quella parte del programma di aiuti a fondo perduto. Ci si chiede dove andranno quest'anno in vacanza gli olandesi.

Come turisti tedeschi, quali sono gli argomenti da evitare per non rovinare subito e un'altra volta i delicati legami tra Germania e Italia? Il mio consiglio è: non parlare di tutto ciò che ha a che fare con i soldi. Ecco alcuni esempi.

 - L'Italia è pesantemente indebitata, ma è già pronta a spendere altri tre miliardi di euro di denaro pubblico per Alitalia, anche se, a differenza di Lufthansa, da anni è in perdita? Lasciate perdere!

- Il produttore di auto Fiat Chrysler otterrà un prestito garantito dallo Stato di 6,3 miliardi di euro? Chiudete gli occhi e lasciate stare!

- Il Ministero delle Finanze italiano ha appena emesso - esclusivamente per i grandi investitori e i risparmiatori italiani - un'obbligazione ad alto tasso interesse, che i risparmiatori tedeschi si possono solo sognare? Non importa, non bisogna apparire meschini.

Se vi state chiedendo perché la famiglia italiana media ha un patrimonio superiore rispetto a quella tedesca, allora fatelo in silenzio. E non siate invidiosi quando verrete a sapere che il vostro co-vacanziero italiano con un reddito piu' basso, dovrebbe incassare fino a 500 euro di ferie pagate dallo Stato, a condizione che i soldi però restino in Italia.

Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire.


sabato 6 giugno 2020

Cosa c'è dietro la svolta europeista del governo tedesco?

A questa domanda prova a rispondere Sven Giegold, economista, eurodeputato e responsabile economia per i Verdi tedeschi, intervistato da Eric Bonse, giornalista freelance. Nell'intervista Giegold ci spiega cosa ci sarebbe dietro la recente svolta europeista del governo tedesco e perché i Verdi stanno cercando di intestarsi la paternità politica del nuovo corso di Merkel. Da Lost in Europe



Prima il "Bazooka", e ora "lo slancio": nella politica finanziaria tedesca sono stati infranti quasi tutti i tabù. Ma anche a livello europeo Berlino si è mossa nella giusta direzione, sostiene il responsabile in materia di politica economica e finanziaria dei Verdi Sven Giegold. Un'intervista.

Bonse: la Commissione UE intende finanziare a debito un programma di ricostruzione da 750 miliardi di euro. Anche la Cancelliera Angela Merkel si è espressa in favore di un debito dell'UE - anche se fino ad ora era sempre stata fortemente contraria. Cosa ne pensa di questa inversione?

Giegold: si tratta di una inversione a 180 gradi della politica europea della Germania. Per inciso, è un'eco tardiva delle elezioni europee dello scorso anno. Gli elettori allora avevano votato per avere più Europa. E ora tutta una serie di falsi tabù tedeschi sull'Europa di fatto stanno cadendo. È difficile credere che anche Wolfgang Schäuble e Friedrich Merz nel frattempo siano diventati favorevoli ad un programma europeo finanziato a debito! E' stato un successo per noi europeisti.

Bonse: a quali tabù si riferisce?

Giegold: mi riferisco alla tassazione europea, che potrebbe anche essere sotto forma di una tassa digitale europea, ai sussidi a fondo perduto invece dei prestiti e alla responsabilità condivisa. I cristiano-democratici e soprattutto la CSU fino ad ora non avevano mai voluto una tassa europea - e ora improvvisamente su questo tema c'è una grande apertura. Anche la Germania non aveva mai voluto trasferimenti - ma ora ci saranno 500 miliardi di euro di sovvenzioni a fondo perduto. E anche per quanto riguarda il debito, a Berlino fino a poco tempo fa si continuava a ripetere: non faremo mai i coronabond e in nessun caso! Ma ora stanno arrivando delle obbligazioni comuni in tempi di coronavirus. E questo rafforza l'Europa!

Bonse: ma il debito dovrebbe restare un'eccezione assoluta, Merkel parla di una misura speciale una tantum.

Giegold: tutti i budget sono unici. L'importante è che ora in Germania abbiamo una narrazione completamente diversa. La coesione europea ha bisogno di una politica fiscale e di investimenti comuni e solidali in Europa. Solo la FDP e AfD non hanno ancora sentito il colpo...

Bonse: come si spiega questa svolta?

Giegold: non sappiamo quali siano stati i veri motivi. Ma credo che la sentenza della Corte costituzionale tedesca sugli acquisti di titoli di stato da parte della Banca centrale europea abbia svolto un ruolo importante. Penso che questa sentenza sia discutibile e pericolosa per il diritto europeo - ma che in Germania ha scatenato un dibattito sul fatto che non possiamo lasciare alla BCE il compito di risolvere tutte le crisi. Il signor Voßkuhle forse merita un mazzo di fiori, dopo tutto quello che ha fatto...

Bonse: che ruolo ha avuto il presidente francese Macron? Per anni, del resto, ha cercato di convincere Merkel ad adottare una politica europea diversa, ci è riuscito?

Giegold: è stato un grave errore da parte di Merkel quello di non aver dato risposte alle iniziative di Macron per così tanto tempo. Alla fine Macron ha cambiato strada e ha coinvolto altri paesi - non solo sui coronabond, ma anche sulla politica climatica. Così facendo ha messo Merkel sotto pressione. Ma probabilmente anche l'Italia ha fatto molta impressione. Il fatto che durante la crisi causata dal coronavirus il sostegno all'Ue in Italia sia crollato, a Berlino ha fatto scattare l'allarme. E poi, naturalmente, la GroKo legge anche i sondaggi d'opinione. E allora è chiaro a tutti che la maggior parte dei tedeschi non sono così avari come si potrebbe pensare. I più capiscono che l'aiuto è necessario.

Bonse: ma gli aiuti hanno anche un rovescio della medaglia: l'UE dovrà rimborsare i debiti fino al 2058, il bilancio dell'UE per gli anni a venire sarà congelato, i sussidi saranno legati alle condizioni della politica economica...

Giegold: il rimborso del debito è ripartito su 38 anni. E' così lungo che il rimborso non avrà alcun ruolo macroeconomico. Il fatto che il quadro finanziario dell'UE non venga aumentato è una concessione fatta ai "Quattro paesi frugali". Ma i 750 miliardi di euro per la ricostruzione significano in realtà un bilancio dell'UE più alto. Potrebbero esserci anche dei sacrifici sbagliati. Ad esempio, il programma di scambio Erasmus potrebbe non essere ampliato. Il Parlamento su questo tema dovrà battersi.

Bonse:  e le condizionalità? La Commissione UE vuole farle rispettare con l'aiuto del "semestre europeo", ma si tratta di un intervento massiccio sui poteri in materia di bilancio dei parlamenti nazionali, senza il controllo democratico!

Giegold: giusto, ecco perché ora si tratta di parlamentarizzare il semestre europeo. Sarebbe un bene se il semestre europeo non restasse solo un esercizio burocratico senza alcun effetto vincolante, come è stato finora. Molte raccomandazioni di Bruxelles finora hanno avuto un'impronta troppo liberista. Le raccomandazioni pertanto ora dovranno essere adottate dal Parlamento. Altrimenti si corre il rischio che le priorità d'investimento vengano fissate senza l'approvazione del Parlamento.

Bonse: cosa ne sarà dell'"European Green Deal"? In molti nei Verdi, ma anche fra i socialdemocratici e la Linke criticano il fatto che nella bozza di Bruxelles sia stato annacquato.

Giegold: il pericolo è reale, poiché solo il 25 % del prossimo bilancio dell'UE sarà esplicitamente destinato alla lotta contro il cambiamento climatico. La protezione del clima deve essere il materiale da utilizzare per la ricostruzione economica. Merkel e von der Leyen, se vogliono l'approvazione del Parlamento europeo, devono fare di più per il clima. Si tratta non solo dell'importo delle sovvenzioni, ma anche della qualità della spesa. Non siamo ancora arrivati al punto.

Bonse:  e i "Quattro parsimoniosi" e gli altri stati dell'UE? Devono ancora dare il via libera e potrebbero di nuovo annacquare il fondo per la ricostruzione e il Green new Deal.

Giegold: il cancelliere austriaco Kurz sta già dando i primi segnali in favore di un compromesso. Almeno io lo interpreto cosi' quando parla di una unione del debito - perché nessuno l'ha prevista! Ma anche se Kurz dovesse mettersi di traverso: alla fine l'Austria e i "quattro frugali" non arrivano nemmeno al 10% della popolazione. I grandi Stati dell'Unione Europea, Germania, Francia, Spagna e Italia appoggiano la proposta. Il fatto che sia stato raggiunto un accordo nonostante la rinazionalizzazione avvenuta nella crisi causata da Coronavirus è un grande passo in avanti.


venerdì 5 giugno 2020

Breitscheidplatz - "Non sappiamo se Anis Amri fosse alla guida del camion"

A dirlo non è il solito blog complottaro ma un deputato del Bundestag membro della commissione d'inchiesta parlamentare sull'attentato terroristico di Breitscheidplatz a Berlino a conclusione dell'inchiesta. Un altro grande mistero tedesco pilotato dalle solite fake news diramate da spin doctor sapienti, e destinato probabilmente a restare irrisolto. Era abbastanza difficile del resto credere alla versione ufficiale del terrorista solitario che in un normale giorno lavorativo, in una normale periferia industriale di Berlino da solo fa fuori un corpulento autista polacco e poi con il suo camion gira per la città indisturbato fino a sera. Un articolo molto interessante da Heise.de



È una frase che sembra un verdetto, ed esprime dei dubbi molto forti sulla versione ufficiale dell'attentato di Breitscheidplatz a Berlino: "Non sappiamo se Anis Amri fosse alla guida. Ma secondo le prove disponibili, c'erano altre persone sul camion". Lo ha detto il deputato al Bundestag dei Verdi Constantin von Notz durante l'ultima riunione della commissione d'inchiesta. La frase era diretta a un commissario investigativo del BKA (Bundesskriminalamt) che non ha saputo spiegare molte delle tracce, ma che tuttavia si è attenuto alla versione ufficiale di Amri attentatore solitario - come del resto avevano fatto altri colleghi del BKA, prima e dopo di lui.

Il lavoro della commissione d'inchiesta porta ad una domanda: Amri era davvero l'unico uomo nel camion? "Non sappiamo se è stato Amri", non significa "non è stato Amri". Ma siamo comunque molto vicini a poter fare questa affermazione. Von Notz parla piuttosto di "Amri possibile colpevole". Decisamente meno della formula del "presunto colpevole" e molto meno dell'affermazione: "Amri è colpevole".

L'urgenza di arrivare alla conclusione comprende anche una domanda: perché le autorità investigative centrali si sono concentrare quasi eclusivamente sul presunto assassino solitario Anis Amri? Il tunisino al momento dell’attentato senza dubbio si trovava nelle vicinanze della scena del crimine. Lo dimostra la registrazione video delle 20:06 nel sottopassaggio della metropolitana di Bahnhof Zoo. Ed era in possesso dell'arma del delitto. Faceva probabilmente parte di un gruppo di criminali. Ma se non era lui il conducente, allora c'era qualcun’altro al volante del veicolo dell’attentato.

Questo significa anche che l'attentato è aperto. I colpevoli e i complici devono ancora essere trovati. Amri può essere considerato come il primo complice sicuro. Ci sono piu' elementi in favore di questo scenario, rispetto a quello della versione ufficiale. Gli investigatori della polizia, ma anche quelli politici nelle commissioni d'inchiesta, hanno avuto a che fare con altre persone collegate ad Amri – inclusi gli informatori delle autorità di sicurezza attivi in questo ambiente. Concentrandosi quasi esclusivamente su Amri, tuttavia, si è perso molto tempo prezioso.

Il caso è anche un esempio di come un intero apparato possa essere manipolato e guidato in una certa direzione indicando semplicemente un nome - sia esso in maniera volontaria o meno.

L'affermazione: "non sappiamo se fosse Amri a guidare il camion" tra l'altro emerge da uno schema probatorio alquanto dubbio. Quali sono le prove forensi che supportano l'ipotesi che Amri abbia guidato il camion, sia responsabile dell'attacco e abbia sparato al camionista Lukasz Urban? Come si fa a dimostrare che il fuggitivo era alla guida del camion, se non si trovano le sue tracce all’interno del camion? La polvere di vetro è stata trovata anche sui vestiti di Amri, proprio come sui vestiti di Urban, che erano nel camion? Sono solo alcune delle domande della commissione, alle quali i criminologi della BKA non possono rispondere in maniera chiara.

Al contrario, lo schema complessivo delle prove rende ipotizzabile che ci fossero altre persone sul camion.

Nel frattempo è un dato di fatto che non sono state trovate impronte di Anis Amri nella cabina di guida del camion. Non sul volante, né sulla leva del cambio, né sul cruscotto o all'interno della portiera del conducente, per esempio.

Sono state riscontrate solo due impronte digitali o impronte di Amri sulla parte esterna della portiera del conducente. Una comprende il palmo, il pollice e le tre dita della mano destra. Secondo il BKA, l'impronta è stata fatta "come se la porta fosse stata chiusa dall'esterno". Come si può chiudere una porta dall'esterno per poi sedersi in cabina? E come è possible che Amri abbia compiuto un "trucco magico" (Konstantin von Notz), vale a dire lasciare le sue impronte digitali sulla portiera del conducente, e poi, supponendo che sia rimasto e si sia spostato sul camion per altri 30 minuti, non averne lasciata neanche una all’interno? Gli investigatori hanno ignorato tutte queste contraddizioni solo perché non corrispondono alla teoria dell'Amri attentatore solitario?

"Non abbiamo prove per escludere che Amri è l’assassino"

La risposta del coordinatore dell'inchiesta della BKA, l'ispettore capo A.Q., equivale ad un giuramento: "Non abbiamo prove per escludere che Amri sia l'autore del reato". Affermazione che spinge il deputato dei Verdi a porsi la domanda retorica: perché funziona cosi’ bene questa interpretazione tendenziosa delle tracce che porta solo e sempre ad Anis Amri. Von Notz allo stesso tempo si dà anche una risposta: "Perché il colpevole è morto". Se non fosse morto, se ne dovrebbe provare la colpevolezza davanti al tribunale, e con queste prove sarebbe alquanto difficile.

Quindi niente impronte digitali di Amri nel camion - e come siamo messi con il DNA? Anche qui gli elementi sono alquanto scarsi. Al volante è stato trovato un mix fra due persone, ma non è stato tracciato un profilo completo di DNA. A dominare è la parte del camionista Urban. L’annotazione corrispondente nel rapporto riporta alquanto vagamente che Amri è "da considerare" come la seconda persona responsabile delle trace di DNA.

Un profilo misto di tre tracce di DNA era stato trovato anche sul minaccioso foglietto di carta con la scritta "HARDENBERGSTR B" (in lettere maiuscole), scoperto nella cabina del camion solo dopo tre settimane. La Hardenbergstraße è la strada di ingresso per Breitscheidplatz. Ancora una volta a dominare è il DNA del camionista Urban, in secondo luogo si "deve considerare quello di Amri", e in aggiunta c'è il DNA di una terza persona sconosciuta.

Si dice che le prova sia stata trascurata dal Gruppo della polizia criminale intervenuto sul luogo del delitto. Cioè sia durante la prima ispezione avvenuta il 30 dicembre 2016, che durante una seconda ispezione da parte dei coordinatori della BKA fatta il 10 gennaio 2017. Fino ad allora il camion era stato spostato due volte attraverso la città. La nota era nel cruscotto davanti al display del tachimetro. Era stato trascurato dal gruppo della polizia intervenuto sulla scena del crimine originale? È difficile da immaginare. E il fatto che sia stato ignorato deliberatamente non ha molto senso.

L’uomo della BKA A.Q., infatti, non può dire se l’annotazione si trovasse nel camion sin dall'inizio ed è stata trascurata, oppure se "qualcuno l'ha messa lì". Ciò significa: non si può escludere una manipolazione. Per inciso, si tratta solo di un pezzo di carta, il retro è stampato. Da dove provenga non è nemmeno chiaro.

A parte l'inspiegabile traccia di DNA sulla nota, ci sono altri 13 profili di DNA aperti, ha detto il membro della BKA alla commissione. Queste 13 tracce di DNA sono state trovate nella cabina del camionista e "davanti al camion", fra l’altro. Non è chiaro che cosa si intenda per "davanti al camion". Forse il cellulare HTC. Un'altra traccia di DNA sconosciuta è un frammento di pelle sul poggiatesta del sedile del conducente.

Se, oltre a delle tracce inspiegabili di DNA, ci siano anche delle impronte digitali non riconducibili, in commissione non è stato discusso.

Strane foto

Sul cellulare HTC di Amri, stranamente trovato in un buco nella carrozzeria del camion, ci sono due foto scattate dopo l'attacco. I membri della commissione del Bundestag hanno affrontato il tema nel dibattimento in aula. 

L'inspiegabile scoperta è stata oggetto di discussione per settimane. Nel frattempo, la BKA ha rilasciato una spiegazione tecnica ufficiale. In una lettera alla commissione si legge: "si può escludere che i file delle immagini siano stati ripresi con l'HTC di Amri". Si tratterebbe di file di immagini provenienti da pagine web che sono state offerte automaticamente all'utente sul suo dispositivo da una app di Google sotto forma di immagini di anteprima e memorizzate in un file cache. La BKA aveva anche identificato gli indirizzi web dai quali le 2 immagini erano state visualizzate. Non è stato però trovato un collegamento diretto tra le immagini e la pagina web, ma "probabilmente questa è disponibile solo sul lato dei server di Google", si legge nel documento. La BKA tuttavia ipotizza che le immagini possano essere assegnate ai siti web corrispondenti.

Domande irrisolte sul camion del crimine

Sono state sollevate inoltre delle questioni essenziali sul mezzo utilizzato per l’attentato, il camion Scania da 40 tonnellate. Aveva raggiunto il suo peso massimo in quanto caricava travi d'acciaio ed aveva una massa superiore a quella del camion dell’attentato di Nizza, che il 14 luglio 2016 aveva causato oltre 80 morti. Amri sapeva che il camion era carico? – ha chiesto Volker Ullrich (CSU), membro della commissione. È stata una coincidenza - o qualcuno ha scelto deliberatamente questo mezzo perché aveva un carico pesante? Qualcuno in Italia sapeva che il camion stava andando in Germania? Chi l'ha caricato? La scelta dell'arma del delitto forse era già stata fatta in Italia?

Domande alle quali anche il BKA non sa rispondere, ma che portano alla scena italiana dell'attentato terroristico di Berlino e alla fine della fuga di Amri a Sesto San Giovanni vicino Milano. Lì, vicino a dove è morto, il camion successivamente diventato il mezzo dell’attentato del 16 dicembre 2016, nell'ultimo luogo di carico aveva ritirato un pacco.

Quali competenze necessita una persona che vuole guidare un veicolo così pesante, lungo e ingombrante? Soprattutto di notte, nel traffico delle ore di punta di una grande città. Non si sa nemmeno se Amri avesse la patente di guida dell'auto. Una volta l’informatore "Murat" lo aveva accompagnato in auto dal Nordreno-Vestfalia a Berlino facendogli da autista. Ma il padrone di casa di Amri, Kamel A, era un camionista di professione.

Il camion entra nel mercatino di Natale a circa 50 km/h, poi entro una distanza di 70 - 80 metri viene frenato fino a fermarsi, come sarebbe accaduto in un grave incidente stradale. Eppure l'autista non dovrebbe aver lasciato tracce? Sudore, sangue, capelli, scaglie di pelle. E l'incidente non ha lasciato segni su di lui? Lesioni, abrasioni, contusioni, sangue. Con o senza cintura di sicurezza. C'erano segni corrispondenti sul corpo di Amri? Anche questo non è chiaro.

Nessun confidente, sostenitore o complice?

Il numero di persone, possibili complici, che si trovavano in prossimità della scena del crimine al momento del delitto continaua ad aumentare: oltre al coinquilino di Amri, Khaled A., al suo confidente Ben Ammar, Walid S. o ai fratelli Ahmad e Bilel M., la commissione ha scoperto che anche Feysel H. potrebbe essere stato in Breitscheidplatz poco dopo il delitto. Amri probabilmente aveva incontrato Feysel H. nella moschea di Fussilet un'ora prima dell'attacco. Come ha scoperto la commissione, c'era anche Ahmad M., che poi ha lasciato la moschea qualche minuto prima di Amri. Ciò significa che sono già state identificate dalle tre alle quattro persone sul luogo dell’incontro.

La BKA ha individuato un totale di oltre 300 possibili referenti di Amri in Germania. 43 sono stati classificati come "potenzialmente rilevanti per il reato". Tra questi, soprattutto l’ambiente di Berlino, compresa la moschea radicale di Fussilet. A Berlino e nel Nordreno-Vestfalia sono state effettuate una serie di intercettazioni telefoniche e di ispezioni in appartamenti. A Dortmund, Amri aveva anche utilizzato un alloggio che, curiosamente, si trova in Mallinckrodtstraße, vicino alla scena di un crimine della NSU.

In nessun caso ci sono confidenti, sostenitori o complici, non "rilevanti per il reato". Almeno nel caso di Ben Ammar, tuttavia, c'era un fondato sospetto di complicità. E’ stato comunque espulso, così come è accaduto a una mezza dozzina di altri contatti di Amri espulsi dopo di lui. I sospettati sono stati ignorati o depotenziati – sia che si trattasse della presenza sulla scena dell'attenato o del DNA sull'arma del delitto.

Il suo giro di persone era composto da jihadisti violenti, spacciatori di droga e criminalità organizzata, che tuttavia fra loro non erano strettamente separati; ma che al contrario, si sovrapponevano e si mescolavano. L'esempio migliore è stato lo scontro fisico nel luglio 2016 tra i complici di Amri e altri arabi in un bar del clan Abou Chaker. Ahmad M., che era insieme ad Amri nella moschea di Fussilet la sera dell'attentato, utilizzava per inciso lo pseudonimo di "Ahmad Abou-Chaker".

Sconosciuta l’identità degli informatori

Il rappresentante della BKA, il Kriminalhauptkommissar (KHK) D.G., responsabile per le indagini sugli informatori, quando gli è stato chiesto se ci fossero fonti della BKA nel giro di Amri ha scrollato le spalle. Ci sono state segnalazioni da parte di fonti che hanno fornito informazioni? Allo stesso modo: nessun ricordo.

È noto che la BKA di Berlino avesse almeno due informatori inseriti nell’ambiente.

Il Dipartimento di sicurezza del LKA (Landeskriminalamt) di Berlino, che ha assunto immediatamente la direzione dell’indagine il 19 dicembre 2016, si è rapidamente convinto che l'evento di Breitscheidplatz fosse un attacco islamista. Ha compilato immediatamente una lista di 40 persone su Berlino classificate come possibili colpevoli e che sono state perquisite a casa o nelle moschee dalle 23.00 in poi. La maggior parte di questi controlli, tuttavia, non sono stati effettuati immediatamente.

L'altra commissione d'inchiesta, quella della Camera dei rappresentanti di Berlino, non sapeva di chi si trattasse. Ma il nome Anis Amri non era tra quei 40, ha spiegato Stefan Redlich, che all'epoca era responsabile delle task force mobili (MEK) e dei gruppi di ricerca che effettuavano questi controlli. Circa la metà dei sospetti era stata scagionata quando il nome di Amri è diventato noto nel pomeriggio del 20 dicembre 2016. I controlli sulle persone sono stati interrotti e successivamete è stato ricercato solo il fuggitivo. Il confidente di Amri, Ben Ammar, si è nascosto per dieci giorni. A tutt'oggi, gli investigatori non sono ancora in grado di dire dove si trovava.


lunedì 1 giugno 2020

Elsevier Weekblad : "Nemmeno 5 centesimi in più' per l'Europa del sud"

"Sarebbe un'assurdità prendere i soldi degli operosi e produttivi europei del nord per darli agli europei del sud, meno laboriosi e già in prepensionamento" scrive nel suo commento il settimanale olandese Elsevier Weekblad. Basta questa frase per capire che l'unione di trasferimento in Europa sarà una fonte inesauribile di risentimenti, odio e accuse reciproche. Su Tichys Einblick dal tedesco l'articolo dell'olandese Jelte Wiersma.




Olandesi, aiutateci voi. Cosi' ad esempio ha reagito la Frankfurter Allgemeine Zeitung quando Angela Merkel ed Emmanuel Macron il 18 maggio hanno proposto un fondo europeo da 500 miliardi di euro per la ricostruzione. L'Olanda dovrebbe pagare circa 30 miliardi di euro. Il fondo dovrebbe essere un dono incondizionato ai paesi economicamente piu' colpiti dalle restrizioni anti-coronavirus. Si tratta principalmente dei paesi dell'Europa del sud. La proposta della cancelliera tedesca e del presidente francese implica un trasferimento di denaro dal nord al sud-Europa. La Germania così attraverserà il Rubicone. Per la prima volta, infatti, Merkel mostra l'intenzione di trasferire del denaro verso l'Europa del sud

È un fatto alquanto perverso. Perché i dati mostrano che i paesi dell'Europa meridionale non sono affatto poveri e hanno denaro a sufficienza oppure hanno un accesso sufficiente al credito. Potrebbero anche facilmente migliorare la produttività delle loro economie con delle riforme, come del resto hanno già fatto i paesi del nord.

I tedeschi sono meno ricchi dei francesi e degli italiani

Prima di tutto bisogna sgomberare la strada da una serie di favole. I principali paesi dell'Europa meridionale, Francia e Italia, non sono poveri. La banca svizzera Credit Suisse ogni anno calcola il valore dei patrimoni privati in questi paesi. L'analisi dimostra che se il capitale complessivo in Francia viene sommato e diviso per il numero dei residenti adulti, il francese possiede in media 276.121 euro. Per l'italiano, la ricchezza media è di 234.139 euro. Per gli olandesi è di 279.077 euro, per i tedeschi 216.654 euro. I tedeschi in media sono più poveri dei francesi e degli italiani, mentre gli olandesi sono un po 'più ricchi. Anche il debito del Nord Europa non è inferiore rispetto a quello del Sud Europa.

L'attenzione è sempre sul debito pubblico. Tutti conoscono le regole del patto di stabilità e crescita dell'eurozona secondo le quali i paesi possono avere un debito nazionale al massimo del 60%.

Ma poche persone conoscono i suggerimenti della Commissione europea, che per le famiglie indica un debito massimo del 133% del PIL. E nell'Europa del nord il debito privato delle famiglie è molto più elevato. Se si sommano i debiti pubblici e privati ​​dei 27 paesi dell'UE (dati Eurostat 2018), si ottiene un quadro più preciso di quali siano i paesi realmente indebitati.

Gli olandesi hanno dei mega-debiti, i francesi e gli italiani no

La Francia ha un debito pubblico pari al 100 % del PIL, il debito privato ammonta al 148 % del reddito nazionale. Sommati fanno il 248 %. L'Italia ha un debito nazionale del 137 % e un debito privato del 107 %: un totale del 244 %. La Germania ha un debito pubblico del 62,6 %, il debito privato delle famiglie é del 102 %: un totale del 164,6 %. E poi ci sono i Paesi Bassi. Qui il debito pubblico è del 59,4 %, ma il debito privato è del 241,6 %. Fra debito pubblico e privato, nel complesso l'Olanda ha un debito del 301 %.

Mentre la Germania è meno indebitata rispetto ai due principali paesi dell'Europa meridionale, i Paesi Bassi hanno più debito. La Danimarca e la Svezia hanno un debito leggermente inferiore rispetto all'Olanda, ma entrambi i paesi con circa il 250% del PIL sono piu' in alto rispetto a Francia e Italia.

La differenza è dovuta principalmente all'elevato debito contratto per l'acquisto di immobili. In altre parole, la maggior parte delle case in Francia e in Italia (oltre il 70%) sono immobili senza o con un piccolo mutuo. Nel nord, il debito ipotecario è alle stelle, mentre l'accesso alla proprietà immobiliare è più basso. Solo il 56,2 % delle case nei Paesi Bassi appartiene a chi vi risiede, in Germania è il 54 %.


Teoricamente Francia e Italia potrebbero ridurre enormemente il loro debito pubblico. Se i proprietari di casa in questi paesi sottoscrivessero dei mutui (più alti) per le loro case e una parte dei pagamenti fosse versato allo stato, il debito pubblico potrebbe essere facilmente ridotto a un livello simile a quello del Nord Europa.

Perché non c'è Eataly nei Paesi Bassi?

Un'altra favola. Secondo i capi di governo dell'Europa del sud, i paesi dell'Europa settentrionale si avvantaggiano in maniera eccessiva del mercato interno europeo.

I paesi del Nord Europa vorrebbero solo esportare (a sud), ma senza importare da sud. I paesi del Nord Europa trufferebbero anche mantenendo gli stipendi troppo bassi, dando quindi ai consumatori del Nord Europa un potere d'acquisto insufficiente per importare prodotti dall'Europa meridionale, costringendo così le aziende dell'Europa del sud a uscire dal mercato. In effetti, l'avanzo commerciale del Nord-Europa è aumentato in maniera significativa dall'inizio del secolo. I Paesi Bassi hanno un avanzo commerciale del 10% del PIL, Germania e Svezia sono a circa il 6 %, l'Italia ha il 2 %, la Francia al -2 %.

Ma è colpa dell'Europa del nord? Non è una decisione politica, alla fine dipende da ciò che i consumatori fanno e da ciò che non vogliono acquistare. E l'Italia esporta più di quanto non importi e quindi ogni anno ha piu' soldi a disposizione, la Francia invece ha solo un piccolo deficit di bilancia commerciale. In entrambi i paesi ci sono grandi aziende che fabbricano prodotti richiesti in tutto il mondo, come ad esempio l'abbigliamento di lusso, le scarpe, i profumi, il cibo e i mobili. Non c'è nulla che impedisca a Francia e Italia di pubblicizzare i loro prodotti con il messaggio: aiutaci Nord-Europa, compra i nostri prodotti anziché quelli cinesi. Ma non lo si vede scritto da nessuna parte. Un'occasione mancata. E perché non c'è ancora Eataly in Olanda, la bellissima catena di negozi/ristoranti con prodotti di alto livello dall'Italia?

Francia e Italia volevano l'euro, ma ora se ne lamentano

L'avanzo commerciale del nord in parte è dovute all'euro, una valuta che è stata introdotta su richiesta della Francia per annullare la forza del D-Mark. E l'Italia ha voluto unirvisi contro il volere dei Paesi Bassi. Sia in Francia che in Italia l'introduzione della moneta unica era stata celebrata come una vittoria sul nord, in particolare sulla Germania. Ma l'euro in realtà è troppo debole per il Nord Europa e rende artificialmente economici i servizi e i prodotti di alta qualità prodotti dal Nord. Per questa ragione c'è stato un boom dell'export, non solo all'interno dell'UE. Un terzo delle esportazioni olandesi, infatti, va verso i paesi extra UE, anche il 40% dell'export tedesco va verso paesi extra UE.


L'euro in realtà è troppo forte per i paesi dell'Europa meridionale e rende i loro servizi e prodotti troppo costosi rispetto alla loro qualità. Ma è esattamente quello che chiedeva la stessa Europa del sud quando chiedeva di poter entrare nell'euro. E gli stipendi nell'Europa del nord, contrariamente alle accuse del sud, sono più alti di quelli del sud. In Germania e nei Paesi Bassi, un'azienda spende circa 36 euro l'ora per ogni dipendente, in Danimarca addirittura 44 euro, riferisce Eurostat. In Italia sono solo 28 euro.

Il Nord Europa è già super solidale con il sud

Fra tutte le accuse, la piu' bizzarra è quella del presidente francese Emmanuel Macron e del primo ministro italiano Giuseppe Conte. Secondo loro, infatti, il Nord Europa non mostrerebbe un livello sufficiente di solidarietà. E' una grande assurdità. La Germania è sempre stata un contributore netto dell'Unione europea e anche di quello che c'era prima. Di fatto i Paesi Bassi sono il maggiore contributore netto pro-capite al bilancio dell'UE. Ciò è alquanto strano perché il Lussemburgo, ad esempio, che dà un contributo minore al bilancio dell'UE, invece è più ricco. Oltre a ciò, nell'eurozona ci sono già ora degli enormi trasferimenti dai risparmiatori ai debitori. La Banca centrale europea (BCE), dominata dagli europei del sud, tiene i tassi di interesse bassi e mantiene l'offerta di moneta ad un livello senza precedenti. E questa politica danneggia i risparmiatori e favorisce i debitori.

Ad esempio, in Germania e nei Paesi Bassi, la maggior parte dei lavoratori ha versato dei soldi in una pensione privata. Queste pensioni perdono continuamente di valore. In Germania, la previdenza sociale privata rischia di fallire; nei Paesi Bassi le pensioni non sono indicizzate e possono anche essere ridotte. I risparmi (pensionistici) dell'Europa del nord sono stati bruciati. Ne beneficiano i debitori, come del resto le persone che devono rimborsare un mutuo (anche nei Paesi Bassi) e i paesi con un debito pubblico elevato, specialmente nell'Europa meridionale. La BCE ha anche acquistato una quantità enorme di debito pubblico - fino al 30 % del debito pubblico dei paesi dell'eurozona. I paesi creditori come la Germania (con una quota del 26% nella BCE) e i Paesi Bassi (5,6%) contribuiscono e garantiscono per l'alto livello di indebitamento nell'Europa meridionale. Questa è super solidarietà.

L'olandese lavora nove anni in più dell'italiano

Nella direzione opposta, invece, questa solidarietà è carente. Il sud sta sistematicamente violando gli accordi sul patto di stabilità e crescita dell'UE. Francia e Italia non ne hanno piu' parlato sin dall'introduzione dell'euro nel 1999. Da allora, infatti, il debito pubblico italiano è aumentato passando dal 113 al 137 % del PIL. Al contrario, sarebbe dovuto scendere al 60%. Quando è stato introdotto l'euro, la Francia aveva un debito pubblico di circa il 60%, ma già prima del coronavirus aveva un debito del 100%. La Commissione europea, in quanto custode delle regole, avrebbe dovuto imporre delle multe, ma non lo ha mai fatto sotto la pressione di Francia e Italia. Il debito pubblico di Germania, Paesi Bassi e Paesi scandinavi è sempre stato di circa il 60% o inferiore, tranne un breve periodo nel punto più basso della crisi bancaria e creditizia.


Francia e Italia non hanno mai rispettato le regole dell'euro

Francia e Italia hanno sfruttato i bassi tassi di interesse di cui godono grazie all'euro per spendere piu' soldi. Per fare cosa? Un punto importante di questa storia sono le pensioni. L'olandese lavora in media 41 anni, lo svedese 42,9 anni, i tedeschi 39,1 anni, i danesi 40 anni, secondo i dati Eurostat. In Francia sono 35,4 anni, in Italia 32. Anche gli spagnoli, i belgi, i greci e i portoghesi lavorano tra i 33 e i 38 anni. Gli europei del Nord e le aziende per cui lavorano pagano contributi pensionistici e imposte sul reddito per un periodo piu' lungo e godono di meno anni di pensionamento.

Anche i tassi di occupazione sono molto più alti nel Nord-Europa. In Danimarca e nei Paesi Bassi, quasi l'80% delle persone in età compresa tra i 15 e i 65 anni lavora per piu' di dodici ore alla settimana. Sono in testa alla classifica. Seguono Svezia e Austria. La Germania è a poco più del 70 %, la Francia al 65 %, l'Italia al 58 %. In breve, gli europei del Nord lavorano più frequentemente e molto piu' a lungo.


Gli olandesi, tuttavia, lavorano relativamente poco: 28 ore a settimana. Ma ciò in parte è dovuto anche al fatto che ci sono così tante persone  impiegate e il 55,1% di esse lavora part-time. Se si guarda solo al lavoro a tempo pieno, gli olandesi lavorano in media 39 ore a settimana, mentre i francesi con un lavoro a tempo pieno hanno l'orario di lavoro più breve di tutta Europa: 35 ore. E la produttività del lavoro degli olandesi e dei tedeschi, nelle ore in cui lavorano, è di un quarto piu' alta rispetto a Italia e Spagna. Sarebbe un'assurdità prendere i soldi degli operosi e produttivi europei del nord per darli agli europei del sud, meno operosi e già in prepensionamento.

La fedeltà dei contribuenti, inoltre, è migliore nel nord che nel sud. Secondo il Fondo monetario internazionale, infatti, in Italia un quarto dell'economia è sommersa. In Francia è il 14%, quasi il 20% in Spagna, il 9 % in Austria e il 13 % nei Paesi Bassi. Gli europei del sud difficilmente possono aspettarsi che gli europei del nord colmino i buchi nei loro bilanci nazionali causati da questi comportamenti.

La somma del debito pubblico e privato nei Paesi Bassi è superiore rispetto a quella di Francia e Italia

Sono solo i paesi dell'Europa meridionale che possono risolvere i loro problemi. Aumentare l'età pensionabile, rendere il mercato del lavoro più flessibile, semplificare la creazione di un'impresa, introdurre una fiscalità più trasparente, imporre delle tasse, ecc. Non ci sono costi, serve solo forza di volontà e determinazione. Ma nell'Europa meridionale manca proprio questo. I cittadini e i politici preferiscono continuare a insultare il Nord Europa se questo si rifiuta di mettergli i soldi in tasca.

La proposta di Merkel e Macron per ora è solo un pettegolezzo. Che diranno se spariamo 500 miliardi di euro? La somma è solo un colpo in aria. E questo perché è orientata all'offerta e non alla domanda. I 500 miliardi saranno una soluzione a quale problema? Grazie alle garanzie dell'Europa del nord, i paesi del sud, infatti, già ora possono ottenere dei prestiti a basso costo dalla BCE oppure sul mercato dei capitali. E in caso contrario, potrebbero cercare di incassare più tasse dai propri cittadini piu' facoltosi.

I quattro paesi "ragionevoli" sono generosi

Il Consiglio europeo dei capi di governo si riunirà a Bruxelles giovedì 18 e venerdì 19 giugno. Se prima di questo incontro non sarà convocato un vertice, questo sarà il primo confronto collettivo tra i 27 capi di Stato e di governo dell'UE dopo la presentazione del piano Merkel/Macron. Il Primo Ministro Mark Rutte (VVD) e i suoi colleghi di Svezia, Austria e Danimarca, Kjell Stefan Löfven, Sebastian Kurz e Mette Frederiksen devono porre fine a questa assurdità.

Questi quattro paesi "ragionevoli", sicuramente non "avari", hanno già detto "no" al piano. Hanno presentato una controproposta: prestiti per un massimo di due anni, condizionati da riforme incisive. Ancora non è stato indicato un importo. I paesi che desiderano ottenere dei prestiti dovranno presentare le proprie proposte in merito agli importi e alle modalità di spesa del denaro. E' un approccio orientato alla domanda e quindi logico. Date le circostanze è molto generoso, forse anche troppo generoso.