sabato 18 luglio 2020

Clemens Fuest - 6 possibili scenari per il debito pubblico italiano

E' possibile mettere in sicurezza il debito pubblico italiano? Risponde Clemens Fuest, direttore del prestigioso Ifo Institut di Monaco, che su Focus prova ad analizzare 6 possibili soluzioni per l'annoso problema del debito pubblico italiano. Clemens Fuest da Focus.de 


Le cause dell'elevato indebitamento pubblico italiano sono molteplici, e tutte mostrano un collegamento alquanto debole con una politica di bilancio frivola.

Ci sono varie opzioni possibili per risolvere il problema del debito pubblico italiano, opzioni che vanno dal taglio del debito, all'imposta patrimoniale, fino all'uscita dall'unione monetaria. Ma tutte hanno degli svantaggi.

Ecco perché è probabile che all'interno dell'eurozona nei prossimi anni ci possano essere delle forti tensioni.

Il dibattito europeo sulla situazione economica, sia nella crisi causata dal coronavirus che dopo l'eurocrisi, si è sempre concentrato sul livello raggiunto dai debiti pubblici nazionali, sugli spread del debito pubblico e sulle conseguenze di un calo dei prezzi dei titoli di Stato per le banche italiane, le quali detengono una quota rilevante di queste obbligazioni.

Spesso in questo dibattito si ha come l'impressione che l'Italia si sia trovata in difficoltà finanziarie solo a causa di una politica debitoria alquanto frivola. In realtà, il debito pubblico italiano è piu' un sintomo delle difficoltà economiche del paese, che non la sua causa. Dove risiedano i veri problemi italiani diventa subito chiaro se si dà un'occhiata all'andamento della crescita economica italiana negli ultimi quattro decenni.


L'Italia sta ancora soffrendo per la crisi finanziaria.

Il dato mette a confronto l'andamento della crescita economica in Francia, Germania, Italia e Regno Unito a partire dal 1980. Fino alla metà degli anni '90 lo sviluppo economico di questi quattro paesi è stato abbastanza simile. Dopo di che le cose sono cambiate radicalmente.

In Germania il ritmo della crescita nel frattempo è rallentato. Il Paese ha dovuto sopportare l'onere della riunificazione. La Germania inoltre è entrata nell'Unione monetaria europea con una valuta sopravvalutata. In Italia, invece, la crescita ha continuato a rallentare anche negli anni successivi. Fino al 2005 circa, la produzione economica italiana ha seguito all'incirca quella della Germania. Ma poi dopo il crollo dovuto alla crisi finanziaria globale, l'Italia non si è piu' ripresa. Mentre tutti gli altri paesi qui considerati negli ultimi dieci anni sono tornati a crescere, l'economia italiana ha subito una stagnazione.



Le ragioni di questa cronica debole crescita sono state discusse a lungo. I fattori citati sono molteplici:

- Le riforme del sistema educativo degli anni settanta e ottanta spesso vengono citate come una possibile causa della bassa produttività.

- Anche l'emigrazione dei talenti ha pesato sulla crescita.

- Il sistema giudiziario funziona così lentamente che i contratti spesso non sono applicabili

- L'ingresso della Cina sui mercati mondiali a partire dagli anni '90 ha messo i prodotti italiani sotto una pressione concorrenziale maggiore rispetto a quelli di altre economie.

- I processi decisionali inefficienti delle aziende a conduzione familiare sono responsabili del fatto che molte di queste non hanno saputo reagire ai cambiamenti strutturali. La regolamenteazione del mercato del lavoro, inoltre, rende difficile per le aziende crescere oltre una certa dimensione.

- Alcuni danno la colpa all'ingresso dell'Italia nell'euro. Avrebbe impedito all'Italia di svalutare la propria moneta con regolarità, come avveniva in precedenza.

- Altri ancora sottolineano la mancanza di riforme in materia di politica economica durante i governi di Silvio Berlusconi.

- La politica fiscale implementata dopo la crisi dell'euro, in particolare il rapido ritorno a una politica fiscale restrittiva spinta dalle pressioni dei mercati finanziari e dalla mancanza di investimenti pubblici, avrebbe ostacolato la ripresa economica.

- Poco prima della crisi causata dal coronavirus, il conflitto tra il governo di coalizione Cinque stelle - Lega Nord e la Commissione Europea in merito al deficit di bilancio ha messo in crisi gli investitori e i consumatori andando a gravare sullo sviluppo economico.

Tutti questi fattori, presumibilmente, hanno contribuito alla scarsa crescita italiana. È un misto di circostanze sfortunate e di omissioni da parte dei decisori politici ed economici. L'Italia sta entrando nella crisi causata dal coronavirus con una ulteriore crescita del debito pubblico rispetto al livello raggiunto durante l'ultima crisi economica. La questione di fondo è se il Paese riuscirà a superare la crisi mantendendo la stabilità economica e finanziaria nei prossimi mesi e anni.

Sei scenari appaiono possibili per quanto riguarda lo sviluppo delle finanze pubbliche italiane:

1 - Stabilizzazione del debito pubblico ad un livello elevato con una lenta riduzione del rapporto debito pubblico/PIL

E' teoricamente possibile che la politica fiscale italiana possa aumentare la spesa pubblica durante questa crisi al fine di stabilizzare l'economia del Paese, sopportando al tempo stesso il calo del gettito fiscale causato dalla crisi. Secondo le attuali previsioni, ciò porterebbe il rapporto debito pubblico/PIL a circa il 155 %. Fino a quando i tassi di interesse sul debito pubblico italiano resteranno bassi e i creditori saranno disposti a rifinanziare il debito pubblico in scadenza, il Paese potrà convivere con degli alti livelli di debito pubblico. Per poter ridurre sensibilmente prima della prossima crisi questo rapporto debito/PIL, la crescita economica in Italia dovrà aumentare in modo significativo. Affinché il rapporto debito pubblico/PIL raggiunga entro il 2030 il livello registrato prima della crisi causata dal coronavirus, la crescita economica dovrà essere di due punti percentuali superiore rispetto a quella degli ultimi anni, con avanzi primari realistici. Sarebbe uno scenario molto ottimistico. Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo se il paese dovesse attuare riforme strutturali di vasta portata e se nella sua politica fiscale desse priorità agli investimenti, rispetto alla spesa per i consumi.



2 - Taglio del debito

Sarebbe rischioso, ma comunque ipotizzabile, ridurre il debito pubblico italiano mediante una sua ristruttuazione. Per valutare le conseguenze di una tale ristrutturazione del debito sarebbe importante capire chi sono i creditori dello Stato italiano. Le famiglie italiane hanno un elevato livello di risparmio. L'Italia viene considerato un paese il cui debito pubblico è detenuto principalmente dai propri cittadini. A un esame più attento, però, questo è vero solo in parte. La struttura dei creditori dello Stato italiano nel 2019 è stata analizzata da Gros (2019).

Nel 2019 il debito pubblico complessivo italiano ammontava a circa 2.250 miliardi di euro. Le banche italiane sono di gran lunga i maggiori creditori. Hanno concesso prestiti diretti allo Stato italiano per 290 miliardi di euro e detengono anche titoli di stato italiani per altri 400 miliardi di euro. Le famiglie italiane detengono direttamente titoli di Stato per un valore di 100 miliardi di euro. Ci sono inoltre fondi di investimento e compagnie di assicurazione con una clientela prevalentemente italiana. Le banche estere detengono titoli di Stato italiani per 450 miliardi di euro. Banca d'Italia detiene altri 400 miliardi di euro titoli, principalmente nell'ambito dei programmi di acquisto titoli della BCE. Queste partecipazioni obbligazionarie continueranno a crescere anche durante la crisi post-Corona. In linea di principio, sarebbe Banca d'Italia a dover rispondere per le inadempienze su tali obbligazioni. Gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della Banca centrale italiana, tuttavia, generano delle passività verso il resto dell'Eurosistema nell'ambito dei cosiddetti saldi Target. Si può quindi ipotizzare che i rischi di questo stock di obbligazioni sia in ultima analisi a carico dei creditori esteri. Mentre sulle passività Target attualmente si applica un tasso di interesse pari a zero, i proventi derivanti dall'assunzione di tale rischio restano quindi in Italia.


Nel caso di un taglio del debito, ad esempio, del 50 %, la maggior parte delle banche commerciali italiane dovrebbe essere ricapitalizzata, poiché si verificherebbero perdite per 345 miliardi di euro. E questo potrebbe essere fatto solo attingendo ad una parte sostanziale dei depositi e dei risparmi dei cittadini italiani. Resta da vedere fino a che punto ciò possa essere compatibile con la normativa europea in materia di assicurazione sui depositi. A causa delle perdite sui titoli di Stato, sulle quote dei fondi di investimento e sulle assicurazioni direttamente detenute, per le famiglie italiane ci sarebbero altri 350 miliardi di euro di perdite. È difficile immaginare che qualsiasi governo italiano sia disposto a mettere i risparmiatori in una tale situazione. La sua rielezione sarebbe senza dubbio impossibile.

Sarebbe inoltre difficile convincere i partner europei a cancellare la metà dei crediti Target verso Banca d'Italia. Sembra anche difficile aspettarsi che le banche estere possano subire perdite per 225 miliardi di euro.

3 - Un'imposta patrimoniale una tantum sugli italiani

Spesso si chiede all'Italia di ridurre il proprio debito pubblico applicando un'imposta una tantum sui patrimoni. Nel gennaio del 2014 la Bundesbank aveva già presentato il concetto di un'imposta patrimoniale una tantum come strumento per evitare il fallimento dello Stato italiano. Gli svantaggi e i rischi associati alle imposte patrimoniali, in particolare il rischio di una fuga dei capitali, giocano normalmente a sfavore delle imposte sul patrimonio. Sono tuttavia ipotizzabili delle situazioni in cui, in mancanza di alternative migliori, utilizzare questo strumento potrebbe avere un senso: "Nella situazione eccezionale di una imminente insolvenza dello Stato, tuttavia, un prelievo una tantum sui patrimoni potrebbe avere effetti piu' favorevoli rispetto alle altre opzioni ancora possibili".

Una tale imposta patrimoniale tuttavia solleverebbe molti problemi. Se includesse beni mobili, ad esempio, porterebbe a una fuga di capitali. E questo aggraverebbe ancora di piu' la crisi economica italiana. Dato che i grandi patrimoni spesso sono collegati alle imprese, l'imposta finirebbe per gravare sulle imprese che invece dovrebbero investire e creare posti di lavoro. Per evitare una fuga di capitali, l'imposta potrebbe essere limitata ai beni immobili. In tal caso, però, dovrebbe essere  proporzionalmente più alta. Dal punto di vista dell'equa ripartizione degli oneri, tuttavia, sarebbe difficile negoziare una cancellazione del debito pubblico esclusivamente a spese dei proprietari di immobili.

4 - Spostare il debito verso gli altri stati membri

Sarebbe teoricamente possibile per gli altri paesi membri dell'eurozona sgravare l'Italia da una parte del suo debito pubblico. I cittadini degli altri stati dell'eurozona, tuttavia, non accetterebbero mai una ridistribuzione diretta del debito. Sarebbe quindi ipotizzabile da parte degli altri paesi membri una concessione di prestiti a lunghissimo termine a tassi d'interesse vicini allo zero, simili a quelli concessi alla Grecia, ad esempio, attraverso il MES. Fintanto che questi prestiti possono essere rifinanziati con un tasso d'interesse prossimo allo zero, non ci sarebbero problemi. I paesi creditori, tuttavia, potrebbero avvertire la mancanza di un margine di manovra per contrarre altri prestiti, al più tardi durante la prossima crisi economica.

Un argomento generalmente utilizzato contro lo spostamento del debito pubblico italiano sugli altri Paesi europei è che le famiglie italiane spesso hanno livelli di ricchezza relativamente elevati. Il grafico mostra che, sebbene la ricchezza netta media sia leggermente inferiore rispetto alla media dell'eurozona, essa supera la ricchezza delle famiglie olandesi e finlandesi, ad esempio. È difficile immaginare che in un paesi nel quale le famiglie hanno una ricchezza privata media piu' bassa, queste siano poi disponibli ad alleviare il peso del debito pubblico di un paese i cui cittadini sono mediamente più ricchi.



5 - Alleggerimento del peso del debito tramite la BCE

Di tanto in tanto qualcuno suggerisce che il problema del debito pubblico italiano debba essere risolto dalla banca centrale, la quale dovrebbe acquistare gran parte delle obbligazioni e rifinanziare il paese. Si arriva a chiedere persino che la banca centrale rinunci al pagamento degli interessi e annulli le obbligazioni. La proposta di eliminare il debito pubblico mediante il trasferimento definitivo dei titoli di stato alla banca centrale è convincente quanto le famose menzogne del Barone di Münchhausen. Si dimentica che i profitti della banca centrale spettano comunque allo Stato. Se la banca centrale italiana, con l'approvazione della BCE, dovesse acquistare dei titoli di Stato ed emettesse in cambio della moneta, si creerebbe un profitto della banca centrale che dovrebbe essere trasferito allo Stato italiano. Se la banca centrale dovesse acquistare più titoli di Stato, ci sarà meno spazio, ad esempio, per acquistare obbligazioni societarie, data la massa monetaria complessiva. I proventi derivanti dagli interessi su queste obbligazioni societarie saranno di conseguenza inferiori. Il piano per dimenticare il debito pubblico nei sotterranei delle banche centrali funziona solo se si crede di poter espandere la massa monetaria a piacimento. Ma questo non è possibile. Chiunque ci provi causerà svalutazione monetaria e inflazione



6 - L'uscita dall'euro e la reintroduzione della moneta nazionale

Il governo di coalizione fra Cinque Stelle e Lega Nord all'inizio del suo mandato discuteva apertamente di una possibile uscita dell'Italia dall'eurozona. A ciò si accompagnava l'idea che in questo modo l'Italia avrebbe potuto liberarsi di gran parte del suo debito pubblico passando a una nuova moneta nazionale. Le conseguenze pratiche di un tale passaggio - destabilizzazione politica ed economica del paese e imprevedibili controversie legali - tuttavia, rendono questa opzione molto poco attraente. E questo vale sia per l'Italia, che per il resto d'Europa.

Non esiste una soluzione semplice

Questa breve discussione sui possibili scenari per lo sviluppo futuro dell'Italia e della finanza pubblica italiana dimostrano che non ci sono soluzioni facili al problema dell'elevato indebitamento pubblico del paese. È molto probabile che l'Italia venga sostenuta finanziariamente dai paesi dell'Eurozona, in modo da garantire al paese l'accesso al mercatio dei capitali ad un basso tasso di interesse. L'elevato livello di indebitamento pubblico e le conseguenze della crisi post-corona per il settore privato metteranno a dura prova lo sviluppo economico, tanto da rendere difficile l'uscita del paese da una situazione di eccesso di debito. Nella prossima crisi economica, il sovraindebitamento sarà difficile da evitare.

Il problema politico di fondo è che ci sarà sempre una forte tentazione da parte dei governi in carica a presentare i problemi di sovraindebitamento come dei semplici problemi temporanei di liquidità, rimandandone la loro soluzione tramite la concessione di prestiti di aiuto. Le conseguenze saranno poi affrontate dai governi successivi.

Tutto ciò dimostra che nei prossimi anni nell'eurozona ci si dovranno aspettare delle notevoli tensioni. L'Italia non è l'unico Paese a dover affrontare delle sfide finanziarie. Molto dipenderà anche dal fatto che l'Europa nel suo insieme riesca a rilanciare quanto prima la propria cescita economica. La possibilità di raggiungere questo obiettivo dipende in primo luogo dagli sviluppi della pandemia e dalle misure  governative prese per contenerla. Per i responsabili della politica europea si pone anche la questione se sia possibile un'azione congiunta a livello europeo per promuovere e rilanciare la ripresa economica.


giovedì 16 luglio 2020

Ricordi da un'altra unione monetaria

Trenta anni fa, nel luglio del 1990, nella DDR veniva introdotto il D-Mark, una scelta precipitosa che distrusse l'industria della Germania orientale e stravolse la vita di milioni di tedeschi dell'est. Nei decenni successivi lo stesso copione si sarebbe ripetuto nell'Europa del sud, questa volta però con l'euro. Ne scrive Daniela Dahn sulla Berliner Zeitung


Le riflessioni condotte sulla riunificazione tedesca, sempre più di spesso ammettono che lungo il cammino sono stati commessi degli errori, a volte anche gravi. Ma questa ammissione di solito viene relativizzata dalla seguente affermazione: in considerazione della caduta del Muro, dell'emigrazione di massa, del declino economico e del desiderio generale di avere il D-Mark in tasca, non c'erano alternative. E' necessario opporsi a questa narrazione: chi non ha mai sperimentato alternative, difficilmente può risultare credibile quando afferma che  all'epoca non ce ne fossero.

Ciò vale in particolare anche per l'introduzione del D-Mark come mezzo di pagamento nella DDR. Ma cosa successe esattamente in quei giorni?

Dopo l'incontro del 6 febbraio 1990 con il presidente della Banca centrale della DDR, Horst Kaminsky, e il suo ministro dell'economia, Christa Luft, il presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl aveva rilasciato un comunicato stampa nel quale ribadiva che i piani per un'unione monetaria dovevano essere considerati prematuri. Il ministro federale dell'economia Helmut Haussmann aveva aggiunto che la DDR avrebbe gradualmente reso convertibile la sua moneta con un forte sostegno da parte dell'ovest. Anche un'analisi del Consiglio dei saggi economici confermava questo approccio.

Ma solo un giorno dopo, il cancelliere Kohl, dopo aver consultato a quattr'occhi il suo ministro delle Finanze Theo Waigel, senza averci riflettuto piu' di tanto, decise di offrire pubblicamente l'unione monetaria ai tedeschi dell'est. La Bundesbank non era stata consultata, e Pöhl in piu' occasioni in seguito se ne è anche lamentato. Il D-Mark è stata la promessa elettorale più difficile da mantenere. I sondaggi della CDU orientale per le elezioni della Volkskammer del 18 marzo, infatti, erano stati spiacevoli quanto i sondaggi personali sulla popolarità del Cancelliere in Occidente. L'eccellente istinto politico di Kohl per il potere, tuttavia, era stato poi premiato da una vittoria schiacciante ottenuta con il 48% dei voti dall'Alleanza per la Germania da lui creata.



L'ormai imminente introduzione del Marco dell'ovest aveva suscitato da un lato una grande cupidigia, dall'altro un'incertezza di fondo sul ritmo al quale questa riforma monetaria avrebbe potuto essere realizzata con successo. La bozza del trattato era rimasta sotto chiave, ma a metà aprile erano trapelate alcune indiscrezioni. Finalmente era chiaro quale prezzo sarebbe stato richiesto per impedire che la moneta pregiata  fosse usata per scopi riprovevoli: la DDR doveva accettare una restrizione della propria sovranità. I principi costituzionali più importanti della DDR dovevano essere abrogati, in particolare veniva messo in discussione l'ordinamento giuridico socialista, in modo da poter garantire l'acquisizione della proprietà privata di terreni e mezzi di produzione. Per la prima volta veniva introdotto il diritto di licenziare senza preavviso. Chiunque rinunci alla propria sovranità monetaria, del resto, non viene più considerato un partner contrattuale degno di essere preso sul serio.


La gioia dell'attesa era mista alla disillusione e alla paura per la propria esistenza: nelle fabbriche c'erano stati scioperi di avvertimento. La PDS aveva affisso migliaia di manifesti: "se il D-Mark arriva troppo presto, la ragione arriva troppo tardi". Ma le telecamere avevano preferito soffermarsi solo sugli slogan di senso opposto. Le elezioni locali del 6 maggio nella DDR, appena sette settimane dopo le elezioni della Volkskammer, con oltre un milione di elettori che hanno cambiato partito, avevano mostrato una perdita di fiducia dell'elettorato. La CDU aveva perso 800.000 voti, i piccoli partiti come i Verdi, gli attivisti per i diritti civili e gli altri partiti che erano contro la grande Germania, diventata molto in fretta la nuova Patria, insieme erano passati dal 20 al 30 %. Ma questa tendenza era stata comprata con il D-Mark e fermata anche dalla legge sui Treuhand approvata nello stesso periodo, legge che liberava la proprietà pubblica e ne rendeva possibile la privatizzazione.  



L'atto più importante della prima e ultima Volkskammer liberamente eletta, corteggiata dai consiglieri occidentali, è stato proprio quello di espropriare il popolo dell'est. Il politico della SPD Rudolf Dreßler ne ha parlato descrivendola come una "terribile omissione": "perché dopo l'unità dello Stato, c'era stata una chiara e unica opportunità storica di trasformare la ricchezza nazionale in una forma di proprietà del capitale produttivo ampiamente diffusa, in modo da rendere i tedeschi dell'est comproprietari di aziende sane e riorganizzate". Volker Braun aveva riassunto questo "affare poco trasparente" in poche parole: il popolo ha rinunciato alle sue proprietà e si è fatto consegnare la libertà.

La mattina del 1° luglio i cittadini della DDR hanno scambiato le loro monetine di alluminio con il ben piu' resistente D-Mark, e nei loro grandi magazzini hanno poi trovato le merci occidentali in tutto il loro splendore. L'ho sperimentato personalmente nelle abitudini di consumo del nostro villaggio. Non è vero che i beni dell'est non venivano piu' comprati, semplicemente erano completamente scomparsi dai supermercati. Non c'era piu' il solito dentifricio, e niente più pomodori prodotti sul luogo, quelli nuovi erano un po' piu' pallidi, ma almeno  arrivavano dall'Olanda. Anche l'edicola non era riconoscibile - accanto alla Bild e a Die Welt c'erano i tascabili Welt Goldmann. E la prima concessionaria di auto in città! La promessa fatta ai consumatori era stata mantenuta, nell'entusiasmo generale. I punti più importanti del trattato, in realtà, non erano mai stati mantenuti.

"Dentro c'erano davvero tutte queste sciocchezze?" aveva chiesto Karl Otto Pöhl, il presidente della Bundesbank, la cui opinione sulla riforma monetaria non era stata nemmeno ascoltata, due anni dopo mentre gli leggevo alcuni passaggi del Trattato. "All'epoca non l'avevo nemmeno letto, ero così arrabbiato che sapevo già che mi sarei dimesso". E' stata una scelta politica che andava contro l'economia. Se nella Repubblica Federale fosse stato introdotto da un giorno all'altro il dollaro, molto più forte, mi aveva spiegato, anche l'economia tedesca ne sarebbe uscita fortemente danneggiata. L'editorialista economico del Guardian descrisse l'impatto dell'unione monetaria con l'est come quello di una "bomba atomica economica".

Quello che ne seguì invece furono dei paesaggi politici alquanto appassiti. Dopo che il 95 % della proprietà del popolo era passata in mani occidentali, iniziò un periodo di siccità durato 18 anni, dopo il quale si riuscì di nuovo a raggiungere la produzione economica della DDR. Secondo i sondaggi rappresentativi della sociologa Yana Milev, tra il 1990 e il 1994 tre milioni di persone hanno manifestato contro i licenziamenti e contro le disparità di trattamento - il doppio rispetto alla "rivoluzione pacifica" - ma sono state ignorate. Parallelamente alla deindustrializzazione, anche il tasso di natalità è sceso del 70%, un barometro alquanto affidabile sull'andamento dell'opinione pubblica.

Il numero di persone emigrate ad ovest ha continuato a crescere. Ad est, invece le persone venivano spesso inserite in inutili programmi per la creazione di posti di lavoro, e alla fine hanno dovuto fare richiesta di assistenza sociale. Il fatto che la rete di sicurezza sociale esista, bisogna ammetterlo, ha anche a che fare con la ripresa che la riunificazione ha causato in occidente. Il 1990 è stato il miglior anno finanziario nella storia  centenaria della Deutsche Bank. E non solo per questa banca. E' diventato conveniente degradare i tedeschi dell'est facendoli diventare percettori permanenti di elemosine. "Viziare" è un termine accettabile in una economia di mercato, senza nascondere il suo sottofondo umiliante.

L'isolamento economico post-coronavirus, in confronto, è un gioco da ragazzi. Ancora oggi, i nuovi Länder federali dell'est non sono più così lontani dal riuscire a produrre completamente da soli quanto consumano. Tuttavia sono stati riconciliati con il paese grazie all'introduzione del D-Mark e poi con l'euro. Secondo il rapporto annuale del governo federale del 2019, due terzi dei tedeschi dell'est hanno dichiarato che la loro situazione personale è migliorata notevolmente rispetto al 1990. Finalmente sono stati in grado di viaggiare dove volevano e di migliorare le loro condizioni di vita, di creare delle piccole imprese e di consumare quasi quanto i loro compatrioti, che una volta si chiamavano fratelli e sorelle.

Già nel 1994, l'allora ministro degli Affari sociali, Regine Hildebrandt, lamentava che l'est socialmente egualitario si era allineato alla società dei due terzi occidentale. Ed è lì che è rimasto.

Secondo i "Glückatlas", quasi la metà dei tedeschi dell'est è preoccupata per la coesione sociale. La ricca Germania di oggi è un paese che tollera la nuova povertà, che ha una sottoclasse sociale creata grazie ad Hartz IV, che emargina i gruppi sociali, che spende poco per i richiedenti asilo, dove la salute costa tanti soldi e le opportunità educative sono ereditarie. E questi sono anche gli effetti tardivi di questa folle unione monetaria, che alla fine ha portato il costo netto dell'unificazione tedesca ben oltre i due trilioni di euro. Soldi che non sono stati pagati usando gli spiccioli e le monetine, ma in gran parte sono stati finanziati da prestiti ancora oggi lungi dall'essere estinti. Secondo la Corte dei conti tedesca, il debito federale oggi è quattro volte superiore rispetto a quello di 30 anni fa. Questo fardello non solo sarà ereditato dalle prossime generazioni, ma per anni ha imposto, a est come a ovest, lo Schwarze Null, sotto il cui ombrello dimagrante le politiche pubbliche per il clima, la salute, l'istruzione, i trasporti o la digitalizzazione hanno perso spessore.

Dove l'ottimizzazione per il mercato isola le persone e ogni forma di solidarietà ha il suo prezzo, dove la demolizione degli spazi abitativi lascia i giovani emotivamente senza casa, fioriscono la violenza, la xenofobia e l'estremismo di destra. Tutto ciò era senza alternative?

Un'introduzione graduale del D-Mark, anche se non così esitante come era accaduto nella Saarland, davvero non sarebbe stata possibile? I tedeschi dell'ovest non furono  nemmeno interpellati, ma i loro esperti erano pienamente consapevoli degli effetti che la frettolosa introduzione del D-Mark avrebbe causato. Il consulente di direzione Roland Berger aveva preparato una perizia nella quale prevedeva quattro milioni di disoccupati e l'intero disastro qui descritto. Ma lo studio era finito in una cassetta di sicurezza.

Perché questo rapporto è stato tenuto segreto? L'unica spiegazione è che delle persone consapevoli dei rischi alla fine avrebbero deciso diversamente. Se fosse stato pubblicato in tempo, non è affatto certo che i partiti che avevano elogiato questo rullo distruttore come un'offerta allettante, e che lo avevano fatto solo per mantenere il loro potere, alla fine sarebbero stati davvero rieletti. Così, questo accordo, che nelle sue promesse economiche non è mai stato mantenuto, era la continuazione di quella "irresponsabilità organizzata" che Rudolf Bahro una volta attribuiva all'economia della DDR.


mercoledì 15 luglio 2020

Per lo ZEW il Recovery fund non aiuterà i paesi colpiti dal coronavirus

Lo scrive lo ZEW di Mannheim, un importante centro di ricerca tedesco, che a pochi giorni dall'ennesimo vertice europeo sul Recovery fund, fa uscire uno studio, commissionato dalle associazioni dei datori di lavoro e rilanciato da Handelsblatt, nel quale esprime sostegno per la posizione dei 4 paesi frugalisti. Per i ricercatori dello ZEW, e per chi ha commissionato lo studio, il Recovery fund non incentiverebbe i paesi a fare le riforme e non sarebbe poi cosi' vantaggioso per Italia, Francia e Spagna. Ne scrive Ruth Berschens su Handelsblatt



Nella disputa sul piano di ricostruzione post-Corona, i Paesi Bassi ricevono un assist dalla Germania: il Leibniz-Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (ZEW) dopo aver esaminato il piano giunge a un verdetto molto severo: diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione Europea, i 750 miliardi di euro del fondo non andranno a vantaggio dei Paesi particolarmente colpiti dalla pandemia.


Lo studio dello ZEW, a disposizione di Handelsblatt, inoltre afferma che il fondo non costituisce un incentivo efficace a fare le riforme nei confronti dei Paesi UE a bassa crescita come è il caso dell'Italia. La ricerca è stata commissionata dall'Iniziativa  della Nuova Economia Sociale di Mercato (Neue Soziale Marktwirtschaft), e finanziata dall'associazione Gesamtmetall e da altre associazioni datoriali di lavoro.

"L'analisi mostra che il Next Generation Fund nella sua funzione di stabilizzatore economico è stato mal costruito", scrive l'esperto dello ZEW Friedrich Heinemann. "Progettato in questo modo, i 750 miliardi di euro di finanziamenti non fornirebbero né un sostegno mirato agli Stati membri particolarmente colpiti dal coronavirus, né sarebbero un impulso significativo per superare il ritardo in termini di riforme dei Paesi a basso potenziale di crescita".

I risultati dei ricercatori dello ZEW sono in linea con le critiche espresse dal gruppo dei 4 paesi frugalisti in merito al pacchetto di aiuti: Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca temono infatti che i miliardi del piano di ricostruzione post-Corona piu' che altro vengano utilizzati per colmare i buchi di bilancio senza risolvere i problemi strutturali dei paesi a bassa crescita.

Il primo ministro olandese Mark Rutte e i suoi omologhi in vista del vertice UE di venerdì prossimo, infatti, stanno spingendo in favore di un inasprimento dei requisiti di riforma da applicare ai paesi beneficiari. Chiedono inoltre anche una riduzione delle dimensioni complessive del fondo.

La Commissione aveva proposto, con il sostegno di Francia e Germania, di versare 500 miliardi di euro in sovvenzioni a fondo perduto e 250 miliardi di euro sotto forma di prestiti ai paesi particolarmente colpiti dalla crisi causata dal Coronavirus. I "Quattro paesi frugalisti" non sono d'accordo. Chiedono infatti che ci siano meno sovvenzioni e più prestiti.




I paesi non colpiti saranno quelli a trarne i maggiori benefici

I ricercatori dello ZEW non mettono in discussione il volume del Fondo per la ricostruzione, ma ne mettono in discussione il progetto. Secondo la bozza della Commissione UE, infatti, 310 miliardi di euro verrebbero pagati sotto forma di contributo diretto agli Stati membri.

Per la distribuzione di tale importo, la Commissione utilizza esclusivamente degli indicatori economici risalenti al periodo precedente alla crisi: il reddito pro-capite del paese rispetto alla media UE nel 2019, nonché l'andamento della disoccupazione negli anni dal 2015 al 2019 rispetto alla media UE. "L'effettiva gravità della recessione causata dal coronavirus non avrebbe quindi "alcun ruolo nel vantaggio relativo di un Paese", lamenta Heinemann.

Di conseguenza, i Paesi che non sono stati colpiti dalla crisi, come la Polonia, beneficeranno molto meno del fondo per la ricostruzione. Spagna, Italia e Francia, invece, ne usciranno relativamente svantaggiate, anche se le loro economie, secondo le previsioni dell'UE, dovrebbero crollare di oltre il 10%.

La Commissione UE giustifica la sua azione con il fatto che quando inizierà il programma, ad inizio 2021, non saranno disponibili dati affidabili sul crollo economico causato dal coronavirus. Questo argomento non convince nemmeno il governo tedesco, che infatti ne ha chiesto una correzione e ha trovato ascolto da parte del Presidente del Consiglio dell'UE Charles Michel

Venerdì scorso il belga ha presentato una proposta di compromesso. Secondo tale proposta, i criteri di ripartizione proposti dalla Commissione UE dovrebbero applicarsi solo al 70 % dei pagamenti. Il restante 30% dovrebbe andare ai paesi in cui l'economia subirà la maggiore contrazione nel corso del 2021 e del 2022.

La ZEW si lamenta anche del fatto che una parte del programma di ricostruzione debba andare in favore di voci di bilancio dell'UE che non hanno nulla a che fare con la crisi post-Corona, come i sussidi agricoli per lo sviluppo rurale o il "Just Transition Fund" per ammortizzare i costi del cambiamento climatico. Nel complesso, scrivono, "il modello di sostegno è in gran parte separato dall'impatto economico effettivo causato dalla pandemia".

C'è inoltre un'altra carenza di fondo: si stima che il 75 % del denaro non arriverà prima del 2023 o anche più tardi. La fase di crisi economica acuta, si spera, sarà allora finita da tempo. Anche Michel ha già riconosciuto il problema. Il Presidente del Consiglio UE chiede infatti che la maggior parte dei fondi sia versata nel 2021 e nel 2022. Anche la Germania è favorevole.

La condizionalità degli aiuti è un altro punto delicato del piano di ricostruzione - sia per i "4 frugalisti" che per i ricercatori della ZEW. Secondo lo studio ZEW, infatti, il piano di ricostruzione potrà aumentare il potenziale di crescita dei Paesi beneficiari solo se combinato con "incentivi efficaci a fare delle riforme strutturali".



Raccomandazioni di riforma troppo vaghe

Ma su questo punto ci sono dei forti dubbi. La Commissione vuole subordinare gli aiuti alla condizione che i rispettivi governi tengano conto delle raccomandazioni di riforma di Bruxelles e lo stabiliscano nei piani nazionali di riforma. Ma le raccomandazioni di riforma specifiche dell'UE per i singoli paesi sarebbero formulate in modo troppo vago e quindi non possono "sviluppare una reale pressione in favore del cambiamento".

L'atteggiamento di fondo della Commissione inoltre è che "gli Stati membri non abbiano alcuna responsabilità individuale per la loro situazione economica e sociale" post-Coronavirus. I ricercatori dello ZEW la vedono diversamente: gli Stati che avevano fatto le riforme nei periodi di congiuntura favorevole e attuato delle difficili riforme strutturali si sono trovati meglio attrezzati per affrontare i periodi di crisi.

Pertanto, il modo in cui un Paese riesce ad affrontare una grave crisi economica dipende molto anche dal lavoro fatto in precedenza. Lo ZEW non è d'accordo anche sul fatto che la Commissione voglia dare un sostegno finanziario supplementare ai paesi con un'elevata disoccupazione strutturale. Verrebbero puniti i governi che hanno intrapreso le riforme del mercato del lavoro e ridotto la disoccupazione.

Secondo Heinemann, il programma di ricostruzione potrà raggiungere effettivamente il suo vero obiettivo - una stabilizzazione dei Paesi gravemente colpiti dalla pandemia - solo se i capi di governo "nei prossimi negoziati riusciranno ad eliminare i gravi difetti di progettazione". Nel concreto chiede una revisione dei criteri di distribuzione.

I "criteri ovvii" sono il calo del PIL innescato dalla crisi e l'aumento della disoccupazione in uno Stato membro rispetto alla media UE. Si potrebbe "lavorare inizialmente con le previsioni e gli acconti, i quali saranno poi continuamente adeguati ai dati reali".

Le risorse del fondo per la ricostruzione, inoltre, non dovranno essere utilizzate per la politica agricola o per il fondo per la riconversione climatica. Il denaro necessario per queste voci dovrebbe essere raccolto attraverso tagli ad altre voci di bilancio dell'UE. Saranno inoltre necessari dei "requisiti di riforma più vincolanti".

Anche il primo ministro olandese è d'accordo. Mark Rutte, infatti, chiede che le richieste di aiuto per il Recovery Fund siano strettamente controllate dai ministri delle finanze dell'UE e vengano approvate all'unanimità. Ciò significherebbe che ogni singolo paese potrebbe utilizzare il proprio veto per bloccare il pagamento degli aiuti. Non c'è da aspettarsi che Rutte alla fine prevalga con questa richiesta massimalista: gli europei del Sud non la accetteranno in nessun caso.


martedì 14 luglio 2020

E se l'oro tedesco a Londra e New York fosse perduto?

Metà dell'oro tedesco ancora oggi è custodito a New York e Londra, e anche se la Bundesbank fra il 2013 e il 2016 ha cercato di riportare in patria quanto piu' oro possibile, britannici ed americani, dopo una breve collaborazione iniziale, dal 2016 hanno bloccato le consegne. Solo i francesi hanno acconsentito a far rimpatriare tutto l'oro tedesco custodito a Parigi. Dopo la recente sentenza dell'Alta corte britannica che impedisce la consegna dell'oro venezuelano al governo Chavista di Maduro, il giornalista di Handelsblatt Norbert Haering si chiede se dopo questo verdetto, anche le oltre 1.600 tonnellate di oro tedesco custodite fra New York e Londra non siano ormai irrecuperabili. Ne scrive l'ottimo Norbert Haering


Non dovrebbe esserci piu' alcun dubbio ormai sul fatto che la Bundesbank nel 2013 con il suo "concetto sul deposito dell'oro all'estero", di fatto ha rinunciato a metà delle riserve auree tedesche immagazzinate a New York e a Londra. E comunque ogni dubbio sull'argomento è stato messo da parte da quando un tribunale britannico ha deciso che il governo del Venezuela non potrà piu' riavere indietro l'oro immagazzinato presso la Banca d'Inghilterra - semplicemente perché così ha deciso il governo britannico.


Le riserve ufficiali d'oro tedesche ammontano a circa 3.367 tonnellate e al prezzo odierno di 1.581 euro per oncia, valgono ben 170 miliardi di euro .

Con circa 1.656 tonnellate, quasi la metà dell'oro è immagazzinata all'estero, tre quarti a New York e un quarto a Londra. L'oro all'estero vale attualmente circa 84 miliardi di dollari.

Ma per la Bundesbank qual'è il valore effettivo dell'essere titolare di questo patrimonio, se poi di fatto non ne è in possesso, non può accedervi, e non può nemmeno andare a controllare se l'oro è ancora lì? Non è poi molto di più che una bella voce sullo stato patrimoniale della banca centrale.


L'Alta Corte di Londra (più o meno l'equivalente della Corte Suprema Federale) recentemente ha stabilito che il governo venezuelano non avrà indietro il suo oro perché il governo britannico, invece del governo Maduro, riconosce il contro-governo fantoccio istituito e appoggiato dagli USA sotto l'autoproclamato "presidente ad interim" Juan Guaidó.

Il quale, per dare una minuscola parvenza di legalità all'intera operazione, ha nominato appositamente per l'Alta Corte britannica un consiglio di amministrazione della contro-banca centrale, un'azione totalmente ridicola, se non fosse così triste.

Ora si potrebbe argomentare che la Germania non è il Venezuela. I nostri amici di Londra, Washington e New York, non ci tratterebbero mai in questo modo. Ma sarebbe molto ingenuo, per almeno due motivi.




- In primo luogo, basta guardare all'uso che il governo degli Stati Uniti fa del diritto internazionale quando minaccia il sindaco di Ruegen con sanzioni economiche e l'arresto se dovesse far entrare una nave posatubi russa in un porto di cui è responsabile. Non vi è stata alcuna significativa resistenza da parte del governo tedesco. Ci sono innumerevoli esempi del modo in cui gli Stati Uniti hanno messo la propria legislazione al di sopra del diritto internazionale. È un programma che gli Stati Uniti hanno chiarito già da molto tempo.

- In secondo luogo, invece, è dal 2016 che la Bundesbank ha smesso di ritirare oro, a parte delle piccole dosi omeopatiche di oro estero che negli anni scorsi hanno potuto lasciare i depositi della Federal Reserve di New York. In tre anni e mezzo un totale di 47 tonnellate (su 7.800 tonnellate). Sospetto che questo stop alle spedizioni valga anche per Londra. In ogni caso, secondo quanto riportato dalla stampa, Guaidó non vuole avere l'oro indietro, ma intende lasciarlo alla Banca d'Inghilterra.

Probabilmente il principale delitto di Maduro in questo caso è stato quello di non aver tenuto conto dell'indicazione informale secondo la quale tutto l'oro estero custodito a New York e Londra, di fatto è come se fosse stato congelato. Nel caso di Maduro, questa ammissione può essere evitata tirando in ballo la farsa del contro-governo. Quando la Bundesbank, sotto la pressione di una perizia - forse ordinata - dalla Corte dei conti federale, ha chiesto pubblicamente di riavere indietro l'oro da New York, non ci è riuscita. Pertanto, dopo lunghe e difficili trattative, gli Stati Uniti tra il 2013 e il 2016 hanno fatto uscire dai loro depositi 300 tonnellate di oro tedesco. In cambio hanno ricevuto una promessa pubblica da parte della Bundesbank, ridefinita poi "concetto sul deposito dell'oro all'estero", di non fare più una simile richiesta così sfacciata.


Il valore dell'oro che gli Stati Uniti e il Regno Unito sottraggono al controllo dei loro proprietari è considerevole, ma in realtà non si tratta di questo, tranne in casi come quello del Venezuela, dove si possono fare dei danni enormi al governo debole di un paese povero. In altri casi, come nel caso della grande quantità di oro tedesco, si tratta di mantenere sotto il proprio controllo delle enormi riserve auree.

Non è del resto un caso il fatto che il prezzo dell'oro espresso in dollari abbia segnato dei nuovi record, perché sempre meno persone si fidano di un sistema monetario fondato sul dollaro nel quale la Federal Reserve statunitense mette in circolazione un numero quasi illimitato di dollari per acquistare titoli di stato statunitensi. Così tanti dollari che la Federal Reserve, e quindi in ultima analisi il governo degli Stati Uniti, sono diventati di gran lunga il maggiore detentore di titoli di Stato statunitensi.

Controllando grandi quantità di oro di proprietà di altre nazioni, si potrebbe impedire che questi paesi si facciano venire in mente l'idea di coprire la propria valuta con l'oro offrendola come alternativa al dollaro. Gli Stati Uniti potrebbero anche fare riferimento ad una sorta di diritto, nel caso in cui dovessero negare pubblicamente a questi paesi l'accesso al loro oro. Su richiesta degli Stati Uniti, infatti, già mezzo secolo fa tutti i Paesi membri del Fondo monetario internazionale si erano impegnati a "demonetarizzare" l'oro, cioè a rinunciare a coprire la moneta con l'oro.

E se le cose si mettessero davvero male, il dollaro o la moneta che gli dovrebbe succedere potrebbe essere garantita dall'oro di cui ci si è impossessati. Per farlo non c'è nemmeno bisogno di espropriare ufficialmente i proprietari dell'oro. È sufficiente avere un accesso informale all'oro. I proprietari hanno tutte le ragioni per tacere. Perché solo fino a quando non ammetteranno di non avere più accesso all'oro, potranno continuare ad elencarlo nei loro bilanci e nelle loro riserve monetarie.

Questo probabilmente è anche il motivo per cui la Bundesbank dal 2016 sull'argomento ha fatto buon viso a cattivo gioco.

domenica 12 luglio 2020

Heiner Flassbeck - Anche i giudici supremi possono sbagliare

"Non vi è alcuna separazione o demarcazione netta tra politica monetaria e politica economica, non c'è mai stata e mai ci sarà. Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la separazione prevista dal Trattato di Maastricht è dovuta esclusivamente al monetarismo, una dottrina sui sistemi monetari fondamentalmente errata che a livello globale e nella maggior parte dei paesi è stata superata e messa da parte da almeno vent'anni. Per quanti decenni ancora nei tribunali europei si dovrà discutere di tali assurdità?", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck dopo il recente voto del Bundestag che di fatto archivia la sentenza della Corte di Karlsruhe del 5 maggio. Per Flassbeck ancora una volta in Germania si è scelto di continuare a mettere la polvere sotto il tappeto, invece di affrontare il problema di fondo: la profonda inadeguatezza dei trattati europei. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop


Quello che è accaduto alla sentenza della Corte costituzionale federale probabilmente potrebbe essere considerato come un funerale di terza categoria. Nei giorni scorsi, infatti, il Bundestag ha esaminato e approvato il materiale che la BCE ha fatto pervenire al Parlamento tedesco tramite la Bundesbank.

Questo materiale spiega come la BCE, in tutte le sue decisioni, abbia fatto in modo che il principio di proporzionalità, richiesto - in modo del tutto sproporzionato - dalla Corte costituzionale, non venisse violato. La maggioranza del Bundestag è giunta alla conclusione che la proporzionalità è stata soddisfatta anche nel senso della sentenza della massima Corte tedesca e che ora si possa passare al normale ordine del giorno. La Corte di Karlsruhe probabilmente sarà soddisfatta. La Corte costituzionale, come ha recentemente confermato il relatore della sentenza della BCE, il giudice Peter Huber, non ha nulla a che vedere con l'esecuzione effettiva della sentenza.

Dopo una conclusione della vicenda piuttosto tranquilla, i querelanti in azione permanente della truppa di Gauweiler, probabilmente stanno già preparando un altro ricorso e proveranno ad attaccare un'altra volta il nuovo programma di acquisti della BCE. Il tribunale poi per diversi anni ancora sarà impegnato a cercare di emettere una sentenza su una questione che è completamente estranea ai giudici, pur con il loro alto livello di competenza giuridica, e che probabilmente rimarrà tale per sempre.

Questo dimostra che mettere la polvere sotto il tappeto, il  principio politico di fondo in Germania, è la più assurda fra tutte le "soluzioni" possibili, perché alla fine ci sarà sempre qualche "testa dura" che avrà l'audacia di sollevare il tappeto. Se la politica si fosse occupata pubblicamente e seriamente del verdetto e avesse chiarito alla Corte costituzionale quanto questo fosse sbagliato, avrebbe reso un servizio duraturo alla democrazia, allo stato di diritto e probabilmente anche alla Corte.

Se la terra fosse piatta per legge...

E' chiaro che se al tribunale di Karlsruhe fosse stato risparmiato di dover trattare un'altra volta con la BCE, alla fine gli avrebbero fatto un favore. In ogni caso, quello che dice il giudice Huber alla FAZ suona più o meno come una "voglia zero", sempre che sia permesso descrivere la motivazione della più alta corte tedesca in modo così irrispettoso. Anche dal punto di vista del contenuto, le successive esternazioni dei giudici hanno una nota di rassegnazione che non può essere ignorata. Ovviamente la Corte di Karlsruhe è rimasta scioccata dalla veemenza e dalla forza delle critiche espresse nei confronti della sua sentenza. Ma proprio questo punto solleva una questione di principio, che in uno Stato di diritto non dovrebbe mai essere evitata: come bisogna affrontate un verdetto della massima Corte che di fatto è evidentemente sbagliato?



Il giudice Huber dice infatti intervistato dalla FAZ:

"La demarcazione fra politica monetaria e politica economica viene indicata dai trattati. In ogni caso, finora non c'è stata alcuna demarcazione di competenze ad averci convinto pienamente. Questo non significa che non esista, e sarei felice di esserne sorpreso"

Sì, non ci si può fare nulla, quello che dicono i Trattati è immutabile. Se i "Trattati" affermassero che la terra è piatta, i giudici sosterrebbero allora che non vi è alcuna prova di una tesi sferica che possa convincere i giuristi e che quindi si deve continuare ad agire come se la terra fosse un disco?

La giurisprudenza, ed è quello che si può concludere da queste parole, di fatto non ha alcuna procedura e nessun mezzo per proteggersi dall'essere vittima di leggi che contengono qualcosa di impossibile da attuare o di semplicemente sbagliato.

Non vi è alcuna separazione o demarcazione netta tra politica monetaria e politica economica, non c'è mai stata e mai ci sarà. Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la separazione prevista dal Trattato di Maastricht è dovuta esclusivamente al monetarismo, una dottrina sui sistemi monetari fondamentalmente errata che a livello globale e nella maggior parte dei paesi è stata superata e messa da parte da almeno vent'anni. Per quanti altri decenni ancora i tribunali europei dovranno discutere di questa assurdità e si faranno trascinare da queste assurdità impersonate da soggetti come il signor Gauweiler, che sono completamente ignoranti in materia di politica economica?

In altri casi, al contrario, la Corte costituzionale federale era stata meno impotente quando si era trattato di giudicare su leggi che considerava insostenibili. Perché invece la Corte costituzionale in questo caso non afferma chiaramente che gli Stati europei possono ovviamente cooperare in materia di politica monetaria, ma non è possibile farlo nel modo in cui viene stabilito dai trattati.

... dovremmo poi anche rispettare questa legge?

Molti dicono che l'Europa deve convivere con il fatto che queste leggi (i trattati) esisteranno per sempre, perché non sarà mai raggiunta l'unanimità necessaria per una modifica dei trattati da parte dell'esecutivo. Ma questo è un argomento senza senso. Se non si riesce a rispettare i trattati, non si è tenuti a rispettarli. Nessuno deve rispettare i trattati che si basano su degli errori oggettivi.

Ed è quello che abbiamo in questo caso. Al momento della firma del Trattato di Maastricht, infatti, le parti contraenti hanno erroneamente ritenuto che esistesse una politica monetaria e del cambio che potesse essere chiaramente distinta dal resto della politica economica e che non potesse avere un impatto "sproporzionato" sull'economia reale. Ma non può esistere nulla del genere. L'unica cosa che si può fare ora, quindi, sarà chiarire chi e in quale forma potrà dare lo stimolo necessario a modificare questi trattati.

Come nel resto della vita giuridica, l'impulso a cambiare le leggi può venire anche dai tribunali. Se la Corte Costituzionale tedesca dovesse ammettere il suo errore, dovrebbe anche cogliere la prossima occasione per far capire al legislatore tedesco e, tramite la Corte di Giustizia europea, al legislatore europeo, che i cittadini europei non devono e non possono vivere con leggi che non possono essere rispettate. Invece di esigere che la politica rispetti dei vecchi trattati ormai tramontati, il grande potere indipendente all'interno dello Stato dovrebbe obbligare i politici a negoziare dei nuovi trattati piu' realistici.

Chi non vuole abusare del potere deve sapere

Per prepararsi a ciò, tuttavia i giudici dovranno informarsi in modo molto più ampio e approfondito. La sentenza sbagliata della Corte di Karlsruhe si basa chiaramente su informazioni insufficienti in merito al quadro complessivo, dato che il tribunale ha raccolto informazioni in modo estremamente unilaterale. L'Associazione Federale delle Banche Tedesche non è certo un'organizzazione presso la quale il più alto tribunale tedesco può rifinanziarsi spiritualmente e mentalmente.

Se, d'altra parte, il tribunale avesse preso piu' tempo per ascoltare gli esperti di tutte le direzioni economiche e si fosse formato un giudizio autonomo su questa base, probabilmente avrebbe scoperto da solo ciò che è ovvio a tutti, e cioè che il monetarismo non poteva essere una base adeguata per il Trattato di Maastricht, ed oggi è diventato completamente obsoleto.

Ci sarebbe voluta poi tutta l'abilità dei giudici per arrivare da questa intuizione fino ad una soluzione costruttiva per l'Europa intera. Anche in questo caso, infatti, una richiesta di rinvio da parte della Corte di Giustizia sarebbe stata comunque un modo per risollevare fino al giusto livello decisionale una questione indubbiamente europea. Entrambi i tribunali avrebbero dovuto chiedere in maniera congiunta al legislatore europeo, attraverso la Commissione europea, di redigere dei nuovi trattati e di sottoporli alle istituzioni europee. I Trattati, avrebbero dovuto affermare i giudici, indirizzano la vita politica europea e rendono la politica monetaria della BCE una parte integrante della politica economica europea, che a sua volta fornisce il quadro macroeconomico per le azioni dei governi nazionali.

Finora, di conseguenza, facendo riferimento a quanto affermato dal giudice Huber, non vi è stata una delimitazione convincente delle competenze, poiché questa non può emergere dai fatti. Nulla di ciò che la BCE finora ha riferito sarà in grado di dimostrare la ripartizione delle competenze attesa dal tribunale di Karlsruhe. L'unica cosa che sarà provata è che la BCE ha valutato le conseguenze delle sue politiche, le ha comunicate all'esterno e ne ha discusso con i politici.

Non è quello che la Corte si aspettava. Di conseguenza, sarebbe sbagliato accettare semplicemente questo messaggio da parte dei politici e della BCE. Dei giudici intelligenti non aspettano che l'impossibile diventi possibile, ma fanno in modo che le leggi corrispondano alle reali possibilità delle persone.


sabato 11 luglio 2020

Boicottaggio e censura in Germania per il film di Costa-Gavras "Adults in the room"

Chi ha paura di Yanis Varoufakis? Dietro l'ostracismo tedesco nei confronti di "Adults in the Room", il film del grande regista greco Costa-Gavras, ci sarebbero mani potenti che prima ne hanno osteggiato la realizzazione, in particolare il direttore tedesco dell'ESM Klaus Regling nel 2017 avrebbe chiesto a Costa-Gravas di rinunciare al progetto cinematografico, e che ora ne impedirebbero la distribuzione in Germania. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy

adults in the room costa gravas

Un incontro a Parigi

Alcuni importanti funzionari della Repubblica Federale Tedesca si sarebbero personalmente adoperati per impedire la rielaborazione cinematografica in chiave critica dell'operato tedesco nei confronti della Grecia durante l'eurocrisi. I media greci, infatti, avevano già riferito nel febbraio di quest'anno di un incontro tra il famoso regista greco Costa-Gavras e il direttore del fondo ESM, Klaus Regling [1]. L'articolo riporta che durante una cena a Parigi il capo dell'ESM Regling avrebbe chiesto al due volte vincitore del premio Oscar di astenersi dal portare avanti il suo attuale progetto cinematografico "Adults in the room", annunciato per il 2017. Per la sua rielaborazione cinematografica dello scontro tra Berlino e Atene del 2015, il grande regista Costa-Gavras si sarebbe basato sul libro dell'allora Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, nel quale venivano descritti gli incontri dell'eurogruppo, nonché sulle registrazioni audio degli stessi incontri fatte segretamente da Varoufakis, oppositore del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Secondo quanto affermato dal regista, famoso in tutto il mondo per i thriller politici come "Z" o "La rivolta invisibile", Regling gli avrebbe chiesto di astenersi dal trasporre cinematograficamente gli incontri in quanto il ritratto fatto da Varoufakis era in gran parte errato [2]. Costa-Gavras gli aveva invece risposto che era stato in grado di confrontare le informazioni contenute nel libro di Varoufakis con le registrazioni audio delle riunioni dell'Eurogruppo e di averne verificata l'attendibilità. In seguito alla pubblicazione delle registrazioni audio di Varoufakis, Regling ha anche espresso il suo rammarico per la violazione della "privacy" dei funzionari dell'UE interessati.



I diktat di risparmio di Schäuble 

Nel film-documentario politico, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nell'agosto 2019, vengono descritte le trattative tenutesi durante la maratona dell'Eurogruppo, nel quale erano presenti sia il dominante ministro delle Finanze tedesco Schäuble, che il primo ministro greco Alexis Tsipras, a capo di un governo di sinistra eletto nel gennaio 2015. La sinistra socialdemocratica di Tsipras, Syriza, aveva vinto le elezioni politiche in una Grecia devastata economicamente, con la promessa di porre fine ai rovinosi diktat tedeschi che in particolare Schäuble aveva imposto ad Atene mediante una serie di cosiddetti "pacchetti di austerità"; i diktat tedeschi avevano portato a un crollo del prodotto interno lordo greco di circa un terzo e a un'esplosione della disoccupazione e della povertà. Nel corso della maratona negoziale del 2015, condotta per la parte greca dall'allora ministro delle Finanze Varoufakis, tutte le proposte di compromesso di Syriza per allentare i diktat tedeschi erano state deliberatamente sabotate da Schäuble al fine di fare del governo di sinistra di Atene un esempio da utilizzare per la dissuasione. Nell'estate del 2015, la Grecia era stata addirittura minacciata da Schäuble di essere esclusa dalla zona euro, con delle possibili conseguenze disastrose, e alla fine il popolo greco ha dovuto persino accettare un umiliante inasprimento del regime fiscale di austerità tedesco. Fatto che ha ostacolato la prevista svolta politica a sinistra in Grecia.



Premio d'onore a Venezia

Il film sulla vicenda, che in occasione della sua prima proiezione ha ricevuto il Premio d'onore alla Mostra del Cinema di Venezia, in Italia è stato accolto molto bene. Nel paese in crisi, che si trova ancora una volta in una fase di conflitto politico-economico con Berlino, la stampa "alla fine della proiezione" ha applaudito il film "Adults in the room", fatto che ci si poteva anche "aspettare" in considerazione degli effetti dell'austerity in Italia, secondo quanto riportato dalla stampa tedesca [3]. Il film è stato proiettato nelle sale di Grecia, Spagna, Francia, Belgio, Portogallo, Australia e Argentina, mentre in Svezia è stato un servizio di streaming ad assicurarsene i diritti. [4] Nella Repubblica Federale, invece, l'ultimo lavoro del grande regista di fama internazionale è stato in gran parte messo a tacere e di fatto ne è stato imposto un boicottaggio informale - nonostante il fatto che Ulrich Tukur, uno degli attori tedeschi piu' famosi, nel film interpreti il ruolo del ministro delle Finanze Schäuble. In Germania non c'è stato un solo distributore cinematografico ad accettare di includere nel suo programma l'opera del pluripremiato vincitore dell'Oscar, all'interno della quale viene esaminata in maniera molto critica la battaglia tedesca per l'egemonia in Europa.

"Completamente soggettivo"

In un post del blog tedesco Griechenlandsolidarität viene riportato che gli addetti ai lavori del settore cinematografico avrebbero dichiarato che l'argomento in Germania sarebbe già stato dimenticato e che il film "non avrebbe suscitato alcun interesse". Ma alla luce delle attuali controversie sulle misure di stimolo economico nell'ambito del contrasto alla crisi causata dal coronavirus, che vedono da un lato la Germania e dall'altro Italia e Spagna, questo atteggiamento può essere considerato senza ombra di dubbio come una mera scusa. La questione di fondo piuttosto è un'altra, e cioè "se ai distributori cinematografici sia stato fatto presente che alcune persone molto potenti" si sarebbero espresse contro la proiezione del film nelle sale tedesche. In realtà, il direttore del fondo ESM, il tedesco Klaus Regling, aveva già cercato di convincere Costa-Gavras ad abbandonare il progetto cinematografico. Il film, che si basa su alcune registrazioni audio fatte di nascosto, non ha mai ottenuto il doppiaggio tedesco e non ha nemmeno una voce in lingua tedesca su Wikipedia e in una delle poche recensioni tedesche è stato descritto come "incondizionatamente soggettivo". [5] I principali media tedeschi, in occasione della prima del film, ne avevano parlato in modo dispregiativo etichettandolo come un "programma televisivo per il tempo libero". [6]

(...)


Per chi fosse interessato ad acquistare il DVD del film "Adults in the room" può usare questo link e contribuire così a questo blog:




[1] Η εύλογη λύπη του κ. Ρέγκλιγκ. mera25.gr 19.02.2020.
[2] Ehemaliger Merkel-Berater und höchster EU-Beamter zum Regisseur von "Adults in the Room": "Machen Sie diesen Film nicht!" diem25.056 20.02.2020.
[3] Andreas Busche: Clownshorden in Gotham City. tagesspiegel.de 31.08.2019.
[4] Wer hat Angst vor Yanis Varoufakis? griechenlandsoli.com 05.07.2020.
[5] Björn Becher: Adults in the Room. filmstarts.de.
[6] Dietmar Dath: Geh mir weg mit deiner Politik. blogs.faz.net 02.09.2019.
[7] Greek unemployment falls to 14.4 pct in March, lowest since November 2010. ekathimerini.com 11.06.2020.
[8] Griechenland lehnt strikte Auflagen für EU-Coronahilfen ab. stol.it 05.07.2020.
[9] S. dazu Der Preis der Integration.