domenica 10 gennaio 2021

I sogni troppo ambiziosi dell'establishment tedesco

Sulla stampa che conta e sulle riviste di geopolitica, l'establishment e i grandi Think Tank tedeschi coltivano il sogno di trasformare l'UE in una potenza globale con una propria autonomia strategica rispetto a Stati Uniti e Cina. La realtà dei fatti purtroppo è molto diversa e anche i tedeschi devono iniziare ad ammettere l'inconsistenza delle loro ambizioni geopolitiche. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


"Fissare degli standard globali".

La richiesta di un riposizionamento maggiormente offensivo dell'UE nel ruolo di "potenza mondiale" era già stata espressa in autunno da importanti media liberali e conservatori ad ampia diffusione. Già ad ottobre 2020, infatti, il portale online del settimanale Die Zeit chiedeva "più coraggio nel diventare una potenza mondiale": l'UE, sosteneva la testata, "deve considerarsi una potenza mondiale" [1]. Poco più tardi, sul quotidiano del gruppo Springer, Die Welt, il ministro dello sviluppo Gerd Müller e l'ex-esperto di politica estera dell'influente Fondazione Bertelsmann, Werner Weidenfeld, dichiaravano che l'UE ha "tutto quello che serve per diventare una potenza mondiale": "la sua sovranità - circa 400 milioni di persone con il loro elevato potenziale economico - e un solido equipaggiamento militare, spingono l'UE verso il rango di potenza globale". [2] Con argomentazioni simili, Weidenfeld quasi vent'anni fa aveva definito l'UE come una "potenza mondiale in divenire" [3]. Insieme a Müller ora sostiene che "l'Europa in virtù della sua potenza economica...dovrebbe essere in grado di stabilire uno standard nel mondo multipolare digitalizzato e globalizzato". A tal fine Bruxelles avrebbe bisogno non solo di un "quadro politico più efficace" - se possibile "affiancato da un consiglio strategico europeo" - ma anche, ad esempio, di un "esercito europeo" con "una struttura comune di comando ".

"Come gli USA o la Cina"

"Cosa manca all'Europa per diventare una potenza mondiale?" è la domanda con la quale la rivista Internationale Politik (IP) ha recentemente riaperto il dibattito, lanciando un focus tematico sull'argomento. La IP è la principale rivista dell'establishment tedesco in materia di politica estera e viene pubblicata dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), uno dei think tank di politica estera più influenti della Repubblica Federale; la sua tiratura bimestrale è di circa 6.000 copie. Come afferma la IP, quasi la metà della popolazione tedesca ritiene infatti ipotizzabile che in futuro l'UE possa arrivare a ricoprire il ruolo di potenza mondiale. In un sondaggio rappresentativo svolto a dicembre, infatti, il 43 % ha risposto "sì" alla seguente domanda: pensa che "l'UE in futuro potrà avere un ruolo altrettanto forte nella politica mondiale, come fanno oggi gli USA o la Cina?"[4]. Gli indici di gradimento piu' alti sono stati riscontrati tra le giovani generazioni: circa il 70 % dei giovani tra i 18 e i 29 anni, infatti, ritiene che l'UE potrà essere una possibile futura potenza mondiale; tra gli over 60, la cifra è solo del 28 %. In termini di appartenenza politica, i giudizi di approvazione sono superiori alla media fra i sostenitori del liberismo e fra gli ecologisti: il 56% dei sostenitori della FDP ritiene infatti che l'UE in linea di principio debba vedersela alla pari con gli USA e la Cina; questo vale anche per il 52% degli elettori dei Verdi.

Molte parole, pochi fatti

Relativamente alla reale situazione dell'UE in materia di politica internazionale, la IP ammette che "l'Europa" ha "parlato molto del suo ruolo internazionale", tuttavia "senza mai fare abbastanza" [5]. Così, il raggiungimento della cosiddetta "autonomia strategica" - una variante ridotta rispetto alla piu' ambiziosa politica di potenza mondiale - era già stato indicato come un obiettivo da raggiungere nelle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2013, e poi nella Strategia globale dell'Unione del giugno 2016. Quell'obiettivo tuttavia non è stato ancora raggiunto. Il "compito dell'Europa" ora sarà quello di "rafforzare il suo impatto internazionale nel quadro delle nuove condizioni e difendere i suoi interessi in maniera piu' decisa". L'UE in questo modo "riuscirà quindi ad espandere le sue risorse in termini di potere" solo se la sua coesione interna e la volontà dei suoi governi di cooperare cresceranno. La IP non esclude anche degli effetti collaterali assai utili derivanti da una grave crisi - come ad esempio l'attuale crisi causata dal Coronavirus: "Cresce la sensazione di far parte di una 'comunità di destini'". Questo, naturalmente, - a pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultimo numero di IP - è alquanto opinabile: proprio a causa dei gravi errori nell'approvvigionamento dei vaccini sono scoppiate delle critiche feroci nei confronti dell'inerzia mostrata dalle autorità di Bruxelles.

Fra ambizione e realtà

Mentre la IP tiene alte le rivendicazioni dell'UE sul tema della politica di potenza mondiale, i singoli articoli presenti sull'ultimo numero rivelano come le aspirazioni e la realtà siano fra loro sempre più lontane. Ad esempio, la rivista sostiene che "più di ogni altra questione", la politica sull'Iran è il vero simbolo della politica estera comune dell'UE: "da quasi due decenni ormai", gli Stati membri "perseguono un approccio relativamente coerente nei confronti di Teheran" - nonostante le ripetute e massicce pressioni degli Stati Uniti [6]. E' proprio nella politica iraniana, tuttavia, che è diventata evidente "l'incapacità" dell'UE di "esercitare un'influenza decisiva"; ad esempio, il commercio con l'Iran - nonostante gli ampi sforzi dell'Unione - è quasi completamente crollato a causa delle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti. La situazione è simile a quella della politica africana. Ad esempio, nonostante i molti anni di annunci e di sforzi per espandere le relazioni economiche con gli Stati dell'Africa sub-sahariana, finora non si è riusciti a farlo; la Cina, invece, ha rafforzato massicciamente la sua posizione nel continente africano. "Al momento", è scritto nell'ultimo numero della IP, "sembra che sarà propro la Cina, e non l'Europa, ad essere il principale beneficiario della fioritura economica africana"[7].

Una certa arroganza

Gli avvertimenti secondo i quali le ambizioni europee in materia di politica di potenza sarebbero tutt'altro che adeguate rispetto alle reali capacità economiche sono sempre più sentiti anche dai responsabili economici. E fanno seguito alla constatazione che vede la quota dell'Unione nella produzione economica mondiale, nel migliore dei casi stagnante [8], oppure dal fatto che la quota dell'UE nell'ambito delle domanda globale di brevetti fra il 2009 e il 2019 è diminuita drasticamente - passando dal 34,7 al 23,2 per cento - mentre la quota dell'Asia nello stesso periodo è salita dal 32 al 52,4 % [9]. Eppure le élite politiche spesso non se ne rendono nemmeno conto, l'ex commissario UE Günther Oettinger recentemente ha messo in guardia: "in molte capitali europee regna una completa sopravvalutazione delle proprie capacità economiche. Una sorta di arroganza" [10]. All'inizio di questa settimana, Werner Hoyer, l'ex ministro di Stato presso il Ministero degli Esteri federale e ora presidente della Banca europea per gli investimenti (BEI), è stato anche citato per aver dichiarato che gli Stati dell'UE "da 15 anni stanno perdendo competitività" e allo stesso tempo investono "ogni anno l'1,5% in meno del PIL in ricerca e sviluppo": "Non stiamo recuperando terreno", avverte Hoyer, "anzi, stiamo scivolando ancora più indietro"[11]. 


[1] Ulrich Ladurner: Mehr Mut zur Weltmacht. zeit.de 01.10.2020.

[2] Gerd Müller, Werner Weidenfeld: Die EU hat das Zeug zur Weltmacht. welt.de 21.10.2020.

[3] Werner Weidenfeld: Thinktank: Die verhinderte Weltmacht. welt.de 08.03.2003. S. dazu Wille zur Weltmacht.

[4] 53 Prozent urteilten "Nein", 4 Prozent antworteten "Weiß nicht". Internationale Politik 1/2021. S. 5.

[5] Daniela Schwarzer: Europas geopolitischer Moment. In: Internationale Politik 1/2021. S. 18-25.

[6] David Jalilvand: Verzagte Vermittler. In: Internationale Politik 1/2021. S. 38-40.

[7] Amaka Anku: Suboptimale Subsahara-Politik. In: Internationale Politik 1/2021. S. 41-43.

[8] S. dazu Der große Ungleichmacher.

[9] Der Anteil Nordamerikas fiel zugleich von 31 auf 22,8 Prozent. Internationale Politik 1/2021. S. 26.

[10] Thomas Sigmund: "Es gibt in vielen europäischen Hauptstädten eine völlige Selbstüberschätzung der eigenen Wirtschaftskraft". handelsblatt.com 16.11.2020.

[11] Michael Maisch, Hans-Peter Siebenhaar: Werner Hoyer: "Wir holen nicht auf, wir fallen zurück". handelsblatt.com 04.01.2021.



venerdì 8 gennaio 2021

Quo vadis Deutschland? (parte seconda)

Se lo chiede il giornalista e scrittore tedesco Gert Ewen Ungar in un commento pubblicato nei giorni scorsi su RT Deutsch. Per Ungar il dibattito interno sul pericolo rappresentato dai populisti di AfD in realtà servirebbe piu' che altro a nascondere lo spostamento a destra di tutta la politica estera ed europea della Repubblica Federale. Una riflessione molto interessante e preoccupata del grande intellettuale tedesco Gert Ewen Ungar su RT Deutsch. (seconda parte)



E' sbagliato quindi scagliarsi solo contro AfD, i Reichsbuerger e i complottisti. AfD non può fare nulla contro questa palese deriva verso destra; non ha nessuna voce in capitolo nella politica governativa. Sono invece i partiti consolidati a praticare da anni e in maniera coerente questa politica imperiale di destra e ad applicarla nelle più diverse costellazioni. La CDU, la SPD, i Verdi e la FDP incarnano la svolta a destra dalla quale Margaret Thatcher ci aveva messi in guardia circa trent'anni fa. Anche l'obiezione secondo la quale, la maggior parte delle sanzioni sarebbero imposte dall'UE, ignora il fatto che la Germania è palesemente la forza trainante dietro questo regime sanzionatorio europeo. 

Se si sposta lo sguardo sull'Europa e l'UE, le cose non si fanno più piacevoli, solo gli strumenti politici e di potenza applicati sono diversi. 



L'euro, originariamente pensato dopo la riunificazione per prevenire la rinascita della grande Germania grazie al suo D-Mark, è diventato, al più tardi con la crisi finanziaria del 2009, uno strumento in mani tedesche per una politica di potenza intraeuropea. L'euro è disfunzionale. Sembra una moneta unica, ma in realtà i paesi riuniti nell'euro devono finanziarsi sui mercati a dei tassi d'interesse diversi. Gli Stati nazionali hanno rinunciato alla loro sovranità monetaria e si sono sottoposti a un complesso insieme di regole, molte delle quali ampiamente discutibili. La Germania ha dominato la scrittura delle norme e dei trattati. Ogni tentativo di successiva correzione di alcuni regolamenti arbitrari fallisce regolarmente a causa della resistenza tedesca. In linea di principio, la Cancelliera Merkel ha chiarito che non ci saranno bond comuni emessi insieme alla Germania - come invece sarebbe consuetudine e ragionevole all'interno di un'area valutaria. La Germania insiste sull'austerità e obbliga gli Stati membri dell'eurozona ad applicare il pareggio di bilancio, una politica dal punto di vista economico alquanto discutibile. Il paradosso tedesco nell'euro: nella moneta comune ognuno fa per sé. Nessuno sa come tutto questo potrà funzionare nel lungo periodo, ma questa disfunzionalità apre lo spazio per una politica di potenza che la Germania sta usando per estendere il suo dominio all'interno dell'UE.

Il rifiuto da parte della Germania di emettere obbligazioni congiunte è pertanto comprensibile; dopo tutto, i diversi tassi d'interesse e la conseguente pressione sul debito dei paesi europei sono lo strumento per continuare ad esercitare il potere tedesco nell'eurozona - ma ad un prezzo elevato. L'Unione Europea con il regime tedesco al suo interno non sarà mai un'unione pacifica, perché la competizione politica sta spingendo gli Stati nazionali ad una competizione fra Stati - una corsa verso il basso. La competizione viene combattuta, tra l'altro, tramite i salari e l'abbassamento degli standard sociali. I lavoratori tedeschi hanno rinunciato per molto tempo a degli aumenti salariali adeguati per favorire le esportazioni tedesche. Queste esportazioni a loro volta generano disoccupazione negli altri paesi dell'eurozona. Il modello tedesco fondato sulle esportazioni spinge verso distorsioni insanabili. Allo stesso tempo, le infrastrutture interne continuano a deteriorarsi, si stanno operando tagli all'istruzione e nel settore sociale, mentre la disuguaglianza economica aumenta rapidamente. Le fratture all'interno della società sono sempre piu' visibili. L'eurozona nel complesso è rimasta indietro rispetto al resto del mondo in termini di sviluppo, mentre il risentimento tra i paesi riuniti sotto la moneta unica si fa sempre piu' forte. Continuerà ad aumentare, perché si trovano fra loro in competizione per ottenere dei bassi tassi d'interesse, pagare bassi salari e godere del favore mistico dei mercati. 



Le regole tedesche per l'euro implicano una guerra economica permanente all'interno dell'eurozona. E questi piu' o meno sono i costi che la Germania è disposta a pagare per mantenere la sua posizione di potere, o meglio a far pagare ai cittadini dell'UE. 

Nel suo discorso inaugurale in occasione dell'avvio della presidenza tedesca del Consiglio europeo, Merkel ha chiarito che, a suo avviso, e senza alcun dubbio dovrà continuare ad esserci una concorrenza fra le nazioni. Eccolo, il momento tedesco. La Germania non si considera un partner solidale, ma un concorrente all'interno di una competizione tra nazioni che deve essere vinta. Nel suo discorso la Cancelliera ha riassunto la lotta tedesca per il potere. Questo concetto della Cancelliera è tanto folle quanto pericoloso, perché da un lato gli Stati nazionali fondamentalmente non sono imprese, e dall'altro l'idea della concorrenza fra nazioni porta inevitabilmente alla guerra economica o a condizioni simili e danneggia tutti. L'unione monetaria stessa ne è un esempio negativo: elevata disoccupazione giovanile, alto tasso di disoccupazione, sottoinvestimenti in infrastrutture, impoverimento diffuso - soprattutto nei paesi della periferia. La superiorità tedesca costringe le altre nazioni ad una competizione che non possono vincere. Ogni forma di equità viene meno.

Uno degli strumenti per ottenere questo risultato è il meccanismo europeo di stabilità (MES), alla cui guida siede un estremista di mercato, il tedesco Klaus Regling. Costruita secondo il diritto privato, questa potentissima organizzazione dell'UE è al di fuori di ogni controllo democratico. Nasce per finanziare gli Stati dell'UE in difficoltà. Ma se questo sostegno venisse concesso, i parlamenti nazionali sarebbero di fatto privati di ogni potere e l'ideologia dell'austerità tedesca verrebbe attuata con tutta la sua forza e in tutta la sua idiozia. Il fondo gode di scarsa popolarità e per paesi come Spagna e Italia somiglia piu' ad una minaccia, che ad una risposta solidale alla crisi, come invece viene descritto entusiasticamente dai media tedeschi, i quali tuttavia ignorano i fatti. 



Non si può certo negare che le élite tedesche sia nel mondo degli affari, che nella politica, ancora una volta si stiano dando da fare per dominare l'Europa. Allo stesso tempo sta diventando chiaro che l'attività tedesca in Europa e nel mondo non sta facendo nulla di buono, e non contribuisce a migliorare il mondo. Al contrario, è aggressiva, suscita e alimenta conflitti, crea e approfondisce le disuguaglianze - il tutto con l'obiettivo di espandere la posizione tedesca e la sua politica di potenza. Margaret Thatcher aveva ragione. Anche se è stata profondamente neoliberista e molto dura quando si trattava dei diritti dei lavoratori e di questioni redistributive, aveva visto in maniera chiara il problema della costante ricerca di potere da parte della Germania. La Germania pratica un neoliberismo di per sé paradossale. In realtà l'obiettivo dell'ideologia neoliberale dovrebbe essere quello di arginare lo Stato. La Germania invece utilizza strumenti neoliberisti per espandere l'egemonia tedesca. Oltre al radicalismo di mercato, i tedeschi cercano di ottenere una egemonia fondata sulla politica di potenza. La Thatcher lo aveva capito. 

Ciò che la Lady di ferro tuttavia non aveva previsto, è il modo in cui questo collegamento della politica con l'economia e la continua ricerca dell'egemonia vengano supportati dai media tedeschi. In effetti, essi oscurano la visione dell'attività tedesca nel mondo e ne legittimano l'aggressività e, in ultima analisi, le aggressioni. La deriva verso destra della politica estera ed europea della Germania, che minaccia gli altri paesi nella loro sovranità, in molti media tedeschi non viene nemmeno menzionata . 

Al contrario, viene tracciato il quadro di una minaccia interna proveniente da destra, che invece ignora completamente la minaccia reale rappresentata dalla politica ufficiale del governo tedesco in carica. Negli ultimi anni la Germania si è trasformata in un paese che, secondo tutti gli standard esistenti, può essere considerato di destra e imperialista, e che ancora una volta rappresenta una minaccia per la pace e la stabilità. 

La Germania deve essere fermata - questa è un'altra delle richieste fatte all'epoca della Thatcher, oggi più che mai attuale. La Germania ancora una volta cerca la supremazia in Europa. Non si concepisce come un partner cooperativo e rispettoso, ma come un leader autoritario e disciplinatore. 

La Germania sta ripetendo i suoi errori storici. 

Il risultato di questa ripetizione, tuttavia, difficilmente cambierà. L'azione tedesca sta distruggendo l'Europa, perché alla Germania manca la saggezza politica necessaria per dare una forma a tale compito. Spingere il radicalismo di mercato a tutti i livelli contro ogni ragione e contro ogni lezione della storia, è una forma di totalitarismo. C'è da sperare che le altre nazioni europee rinsaviscano e formino un'ampia alleanza in grado di frenare la battaglia tedesca per raggiungere il potere. La Germania ha bisogno di un correttivo dall'esterno. La Germania da sola non sarà mai un membro solidale della comunità internazionale, perché non è in grado di imparare alcuna lezione dalla propria storia. Anche Margaret Thatcher lo aveva capito.


Quo vadis Deutschland?

Se lo chiede il giornalista e scrittore tedesco Gert Ewen Ungar in un commento molto duro pubblicato nei giorni scorsi su RT Deutsch. Per Ungar il dibattito interno sul pericolo rappresentato dai populisti di AfD in realtà servirebbe piu' che altro a nascondere lo spostamento a destra di tutta la politica estera ed europea della Repubblica Federale. Una riflessione molto interessante e preoccupata del grande intellettuale tedesco Gert Ewen Ungar su RT Deutsch. (prima parte)


"We beat the Germans twice, and now they’re back." Abbiamo battuto i tedeschi per due volte e ora sono tornati, aveva detto l'allora primo ministro britannico Margaret Thatcher in occasione della riunificazione tedesca. Non era per niente contenta della fortuna tedesca - credeva che una Germania rinvigorita avrebbe continuato la sua tradizione imperialista e sarebbe tornata ad imporre la sua supremazia in Europa. 

La citazione ha trent'anni, come la riunificazione. Con il senno di poi però dobbiamo sforzarci di capire se la Thatcher avesse davvero ragione. 

Questa riprova è importante, anche perché le preoccupazioni per un ritorno della destra, in Germania oggi sembrano occupare un posto centrale all'interno del discorso politico tedesco. Lo schema sinistra-destra, di conseguenza, domina gran parte del dibattito. Chi si considera "di sinistra" guarda ad AfD, ai complottisti e ai Reichsbürger, e  attribuisce loro ogni sorta di connotazione di destra. Tuttavia ciò non rende giustizia allo spostamento a destra che l'intera Repubblica Federale sta subendo, perché lo sguardo ai soli sviluppi di politica interna è decisamente limitato. I termini "sinistra" e "destra", inoltre, nel dibattito tedesco hanno semplicemente sostituito un'altra coppia di termini: buono Vs. cattivo. Sinistra e destra sono diventate categorie morali. In questo processo sono state completamente svuotate del loro contenuto politico e socio-economico. "La mascherina è di sinistra" titolava recentemente Der Freitag, ad esempio. Leggendo l'articolo, diventa immediatamente chiaro il totale cambiamento di senso della terminologia. Dopo quarant'anni di neoliberismo e di cambio di significato alle parole da parte dei grandi Think tank, la gente ovviamente non sa più cosa significhi essere di destra o di sinistra, conservatore o progressista. Le persone di conseguenza ignorano la deriva a destra dell'intero paese. Questa tendenza è molto più ampia, perché anche coloro che si considerano di sinistra la promuovono e la sostengono, e anzi, ora sono arrivati a considerare le politiche di destra come efficaci o addirittura prive di alternativa. 



La frase della Thatcher era uno sguardo dall'esterno: per comprendere la sua preoccupazione è necessario guardare nella direzione opposta e osservare la politica estera tedesca ed europea. 

In materia di politica estera, nel 2020 la Germania ha nuovamente attirato su di sé l'attenzione a causa delle numerose violazioni delle norme giuridiche internazionali e delle consuetudini diplomatiche. Continua a crescere l'aggressività con cui la Germania trasgredisce queste regole. Nella sua ricerca di potenza, del resto, si sente incoraggiata anche dal vuoto di potere lasciato dal ritiro degli Stati Uniti. 

Nel 2019 c'è stato, ad esempio, il riconoscimento del leader dei golpisti in Venezuela, Guaidó, come presidente ad interim, sulla cui leadership il governo tedesco ancora oggi fa affidamento - anche se poi non si è ripresentato alle elezioni parlamentari di dicembre. Analogamente la Germania non riconosce il presidente bielorusso Lukashenko, ma sostiene invece Svetlana Tikhanovskaya, che da molto tempo ormai si trova in esilio, e che rivendica la presidenza in Bielorussia. Anche il sostegno ufficiale della Germania al colpo di stato del 2019 in Bolivia rientra in questo quadro. Tutti questi eventi ci mostrano quanto la Germania non si curi piu' di tanto dei principi del diritto internazionale, come ad esempio quello della non ingerenza negli affari interni degli altri Stati. 

Un principio fondamentale del diritto internazionale, infatti, prevede che non siano i governi a dover essere riconosciuti, ma la sovranità dei Paesi. L'attuale politica estera tedesca, invece, si concentra sui governi in carica. Tutti gli esempi citati, che ovviamente potrebbero essere anche molti di piu', indicano un modello di interventismo tedesco. Gli Stati che proteggono i loro mercati dall'invasione straniera, soprattutto occidentale, vengono presi di mira dagli attacchi aggressivi della politica estera tedesca. È evidente: tutte le preoccupazioni sui diritti umani e sulla democrazia sollevate dal governo tedesco possono essere considerate dei pretesti. L'impegno del governo tedesco in politica estera si concentra sul garantire alla Germania l'acccesso ai mercati e alle risorse. La tipica arroganza e superiorità morale dei tedeschi è solo un mezzo per legittimare l'aggressività della propria azione politica. La politica tedesca non è eticamente responsabile. Anzi, ha spesso un effetto destabilizzante e corrosivo. L'attuale politica estera tedesca non mostra alcun successo nella conciliazione, nella pacificazione o in qualsiasi altro ambito finalizzato a migliorare la situazione. Non si tratta di un fallimento, ma riguarda piuttosto l'obiettivo centrale dell'impegno tedesco in politica estera. La Germania cerca il confronto; la politica estera tedesca non è al servizio della pace.  

Dopo l'assassinio del generale iraniano Soleimani, il quale si trovava in missione di pace sul suolo iracheno, da parte di un attacco terroristico di Stato guidato dagli USA, il Parlamento iracheno ha ritirato a tutte le forze armate straniere l'autorizzazione alla loro permanenza in Iraq. Questo, naturalmente, vale anche per i soldati della Bundeswehr di stanza in Iraq. La Bundeswehr, tuttavia, è ancora attiva in Iraq. Il mandato del Bundestag per la missione in Iraq recentemente è stato persino prorogato fino al 2022. La Germania è quindi un paese occupante, e con la sua presenza viola la volontà degli iracheni e il diritto internazionale. Sui media tedeschi non si trova praticamente nulla su questo argomento. Il silenzio può essere interpretato anche con il fatto che su questo tema non è possibile volare alti, anche ricorrendo ai soliti concetti moralistici. La Bundeswehr si trova in un altro paese contro la volontà di uno Stato sovrano, e vi si mantiene con la forza.  

Il regime delle sanzioni previsto dal governo tedesco viola anche il diritto internazionale e le regole internazionali. Il governo tedesco, infatti, impone e partecipa alle sanzioni extraterritoriali nei confronti di altri paesi. Siria, Venezuela e numerosi altri Stati ne sono colpiti. L'obiettivo in Siria, ad esempio, è quello di scatenare una rivolta causata dalla fame e dalla carenza di beni e innescata dalle sanzioni, per facilitare un cambiamento di regime, dopo che gli occupanti occidentali sono usciti sconfitti dallo scontro militare sul terreno. Una pratica crudele, a cui tuttavia la Germania ricorre con regolarità. L'ultima minaccia intraeuropea fondata sulla fame e le privazioni era stata rivolta ai greci nell'ambito della crisi finanziaria e mirava anche a forzare un riallineamento di fondo nella politica greca. Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco dell'epoca, era pronto a tagliare fuori la Grecia dai sistemi di pagamento in euro - con tutte le conseguenze che ciò avrebbe avuto per l'approvvigionamento dei cittadini greci. Nonostante ciò, Schäuble continua ad essere celebrato dal mainstream tedesco come un europeista apparentemente fervente.

Anche la Russia è stata colpita da tale regime di sanzioni. E queste sanzioni rappresentano di fatto un atto di aggressione, unilaterale e incompatibile con il diritto internazionale. La ragione centrale delle sanzioni sono gli accordi di Minsk. Secondo il governo tedesco, infatti, la Russia non eserciterebbe una sufficiente influenza sulle Repubbliche di Donetsk e Lugansk. In questa sede dobbiamo anche notare: la Russia non è affatto parte in causa nel conflitto, semmai è un mediatore. Indipendentemente da ciò viene colpita dalle sanzioni - un atto di cinismo assoluto.  

Al contrario il governo tedesco tace sugli omicidi dei giornalisti in Ucraina, sulla censura di massa operata in quel paese e sugli attacchi ai media. Non si parla nemmeno del progressivo declino economico del paese causato dall'intervento occidentale e accelerato dall'accordo commerciale con l'UE. I parlamentari tedeschi nel migliore dei casi sono cauti nelle loro critiche alla guerra civile in corso nel Paese, e di norma sono assolutamente partigiani. 

L'elenco potrebbe continuare ancora. E qui si dovrebbe chiarire fino a che punto la politica estera tedesca si è spostata verso destra. Perché questa politica estera non è piu' sinonimo di riconoscimento delle leggi, delle regole e delle norme internazionali. Non si basa sulla solidarietà internazionale unita al rispetto delle decisioni prese dai popoli dei rispettivi Paesi. La politica estera tedesca serve ad applicare in maniera aggressiva gli interessi economici e la volontà di potenza delle élite tedesche. Si potrebbe obiettare che la Germania sta semplicemente seguendo il "modello" dettato dalla politica estera statunitense. E questo spesso è vero, ma non viene riconosciuto il fatto che, soprattutto nei confronti della Russia, la Germania resta aggressiva e conflittuale anche quando agisce in maniera sempre piu' indipendente e inoltre, non si sente vincolata dal diritto internazionale. 

Continua-->>>


mercoledì 6 gennaio 2021

Jörg Meuthen: "L'Italia sta regalando i soldi dei contribuenti tedeschi ai suoi cittadini"

Jörg Meuthen, leader di AfD al Parlamento Europeo, questa volta se la prende con il governo tedesco, e indirettamente anche con quello italiano, per la generosa politica dei bonus e degli incentivi, a suo dire finanziata con il denaro dei laboriosi contribuenti tedeschi. Ne scrive Jörg Meuthen su FB


Cari lettori, dovremmo essere tutti italiani in queste settimane e in questi mesi:

invece di essere costantemente vessati da nuove, stupide e costosissime normative da parte di Merkel & Co., ad esempio quella sull'obbligo di installare un nuovo impianto di riscaldamento, in Italia è possibile ottenere un nuovo impianto di riscaldamento in maniera gratuita - e affinché davvero TUTTI possano averlo, anche se il loro impianto di riscaldamento è ancora funzionante, c'è anche un bonus del 10%.

Non può essere? False notizie della malvagia AfD?

Non ci credo. Meglio se lo leggete con i vostri occhi in questo articolo (purtroppo dietro paywall) del giornalista di "Welt" Dirk Schümer dal titolo chiarificatore:



La Germania si trova nella nebbia delle tasse da pagare, l'Italia invece nella frenesia da spesa - e questa ormai è la realtà causata da un'orgia di spreco di denaro dei contribuenti tedeschi, denaro duramente guadagnato, che invece andrà a beneficio degli abitanti dell'Europa del sud, spreco di cui Merkel e Scholz sono i soli responsabili.

Questo è stato possibile solo perché chi ci governa ormai da troppo tempo, la CDU, la CSU e la SPD, con il pretesto del "pacchetto di aiuti post-Corona", la scorsa estate ha deciso di tirare fuori dalla Germania oltre 150 miliardi di euro netti di ricchezza donandola in particolar modo all'Italia; di questo ho riferito in dettaglio.



Evidentemente in Italia non sanno cosa fare con tutti questi bei soldi provenienti dalle tasse degli stati donatori. Per questo hanno deciso di offrire un bonus agli acquirenti di nuove auto, indipendentemente dal fatto che siano elettriche o diesel (tecnologia che il nostro governo sta attualmente rovinando e distruggendo) - per questo ora ci saranno tra i 2.000 e i 6.000 euro di incentivi pagati con il denaro dei contribuenti, e una parte considerevole di essi arriva dalla Germania.

C'è anche un bonus per i nuovi occhiali.

E per le nuove biciclette.

E come già scritto, anche per i nuovi sistemi di riscaldamento. Questo bonus si chiama "Superbonus" ed è davvero super - meno per noi tedeschi, che dobbiamo finanziarlo con il sudore della fronte, ma naturalmente lo è ancora di più per i beneficiari in Italia: oltre ai costi totali di acquisto di un nuovo sistema di riscaldamento, c'è un ulteriore 10% dell'importo della fattura in regalo, se ne parla ad esempio anche su questa pagina.

E' un'opportunità che capita "una volta sola nella vita", suggerisce l'ultimo articolo - se ci credi, sarai beato. Fintanto che il Merkelismo (indipendentemente dalla persona che gli dà il nome) governerà in Germania, continueranno ad esserci queste irresponsabili orge di spreco di denaro pubblico da parte del governo, che vanno contro gli interessi dei suoi stessi cittadini, indipendentemente da come si chiamerà la persona alla Cancelleria.

Poiché non ci si può aspettare che i media pubblici, fedeli al governo, rivelino improvvisamente ai loro telespettatori tutta la follia dell'Unione Europea, come sarebbe in realtà loro dovere, sta a voi, cari lettori, portare all'attenzione della cerchia dei vostri conoscenti questo scandaloso disprezzo per gli interessi del nostro Paese da parte del governo Merkel (perché è stato questo governo in primo luogo ad aver reso possibile questa spesa frenetica in Italia!)

In questa occasione non possiamo tacere anche il fatto che in altri Paesi ci si permette, ovviamente sovvenzionati in maniera generosa dai contribuenti tedeschi, un'offerta pensionistica decisamente lussuosa rispetto a quella del nostro Paese: in Italia, ad esempio, i pensionati ricevono quasi l'80% del loro ultimo reddito netto, mentre in Germania la cifra pagata è di appena il 50%.

Considerando il dato statistico recentemente reso noto da Eurostat, secondo il quale in Germania si deve lavorare sette anni di più che in Italia, ci dovrà essere consentita allora una domanda: come è possibile che delle pensioni decisamente più alte, dei periodi di percepimento delle stesse molto più lunghi e ora anche delle caldaie gratuite siano sostenibili in uno stato che si muove sull'orlo del fallimento e chiede ai tedeschi miliardi di euro per il proprio salvataggio?

La risposta è nota a chiunque abbia mai avuto a che fare con l'innominabile diplomazia tedesca del libretto degli assegni - la signora Merkel la chiama "solidarietà europea": vale a dire che può essere fatta solo con un grande trasferimento di ricchezza fuori dalla Germania.

Tutto questo però deve finire. In Germania c'è solo UN partito disposto a porre fine a questa situazione che grava sui propri cittadini, e questo è il nostro Partito dei cittadini.

È ora di fermare immediatamente i soldi tedeschi spesi per finanziare la frenesia di spesa degli altri paesi. E' tempo di rappresentare gli interessi dei propri cittadini, non quelli degli altri paesi. E' il momento di #AfD.

martedì 5 gennaio 2021

Andreas Nölke - Vi spiego perché gli attacchi a Ungheria e Polonia sono pretestuosi

"Se i tedeschi si mettono anche a dare giudizi sulla politica e la giustizia nell'Europa orientale, allora l'accusa di imperialismo risulta alquanto ovvia" scrive il grande intellettuale tedesco Andreas Nölke in merito al duro scontro sul rispetto dello Stato di diritto in Ungheria e Polonia. Nelle settimane che hanno preceduto il fragile compromesso di dicembre, dalla politica e dai media tedeschi sono arrivati degli attacchi molto duri nei confronti dei due paesi dell'Europa orientale, attacchi per lo piu' pretestuosi, secondo l'autore, che servirebbero piu' che altro a coprire le ambizioni egemoniche e geopolitiche nell'Europa dell'est. Per Andreas Nölke a Bruxelles le leggi si interpretano per i governi amici, mentre si applicano per quelli ostili e sovranisti, come nel caso di Orban e Morawiecki. Un commento molto interessante del grande Andreas Nölke da Makroskop.de



Chi nei media e nella politica accusa la condotta di Polonia e Ungheria sullo stato di diritto ritiene di avere dalla sua la legittimazione democratica. Un errore.

Polonia e Ungheria per settimane sono state costantemente sotto il fuoco dei media e della politica a causa del blocco al bilancio UE e del relativo fondo post-corona. Quasi tutti i principali mezzi stampa o televisivi hanno condannato la posizione dei due governi dell'Europa dell'est, come del resto hanno fatto il governo tedesco e l'opposizione.

Alcuni rappresentanti dei socialdemocratici si sono addirittura esposti in maniera particolarmente pronunciata. Katarina Barley, vicepresidente del Parlamento europeo, ad esempio, in relazione al primo ministro ungherese ha dichiarato a Deutschlandfunk: "dobbiamo affamarlo (Orbán) dal punto di vista finanziario" arrivando a sostenere che "regimi come quello di Orbán e quello di Kaczynski, [...] prima di tutto pensano a mettere soldi nelle loro tasche".

Heiko Maas, che in qualità di Ministro degli Esteri dell'attuale presidenza del Consiglio europeo dovrebbe, dopo tutto, agire come farebbe un "onesto mediatore", ha affermato, secondo quanto riferito dal Tagesschau, in merito al meccanismo proposto in materia di stato di diritto:

"Avremo quindi uno strumento aggiuntivo che sarà molto doloroso per paesi come Polonia e Ungheria".

Andreas Noelke

Protagonisti sgradevoli, ma comunque

Una certa mancanza di simpatia per i governi di Polonia e Ungheria è più che legittima. Le politiche sociali del governo ultra-conservatore polacco sono ripugnanti, dalla posizione sull'aborto fino alla discriminazione contro la comunità LGBT. E il governo ungherese non è certo da meno, anzi è famoso per i suoi favoritismi nei confronti di amici e parenti e per i generosi sussidi alle imprese nazionali e transnazionali a scapito delle fasce più povere della popolazione.


Ora, naturalmente, si potrebbero indicare anche alcuni aspetti progressisti di questi governi, come la "definanziarizzazione" in Ungheria o le politiche ridistributive sotto l'egida del PiS (Polonia), dagli assegni familiari al salario minimo, soprattutto in considerazione del forte aumento delle disuguaglianze causato dalle politiche dei precedenti governi liberali.

Ma in questa discussione né la simpatia politica, né il disgusto politico dovrebbero essere il fattore decisivo; si tratta piuttosto di questioni fondamentali per la democrazia, della capacità dell'UE di funzionare e della gestione della democrazia negli Stati membri - e del posizionamento dei nostri media e della politica su questi temi.

Chi sta bloccando chi?

Un argomento comune nei nostri media - e fra i nostri rappresentanti politici - è l'affermazione secondo la quale Polonia e Ungheria starebbero bloccando il bilancio dell'UE e (peggio ancora) il fondo per il post-Corona. E questa condotta li renderebbe colpevoli delle sofferenze nei paesi dell'Europa del sud, particolarmente colpiti dalla pandemia.

Ma questa ovviamente è una sciocchezza. Fin dall'inizio, i governi di Polonia e Ungheria non hanno fatto segreto della loro determinazione nell'impedire qualsiasi accordo che li mettesse sotto pressione su posizioni controverse in materia di Stato di diritto. Il compromesso sul bilancio al vertice dei capi di governo dell'estate scorsa è stato possibile solo dopo che la Cancelliera Merkel (presumibilmente) ha dato garanzie in tal senso.

Il recente confronto è nato chiaramente all'interno del Parlamento europeo, dove nei negoziati sul bilancio UE la maggioranza ha insistito per un significativo inasprimento delle regole in materia di possibili violazioni dello Stato di diritto. A tale proposito è assurdo, pertanto, scaricare la responsabilità unilateralmente sui governi di Polonia e Ungheria. Entrambe le parti ne sono responsabili.


Ancora più pericolose sono le attuali proposte (per esempio quelle dell'unionista Jaques Delors Institute) finalizzate a superare la situazione di stallo lasciando la gestione del Fondo Corona a livello intergovernativo, superando quindi le istituzioni dell'UE e aggirando in questo modo il veto di Polonia e Ungheria. Anche se ciò in linea di principio fosse giuridicamente concepibile, non farebbe altro che aggravare ulteriormente il conflitto.

Dopotutto il Corona-Fund non è una di quelle aree del diritto europeo in cui un "gruppo di volenterosi" può unire le proprie forze secondo le regole dell'UE per approfondire l'integrazione, mentre altri Stati membri non sono (ancora) disposti a farlo.

Polonia e Ungheria giustamente considererebbero una tale mossa sul Recovery Fund come una sorta di dichiarazione di guerra. In tal caso, farebbero certamente dei passi ulteriori per bloccare l'UE - uno Stato membro determinato, del resto, ha molte opzioni, soprattutto in quegli ambiti in cui viene ancora richiesta l'unanimità intergovernativa - e la spirale diell'escalation continuerebbe, con danni incalcolabili per l'UE, già indebolita da molte crisi.

Chi ha la legittimità democratica?

Chi, nei media tedeschi e nella politica tedesca, condanna la posizione di Polonia e Ungheria, naturalmente presuppone di avere dalla sua parte la legittimazione democratica. Ma le cose non stanno cosi'.

Nello scontro in atto la legittimazione democratica del Parlamento europeo si contrappone a quella dei governi di Polonia e Ungheria, che a loro volta possono contare su ampie maggioranze nei rispettivi parlamenti nazionali. Il Consiglio dei ministri dell'UE è diviso - e in ogni caso ha una legittimazione molto più indiretta rispetto a queste due parti, per non parlare della Commissione UE.

In questo confronto, i governi di Polonia e Ungheria (per tutti i limiti della democrazia ungherese, vedi sotto) possono chiaramente rivendicare un grado di legittimità democratica superiore rispetto a quello del Parlamento europeo. Il Parlamento europeo in un simile confronto manca semplicemente di una legittimazione democratica di base rispetto ai parlamenti nazionali.

Il deficit di legittimità del PE dipende da moltissimi fattori, ad esempio lo squilibrio fra il peso del voto degli elettori (un confronto Germania-Lussemburgo è di ca. 1:10, vale a dire che un voto del Lussemburgo conta fino a 10 volte un voto tedesco), l'assenza di campagne elettorali paneuropee (gli scienziati politici considerano le elezioni europee come "elezioni nazionali di secondo ordine", che non riguardano tanto un voto sulle politiche europee, quanto un voto sui partiti nazionali), la bassa affluenza alle urne a livello europeo (in Polonia/Ungheria alle ultime europee è stata di ca. il 45%, contro piu' del 60% delle elezioni parlamentari nazionali), oppure la mancanza di partecipazione pubblica ai dibattiti del Parlamento europeo (rispetto a quelli dei parlamenti nazionali).


Non c'è quindi ancora - almeno dal punto di vista di una prospettiva repubblicana di legittimità democratica - nessuna alternativa ai parlamenti nazionali, almeno quando si tratta di questioni veramente importanti. E la questione del rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri dell'UE è senza dubbio una di queste. Dobbiamo riconoscere ai governi di Polonia e Ungheria che nei confronti del Parlamento europeo hanno ancora dalla loro parte la piena legittimazione democratica, anche se siamo molto insoddisfatti in merito allo sviluppo della democrazia e dello Stato di diritto in questi paesi.

Tutti coloro che hanno un rapporto molto rilassato con tali questioni fondamentali in materia di sovranità democratica, dovrebbero anche considerare cosa accadrebbe al nostro paese se il Parlamento europeo mettesse in discussione la legittimità del nostro sistema giudiziario e chiedesse il blocco degli stanziamenti finanziati dall'UE. Le obiezioni (molto caute) della Corte costituzionale federale ai programmi di acquisto della BCE della scorsa estate e i conseguenti intralci sarebbero solo un mite assaggio di una rivolta contro l'UE e il suo governo, che poi scoppierebbero nel nostro Paese.

Polonia = Ungheria?

Un altro aspetto molto problematico nella discussione mediatica e nella politica tedesca è l'equazione fra Polonia e Ungheria, come nel caso delle affermazioni di Barley e Maas. Questa equazione all'inizio potrebbe anche essere comprensibile, dato che entrambi i paesi sono governati da partiti comunemente definiti come "populisti di destra". Tuttavia è fatale quando si parla di democrazia e di Stato di diritto - in questo caso però aspetti fondamentali. Polonia e Ungheria, tuttavia, sotto questo aspetto si differenziano notevolmente.


Il lungo governo di Fidesz in Ungheria, in effetti, ha portato ad una serie di limitazioni per la democrazia - anche se dovremmo essere cauti sui criteri di giudizio, dato il dominio incontrastato della CSU in Baviera, che ormai dura da diversi decenni.

Per conoscere i misfatti del governo ungherese è molto istruttiva una visita al "Verfassungsblog", misfatti che vanno dalle pressioni sulle università, sulle ONG e sulla stampa, fino alla limitazione dei diritti parlamentari, all'indipendenza dei tribunali amministrativi e all'assegnazione dei casi alla Corte costituzionale.

La democrazia ungherese, tuttavia, sembra ancora funzionare, come abbiamo visto nelle elezioni locali del 2019, quando l'opposizione a Budapest e in altre grandi città si è ripresa il potere strappandolo a Fidesz. In un paese governato in modo autocratico, questo non sarebbe successo.

In Polonia, invece, parlare di una forma di governo anche lontanamente autocratica è del tutto pretestuoso. Il paese gode di una pronunciata libertà di stampa, il PiS al potere deve fare i conti in maniera permanente con le sconfitte elettorali, e anche il funzionamento della Corte costituzionale polacca non viene fondamentalmente messo in discussione dal PiS - almeno quando vengono applicati standard equi (vedi sotto).

E una corte costituzionale forte resta in ogni caso una pietra angolare della democrazia, ma solo in un'ottica liberale. In una concezione repubblicana della democrazia - come rappresentata in Germania da Dirk Jörke o Ingeborg Maus, per esempio - la sovranità democratica del popolo (incarnata in particolare dai parlamenti nazionali) assume un ruolo molto più importante.

Ancora più astrusa, però, è l'equazione fra Polonia e Ungheria in termini di cleptocrazia, fatta in particolare da Katarina Barley. Ci sono dati credibili che mettono a confronto i paesi, compilate dall'agenzia anticorruzione dell'UE, l'OLAF. L'Ungheria nel 2018 assume infatti in questa lista un inglorioso ruolo guida, con la percentuale di gran lunga più alta di fondi il cui utilizzo viene messo in discussione dall'OLAF. La Polonia, invece, in questa statistica è tra i Paesi che fanno un uso più corretto dei fondi, con un risultato tra l'altro migliore rispetto a quello della Germania.

È perfettamente legittimo che l'Unione europea verifichi la correttezza in merito all'assegnazione dei fondi e faccia ricorso contro i destinatari che si sono comportati in modo scorretto (come l'Ungheria). Ma ciò è già previsto e non è affatto l'oggetto della attuale controversia. Quest'ultima, infatti, riguarda l'assegnazione dei fondi sulla base di una vaga clausola in merito allo Stato di diritto, la cui interpretazione sarà poi decisa dalle autorità di Bruxelles. Dovrebbe essere ormai chiaro che Polonia e Ungheria siano comprensibilmente preoccupate per questa interpretazione.

Stiamo misurando con lo stesso metro?

Le preoccupazioni da parte di Ungheria e soprattutto Polonia di non essere trattate equamente dall'UE non sono infondate. Sono ovviamente legate al fatto che questi due governi sono retti da partiti populisti di destra. Altri paesi vengono trattati con molta più clemenza. Che dire di Malta e della Slovacchia, ad esempio, dove i governi sono stati coinvolti in omicidi politici? E la Bulgaria e la Romania, con la loro corruzione endemica? Chi difende lo Stato di diritto quando si parla di questi paesi?

L'applicazione disomogena disomogenea degli standard diventa particolarmente evidente quando ci si concentra sulla nomina dei giudici costituzionali nel caso polacco, vale a dire il nucleo della controversia tra il PiS e i suoi critici.

Prima di tutto dobbiamo notare che nell'UE non esiste uno standard comune per la nomina dei giudici costituzionali. Al contrario, la pratica è molto eterogenea, per non parlare del fatto che in alcuni paesi UE non esistono nemmeno la corte costituzionale.

Nel caso polacco, invece, si critica in particolar modo l'influenza della politica (più precisamente: la maggioranza parlamentare guidata dal PiS) in merito alla nomina dei giudici costituzionali. Ora bisogna ammettere che anche noi in Germania dovremmo essere un po' cauti quando si parla di criticare l'influenza della politica nella selezione dei giudici costituzionali, perché tutti i nostri giudici costituzionali sono nominati dalla politica (Bundesrat e Bundestag) - i quali vengono selezionati secondo una procedura molto poco trasparente. Molti giudici costituzionali in passato erano stati anche dei politici di professione legati al governo, ad esempio l'attuale presidente Stephan Harbarth, un ex-parlamentare della CDU di lunga data - ecco perché molti polacchi non capiscono le critiche tedesche.

Dopo tutto, per l'elezione dei giudici costituzionali in Germania viene richiesta dalla legge una maggioranza schiacciante dei 2/3 (anche se non con rango costituzionale), in modo che anche l'opposizione possa avere una voce in capitolo, una chiara differenza rispetto alla Polonia - ma anche in molti altri paesi dell'UE spesso è sufficiente una maggioranza semplice, i giudici costituzionali vengono così de facto nominati dal governo (maggioranza) come in Polonia.


Ancora più irritante per i polacchi, ad esempio, sarebbe dare uno sguardo alla Francia: lì il parlamento non ha nessuna voce in capitolo nella nomina dei giudici costituzionali, tre di loro sono nominati dal presidente della Repubblica, tre dal presidente dell'Assemblea nazionale e tre dal presidente del Senato - e se tutti e tre appartengono al partito di governo, l'opposizione ha avuto sfortuna.

L'irritazione di molti polacchi - e soprattutto del loro governo - nei confronti dei "due pesi e delle due misure" europee, tuttavia, non deriva essenzialmente dall'assenza di un "gold standard europeo" nella nomina dei giudici costituzionali, ma dai doppi standard applicati dall'Unione europea e dall'opinione pubblica europea, in rapporto ai diversi governi polacchi.

A tal proposito bisognerebbe notare che il dramma attuale è stato causato dal precedente governo liberale. Nel 2015, infatti, quando il governo già poteva prevedere di perdere le elezioni, ha comunque eletto un terzo dei giudici costituzionali nell'ultima sessione del vecchio parlamento (contrariamente alle norme precedentemente in vigore) - anche se i vecchi giudici in realtà avrebbero dovuto terminare il loro mandato solo dopo l'elezione del nuovo parlamento. Questo tentativo di usurpazione della Corte costituzionale da parte del governo uscente, tuttavia, non ha interessato nessuno dei nostri media e neanche la politica - probabilmente perché è stato fatto da un governo liberale. L'irritazione del governo del PiS per questa disparità di trattamento è facile da capire.

La pressione esterna è controproducente

La ricostruzione delle irritazioni polacche non deve distogliere l'attenzione dal fatto che la sottomissione forzata della Corte costituzionale - e di alcune parti del più ampio apparato giudiziario - alla maggioranza parlamentare guidata dal PiS a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, può essere vista come problematica (anche se meno per gli standard repubblicani che per quelli liberali). E non c'è dubbio che anche in Ungheria ci siano state massicce violazioni delle norme democratiche.

Ma anche l'operato dell'Unione Europea contro questi governi è alquanto problematico. E questo vale non solo per i doppi standard alquanto discutibili, le generalizzazioni polacco-ungheresi, la scarsa legittimità democratica da parte dell'Unione europea e la disputa puerile su chi abbia iniziato per primo a bloccare il fondo post-Corona.

In generale ci si dovrebbe chiedere se il tentativo di imporre la propria idea di democrazia e di stato di diritto dall'esterno attraverso la coercizione in ultima analisi non sia controproducente. Se si guarda agli sviluppi politici interni di entrambi gli Stati negli ultimi anni, si ha l'impressione che questo colpo sia stato decisamente controproducente.

In entrambi i paesi, la pressione esterna dell'UE (e della politica tedesca) tende ad aiutare i governi in carica e a stabilizzare la loro posizione interna grazie alla retorica nazionalista. Nei Paesi appena usciti da decenni di dominazione straniera da parte dell'Unione Sovietica (e nel caso della Polonia anche da secoli di occupazione da parte dei vicini imperialisti), i tentativi di coercizione esterna in materia di politica nazionale vengono visti con particolare scetticismo. Chi dall'estero viene attaccato in maniera generalizzata è quindi più propenso a mostrare solidarietà con il governo in carica, nonostante vi possano essere delle eventuali riserve in merito alle sue politiche.

Meglio lasciar stare la postura imperiale tedesca

Non sono quindi di aiuto: la democrazia e lo stato di diritto - nella misura in cui sono già compromessi - devono essere raggiunti dai polacchi e dagli ungheresi stessi attraverso la lotta (i bavaresi ci sono riusciti a metà con la CSU). Il resto dell'UE farebbe meglio a tacere, anche se è difficile.

Questo vale soprattutto per i media e i politici tedeschi. L'egemonia economica e politica della Germania all'interno dell'UE viene già vista con grande scetticismo non solo nell'Europa meridionale (dopo la crisi dell'Euro). C'è molta preoccupazione anche per il predominio economico tedesco nell'Europa dell'Est, soprattutto a causa della sua dipendenza dalle multinazionali tedesche e dai loro investimenti diretti. Se i tedeschi si mettono a dare giudizi anche sulla politica e la giustizia dell'Europa orientale, l'accusa di imperialismo risulta alquanto ovvia.

E ancora una volta torniamo ai nostri socialdemocratici tedeschi: anche se si rifiutano tutti gli argomenti in favore di un approccio più moderato nei confronti di Polonia e Ungheria, ci si chiede ancora se, dopo quanto è accaduto nella seconda guerra mondiale, sia davvero opportuno che i principali rappresentanti della politica tedesca possano parlare di "doloroso" oppure "affamarli" quando si rivolgono a questi Paesi.

mercoledì 30 dicembre 2020

Jens Südekum - Vi spiego perchè il debito pubblico non graverà sulle nuove generazioni

Fortunatamente in Germania non ci sono solo i fanatici alla Hans Werner Sinn, ma anche economisti ragionevoli come Jens Südekum, consigliere del Ministro socialdemocratico Scholz e molto ascoltato negli ambienti del potere berlinese. In un'intervista a Der Freitag ci spiega perché tornare a rincorrere il pareggio di bilancio nel post-Covid sarebbe un'assurdita e perché il debito pubblico creato per fronteggiare l'emergenza causata dal coronavirus non graverà sulle nuove generazioni. Un'intervista molto interessante di Der Freitag a Jens Südekum


A marzo Norbert Walter-Borjans e il comitato esecutivo della SPD hanno istituito una commissione scientifica in materia di politica economica, all'interno della quale non poteva mancare Jens Südekum. Südekum, anch'egli membro della SPD, fornisce consulenza non solo alla SPD e al suo candidato alla Cancelleria nonché Ministro delle finanze Olaf Scholz, ma anche, tra gli altri, al Ministero federale dell'economia a guida CDU.

È uno dei critici più accaniti dello Schuldenbremse (pareggio di bilancio) e il suo principale interesse scientifico sono le regioni lasciate indietro dalla globalizzazione. L'ascesa di Südekum a "economista dei potenti" (FAS) dimostra che anche in Germania, dove il debito pubblico e il salario minimo sono stati a lungo oggetto di disapprovazione, recentemente in termini di politica finanziaria ed economica sono cambiate molte cose - almeno con l'inizio della crisi causata dal Covid 19 anche nei fatti.

Der Freitag: Herr Südekum, non si sente un po' la coscienza sporca nei confronti delle future generazioni?

Jens Südekum: Dipende dall'argomento. Quando penso alle emissioni di CO2 o alle opportunità educative perdute a causa delle scuole chiuse, allora sì. Se si tratta di debito pubblico, allora certamente no.

Ma i miliardi che lo Stato sta prendendo in prestito nella crisi post-corona in futuro dovranno essere ripagati fino all'ultimo centesimo...

Questa è una delle più grandi favole che girano su questo argomento, soprattutto in Germania. Per ogni titolo di stato emesso, c'è sempre qualcuno che lo ha comprato. Ad ogni debito corrisponde un patrimonio. È vero che i debiti vengono ereditati, ma anche i beni! Il debito pubblico quindi è sempre un problema di distribuzione all'interno di una generazione - tra coloro che devono pagare gli interessi, i contribuenti, e coloro che possiedono il debito pubblico e riscuotono gli interessi. Nella maggior parte dei casi, il dieci per cento più ricco possiede una quota mastodontica della ricchezza, e quindi probabilmente anche del debito pubblico. Esistono strumenti per contrastare questa disuguaglianza. Ma sostenere che non dobbiamo fare debito pubblico perché in questo modo finiremmo per gravare sulle generazioni future è, a mio avviso, un argomento completamente sbagliato. In particolare quando si tratta di obiettivi che andranno a beneficio delle generazioni future, come nel caso della riduzione delle emissioni.

Ma le indennità di cassa integrazione per i prossimi 24 mesi, i pacchetti di stimolo economico, i bonus per i bambini - devono e possono continuare ad essere pagati per sempre?

Questa è una politica di salvataggio tipica della fase acuta. E siamo ben lontani dall'essere fuori pericolo. Anche se la pandemia rimane sotto controllo, resta la minaccia di un'ondata di insolvenze nei prossimi mesi. In alcuni settori - turismo, ristorazione, eventi - le persone che ora sono in cassa integrazione probabilmente presto saranno disoccupate. Le aziende frenano gli investimenti, ci sono pochi nuovi posti di lavoro, la Germania dipende fortemente dai mercati esteri - lo Stato deve contrastare questo stato di cose, anche per un periodo di tempo molto più lungo! Non credo abbia senso annunciare che al piu' tardi entro il 2022 dovremo tornare ad avere un bilancio pubblico in pareggio.

Questo è quello che chiede il capogruppo parlamentare della CDU/CSU Ralph Brinkhaus - il quale sostiene che a un certo punto dovremo tornare alla "modalità normale".

Ma il pareggio di bilancio non è una condizione normale, non è un benchmark ragionevole per qualsiasi politica pubblica di bilancio. Forse nel 2022 non avremo bisogno dello stesso livello di nuovo debito fatto nel 2020, ma annunciare il pareggio di bilancio ora è come premere sull'acceleratore per uscire da una buca e poi tirare i freni quando si è in mezzo all'autostrada. Sarebbe una politica economica disastrosa.

Ci spieghi il suo credo: "Non dobbiamo ripagare il debito causato dal Coronavirus".

Il debito pubblico funziona in maniera diversa rispetto al debito delle famiglie. Se prendo un prestito per comprare una casa è normale che nel corso della mia vita estinguerò completamente quel debito. Ma lo Stato funziona in modo diverso: emette un'obbligazione che dovrà essere rimborsata fra dieci anni, e lo sarà - ma emettendo una nuova obbligazione fra dieci anni. Il vecchio bond viene "sostituito" con il nuovo. Questo gioco in realtà va avanti all'infinito, gli Stati Uniti non hanno mai ripagato alcun debito dalla seconda guerra mondiale, la Germania molto poco, solo dal 2014, ma questa è stata un'eccezione.

E di regola come funziona?

Di norma l'unica cosa che conta è che l'onere del debito resti gestibile in relazione al PIL: quanto si produce in Germania complessivamente, quanto è alto il livello di indebitamento, quanto è elevato l'onere degli interessi rispetto a questo livello di debito? Ci deve essere un rapporto ragionevole tra i due.

Che cosa significa, ragionevole?

L'indicatore migliore è: qual'è la percentuale del bilancio pubblico che il governo federale deve spendere per pagare gli interessi? Negli anni novanta era il 16 %, che è un bel peso, perché in quella situazione non puoi decidere liberamente sul bilancio annuale, perché almeno il 16 % deve essere pagato per coprire gli interessi. Ma nel frattempo questa cifra è scesa al 4-5 %. In altre parole, gli interessi maturati sono ormai quasi trascurabili! In una situazione come questa, dire che non dovremmo in nessun caso perseguire una politica economica espansiva, perché ciò aumenterebbe il debito e in qualche modo graverebbe sulle generazioni future, non è affatto coerente con la situazione macroeconomica in cui l'onere degli interessi è diminuito notevolmente - e rimarrà basso secondo tutte le proiezioni.

Perché i tassi d'interesse sono così bassi e perché dovrebbero rimanere così?

Questa è stata una tendenza persistente in tutte le economie sviluppate dalla fine degli anni '70. Noi economisti a volte la chiamiamo "stagnazione secolare". Ci sono molte ragioni per questo. La chiave di tutto è che le aziende hanno bisogno di molto meno capitale da investire sul mercato dei capitali.

Perché?

È una domanda difficile. Penso che sia dovuto alla crescente concentrazione in termini di potere di mercato e di profitti in poche aziende in molti settori. Questo è evidente soprattutto nel caso dei giganti americani di internet come Google, Facebook e Amazon, che sono praticamente dei monopolisti e non hanno bisogno di raccogliere fondi sul mercato dei capitali. Ma se vuoi spodestarli dal trono, hai bisogno di soldi, devi investire. La concentrazione è così forte che il secondo, il terzo e il quarto del settore spesso dicono: "Non abbiamo comunque nessuna possibilità! Chi è ambizioso poi viene comunque comprato in anticipo dai grandi player di mercato, pensiamo a Instagram e Whatsapp. La crisi causata dal coronavirus rafforza praticamente tutti questi sviluppi, la crisi grava maggiormente sulle piccole e medie imprese. Amazon invece se ne avvantaggia. Una tale costellazione uccide ogni dinamismo economico, e gli investimenti. Nelle economie che invecchiano, inoltre, soprattutto in Europa, la previdenza per la vecchiaia gioca un ruolo importante, le persone risparmiano molto, quindi c'è un'elevata disponibilità di capitale.

Il risultato sono dei bassi tassi di interesse.

Sì, il tasso di interesse è il prezzo del denaro. Se ho una bassa domanda e un'offerta elevata, allora il prezzo del denaro sarà molto basso. Il denaro creato dalle banche centrali difficilmente raggiunge l'economia reale, in quanto dovrebbe essere richiesto dalle imprese per fare degli investimenti, ma in realtà non viene domandato.

Supponiamo che lo Stato riduca questa concentrazione di mercato. Poi sarò lo Stato a dover investire per uscire dall'indebitamento - non sembra proprio una "economia del post-crescita", dunque...

Non posso farci molto, devo ammetterlo. Nella prima settimana di aprile, quando l'economia globale era ad un punto morto come non lo era mai stata prima sin dalla seconda guerra mondiale - con Cina, Europa, Stati Uniti, tutti in isolamento, nessun aereo in volo, molti impianti di produzione inattivi - le emissioni globali di CO₂ sono scese di appena il 17 % rispetto all'anno precedente. Bisogna immaginare cosa si potrebbe fare per ridurre le emissioni in modo sostenibile riducendo la produzione e cosa significherebbe per il tenore di vita di miliardi di persone. Il punto è scollegare la crescita dalle emissioni di CO₂.

Come?

Per mezzo delle nuove tecnologie, ad esempio l'idrogeno per la produzione di acciaio e anche per le auto a impatto climatico zero. Questi sono i settori industriali in cui l'Europa è ancora leader. E questo è quello su cui il governo dovrebbe concentrarsi, in modo che questi business siano poi in grado di essere sostenibili sul mercato. Oggi, una tonnellata di acciaio neutro, dal punto di vista climatico, costa circa il doppio dell'acciaio convenzionale. Se lo Stato in questo caso fornisce un sostegno mirato, gli effetti dell'apprendimento si faranno sentire, i costi diminuiranno e a un certo punto tutti si metteranno a produrre acciaio neutro dal punto di vista climatico.

Il pacchetto di stimoli economici del governo federale è sufficiente?

Almeno si muove nella giusta direzione. 50 dei 130 miliardi sono destinati agli investimenti per il futuro. Ma i compiti da affrontare richiedono uno sforzo da parte dello Stato nei prossimi dieci, 15, o 20 anni che va ben oltre questi 50 miliardi. Ma i debiti contratti per realizzare questo obiettivo non sono un peso, saranno invece un sollievo per le generazioni future!

Che tipo di campagna elettorale avremo nel 2021? I critici del debito pubblico della FDP e della CDU/CSU, contro un candidato SPD che come Ministro delle finanze spende soldi a piene mani?

Personalmente credo che una campagna elettorale che si occupi di questioni fondamentali in materia di politica economica sarebbe molto emozionante. Ma credo che la CDU/CSU farà la solita campagna elettorale piatta contro il nuovo debito. Fra le loro file ci sono alcuni che pensano anche al futuro. E ci sono anche obiezioni giustificate - il timore, ad esempio, che non tutto il denaro venga utilizzato in modo mirato ed efficiente per gli scopi previsti.