martedì 9 febbraio 2021

Le nuove armi della Commissione Europea

"L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle ed eliminarle. Per il Recovery Fund, ciò significa che tutte le condizionalità che nulla hanno a che fare con l'effettivo uso dei fondi dovranno essere totalemente respinte", scrive il grande intellettuale tedesco Martin Hoepfner. La Commissione attraverso il Recovery Fund, secondo Hoepfner, intende mostrate tutto il lato autoritario del potere europeo, collegando l'erogazione dei fondi all'applicazione delle condizionalità dettate dalla stesssa Commissione, ovviamente al di fuori del processo democratico. I burocrati di Bruxelles, nel frattempo, tramite delle raccomandazioni hanno voluto mostrare i muscoli anche alla Germania, per Hoepfner tuttavia alla Cancelleria e nei ministeri tedeschi nessuno passerà notti insonni. Una riflessione molto interessante di Martin Hoepfner sul lato autoritario del potere europeo, da Makroskop.de


La settimana scorsa la stampa ha riportato una notizia importante. La Commissione europea ha comunicato alla Cancelleria e ai ministeri delle finanze e dell'economia che per poter ricevere i circa 24 miliardi di euro del Fondo per la ricostruzione ai quali avrebbe accesso, la Germania deve migliorare il suo programma di riforme. In particolare, Handelsblatt (25.1.21, pp. 8-9) e la FAZ (26.1.21, p. 16) riportano che la Germania dovrebbe riformare il suo sistema fiscale troppo progressivo, rafforzare la sostenibilità finanziaria del suo sistema pensionistico, liberalizzare le professioni regolamentate e abolire la separazione dei coniugi in ambito fiscale (Ehegattensplitting).

Ma tutto ciò sembra un po' strano. Condizioni per ottenere il denaro dal fondo di ricostruzione: non si trattava invece di discutere dell'uso concreto dei fondi, della digitalizzazione, della protezione del clima e dei meccanismi relativi allo stato di diritto? Il sistema tedesco di separazione fiscale fra i coniugi fa parte forse delle competenze dell'UE? Oppure, senza che ce ne fossimo accorti, contribuisce per caso a quegli squilibri interni all'Europa che hanno effettivamente bisogno di essere corretti e quindi rientrano nell'ambito delle procedure di controllo e di correzione macroeconomica gestite tramite il mecccanismo delle sanzioni?

Anche se questo fosse il caso (ma non è così ovviamente), cosa ha a che fare tutto ciò con il fondo per la ricostruzione? Scomponiamo e valutiamo i fatti.



Le condizionalità si spostano verso il fondo per la ricostruzione

Come è noto, la maratona negoziale del Consiglio europeo del luglio 2020 ha portato alla decisione di istituire un fondo per la ricostruzione da finanziare con dei prestiti comuni, fondo che dovrà fornire nei prossimi tre anni sovvenzioni a fondo perduto per 312,5 miliardi di euro e prestiti per 360 miliardi di euro (qui una valutazione economica). Un quinto del denaro è destinato ad accelerare la digitalizzazione e un terzo alla protezione del clima. I fondi saranno distribuiti tra i paesi partecipanti sulla base di un calcolo derivante dalla gravità del crollo del PIL causato dal Coronavirus lo scorso anno e il tasso di disoccupazione.

Tali fondi, tuttavia, non potranno essere spostati da una parte all'altra del continente senza condizionalità e controlli. Gli obiettivi dovranno essere ben definiti e non vi è alcun dubbio che dovranno essere effettuati dei controlli per assicurarsi che i fondi non finiscano in qualche pantano di corruzione. Tutti almeno sono d'accordo su questo punto. Ma la Commissione, il Parlamento europeo (PE) e alcuni Stati membri - soprattutto i "Cinque paesi Frugali" del nord volevano di più, mentre la Germania a causa della sua presidenza di turno sull'argomento è stata più moderata. In particolare si trattava di collegare il fondo a dei requisiti che nulla hanno a che fare con gli obiettivi e le procedure del fondo. Il Parlamento europeo, in particolare, voleva un meccanismo rigido fondato sullo Stato di diritto per poter agire contro Polonia e Ungheria (Andreas Nölke qui), e la Commissione, in particolare, chiedeva un collegamento con le raccomandazioni specifiche per i paesi del semestre europeo.

I negoziati su queste condizionalità si sono trascinati per quasi 6 mesi. L'accordo nell'ambito della cosiddetta "procedura del trilogo" fra la Commissione, il Consiglio e il PE è stato raggiunto solo poco prima di Natale, il 17 dicembre 2020. Purtroppo, il racconto che ne è stato fatto al termine era quasi esclusivamente incentrato sul meccanismo riguardante lo stato di diritto. Perché questo significava lasciare nascosto un fatto cruciale: vale a dire, che la Commissione aveva vinto su tutta la linea nel collegare il fondo ai requisiti specifici per ogni paese previsti dal semestre europeo (ecco il documento). La Commissione ha ottenuto esattamente quello che fin dall'inizio desiderava.

Il semestre europeo

Il semestre europeo esiste, almeno sotto questo nome, dal 2011, e riunisce diverse procedure sulla base delle quali l'UE può dare raccomandazioni di riforma ai suoi membri con diversi livelli di cogenza, senza bisogno di disporre di un proprio potere legislativo. Ne fanno parte le raccomandazioni generali specifiche per ogni singolo paese rivolte ai membri dell'UE a partire dal lancio della strategia Europa 2020; la procedura per i disavanzi eccessivi basata su sanzioni per i membri dell'eurozona, nata e cresciuta nell'ambito del Patto di stabilità e crescita del 1997, a sua volta radicato nei criteri di convergenza previsti dal trattato di Maastricht del 1992; e la procedura di sorveglianza e correzione macroeconomica introdotta nel 2012, in base alla quale le sanzioni possono anche essere imposte come ultima risorsa in caso di non osservanza. In altre parole una complicata proliferazione di procedure, giustamente accorpata al ciclo annuale dei semestri - se non altro, affinché le raccomandazioni delle singole procedure non si contraddicano grottescamente tra di loro.



Il semestre europeo di per sé non è una brutta cosa. Per quale motivo la Commissione non dovrebbe confrontare fra loro le politiche dei paesi dell'UE, identificarne gli obiettivi e, se possibile, le pratiche migliori, esaminare la generalizzabilità e la trasferibilità delle pratiche identificate e formulare consigli? E perché non dovrebbe anche essere garantito che almeno dopo averle "lette, derise e prese a pugni" - i governi non siano quindi chiamati ad affrontare seriamente le raccomandazioni e a formulare una risposta alla Commissione? Anche se naturalmente le raccomandazioni che escono dal semestre non sempre piacciono (per non dire altro), l'UE non dovrebbe astenersi dal perseguire tali forme di coordinamento "soft", oltre alla comune attività di legislazione.

Ma attenzione: se, con un processo graduale le raccomandazioni si appoggiano sempre di piu' alla possibilità di applicare sanzioni, a un certo punto non saranno più raccomandazioni, ma indicazioni per il legislatore costituitosi nell'ambito del processo democratico. Anche le direttive e i regolamenti europei alla fine sono delle istruzioni. Nell'ambito del Semestre, tuttavia, stiamo parlando di aree sulle quali l'UE non approva alcuna legge che sia vincolante per tutti, anzi, per le quali all'interno dei trattati spesso l'UE non ha avuto alcun potere normativo. Questo è esattamente il tipo di processo in cui siamo attualmente impegnati. Una procedura che doveva servire a un coordinamento morbido, sempre piu' spesso invece viene dotata del morso che trasforma le raccomandazioni non vincolanti in istruzioni obbligatorie sostenute da sanzioni.

La Commissione da molto tempo si sforza di individuare delle possibilità che vadano al di là della legislazione europea - con successo (Annika Holz qui). La storia recente dell'integrazione europea non è precisamente una storia fatta di ampliamento delle competenze legislative europee, ma una storia di irrigidimento delle direttive che vanno al di là della legislazione. L'UE ha fatto un grande passo in avanti durante e dopo l'eurocrisi introducendo delle procedure di correzione macroeconomica basate su delle sanzioni. È andata ancora piu' in là nel 2014, quando l'UE ha creato la possibilità di non erogare i fondi strutturali in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni del semestre europeo. Ora continua su questa strada con delle ampie condizionalità previste nell'ambito del fondo per la ricostruzione. Sarà quindi necessario applicare un sottoinsieme significativo di raccomandazioni per poter prelevare denaro dal fondo (vedi pagine 12, 33 e 53 qui).

La strana scelta delle richieste fatte alla Germania

La minaccia fatta alla Germania di voler trattenere il denaro dal fondo per la ricostruzione è prima di tutto un atto simbolico. La Commissione vuole dimostrare i suoi nuovi strumenti di tortura e ovviamente dice a se stessa: se deve essere fatto, allora facciamolo per bene. Per la sua dimostrazione di potere, ha scelto raccomandazioni politiche particolarmente controverse, come l'abolizione del sistema di separazione coniugale in ambito fiscale, per il quale è davvero necessario usare una lente d'ingrandimento per poter individuare una qualche relazione a questioni di natura transnazionale.

Ecco una selezione di raccomandazioni per il 2019 (cioè un riferimento agli squilibri macroeconomici dell'eurozona) chiaramente più vicina ad una serie di problemi transnazionali a cui sarebbe stato opporturno ricorrere in relazione al fondo di recupero: la crescita troppo moderata dei salari (paragrafo 2), il tasso di investimenti pubblici troppo basso soprattutto a livello comunale (paragrafi 3 e 7), la spesa per l'istruzione troppo bassa (paragrafo 8), la costruzione di case al di sotto degli obiettivi (paragrafo 13) e l'ulteriore diminuzione della copertura della contrattazione collettiva (come se la Commissione esattamente su questo punto in Europa meridionale non avesse dichiarato guerra  - paragrafo 18).

La Commissione avrebbe anche potuto scegliersi delle raccomandazioni politicamente meno controverse, come ad esempio la correzione del basso livello di tasse ambientali in Germania (paragrafo 15) o ad esempio, il rafforzamento del personale docente nelle scuole (paragrafo 19). E nel contesto della pandemia, che in definitiva è stato l'impulso per il fondo di ricostruzione, un richiamo per aumentare l'attrattività delle professioni infermieristiche sarebbe stato abbastanza comprensibile (questa richiesta si trova anche nelle attuali raccomandazioni del 2020, paragrafo 19).

La provocazione della Commissione tuttavia non farà passare ai funzionari della Cancelleria e ai ministeri coinvolti notti insonni. Si può in pratica escludere che la dimostrazione di forza alla fine porti la Commissione a trattenere dei fondi nell'ambito del Recovery Fund a cui la Germania avrebbe diritto. In ogni caso, il piano tedesco di ricostruzione e resilienza, al quale la Commissione ha risposto, è un documento preliminare (si può leggere qui, alle pagine 14-15 ci sono le informazioni sulla compatibilità con le raccomandazioni del semestre). Il piano definitivo e corretto dovrà essere inviato alla Commissione entro l'aprile di quest'anno, dovrà poi essere valutato e, ci si aspetta che il Consiglio gli dia il via libera per lo sblocco dei fondi. Questo tuttavia però non dovrebbe oscurare la china scivolosa che l'integrazione europea ha preso su questo tema.

L'integrazione europea sulla strada sbagliata

Per chiarezza distinguiamo due modi di fare politica europea. Nella prima modalità, gli stati membri definiscono i campi politici nei quali vogliono agire congiuntamente sulla base di costellazioni di problemi transnazionali. Sulla scelta tra le alternative della decisione ha luogo a livello europeo una discussione comune. Tanto più queste discussioni paneuropee verranno condotte, tanto più si svilupperà una sfera pubblica europea - attualmente debole nel migliore dei casi. In questo modo, potrà gradualmente emergere uno spazio politico comune con veri partiti europei, mentre la politica europea potrà essere controllata democraticamente attraverso le elezioni.

Questa è più o meno la visione positiva della politica europea. Al momento, tuttavia, non c'è molto che suggerisca che questa possa diventare realtà. L'errata introduzione dell'euro, purtroppo, ha reso un cattivo servizio alla nascita di uno spazio politico comune, in quanto ha rafforzato le linee di conflitto che non corrono tra i partiti europei, ma tra i paesi. E questo è l'esatto contrario di uno spazio politico comune; il modo in cui i conflitti vengono risolti non può essere democratizzato (i partiti, non i paesi, possono essere eletti). Da buoni europei, tuttavia, non desideriamo forse che le possibilità di realizzare questa visione in futuro possano tornare a crescere?

Le direttive specifiche di Bruxelles, che differiscono da paese a paese, tuttavia, sono qualcosa di completamente diverso. In linea di principio non possono essere democratizzate a livello europeo, cioè non possono essere controllate per mezzo di elezioni democratiche a livello europeo, perché hanno non uno, ma 27 contenuti diversi. E a livello degli Stati membri hanno l'effetto di distruggere la democrazia.

Esse non tracciano la visione di una marcia verso una lontana Europa democratica, ma l'incubo di un approfondimento dell'Europa tecnocratica e autoritaria già esistente. Allo stesso modo, segnano l'arroganza da parte di Bruxelles di voler sapere meglio dei cittadini dei singoli paesi, cosa deve accadere nella politica degli stati membri. Il bilancio finale di questa arroganza è disastroso. Purtroppo, anche nello spazio progressista, le reazioni rimangono per lo piu' di accettazione. La tentazione di unirsi a loro è ovvia; dopo tutto, le risorse di potere che giacciono dormienti nell'Europa autoritaria sono inesauribili e allettanti. A chi non piacerebbe avere qualche briciola?

Tutto questo, ci si chiede da piu' parti, non sarebbe in qualche modo sostenibile se solo il Parlamento europeo oppure le parti sociali si mettessero di traverso? O forse il Comitato delle Regioni? Posso solo mettere in guardia dal tentativo di fare la pace con le modalità autoritarie tipiche della politica europea. L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle e abolirle. Per il Fondo di ricostruzione, questo significa che tutte le condizionalità che non hanno nulla a che fare con l'uso effettivo dei fondi dovranno essere fondamentalmente respinte.






lunedì 8 febbraio 2021

Nella trappola dei minijob

"Se mai fosse stata necessaria una prova ulteriore del fatto che i minijob sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita", scrive il sociologo tedesco Markus Kruesemman. Una riflessione molto interessante sulla trappola dei minijob ai tempi della pandemia, da Makroskop.de



Le misure prese nel corso del 2020 per combattere la pandemia da Coronavirus hanno lasciato il segno sul mercato del lavoro. Per la prima volta dopo anni di costante crescita, l'anno scorso il numero delle persone occupate è sceso. Contemporaneamente, il numero di disoccupati e inoccupati è aumentato. Il fatto che le cose fino ad ora non siano ancora peggiorate, probabilmente è dovuto al regime della cassa integrazione (Kurzarbeitergeld).

Se grazie a questa forma di proseguimento parziale del pagamento dei salari è stato steso un ombrello protettivo sui dipendenti soggetti ai contributi sociali, per molto tempo invece i lavoratori autonomi sono stati lasciati fuori e al freddo ad aspettare. Ma anche i cosiddetti impieghi marginali sono stati colpiti in maniera dura.



Basta un lockdown e i mini-job spariscono

"Gli occupati con un contratto di mini-job sono i veri perdenti della recessione indotta dal coronavirus", è questa la conclusione a cui giunge uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) del novembre 2020. Come mostrano i dati, infatti, nel giugno 2020 c'erano circa 850.000 minijob in meno, vale a dire il 12% in meno rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, l'occupazione soggetta a contributi sociali obbligatori si è ridotta però solo dello 0,2%. Le persone piu' colpite sono state proprio quelle che avevano un mini-job come lavoro principale. Il 45% degli occupati che nel 2019 aveva esclusivamente un minijob, nella primavera del 2020 non aveva più un lavoro. Per i mini-jobber che svolgevano il lavoro come impiego secondario, questa proporzione invece era "solo" del 18%.


E queste sono state le conseguenze solo del primo blocco di marzo/aprile 2020. Si sa ancora poco dell'impatto che avrà il blocco invernale. Ma probabilmente è corretto ipotizzare che la situazione dei mini-jobber, che si era un po' ripresa in autunno, tornerà a peggiorare. Gli ultimi dati estrapolati dall'Agenzia federale del lavoro mostrano già una tendenza negativa in corso nel novembre 2020.

In questo contesto, le dichiarazioni ottimiste su di un mercato del lavoro che in questa fase di crisi sarebbe robusto, e che avrebbe dimostrato di essere a prova di crisi, sembrano alquanto fuori luogo. Mostrano solo che i minijobber non contano. Non vengono nemmeno presi in considerazione dalle statistiche sulla disoccupazione, e si ha l'impressione che vengano ignorati o semplicemente dimenticati anche ora che siamo in crisi.

Male e peggio

Nessun dubbio sul fatto che anche per i lavoratori dipendenti che hanno un lavoro soggetto a contributi sociali, i tagli subiti in molti casi sono stati massicci. Grazie allo schema del Kurzarbeit, tuttavia, in molti almeno sono stati protetti dalla disoccupazione, anche se la riduzione dello stipendio per tanti lavoratori a basso reddito significa dover affrontare gravi problemi finanziari. E quelli che sono diventati disoccupati, nella maggior parte dei casi, almeno hanno diritto al sussidio di disoccupazione (ALG 1), in modo da potersi risparmiare l'umiliante viaggio al centro per l'impiego, sempre che il loro salario sia abbastanza alto da ricevere un sussidio di disoccupazione sopra il livello Hartz IV.

In confronto, i minijob sono "un sottomondo". Indennità di cassa integrazione? Niente del genere. Sussidio di disoccupazione? Neanche per sogno. È proprio qui che l'esenzione dalle assicurazioni sociali obbligatorie si fa sentire. L'equazione apparentemente attraente secondo la quale "il guadagno lordo corrisponde al salario netto", con la quale i datori di lavoro amano pubblicizzare i minijob, in tempi di crisi non funziona più. Chi viene mandato a casa e improvvisamente riceve solo uno zero lordo, non avrà niente di netto in tasca.

E solo come un inciso, per coloro che sono stati in grado di mantenere il loro minijob, ma ora hanno bambini in età scolare seduti a casa: poiché un'occupazione marginale non garantisce la copertura assicurativa sanitaria, i minijobber non hanno diritto all'indennità di malattia per i bambini, che recentemente è stata aumentata a un massimo di 20 giorni per bambino.

Un altro fattore che contribuisce alla crisi dei minijobs, naturalmente, è il fatto che il lavoro svolto dai minijobber non è generalmente adatto ad essere svolto in home-office. Ancora più grave, però, è il fatto che i minijobs si concentrano in quei settori che sono stati particolarmente colpiti dalle misure di lockdown.

I minijob sono una trappola occupazionale

Il ricorso allo strumento della flessibilizzazione del lavoro e dei minijob come strumento per il taglio dei salari nei settori particolarmente colpiti dal Coronavirus è un aspetto che da solo non può spiegare la crisi dei minijob. In realtà, non fa altro che esacerbare un problema fondamentale, la cui causa è strutturale: i minijob sono una forma di occupazione precaria e soggetta alle crisi. Una occupazione marginale non è adatta a garantire il sostentamento, per non parlare di una pensione in vecchiaia, e non è nemmeno un ponte verso un'occupazione regolare. Invece di affrontare la tanto attesa ri-regolamentazione della politica del mercato del lavoro, la coalizione di governo preferisce discutere sull'aumento da 450 a 600 euro della soglia massima di guadagno.

Se mai fosse stata necessaria un'ulteriore giustificazione in merito al fatto che i mini-job sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita.






domenica 7 febbraio 2021

Dalla Germania ci fanno sapere che il debito italiano acquistato dalla BCE non può essere cancellato

Pochi giorni dopo l'appello lanciato da Piketty ed altri importanti economisti europei in favore della cancellazione del debito pubblico acquistato dalla BCE e depositato presso le banche centrali dell'eurosistema, dalla Germania, economisti e politici ci fanno sapere che non si può fare. Anche il Bundestag avrebbe analizzato la situazione debitoria italiana giungendo ad una conclusione per niente inattesa: Nein! Ne scrive Handelsblatt.de


(...) Questa politica ha portato molte critiche alla BCE e le è costata una calo in termini di fiducia. Soprattutto in Germania, i critici accusano la banca centrale di essersi adoperata per finanziare in maniera diretta i governi, pratica che sarebbe proibita. La BCE tuttavia respinge l'accusa. Sostiene che con la sua politica si sarebbe limitata a garantire il funzionamento della politica monetaria.

Rapporto interno del Bundestag: la cancellazione del debito è vietata dai trattati europei

Dopo che i rappresentanti dell'UE e della BCE hanno iniziato a seguire il dibattito sulla cancellazione del debito con un certo scetticismo e distacco, il dibattito nel corso dei mesi per loro si è fatto sempre piu' spiacevole.

Il capo economista della BCE, Philip Lane, solo pochi giorni fa si è sentito in dovere di ribadire che la BCE non è autorizzata a cancellare il debito. "Non ci è permesso. I trattati non permettono la cancellazione del debito degli Stati", ha detto Lane.


Questo è anche quanto emerge da un rapporto interno del Bundestag, a disposizione di Handelsblatt, che analizza il debito pubblico italiano e il dibattito su di una cancellazione del debito del paese.

"Se la BCE prima acquista i titoli di stato allo scopo di ripristinare il funzionamento della politica monetaria dell'eurozona, e in seguito invece viene proposto un taglio del debito, tale cancellazione del debito da parte della BCE è incompatibile con il divieto di finanziamento monetario degli stati", afferma il rapporto.

Questo perché con una cancellazione volontaria del debito, la BCE contribuirebbe alla riduzione del deficit dei paesi dell'eurozona e quindi "direttamente e indipendentemente dai mercati finanziari, contribuirebbe a finanziare il deficit pubblico di uno stato membro".

La BCE inoltre con l'acquisito dei titoli di stato vanta dei crediti in termini di interessi sui titoli di Stato. Se semplicemente vi rinunciasse, "contraddirebbe la promessa della BCE di condurre delle transazioni secondo le abituali pratiche di mercato".

Segnale politico fatale

Ma al di là del divieto legale, gli esperti soprattutto mettono in guardia dalle conseguenze politiche ed economiche che un tale taglio del debito avrebbe. La riduzione del debito ridurrebbe la pressione sui governi a fare le riforme, come ad esempio quello italiano. La mossa farebbe più male che bene, dice l'economista Lars Feld.




L'economista Gabriel Felbermayr avverte anche che un taglio del debito potrebbe alimentare il rischio inflazione. Questa decisione potrebbe dare l'impressione che la BCE sta semplicemente stampando più denaro per finanziare i debiti degli stati.

Ma anche il segnale politico lanciato in Europa sarebbe fatale. Anche i politici di sinistra, infatti, temono che la cancellazione del debito pubblico alimenterebbe il solito dibattito sui trasferimenti: "i tedeschi stanno finanziando i pigri del sud-Europa".

È sicuramente vero che la banca centrale sta comprando titoli di stato di tutti i paesi dell'euro, compresa la Germania. Anche la Germania quindi beneficerebbe di un taglio del debito.

Ma la BCE proporzionalmente ha comprato più titoli di stato italiani che tedeschi, deviando quindi dalla sua regola originale. E questo potrebbe dare l'impressione che si tratta principalmente di un taglio del debito a favore dell'Europa del Sud e a scapito dell'Europa del Nord.

Non è nemmeno chiaro in che modo gli investitori finanziari internazionali potrebbero valutare un passo così radicale. Da un lato, dopo una tale cancellazione, le finanze pubbliche dei paesi dell'eurozona sarebbero di nuovo in una condizione più sana.

I titoli di stato in euro, tuttavia, non potrebbero più essere considerati come sicuri, perché gli investitori avrebbero paura di poter essere colpiti dal prossimo taglio del debito. I tassi d'interesse per i paesi dell'eurozona, come conseguenza, aumenterebbero bruscamente oppure potrebbe esserci una mancanza di acquirenti. I paesi dell'eurozona allora rischierebbero la bancarotta, e l'euro come moneta unica sarebbe probabilmente storia.

Per tutte queste ragioni, non c'è da meravigliarsi se la BCE intende bloccare sul nascere tutte le discussioni sulla cancellazione del debito. "Il dibattito", ha scritto il membro tedesco del comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel, "è dannoso e dovrebbe essere fermato".

venerdì 5 febbraio 2021

"In Italia non sanno nemmeno cosa fare con i nostri miliardi di euro!"

"Draghi, l'uomo che ci ha portato alla politica completamente errata della BCE, responsabile per l'eccesso di denaro incontrollato nell'Eurozona, dovrebbe essere proprio lui il grande salvatore dell'Italia? È uno scherzo, anche se molto brutto, del quale i tedeschi, che in misura considerevole saranno chiamati a pagare il conto, alla fine non potranno ridere". Jörg Hubert Meuthen di AfD commenta cosi' l'arrivo di Draghi alla presidenza del consiglio, da FB


(...) Il Ministro delle finanze tedesco nonché candidato alla Cancelleria della SPD, Olaf Scholz, vede la situazione in maniera molto diversa. All'inizio aveva lodato il piano di salvataggio anti-Corona come un "bazooka con molta forza" e ancora a gennaio sosteneva in tutta serietà: "La forte risposta fiscale, il bazooka, ha davvero funzionato".

Il bazooka, in effetti, caricato con i soldi dei contribuenti tedeschi ha mostrato tutto il suo effetto, ma non in Germania, bensì in Italia - il paese che trarrà il maggiore beneficio dai miliardi di aiuti dell'UE per il post-Corona.

Come promemoria, questi miliardi di aiuti anti-Corona dell'UE sono il risultato di un'idea di Merkel e di Macron per creare un "fondo per la ricostruzione" (la scelta delle parole è volutamente fuorviante, come a voler suggerire che mezza Europa giace a terra, distrutta dalla guerra!) per un importo di 500 miliardi di euro, a cui la signora Von der Leyen, con una certa presunzione, ha voluto aggiungere altri 250 miliardi - si badi bene, NON si tratta di denaro già disponibile, ma di denaro per la cui raccolta l'UE sta cominciando a indebitarsi in violazione dei trattati e per il quale alla fine a pagare saranno i nordeuropei. 

Nel complesso questo "favoloso" fondo porterà ad un trasferimento di ricchezza al di fuori dalla Germania per oltre 130 miliardi di euro - ne avevo parlato la scorsa estate.

Trasferimento di ricchezza fuori dalla Germania - verso l'Italia, ad esempio, dove è noto che i cittadini hanno una ricchezza mediana significativamente superiore rispetto a quella della Germania. 

Nel frattempo, ovviamente in Italia non sanno cosa fare con i miliardi e i miliardi di euro degli aiuti. Recentemente ho riportato l'assurdità secondo la quale i proprietari di casa in Italia stanno incassando un cosiddetto "super bonus" per installare un nuovo sistema di riscaldamento - un bonus che è effettivamente così super che uno non solo ottiene il sistema di riscaldamento COMPLETAMENTE pagato dallo stato italiano (cioè in ultima analisi in misura considerevole dal contribuente tedesco!), ma anche il 10% in più come REGALO. Che orgia insensata di spesa a scapito dei nordeuropei e soprattutto della Germania, ma è proprio così che va la "solidarietà europea" nel 16° anno di governo Merkel!

Ma poiché anche un tale regalo è ovviamente lontano dall'essere sufficiente per sperperare tutto il denaro (di cui gli imprenditori tedeschi avrebbero disperatamente bisogno), ora ci si affida (cioè dopo la caduta del governo italiano) al grande maestro dell'indebitamento, cioè all'ex capo della BCE Mario Draghi.

Dato che il governo precedente non è riuscito a mettersi d'accordo su come spendere tutti quei soldi europei, sarà proprio Draghi ora a formare un nuovo governo per poi far felici gli italiani con tutti quei miliardi.

Proprio l'uomo che ci ha portato alla politica completamente errata della BCE, responsabile per l'eccesso di denaro incontrollato nell'Eurozona, dovrebbe essere lui il grande salvatore dell'Italia?

È uno scherzo, anche se molto brutto, del quale i tedeschi, che in misura considerevole saranno chiamati a pagare il conto, all fine non potranno ridere. 

È ora di tornare a una politica finanziaria ed economica sana. È ora di smettere di sprecare i soldi dei contribuenti tedeschi in spese insensate in Europa. È il momento di AfD. 


giovedì 4 febbraio 2021

10 anni di attacchi a Mario Draghi dalla stampa tedesca

E' arrivato il momento del governo del Drago, e non è difficile ipotizzare quali siano i poteri e gli interessi dietro questa manovra politica. Questo blog tuttavia oggi propone una rapida carrellata su quasi 10 anni di attacchi da parte della stampa tedesca nei confronti dell'italiano Mario Draghi. Anche se la politica monetaria di Madame Lagarde è addirittura piu' espansiva di quella del predecessore, a lei la stampa che conta ha riservato un trattamento molto piu' rispettoso, segno evidente che gli attacchi a Draghi andavano ben oltre la politica monetaria e si appoggiavano invece sul solito cliché dell'italiano inaffidabile e spendaccione. C'è una parte molto ampia del paese, tuttavia, che investendo in immobili ed azioni, grazie alla liquidità illimitata della BCE e i tassi a zero, negli ultimi 10 anni è riuscita ad arricchirsi, eppure su buona parte della stampa ancora oggi prevale la narrazione dell'esproprio ai danni del laborioso risparmiatore tedesco. Dalla stampa tedesca, 16 articoli a partire dal 2012



Thomas Fricke - Perché i tedeschi dovrebbero solo ringraziare l'italiano Mario Draghi


"Il becchino del risparmiatore tedesco"

martedì 2 febbraio 2021

Quanto bisogna guadagnare in Germania per essere considerati ceto medio?

Dove inizia il ceto medio e quanto bisogna guadagnare in Germania per poterne fare parte? La distribuzione della ricchezza e dei redditi in Germania è cosi' polarizzata che quando si parla di ceto medio, in realtà ci si riferisce alla parte piu' ricca e tuttavia minoritaria del paese. Una riflessione molto interessante del grande Norbert Häring, commentatore e giornalista su Handelsblatt


Quella comunemente definita come classe media in realtà è già classe abbiente

Le persone di solito hanno un'idea completamente distorta di quanto poco guadagni e possegga il cittadino medio. Coloro che in realtà fanno parte della classe piu' abbiente, continuano invece a considerarsi parte della classe media. La politica per la cosiddetta classe media si è rapidamente trasformata in un sostengno alle élite.

A differenza degli Stati Uniti, ad esempio, essere ricchi in Germania è ancora considerato piuttosto imbarazzante e disdicevole. Tutti vorrebbero appartenere alla classe media, non solo i multimilionari come Friedrich Merz (CDU) o i redditi elevati come il ministro delle finanze Olaf Scholz (SPD).

Se si chiede ai tedeschi quale sia il confine per poter essere considerati ricchi, il limite inferiore di solito viene fissato intorno ad un reddito tra i 7.000 e i 10.000 euro netti al mese, riferisce su Handelsblatt Judith Niehues, responsabile per lo sviluppo del metodo di ricerca presso l'Institut der deutschen Wirtschaft (IW). Secondo l'esperta, infatti, i tedeschi suppongono che un quinto della popolazione ogni mese guadagni tale somma.

Ma la realtà è ben diversa: in Germania secondo l'IW al massimo è il 3% delle famiglie a disporre di un simile reddito netto mensile. Se si dovesse considerare ricco il 20% delle famiglie tedesche con il reddito piu' alto, allora si sarebbe già ricchi con un reddito netto di poco meno di 3.000 euro mensili.

Se dovessimo applicare lo stesso metro di giudizio, il ministro delle finanze Scholz apparterrebbe senza ombra di dubbio alla cerchia dei ricchi. Il politico della SPD, infatti, recentemente ha scatenato un acceso dibattito dopo aver risposto alla domanda se poteva essere definito "ricco", affermando che guadagnava "abbastanza bene". Ma che comunque non si considera ricco, aveva poi aggiunto il candidato alla Cancelleria della SPD.

Secondo il Ministero federale delle finanze, Scholz come ministro federale prende uno stipendio mensile di circa 15.500 euro, compresi i vari supplementi. Sua moglie, il ministro dell'istruzione del Brandeburgo, Britta Ernst, incassa circa 14.000 euro al mese. Insieme, una coppia senza figli, arrivano così a poco meno di 30.000 euro di guadagno lordo mensile.

Un limite superiore della classe media alquanto generoso

Per l'esperta dello IW Niehues, la fascia superiore della classe media inizia a una volta e mezzo il reddito mensile mediano netto, vale a dire da poco meno di 2.000 euro netti, e si estende fino a due volte e mezzo questo importo: sarebbero all'incirca poco meno di 4.900 euro netti al mese. Per loro, la ricchezza inizia sopra questa soglia. Solo il 3,3% delle famiglie in Germania avrebbe "un reddito elevato", almeno secondo questa definizione - e i coniugi Scholz sono tra questi. Al contrario, il 15% della popolazione appartiene alla classe media superiore, sempre secondo questa definizione.

Stefan Bach, esperto di fisco e di redistribuzione presso l'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), pone ancora più in alto il limite superiore per la classe media. Per lui chi guadagna 60.000 euro netti all'anno, è già un "besserverdiener", vale a dire un passo intermedio sul percorso verso la ricchezza. "Molti al di sopra di questo dato, probabilmente si sentono ancora classe media, non solo il signor Merz", giudica Bach.

Bach traccia la linea di confine della ricchezza laddove inizia il centile superiore in termini di reddito. Per appartenere a questa cerchia, infatti, bisogna guadagnare almeno 160.000 euro lordi all'anno. Sempre secondo questa definizione, Scholz sarebbe tra le persone piu' ricche del paese.

È ancora più difficile fare parte dei ricchi in termini di reddito percepito se si prende come metro di misura l'imposta sulla ricchezza, che come persona singola deve pagare un'aliquota maggiorata del 45% a partire da un reddito imponibile di 265.327 euro lordi. Questa aliquota riguarda infatti 163.000 contribuenti, vale a dire circa lo 0,2% della popolazione. (...)

Ricco con solo una macchina

La ricchezza è distribuita in maniera ancora più ineguale rispetto al reddito. A una maggioranza di non abbienti, infatti, si contrappone una minoranza di persone con delle grandi fortune. Nel mezzo si trova una classe media piuttosto piccola e ricca.

Secondo lo studio condotto in luglio dal Pannello Socio-Economico (SOEP) del DIW, in termini di patrimonio netto, dopo aver dedotto i debiti, per appartenere alla metà più ricca della popolazione è sufficiente un auto nuova di classe media: vale a dire circa 23.000 euro. La metà inferiore della popolazione ha tanti debiti quanti beni possiede, se considerata nel suo insieme.

Con un patrimonio netto di 126.000 euro, cioè circa una casa pagata a metà nella fascia di prezzo piu' bassa, si appartiene al 25 % più ricco della popolazione tedesca. Una casa pagata in questa fascia di prezzo (279.000 euro) è sufficiente per avere un posto fra il 10% più ricco. Con una casa a schiera senza ipoteca in città (438.000 euro), si appartiene già al cinque per cento più ricco. Poi c'è un salto più grande.

I ricchi hanno beni a rendimento più elevato

Gli esempi non sono stati scelti a caso. Per gli strati di reddito più bassi, il mezzo di trasporto è di solito il bene più importante. Nella fascia di reddito piu' alta, dove inizia la ricchezza, i beni consistono principalmente in immobili e nella casa in cui si vivie. Per i più abbienti, inoltre, c'è qualche proprietà data in affitto.

Coloro che invece appartengono all'1% più ricco e soprattutto allo 0,1 % più ricco, posseggono soprattutto beni di natura aziendale.  Per appartenere al primo gruppo menzionato, bisogna avere 1,3 milioni di euro netti; con circa 5,5 milioni di euro invece si appartiene già al millesimo più ricco.

In genere, i beni aziendali danno il rendimento più alto, le auto quello più basso. In uno studio del 2019, Ederer, Mayerhofer e Rehm hanno dimostrato che più alta è la ricchezza dei proprietari, più alto sarà  il rendimento medio dei loro attivi.

Chi diventerà milionario?

Il tipico milionario ha l'aspetto che molti si immaginano: un signore bianco, anziano, di origine tedesca (occidentale) o nelle parole del SOEP: "Hanno più probabilità in media di essere milionari i maschi, con un livello di istruzione superiore alla media, sono mediamente più vecchi del resto della popolazione e hanno un background migratorio inferiore alla media".

I milionari hanno anche, non a sorpresa, un reddito netto molto più alto della media (reddito familiare ponderato) di oltre 7.600 euro netti e risparmiano più della media. Questo è un altro motivo per cui possono accumulare ricchezza aggiuntiva più velocemente rispetto ai non-milionari.

Quando i milionari lavorano, di solito sono lavoratori autonomi, imprenditori, oppure sono in una posizione manageriale o esecutiva simile. Quelli che lavorano, con 47 ore alla settimana, lavorano molto più della media. Il DIW non dice qual'è la percentuale di milionari che lavora.

Se chiedete ai milionari come sono diventati ricchi, il lavoro e l'abilità imprenditoriale sono stati i fattori principali. L'eredità, i doni e la fortuna, d'altra parte, hanno giocato solo un ruolo subordinato, almeno secondo la loro auto-percezione. (...)

Implicazioni per la politica

La tendenza a includere nella classe media persone che possono spendere il triplo dei soldi rispetto alle persone della cosiddetta "classe media inferiore" e la forte distorsione della percezione di ciò che mediamente si guadagna indicano che molto di ciò che viene venduto e percepito come politica per la classe media, in realtà è una politica per una classe superiore. Al contrario, i benefici sociali e le politiche che il pubblico percepisce come benefici per una classe di persone svantaggiate, in realtà sono benefici per la classe media.


La Sonderweg di Berlino

Ancora una volta sulle regole di ingresso in Germania per i viaggiatori provenienti dall'estero, il governo di Berlino si è mosso da solo, come del resto aveva già fatto a marzo 2020 durante la prima ondata di contagi, quando aveva chiuso il confine con la Francia, oppure quando pochi giorni fa ha dichiarato unilateralmente superata la disciplina sul pareggio di bilancio, che ai tempi di Schäuble invece aveva imposto ai paesi del sud-Europa. Una storia interessante fatta di eccezioni e trattamenti speciali, ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy

"Ha incontrato una certa incomprensione"

La settimana scorsa, il governo tedesco, come riportano i media, ancora una volta ha deciso di muoversi "da solo" [1] a livello nazionale per imporre delle severe restrizioni agli ingressi nel paese nel tentativo di contrastare la pandemia. I ministri degli interni dell'UE nell'ambito di una videoconferenza congiunta, infatti, non erano riusciti a concordare delle regole comuni. Alla fine della conferenza non era stato ipotizzato alcun rafforzamento dei controlli alle frontiere corrispondente con la "proposta tedesca"; durante la conferenza, infatti, le richieste del Ministro degli Interni Horst Seehofer erano state accolte con una certa "incomprensione" da parte dei suoi omologhi dell'UE. La Commissaria europea per gli affari interni Ylva Johansson, da Bruxelles aveva messo in guardia contro l'adozione di misure troppo drastiche, in quanto queste avrebbero indebolito l'economia e i sistemi sanitari degli stati membri. L'UE ha bisogno di un "approccio equilibrato", aveva detto la Johansson. Seehofer invece subito dopo l'incontro ha annunciato che Berlino avrebbe semplicemente implementato le misure desiderate in maniera autonoma.

"Pericolo per il mercato interno"

La questione controversa non era stata disinnescata nemmeno nell'ambito dell'ultimo vertice straordinario fra i capi di stato e di governo dell'UE del 21 gennaio, vertice indetto per cercare un approccio coordinato alla pandemia fra i paesi UE. [2] Al vertice la Cancelliera tedesca Angela Merkel aveva chiesto un approccio unificato dell'UE nei confronti della seconda ondata pandemica, approccio che dovrebbe includere non solo gli stati dell'Unione europea, ma anche i paesi vicini come la Svizzera. La Commissione UE aveva riferito che l'aumento dei controlli alle frontiere oppure la loro chiusura rappresentavano un "pericolo per il mercato interno europeo". Il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, ad esempio, si era espresso in maniera chiara contro i divieti di viaggio generalizzati. Poco dopo, invece, la Germania ha emesso norme di ingresso più severe per circa due dozzine di paesi, fra questi anche le classiche destinazioni turistiche europee come il Portogallo. [3]

Un affronto agli alleati

I divieti d'ingresso introdotti da Berlino in maniera autonoma a fine mese prevedono dei divieti per le compagnie aeree, per le compagnie ferroviarie, di autobus e di navigazione, divieti che dureranno almeno fino al 17 febbraio. Ad essere particolarmente colpiti sono stati Irlanda e Portogallo, oltre a Gran Bretagna, Sudafrica e Brasile. Inizialmente non dovevano essere previsti controlli alle frontiere, è stato riferito, anche se la Germania "potrebbe essere raggiunta in ogni caso via terra dal Portogallo", dove "è stata comunque ordinata la chiusura della frontiera con la vicina Spagna" a causa del numero particolarmente elevato di contagi. [4] L'obiettivo è quello di prevenire la diffusione nella Repubblica Federale delle recenti mutazioni del virus provenienti dalle "zone di origine della mutazione". Berlino aveva già reso più difficile l'ingresso in Germania dividendo circa 160 paesi in tre gruppi di rischio; i viaggiatori che desiderano entrare nel paese devono ora rispettare dei regolamenti di diversa severità. Al confine ceco-tedesco, ad esempio, sono state segnalate lunghe "code e ingorghi", dato che l'ingresso dalla Repubblica Ceca è possibile solo dietro la presentazione di un test Covid-19 negativo. I Verdi hanno criticato aspramente i divieti d'ingresso imposti unilateralmente dal governo tedesco: la Sonderweg tedesca è un "affronto" ai paesi partner della Repubblica Federale, ha detto Franziska Brantner, politico europeo dei Verdi, chiedendo un compromesso. La chiusura delle frontiere senza un'adeguata consultazione preventiva nella primavera del 2020 aveva portato ad un duro scontro nelle regioni di confine tra Francia e Lussemburgo da una parte e Germania dall'altra [5].

Violazioni dei trattati da parte di Berlino

La Sonderweg tedesca all'interno dell'UE tuttavia non rappresenta una eccezione. Secondo l'ultimo rapporto di fine anno, la Commissione UE nel solo settore ambientale starebbe portando avanti 14 procedure di infrazione contro la Germania. Fra queste ci sono le direttive sul particolato, sugli ossidi di azoto o sulle aree protette, che Berlino ripetutamente non avrebbe applicato "in maniera puntuale e corretta", è scritto. [6] Una procedura riguardante una direttiva UE sul Nichel, con lo scopo di proteggere le acque sotterranee dall'inquinamento agricolo è stata recentemente sospesa in quanto Berlino alla fine ha deciso di rendere un po' più severe le norme nazionali dopo una "lunga disputa e grandi pressioni da parte dell'UE". C'è un'altra causa europea a minacciare la Germania nel settore dell'energia. Secondo un rapporto, infatti, l'avvocato generale della Corte di giustizia europea presume che "la Germania non stia rispettando il diritto europeo nell'ambito del mercato dell'energia"; "dopo anni di controversie" ora ci sarà un procedimento. [7] La disputa sui regolamenti UE che dovrebbero garantire "prezzi bassi e più concorrenza" va avanti dal 2015, è scritto nel rapporto. Bruxelles spinge in favore di una maggiore indipendenza dell'Agenzia federale per la gestione delle reti e per un periodo di attesa più lungo per i dirigenti degli operatori elettrici.

81 Procedimenti UE contro Berlino

L'anno scorso ci sarebbero state in totale 81 procedure di infrazione europee pendenti contro la Repubblica federale, cinque in più rispetto al 2019. [8] I Verdi riferiscono che è "imbarazzante" il modo in cui Berlino "oggi disattenda ancora di più i requisiti fissati dall'UE all'inizio della presidenza del Consiglio, rispetto a quanto non facesse un anno fa". Con ben 19 procedure aperte, ad essere particolarmente interessata c'è l'area di responsabilità del Ministero federale dei trasporti guidato dalla CSU, sul quale la lobby dell'industria automobilistica tedesca da sempre esercitato una pressione massiccia. Oltre alla battaglia sui livelli di particolato, le contestazioni riguardano "la sicurezza ferroviaria, i regolamenti per le navi, oppure l'integrazione europea del trasporto ferroviario". Insieme a Spagna e Italia, la Germania era nel gruppo di paesi UE contro i quali Bruxelles aveva aperto il maggior numero di procedure per una attuazione impropria delle direttive UE, è scritto. Oltre ad una attuazione lassista degli standard minimi UE sulla protezione ambientale, la Commissione europea ha avuto da obiettare anche sui regolamenti tedeschi in materia di "prevenzione di gravi incidenti con sostanze pericolose", sulla "sicurezza delle forniture di gas naturale" e sulla protezione dei dati.

Due pesi e due misure

Se necessario Berlino si prende anche la libertà di mettere in discussione le regole di bilancio basilari che essa stessa aveva imposto in tutta l'UE, nonostante la forte resistenza. Questo è il caso, ad esempio, dello "Schuldenbremse" (pareggio di bilancio) che l'allora Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble aveva imposto a tutta l'area dell'euro dopo lo scoppio della crisi della moneta unica; nel corso degli anni, infatti, ha avuto un ruolo chiave nell'esacerbare la crisi economica nei paesi periferici del sud - e nell'allargare il divario socio-economico tra il centro tedesco e i paesi in crisi dell'eurozona. All'epoca Schäuble sosteneva che tutti gli stati membri dell'eurozona avrebbero dovuto impegnarsi per introdurre lo Schuldenbremse, altrimenti l'euro non sarebbe mai stato una moneta stabile. [9] Quasi dieci anni dopo, la crisi economica attuale nella Repubblica Federale ha portato a rimettere in discussione l'allentamento di quello stesso Schuldenmbremse che Berlino aveva imposto all'eurozona, in una delle peggiori recessioni del dopoguerra. A fine gennaio, Helge Braun, capo dell'ufficio della Cancellieria, scriveva infatti che è necessario modificare la Legge Costituzionale per sospendere il "freno all'indiebitmanto", in quanto  "nei prossimi anni sarà impossibile rispettarlo, anche con una disciplina di spesa altrimenti rigorosa". [10] La "strategia di recupero dell'economia tedesca" dovrebbe essere combinata con una modifica alla Legge fondamentale. La modifica temporanea dello Schuldenmrbemse, che finora è stato disapplicato in via temporanea per il 2020 e il 2021, potrebbe essere resa permanente; e questa modifica richiederebbe una "decisione strategica sulla ripresa dell'economia". Ed è esattamente quello che il governo tedesco aveva costantemente proibito agli stati dell'Europa del sud che all'epoca si trovano in profonda crisi.


[1] Detlef Drewes: Deutschland verhängt Einreisebeschränkungen im Alleingang. augsburger-allgemeine.de 28.01.2021.

[2] Stephan Ueberbach: Die EU zwischen Hoffen und Bangen. tagesschau.de 21.01.2021.

[3], [4] Einreisesperre - auch für EU-Länder. tagesschau.de 30.01.2021.

[5] S. dazu Bleibende Schäden (I).

[6] 14 Verfahren gegen Deutschland im Umweltbereich. handelsblatt.de 31.12.2020.

[7] Verstoß gegen EU-Regeln? Deutschland droht Gerichtsprozess. spiegel.de 14.01.2021.

[8] EU-Kommission mit 81 Vertragsverletzungsverfahren gegen Deutschland. oldenburger-onlinezeitung.de 11.07.2020.

[9] Schäuble fordert europaweite Schuldenbremse. handelsblatt.de 23.11.2011.

[10] Braun will Schuldenbremse aussetzen. tagesschau.de 26.01.2021.