sabato 27 novembre 2021

Adam Tooze - Atene e Roma non se lo meritano

Secondo il recente Koalitionsvertrag, Christian Lindner, il leader dei liberali tedeschi, dovrebbe essere il nuovo Ministro delle finanze della Ampelkoalition (SPD, Verdi, FDP). Il grande intellettuale britannico Adam Tooze nelle scorse settimane è intervenuto sulla stampa tedesca per mettere in guardia da una tale eventualità. Per Tooze il leader della FDP non è solo uno showman che nel nuovo governo dovrà interpretare il ruolo del cattivo, ma anche e soprattutto un rischio sistemico per l'eurozona. Atene e Roma probabilmente meritavano qualcosa di meglio. Adam Tooze da Der Freitag.



Dietro le quinte la battaglia per il Ministero delle finanze va avanti da tempo. In gioco non c'è solo il futuro del nuovo governo tedesco, ma anche quello dell'Europa.

Sia la FDP che i Verdi hanno rivendicato il Ministero delle finanze tedesco. I due partiti sotto molti punti di vista si assomigliano: entrambi si battono per conquistare il voto dei giovani. Rappresentano due varietà del liberalismo. Vorrebbero modernizzare le malandate infrastrutture tedesche. Ma naturalmente hanno opinioni diverse sulle questioni climatiche. E sono in disaccordo anche sulla politica sociale ed economica - esattamente come lo sono sulla politica europea.

Christian Lindner e la FDP vorrebbero abbassare le tasse, difendere il pareggio di bilancio e mantenere una linea dura nei confronti dei partner europei della Germania. Per i liberali la crisi climatica dovrebbe essere risolta attraverso gli investimenti privati e tramite l'applicazione di un prezzo per le emissioni di CO₂. I Verdi, invece, vorrebbero maggiori investimenti pubblici, l'allentamento delle regole sul pareggio di bilancio e una politica pro-europea che prosegua il corso politico fatto di investimenti comuni finanziati dal debito europeo iniziato nel 2020. Ed è proprio su queste aree politiche, dove le differenze tra i Verdi (e la SPD) e la FDP sono maggiori, che il Ministero delle Finanze sarà cruciale.



Wolfgang Schäuble (CDU), ministro delle finanze della Germania dal 2009 al 2017, ai tempi dell'eurocrisi era riuscito a guadagnarsi una reputazione alquanto discutibile. Le sue continue misure di austerità avevano messo i paesi debitori sotto una enorme pressione. Nel 2015 era arrivato a proporre per la Grecia un "time-out" dall'euro. Il suo comportamento derivava da una logica politica ineludibile: in Europa, un ordoliberale alla guida del ministero delle finanze tedesco non può nascondersi. Deve issare la bandiera.

E questo atteggiamanto, è da temere, varrà ancora di più per Lindner ministro delle finanze. Lindner è un'europeista molto meno convinto di Schäuble. Le sue posizioni economiche consistono in banalità neoliberali. Ma è anche uno showman che deve dimostrare che lui e il suo partito possono tenere testa ai due partner alla sua sinistra. Sarebbe da ingenui pensare che possa restare schiacciato fra una cancelleria guidata da Olaf Scholz e un super-ministero verde dell'ambiente.

Lo stesso Scholz ha mostrato cosa può fare un progressista ed europeista alla guida del Ministero delle finanze tedesco. Ha cambiato sia il tono che il contenuto del dibattito tedesco in materia di politica economica e ha spinto verso una riforma fiscale globale. Ha speso generosamente durante la crisi del Covid. Soprattutto, ha preso sul serio la fragilità dell'eurozona. Ma la ripresa in Europa resta debole. Gli indici di indebitamento in Europa sono più alti di prima della pandemia. La governance politica dell'Eurozona è quanto mai irrisolta.

La dinamite è già li' pronta

In questo contesto la prospettiva di un Lindner ministro delle finanze è ragione di preoccupazione. La FDP, infatti, chiede a gran voce che sia la Germania sia l'Europa tornino al più presto alle regole sul debito che si applicavano prima della pandemia. E per la Germania sarebbe anche fattibile. La SPD e i Verdi potrebbero anche essere d'accordo se la FDP accettasse investimenti fuori bilancio su larga scala. Per l'Europa, un tale programma invece sarebbe rovinoso. Il 60% dei cittadini della zona euro vive in paesi dove il rapporto debito/PIL supera il 100 per cento del PIL. In tali condizioni forzare un ritorno ai criteri dell'era di Maastricht sarebbe disastroso. Soffocherebbe tutti gli investimenti pubblici contro il cambiamento climatico e provocherebbe un contraccolpo populista.

L'esplosivo c'è già. Otto membri dell'UE hanno chiesto il consolidamento delle finanze europee a partire dal 2022. Sono piccoli stati. Se otterranno quello che chiedono dipende dalla Germania.

Un ministro delle finanze tedesco dello stampo di Lindner rappresenta un rischio sistemico per l'Europa. E anche la Merkel lo ha dovuto imparare: se l'Europa entra in crisi, diventa molto difficile per Berlino fare politica.




martedì 6 aprile 2021

Perché la stampa tedesca e la Germania ora temono l'asse franco-italiano

Con l'uscita di scena di Merkel si apre nell'UE un vuoto di leadership che lascia molto spazio all'attivismo di Macron e Draghi in favore di un bilancio comune dell'eurozona e degli eurobond, fortemente voluti da Roma e Parigi. I tedeschi temono che alla fine saranno loro a dover pagare il conto delle ambizioni revanchiste franco-italiane. Ne scrive Die Welt

Draghi è abituato a ottenere il massimo effetto con il minimo delle parole. Nel 2012, quando era presidente della Banca Centrale Europea (BCE) gli erano bastate solo tre parole per salvare l'euro: "Whatever it takes". La BCE farà qualunque cosa sia necessario, aveva detto, per sostenere la moneta europea.

Draghi da appena due mesi è il presidente del consiglio italiano. Invece delle dichiarazioni concise, ora preferisce agire con un forte riverbero internazionale in modo da rendere chiara la sua agenda. Come all'inizio di marzo, quando l'Italia  sorprendentemente ha bloccato l'esportazione di 250.000 dosi del vaccino di AstraZeneca verso  l'Australia.

Le autorità italiane si erano effettivamente coordinate in anticipo con la Commissione UE. Ma l'impressione di fondo è che Draghi con il blocco abbia voluto mandare un segnale chiaro. Un colpo di tamburo che ha suscitato preoccupazione in tutto il mondo per un possibile blocco delle esportazioni europee. Subito dopo ha inviato i carabinieri in un magazzino dell'azinda vicino Roma, dove hanno scoperto circa 29 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca lì immagazzinate - quasi il doppio di quelle che il gruppo complessivamente in precedenza aveva fornito ai paesi dell'UE.




Draghi spinge per tornare sulla scena europea

I conoscitori di Draghi considerano il suo approccio energico come un segnale lanciato all'UE, Parigi e Berlino: l'italiano si sta facendo spazio sulla scena europea con la consapevolezza del suo potere e la volontà di modellare gli eventi. Il suo paese non deve essere più visto come un caso problematico, ma dovrà giocare un ruolo nella ridefinizione dell'UE

Il momento è quello giusto, perché la Cancelliera tedesca in autunno si dovrà dimettere. Attualmente Merkel è indiscutibilmente il politico più potente d'Europa; anche solo la sua capacità di resistere durante i summit europei, che spesso durano fino a notte fonda, è leggendaria. Crisi dell'euro, crisi dei rifugiati, Brexit, pandemia -  Merkel ha avuto un impatto decisivo sulla politica europea. Chiunque le succederà avrà bisogno di tempo per ambientarsi nel suo nuovo ruolo a livello europeo.

"Un nuovo cancelliere o una nuova cancelliera sarà lo spartiacque e cambierà anche la situazione nella struttura del potere europeo", dice Janis Emmanouilidis, direttore del centro studi del Think tank European Policy Centre di Bruxelles. "La partenza di Merkel sta creando un vuoto di potere - e Mario Draghi potrà parzialmente riempirlo".

L'ex banchiere centrale porta con sé un grande capitale politico: Draghi è estremamente ben connesso a livello europeo e sin dagli anni alla guida della BCE, molti attori in Europa hanno iniziato a fidarsi di lui. Il suo ruolo nella crisi dell'euro gli ha fatto fare un enorme salto di qualità. "Draghi è troppo importante per andare semplicemente a fare un giretto all'UE. Vuole fare dell'Italia il terzo protagonista piu' importante accanto a Francia e Germania", dice il politologo italiano Lucio Caracciolo.

Che l'Italia, come terza economia, abbia la rilevanza per farlo è fuori discussione. A differenza dei suoi predecessori, Draghi però potrebbe anche aspirare a usare il suo peso. Il suo obiettivo è trasformare l'Unione a beneficio del suo paese, si specula in Italia.

Draghi non fa mistero del fatto che sta lavorando per ottenere gli eurobond per il periodo post-pandemico. L'obiettivo finale è quello di avere un'UE con un bilancio comune che aiuti gli stati più deboli durante i periodi di recessione. E punta a una riforma delle regole sul debito: "Vuole trasformare il Patto di Stabilità in senso neo-keynesiano, in modo che si possa fare piu' debito per fare gli investimenti", dice Caracciolo.




Macron vuole essere il primo a incontrare Draghi

E Draghi a Parigi su questo tema ha un compagno d'armi: il presidente francese Emmanuel Macron sin da quando è entrato in carica, infatti, spinge per una riforma dell'UE e per ottenere un bilancio più ampio per Bruxelles. Parigi ha lavorato a lungo in favore di un'unione fiscale e per un prestito comune permanente tramite gli eurobond.

Al vertice del Consiglio UE di marzo, per la prima volta è diventato chiaro a quale livello Draghi e Macron si stiano già scambiando opinioni su questi temi. Durante la videoconferenza, infatti, sembrava che i due si fossero coordinati in anticipo. E infatti: poche ore prima del vertice i due capi di stato hanno parlato al telefono per accordarsi su un possibile divieto di esportazione dei vaccini, rivela un consigliere di Macron.

I negoziatori di Macron stanno lavorando senza sosta per organizzare una visita di stato di Draghi a Parigi. Potrebbe anche essere possibile un viaggio di Macron a Roma. L'importante è che nessuno arrivi prima di Macron e che il francese sia il primo a incontrare "Super Mario". I consiglieri del presidente francese si affrettano a sottolineare che la "fiducia è grande" e "l'alleanza è eccellente".

La speranza a Parigi è che Draghi si dimostri come il "garante della stabilità italiana e quindi della stabilità europea", come dice un assistente di Macron. Soprattutto, i due sono d'accordo sul fatto che l'UE dovrebbe aumentare i fondi per la ricostruzione post-Corona. "Entrambi sono convinti di questa necessità", dice l'Eliseo.

Per Macron, il ritorno dell'Italia nelle file dei paesi europeisti ha un valore inestimabile. Non appena la pandemia lo permetterà, Macron e Draghi vogliono firmare un Trattato del Quirinale - l'equivalente italo-francese del Trattato dell'Eliseo, con il quale nel 1963 gli ex arci-nemici Germania e Francia suggellarono la loro amicizia e la futura cooperazione e al quale si è aggiunto due anni fa il Trattato di Aquisgrana. Per mesi i francesi hanno fatto pressione su Roma affinché l'Italia partecipasse a cantieri tecnologici congiunti franco-tedeschi, come la tecnologia dell'idrogeno e il progetto di produzione congiunta di batterie.

Non è chiaro, tuttavia, fino a che punto questi progetti daranno frutti. Questa non è la prima volta che Italia e Francia speculano su una più stretta cooperazione a livello europeo, e nessuno sa per quanto tempo ancora Draghi riuscirà a mantenere il potere considerando la volatilità della politica italiana.

Daniel Gros, al vertice del think tank con sede a Bruxelles Centre for European Policy Studies (CEPS), ritiene che tali riflessioni siano principalmente un pio desiderio. "Un asse Parigi-Roma negli ultimi decenni è stato ipotizzato decine di volte, ma non se ne è mai fatto nulla", dice il politologo. "L'intesa franco-tedesca è così importante perché entrambi i paesi arrivano da punti di vista diversi e dietro di loro ci sono molti altri paesi membri che hanno punti di vista simili". Una stretta collaborazione tra Parigi e Roma, invece, è molto meno interessante per l'Europa, ha detto. Ciononostante, nei prossimi mesi potrebbe causare uno scompiglio nell'UE.




venerdì 2 aprile 2021

Cosi' gli azionisti di Daimler beneficiano degli aiuti pubblici

Dopo aver incassato centinaia di milioni di euro dal governo federale sotto forma di sovvenzioni per il Kurzarbeit (cassa integrazione), Daimler e BMW stanno per distribuire miliardi di euro di dividendi ai loro azionisti, ovviamente a spese del contribuente tedesco, visto che il Kurzarbeit è stato finanziato ricorrendo al bilancio pubblico. Ne scrive Kontext


Il CEO di Daimler Ola Källenius ha annunciato buone notizie in vista della riunione degli azionisti di questo mercoledì. Nonostante la crisi, infatti, l'azienda è riuscita a "superare in maniera significativa" le aspettative per l'anno finanziario 2020. E come riportato da "Handelsblatt", anche il presidente del Consiglio di Sorveglianza sembra assecondarlo: Manfred Bischoff infatti dichiara che il gruppo "ha superato a pieni voti lo stress test della crisi pandemica" e che l'azienda è "ottimamente posizionata per il futuro". In cifre, questo significa che gli azionisti riceveranno una quota di 1,44 miliardi di euro di utili per l'anno di crisi, quasi il 50% in più dell'ultima volta. Anche le azioni stanno volando alto. Mentre a dicembre 2019 - prima dell'arrivo del Coronavirus - erano ancora valutate poco meno di 50 euro l'una, attualmente sono arrivate a quasi 75 euro.

Come è riuscita questa impresa in tempi di crisi? In ogni caso, un po' di aiuti ricevuti non sembrano aver fatto danni. Nel marzo 2020, ad esempio, Källenius aveva sottolineato che Daimler non aveva bisogno di aiuti di Stato. Ma poco dopo l'azienda ha mandato decine di migliaia di dipendenti in Kurzarbeit, con l'Agenzia Federale per l'Impiego che ha contribuito con 700 milioni di euro per il suo finanziamento. Invece di restituire il denaro della crisi ai contribuenti, questo ora viene trasferito per vie traverse agli investitori, i piu' grandi dei quali attualmente arrivano dalla Cina e dal Kuwait.

Un attimo però! Il Kurzarbeit non è forse una prestazione assicurativa? E in questo contesto, Daimler, che ha versato contributi per molti anni, non avrebbe forse diritto a ricevere questi pagamenti?


Non  è solo moralmente discutibile

Sembrerebbe tutto normale. Ma il movimento Finanzwende non intende lasciar passare indisturbato questo argomento. L'organizzazione non governativa, infatti, sottolinea che attualmente le prestazioni di lavoro a orario ridotto (cassa integrazione) non vengono più pagate dai contributi dei lavoratori, ma sono finanziate dalle tasse: "dato che la spesa per le prestazioni di cassa integrazione è esplosa passando da 157 milioni di euro nel 2019 a oltre 20 miliardi di euro nel 2020", si legge infatti nel testo che accompagna la campagna per il blocco di tali dividendi, che diversamente sarebbero cofinanziati dallo Stato. Per far fronte agli alti costi dovuti alla cassa integrazione, infatti, l'agenzia per l'impiego ha esaurito le sue riserve finanziarie. Anche il governo federale è dovuto intervenire fornendo un'iniezione di denaro. Inizialmente sotto forma di prestito, ma con una caratteristica speciale, come sottolinea Finanzwende: "Se [la Agentur für Arbeit] non dovesse rimborsare i circa 10 miliardi di euro entro la fine del 2021, l'aiuto sarà convertito in sovvenzioni che non dovranno essere rimborsate".

Essere sostenuti con fondi del bilancio statale e allo stesso tempo distribuire profitti è senza dubbio moralmente riprovevole, dice Lena Blanken, che dirige la campagna di Finanzwende. Nel caso di Daimler, tuttavia, lo considera "anche discutibile dal punto di vista del business". Da un lato, infatti, la pandemia e la crisi economica non sono ancora finite, quindi disporre di un solido cuscinetto finanziario non farebbe male. E d'altra parte, l'azienda avrà probabilmente bisogno di tutte le risorse di cui dispone per gestire al meglio il passaggio verso l'elettromobilità. Mentre una sontuosa distribuzione di profitti andrà verso gli azionisti, l'azienda sta anche pensando di tagliare migliaia di posti di lavoro. Nell'ambito di ampie misure di riduzione dei costi, l'anno scorso, infatti, il budget per  ricerca e sviluppo era  già stato tagliato di un miliardo di euro.

Miliardi di profitti nonostante la pandemia

(...) In questo senso Daimler non è un caso isolato. Anche BMW la scorsa primavera ha mandato 30.000 dipendenti in Kurzarbeit - allo stesso tempo Susanne Klatten e Stefan Quandt, che hanno ereditato le loro partecipazioni nell'azienda, hanno incassato quasi 800 milioni di euro di utili.

Anche se i danni economici della pandemia continueranno a riverberarsi per molto tempo ancora e lo Stato sta cercando di stabilizzare l'economia con trilioni di euro, le 100 maggiori aziende quotate hanno intenzione di dare ai loro azionisti 40 miliardi di euro dei loro profitti nonostante la pandemia. Tuttavia, come critica il movimento Finanzwende, "non sono ancora previste condizionalità per le aziende che hanno beneficiato dell'indennità di cassa integrazione".

Ricevere un aiuto, trattenerlo per poi pagare il doppio dell'importo agli azionisti può significare due cose - entrambe le quali non danno una buona immagine della società che li percepisce: o non aveva davvero bisogno dell'aiuto e questo è stato usato per la massimizzazione del profitto in chiave antisociale. Oppure l'azienda potrebbe effettivamente fare buonuso degli aiuti - ma gli azionisti hanno un interesse personale di breve termine maggiore rispetto al benessere di lungo periodo dell'azienda.

In vista della prevista distribuzione degli utili, Lena Blanken e Finanzwende hanno scritto una lettera aperta al CEO di Daimler Källenius. "Un tale comportamento", scrivono, "si fa beffa dello spirito di solidarietà, senza il quale una società non può superare unita una crisi". Ma Daimler non sembra essere interessata ad avviare un dibattito pubblico. La risposta dell'azienda è molto breve: il consiglio di amministrazione e il consiglio di sorveglianza avevano presentato una proposta per la distribuzione degli utili, proposta che sarebbe stata spiegata e giustificata all'assemblea generale annuale. "Vi prego di capire che non stiamo anticipando questo punto dell'ordine del giorno". Osiamo fare una previsione: appare alquanto improbabile che oggi gli azionisti votino contro un sontuoso pagamento degli utili.



giovedì 1 aprile 2021

E se invece la Corte di Karlsruhe stesse preparando la vendetta?

E se invece la Corte di Karlsruhe dopo lo smacco della scorsa estate sugli acquisti di titoli di stato da parte della BCE questa volta stesse cercando una rivincita contro la Corte di Giustizia europea e contro la Commissione? Improbabile ma non impossibile, almeno secondo alcuni economisti di spicco, ne scrive la FAZ.net

Prima di maggio non sarà possibile capire se la Corte costituzionale federale accoglierà il ricorso contro l'emissione di debito da parte dell'UE per finanziare il Fondo per la ricostruzione post-Corona da 750 miliardi di euro. Tanto più che da quando la Corte venerdì scorso ha chiesto al presidente tedesco di non firmare la corrispondente legge tedesca, almeno temporaneamente, la Commissione UE continua a fare il possibile per mantenere una certa compostezza. La ratifica della risoluzione in merito alle risorse proprie necessarie per l'assunzione di debito sta procedendo come previsto, si ripete quasi come se fosse una preghiera. 16 stati hanno ratificato la risoluzione e altri sei vogliono farlo entro la fine di aprile. Quale sarà la data di ratifica non è ancora chiaro per Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Austria. Ma i diplomatici dell'UE sostengono che questa situazione non rappresenti una grave minaccia in termini di ritardo. La Germania potrebbe restare da sola. (...)

Nessuno tuttavia vuole affrontare la questione cruciale e cioè se la Corte Costituzionale voglia effettivamente fermare o meno il Fondo per la ricostruzione. Secondo Guntram Wolff, direttore del think tank Bruegel di Bruxelles,  potrebbe trattarsi di un pericoloso errore. "Dopo le critiche feroci alla decisione azzardata sul programma di acquisto di titoli di stato della Banca centrale europea, i giudici ora potrebbero essere in cerca di una vendetta", avverte l'economista tedesco. Lars Feld, economista ed ex presidente del Consiglio degli esperti economici del governo tedesco,  a sua volta mercoledì su Twitter ha sottolineato che alla fine tutto ruoterà intorno alla questione della garanzia data dalla Germania, almeno teorica, sui debiti degli altri stati nell'ambito del Fondo per la ricostruzione - anche se il default di un altro stato dell'UE alla fine resta alquanto irrealistico.


Leggi anche: Per la politica tedesca è arrivata l'ora della verità




Karlsruhe sta drammatizzando

Lucas Guttenberg del Centro Jacques Delors di Berlino, invece ipotizza che Karlsruhe stia solo drammatizzando e che alla fine eviterà un serio scossone alla politica dell'UE. E un "NO" di Karlsruhe lo sarebbe sotto due aspetti. In primo luogo, il denaro del fondo non sarebbe piu' erogato nei tempi previsti. È vero che l'UE potrebbe spostare il fondo su di una nuova base giuridica, in quel caso probabilmente intergovernativa, come ha già ipotizzato di fare nella disputa con l'Ungheria e la Polonia sul meccanismo dello stato di diritto. Ma questo richiederebbe molto tempo e gli stati membri dovrebbero poi nuovamente ratificare la decisione. In secondo luogo, la capacità complessiva dell'UE nel suo insieme di agire politicamente verrebbe ancora una volta fondamentalmente messa in discussione.

Inoltre, come nel caso della sentenza della BCE, la Corte costituzionale federale fornirebbe a paesi come Polonia e Ungheria un argomento contro il riconoscimento delle decisioni della Corte di giustizia europea (CGCE) - proprio perché Karlsruhe rimetterebbe ancora una volta in discussione il fatto che solo la CGCE è responsabile dell'interpretazione del diritto comunitario. L'intervento dei giudici di Karlsruhe non è problematico, a condizione che entro la fine di giugno si riesca a liberare la strada. La Commissione poi potrà emettere obbligazioni come previsto nella seconda metà dell'anno. Da qui al 2026, infatti, la Commissione vuole raccogliere tra i 150 e i 200 miliardi di euro all'anno con questo scopo. Diventerebbe così il più grande emittente di obbligazioni sul mercato dell'eurozona. Quest'anno, tuttavia, il volume delle obbligazioni emessse inizialmente sarebbe molto più basso. Nel 2021 andrà agli stati solo il 13% del denaro del Fondo per la ricostruzione. Il grosso del denaro rimanente è riservato ai tre anni successivi.



Perchè il ricorso costituzionale contro il Recovery fund in Germania non fa paura

Se questa settimana l'indice Dax di Francoforte ha segnato l'ennesimo record storico è evidente che in Germania il mondo degli affari e della finanza non sta prendendo troppo sul serio il ricorso costituzionale del fondatore di AfD Bernd Lucke contro il Recovery fund. Per Handelsblatt, il quotidiano dell'economia e della finanza, Bernd Lucke sarebbe addirittura un piantagrane in cerca di vendetta e visibilità che in Germania rappresenterebbe al massimo se stesso e il suo piccolo gruppo del "Bündnis Bürgerwille". Ne scrive Handelsblatt.de

Sul tema non è stato deciso ancora nulla. Ma il modo in cui la Corte costituzionale federale venerdì ha messo un freno temporaneo al Fondo per la ricostruzione dell'UE lascia una certa sensazione di disagio. "La motivazione vera sarà presentata in seguito", scrivono i giudici, come se le argomentazioni in una questione così delicata fossero facoltative. 

La Corte costituzionale con la sua ordinanza priva di commenti ha reagito all'adozione della cosiddetta risoluzione sulle risorse proprie da parte del Bundestag e del Bundesrat. Per la prima volta nella sua storia, la risoluzione permetterà all'UE di prendere molto denaro in prestito..

Questi mezzi finanziari a loro volta, serviranno per alimentare il fondo di ricostruzione da 750 miliardi di euro, il quale dovrà curare le cicatrici economiche lasciate dalla pandemia e fornire un importante finanziamento di partenza per la modernizzazione digitale ed ecologica dell'Europa.

Accordandosi sul fondo per la ricostruzione, i capi di stato e di governo dell'UE l'anno scorso hanno voluto inviare un segnale importante: l'Europa, nell'affrontare la peggiore crisi del dopoguerra, è unita. Da allora, il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz parla di "momento Hamilton": come nell'America di 230 anni fa, infatti, l'Europa si sta trasformando in uno stato federale. 

Questa retorica ora però potrebbe tornare a vendicarsi. La base giuridica per un salvataggio una tantum in tempi di emergenza è molto più solida delle basi europee e costituzionali di un'unione fiscale. Per quanto quest'ultima sia auspicabile, non è saggio confondere il dibattito con il Fondo per la ricostruzione. 


Karlsruhe non vuole farsi dettare la linea da Bruxelles

Ma il tempo stringe. Solo se tutti gli stati membri entro maggio avranno ratificato le decisioni sull'allocazione delle risorse proprie, allora l'UE entro luglio potrà iniziare a pagare gli aiuti.

Questo calendario però ora è in pericolo. I giudici di Karlsruhe hanno temporaneamente vietato al presidente federale Frank-Walter Steinmeier di firmare la legge costituzionale. La Corte costituzionale, che tiene molto alla sua indipendenza, non è incline a lasciarsi dettare le decisioni da Bruxelles.

Il gruppo dei querelanti riunito intorno al fondatore di AfD Bernd Lucke si sentirà confermato e vendicato, ma stanno giocando un gioco pericoloso. Se l'Europa economicamente non vuole restare ancora più indietro rispetto a Stati Uniti e Cina ha bisogno di un impegno in termini di solidarietà molto più ampio dei 750 miliardi di euro concordati. 

Insieme al suo "Bündnis Bürgerwille" Lucke vuole presentarsi come il campione di una maggioranza silenziosa ancora presente in Germania. Per fortuna la volontà dei cittadini che Lucke crede di incarnare è un fenomeno minoritario. 

La Corte costituzionale dovrebbe esaminare la decisione sulle risorse proprie con la massima attenzione, ma in fretta. Non deve lasciarsi strumentalizzare da un piantagrane.



lunedì 29 marzo 2021

Perché il progetto di un caccia franco-tedesco è ad un passo dal fallimento

Doveva essere il progetto di punta del nuovo militarismo franco-tedesco, invece il progetto FCAS per lo sviluppo di un caccia europeo di ultima generazione sembra essere già fallito prima di partire. La notizia è molto importante anche per l'Italia visto che il progetto "Tempest" al quale partecipano italiani, britannici e svedesi sembra essere già sulla buona strada e in una fase di sviluppo molto piu' avanzata.  Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy



Fino a 300 miliardi di euro

Il FCAS (Future Combat Air System) attualmente è il progetto di riarmo di punta a livello UE. Il nucleo del progetto è un Next Generation Fighter (NGF), un ulteriore sviluppo dell'attuale quinta generazione ma ancora più moderno, una generazione di aerei che comprende tra gli altri anche lo statunitense F-35, il russo Sukhoi Su-57 e il cinese Chengdu J-20. I più moderni jet europei da combattimento, come lo Eurofighter o il Rafale francese, fanno invece parte della quarta generazione. La quinta generazione è caratterizzata in particolare dal fatto che i jet in questa categoria hanno caratteristiche stealth, mentre la sesta viene ulteriormente definita come parte di un complesso sistema di combattimento, collegato in rete tra l'altro con droni e sciami di droni. Berlino e Parigi già nel luglio 2017 avevano concordato a livello governativo lo sviluppo e la produzione congiunta del nuovo jet da combattimento (NGF) e dell'intero sistema di combattimento aereo (FCAS); l'anno scorso nel progetto era stata ufficialmente inserita anche la Spagna. Il progetto viene finanziato principalmente da Dassault (Francia) e Airbus (Germania, Spagna). Il costo dello FCAS, che sarà operativo dal 2040, viene stimato tra gli 80 e i 300 miliardi di euro.



La nuova costellazione a tre 

Anche se tra i gruppi partecipanti al progetto FCAS ci sono sempre state delle rivalità e delle lotte intestine per l'influenza, alla fine dello scorso anno queste si sono intensificate [1], specialmente a partire dal febbraio 2021. Un fattore rilevante è stato il coinvolgimento della Spagna nel progetto, fortemente voluto da Berlino, ma contro la volontà di Parigi. Per il governo tedesco, infatti, la nuova costellazione a tre è tatticamente vantaggiosa: dato che i principali partecipanti tedeschi e spagnoli al progetto FCAS - rispettivamente Airbus Defence and Space di Taufkirchen vicino Monaco e la filiale di Airbus in Spagna - appartengono allo stesso gruppo, questi avrebbero un vantaggio sul principale partecipante francese Dassault. E questo aspetto sembra avere avuto un grande peso sul governo francese. Parigi tradizionalmente attribuisce grande importanza alla capacità di agire in modo indipendente dell'industria della difesa; il Rafale, ad esempio, proviene esclusivamente dalla produzione francese, mentre l'Eurofighter è prodotto in una cooperazione multinazionale. Di conseguenza Dassault contribuisce con la maggior componente di know-how al nuovo jet da combattimento (NGF) - e ora dovrà controllare il modo in cui la concorrenza tedesco-spagnola cercherà di sottrarre la conoscenza accumulata assicurandosi parti lucrative della produzione. Alla Dassault, infatti, hanno "l'impressione ... di avere più da perdere che da guadagnare" dal progetto FCAS, ha spiegato recentemente l'esperto militare francese Jean-Charles Larsonneur: "Non stiamo forse sprecando le nostre conoscenze tecnologiche?"[2]

"Discussioni difficili"

In febbraio, nonostante le energiche pressioni politiche seguite al Consiglio di difesa franco-tedesco del 5 di febbraio, non era stato possibile trovare una soluzione alle lotte intestine: "Ci sono state discussioni difficili", sono state le parole pronunciate dell'entourage vicino al presidente francese Emmanuel Macron alla fine del mese scorso. [3] In seguito, a inizio marzo, è sembrato che le tensioni iniziali si allentassero: "FCAS non è più in pericolo di vita", aveva detto il capo di Dassault Eric Trappier. [4] Nel frattempo, però, i dubbi sono tornati a farsi sentire. Oltre alle differenze industriali, Parigi continua a chiedere che il nuovo jet da combattimento sia in grado di trasportare armi nucleari e che possa decollare da una portaerei; Berlino, che non ha né armi nucleari né una portaerei, invece, non vi attribuisce alcuna importanza. Al contrario, dalla capitale tedesca recentemente hanno fatto sapere che il FCAS potrebbe diventare troppo costoso: dato che "i costi operativi delle forze armate stanno passando dal 2 al 3 per cento annuo" e visto che l'aumento della Bundeswehr a 203.000 soldati costa "due miliardi di euro in più all'anno", potrebbe essere necessario stabilire "nuove priorità nel settore degli armamenti", ha spiegato l'ex commissario del Bundestag per le forze armate (dal 2015 al 2020) Hans-Peter Bartels. Egli chiede infatti: "La Germania ha bisogno di un piano B" [5].

"Piano B"

E il "piano B" è stato messo in campo all'inizio di questo mese anche dal capo di Dassault Trappier. Trappier afferma che è ancora favorevole al "piano A" - lo sviluppo e la produzione del nuovo caccia e dell'intero FCAS insieme ad Airbus Defence and Space e Airbus Spagna. A causa delle divergenze per ora rimaste irrisolte, tuttavia, non si può evitare di pensare a possibili alternative. Trappier spiega: "Per quanto riguarda la tecnologia, Dassault è in grado di costruire un aereo da sola." [6] I gruppi francesi Safran e Thales sono senza dubbio in grado di costruire motori per aerei da combattimento e garantirne l'elettronica; MBDA, con sede a Le Plessis-Robinson, un sobborgo di Parigi, può produrre i missili. L'industria francese dispone quindi del know-how necessario. Anche gli esperti lo confermano: la Francia  "quasi certamente" è in grado di produrre almeno il jet da combattimento di sesta generazione, secondo una recente valutazione del Royal United Services Institute (RUSI) di Londra. [7] Il top management di Airbus Defence and Space, a sua volta ammette apertamente di non avere un "piano B": se il "Piano A" dovesse fallire, in quel caso gli F-35 degli Stati Uniti conquisteranno completamente il mercato europeo della difesa, ha detto recentemente il manager di Airbus Antoine Bouvier. [8]

Modello concorrente "Tempest"

Le controversie sul FCAS e l'opzione dei francesi di andare avanti da soli con il progetto, se necessario, sono ancora piu' spiacevoli per Berlino dato che il progetto europeo rivale, il sistema di combattimento aereo britannico "Tempest", non solo sta facendo progressi, ma ora ha anche coinvolto atri paesi dell'UE. Il progetto "Tempest" è stato lanciato ufficialmente nel luglio 2018, un anno dopo che FCAS aveva ricevuto il via libera; l'obiettivo è quello di costruire un jet da combattimento di sesta generazione con un sistema di scorta di droni e sciami di droni. Due stati dell'UE non coinvolti nel FCAS stanno ora partecipando al progetto - l'Italia con la sua azienda del settore difesa Leonardo e la Svezia con Saab. Gli esperti confermano che "Tempest" sta facendo notevoli passi in avanti. Il governo britannico ha deciso di ridurre significativamente l'acquisto originariamente previsto di 138 F-35 statunitensi e di investire i fondi liberati nel progetto "Tempest"; recentemente Londra ha messo a disposizione due miliardi di sterline per i prossimi quattro anni. [9] Secondo i piani, il sistema di combattimento aereo britannico dovrebbe essere operativo dal 2035 - quattro anni prima del FCAS, se mai si riuscirà a realizzarlo.


[1] S. dazu Der digital-militärische Komplex.

[2], [3] Thomas Hanke: Steht Europas Mega-Rüstungsprojekt vor dem Aus? handelsblatt.com 01.03.2021.

[4] Thomas Hanke: Rüstungskonzerne Airbus und Dassault bemühen sich um Rettung von Mega-Projekt. handelsblatt.com 08.03.2021.

[5] Hans-Peter Bartels, Thomas Raabe: Berlin braucht einen Plan B. tagesspiegel.de 05.03.2021.

[6] Christina Mackenzie: Dassault boss Trappier floats 'Plan B' considerations for the troubled FCAS warplane. defensenews.com 05.03.2021.

[7] Justin Bronk: FCAS: Is the Franco-German-Spanish Combat Air Programme Really in Trouble? rusi.org 01.03.2021.

[8] Sebastian Sprenger: Airbus tells French lawmakers there's no 'Plan B' for FCAS. defensenews.com 18.03.2021.

[9] Aaron Mehta: New British plan looks to boost F-35 numbers, but is it still aiming for 138? defensenews.com 23.03.2021.


mercoledì 24 marzo 2021

Un altro ricorso alla Corte Costituzionale tedesca, questa volta contro il Recovery fund...

In Germania agli avvocati specializzati in diritto costituzionale non manca mai il lavoro: il professore di Amburgo Bernd Lucke, fondatore di AfD, sta preparando infatti un altro ricorso costituzionale contro la legge per l'approvazione del fondo europeo per la ricostruzione post-corona. Ne scrive la FAZ.net


l fondo europeo per la ricostruzione post-Corona (NGEU) nato per cercare di compensare i danni causati dal Coronavirus sarà oggetto di un nuovo caso di ricorso alla Corte costituzionale federale - ancora prima che la corrispondente legge entri in vigore. Se ne sta occupando il "Bündnis Bürgerwille" intorno al quale ruota il professore di economia di Amburgo Bernd Lucke.

Con una mossa insolita, il gruppo lunedì ha inviato a Karlsruhe un annuncio per la presentazione di un reclamo costituzionale e una richiesta di ingiunzione temporanea per impedire al presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier di firmare la legge. Temono infatti che diversamente i regolamenti potrebbero entrare in vigore già questa settimana. Ciò significherebbe che la Germania sarebbe vincolata dal trattato ancora prima che la Corte costituzionale federale lo abbia esaminato.

L'annuncio è stato quindi combinato con una richiesta fatta al presidente del secondo senato responsabile, Doris König, di informare Steinmeier in merito al reclamo costituzionale e alla richiesta. Chiederà al Presidente federale, "secondo la prassi istituzionale consolidata", di non approvare la legge fino a quando i giudici di Karlsruhe non si saranno pronunciati sull'ingiunzione provvisoria o sul procedimento nella causa principale, secondo l'annuncio fatto dal professore di diritto di Marburg Hans-Detlef Horn, a disposizione della F.A.Z.

Lucke ha sottolineato che l'iniziativa non riguarda un attacco ai fondi anti-Corona per gli stati dell'UE in quanto tali, ma riguarda le modalità di finanziamento. Secondo i piani attuali, infatti, l'UE intende raccogliere fino a 750 miliardi di euro di debito sul mercato dei capitali per poter aiutare gli stati UE in difficoltà sotto forma di sovvenzioni e prestiti.

Si tratta di un pacchetto di salvataggio di "proporzioni storiche", come viene sempre sottolineato. Si basa su di una decisione del Consiglio europeo che deve essere ratificata da tutti gli Stati membri dell'UE. In Germania, ciò viene fatto attraverso la "Eigenmittelbschluss-Ratifizierungsgesetz" (ERatG), discussa al Bundestag questa settimana.