venerdì 7 aprile 2023

Heiner Flassbeck - Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobiliare tedesco

Il settore delle costruzioni in Germania sta crollando ad un ritmo superiore rispetto a quanto avvenuto negli anni della crisi finanziaria, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega cosa sta accadendo e quali sono le gravi responsabilità della politica restrittiva della BCE. Ne scrive Heiner Flassbeck su relevante-oekonomik.com/

Heiner Flassbeck

L'Ufficio Federale di Statistica la scorsa settimana ha comunicato che i nuovi ordini (corretti per i prezzi) nel settore delle costruzioni nel gennaio 2023 sono stati di ben il 21% inferiori rispetto al livello dell'anno precedente (Figura 1). "L'ultima volta che si era registrato un calo maggiore ad inizio anno era stato nel gennaio 2009 (-21,8% rispetto al gennaio 2008)", ha dichiarato l'Ufficio di statistica. Da marzo dello scorso anno, la domanda totale nel settore edile è crollata del 24%.


Osservando le cifre (destagionalizzate) mese per mese, si nota che il crollo sta interessando tutti i settori nell'industria delle costruzioni. L'ingegneria civile (Figura 2), dominata dai contratti governativi, ha avuto una traiettoria ascendente fino al 2018, ha ristagnato in gran parte tra il 2019 e il 2022 e ora continua a scendere.


La più colpita è l'edilizia residenziale (Figura 3), di cui i nostri politici ci raccontano che la Germania ha tanto bisogno: rispetto al marzo dello scorso anno, questo settore ha registrato un calo degli ordini di un terzo.

Figura 3



A dire il vero, è già dal 2020 che non si registra più una chiara tendenza al rialzo. Il crollo drammatico tuttavia è iniziato solo dopo il marzo 2022, quando è stato raggiunto un valore dell'indice pari a 140,5. La velocità dell'attuale crollo non si era mai vista negli ultimi 20 anni, nemmeno in una recessione, nemmeno nel corso della grande crisi finanziaria del 2008/2009. E questo ha anche a che fare con il fatto che i costi di costruzione erano esplosi anche prima dell'attuale crollo rispetto a quanto accaduto negli ultimi due decenni (Figura 4).


Figura 4

Questo aumento dei prezzi, anch'esso speculativo e caratterizzato da vari shock dell'offerta, già di per sé avrebbe rallentato l'industria delle costruzioni spingendo verso un graduale calo dell'attività edilizia, come già evidente nell'edilizia residenziale dalla fine del 2020. Ma il rapido crollo avvenuto a partire dalla primavera del 2022 non può essere spiegato solo dall'andamento dei costi di costruzione. 

Figura 5

Figura 6

Il quadro della domanda nel settore delle costruzioni trova riscontro nel fatto che i prezzi degli immobili residenziali (Figure 5 e 6) nel quarto trimestre dell'anno scorso sono scesi del 3,6%, un calo significativo - su di una tale dimensione per la prima volta dal 2007, quando nel primo trimestre erano scesi del 3,8%. La situazione è quindi cambiata radicalmente e rapidamente, anche guardando a questo indicatore.


Inoltre, si può notare che sono soprattutto gli immobili residenziali esistenti e non quelli di nuova costruzione ad essere crollati a un ritmo molto sostenuto. Ciò è da associare ad una correzione dell'inflazione speculativa, da accogliere con favore. Questo sviluppo tuttavia - come lo scoppio di una bolla dei prezzi - rischia di frenare la propensione all'investimento: se i prezzi degli asset scendono, molti proprietari di case si sentiranno più poveri e più esitanti di prima nell'intraprendere una conversione ecologica della loro proprietà. Anche i potenziali acquirenti di immobili, per i quali il calo dei prezzi in realtà è un fatto positivo e lascia spazio al finanziamento di investimenti ecologicamente sensati negli immobili esistenti, potrebbero essere trattenuti: potrebbero infatti esitare prima di acquistare nella speranza che i prezzi scendano ulteriormente, oppure per il timore di acquistare un immobile il cui valore successivamente potrebbe ulteriorimente scendere mentre sono vincolati a dei tassi di interesse contrattualmente concordati e relativamente elevati.

Tra l'altro, già nel febbraio 2022, la BCE stava seriamente considerando (secondo Isabel Schnabel) la possibilità di tenere maggiormente in considerazione il prezzo degli immobili, cioè il prezzo di un asset, nelle decisioni di politica monetaria. Questa mossa è stata rilevante in quanto l'indice dei prezzi al consumo, il metro di misura della politica monetaria, riguarda essenzialmente i prezzi dei flussi, cioè dei beni che vengono consumati e utilizzati. Ad esempio, i prezzi delle azioni - anche i prezzi degli asset - non hanno alcun ruolo nel calcolo dell'indice dei prezzi al consumo. Nella misura in cui i prezzi degli immobili si ripercuotono sugli affitti (e sul costo delle abitazioni occupate dai proprietari), hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo nell'indice nazionale dei prezzi al consumo. 

I costi degli alloggi occupati dai proprietari, tuttavia, non sono inclusi nell'indice armonizzato su cui si basa la BCE. E questa è stata ovviamente una spina nel fianco di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE: "Quando si tratta di chiedere se le condizioni della nostra forward guidance sono soddisfatte, il Presidente ha sempre chiarito che alla fine questa valutazione non è meccanicamente legata alle proiezioni, ma è un giudizio del Consiglio direttivo. E qui dovrebbero entrare in gioco i prezzi delle abitazioni". 

Al momento, Isabel Schnabel non ha ancora dichiarato di voler prendere in considerazione, nella sua valutazione dell'attuale andamento dei prezzi, il calo dei prezzi degli immobili con la stessa serietà con cui teneva conto dello stesso aumento dei prezzi un anno fa. Ciò alimenta l'impressione che l'approccio basato sui dati, che la BCE  recentemente ha enfatizzato con forza come base per le sue decisioni di politica monetaria, non venga fatto in maniera sistematica, ma piuttosto che i dati empirici siano a volte inclusi nella valutazione della situazione e a volte no, a seconda che sostengano la posizione "desiderata" del momento o piuttosto la contrastino.

Le responsabilità della politica monetaria

Se si guarda alla costellazione complessiva della domanda di abitazioni, dei costi di costruzione e dei prezzi delle case, non c'è dubbio che la politica monetaria sia in buona parte responsabile del crollo del settore delle costruzioni e del mercato immobiliare. Non è una novità: i tassi di interesse erano già aumentati nel 2005 e nel 2006, ponendo fine all'espansione dell'industria delle costruzioni, in particolare dell'edilizia residenziale, come si evince dalla Figura 7, in cui vengono riportati i nuovi ordini per l'edilizia residenziale nel principale settore delle costruzioni, affiancati al tasso di interesse di riferimento della BCE. Oggi, tuttavia, parliamo di una dimensione diversa del problema. Questa volta, i tassi di interesse sono saliti in pochissimo tempo partendo da zero perché la BCE ha ritenuto di dover combattere un aumento temporaneo dei prezzi, la cui origine era chiaramente da ricercare negli eventi globali.

Gli investitori i cui investimenti hanno un rendimento atteso inferiore rispetto al tasso d'interesse non hanno modo di sottrarsi alla pressione dei tassi d'interesse fissati per contratto o alla pressione di investire i propri fondi in titoli sicuri, invece che in progetti d'investimento nell'economia reale alquanto incerti. Questo vale sia per le imprese che per le famiglie. Le persone le cui aspettative di reddito non consentono di sostenere un tasso di interesse più elevato devono rinunciare all'acquisto o alla costruzione di una casa.

Questa correlazione si applica anche agli investimenti industriali piu' in generale. Gli ordini interni ricevuti dai produttori di beni strumentali si sono indeboliti a partire dall'estate del 2021 e sono in netto calo dal primo trimestre del 2022 (Figura 8).


Per comprendere il grave pericolo che ciò rappresenta se combinato con l'attuale politica monetaria, è necessario considerare l'andamento precedente: la leggera ripresa che in Germania la domanda interna di beni di investimento aveva avuto dopo la crisi dell'euro, durata fino al 2018, si era già conclusa prima della pandemia - la domanda di investimenti inizialmente ha ristagnato ed è poi scesa per tutto il 2019. A partire da marzo 2020 è crollata a causa della pandemia, per poi risalire ai livelli di inizio anno. Nella prima metà del 2021 si era registrata una ripresa, tanto che la domanda di investimenti ha raggiunto un livello che proseguiva la fase ascendente durata almeno fino al 2018. Ma poi la situazione è precipitata di nuovo. La guerra in Ucraina, con tutte le sue conseguenze sul settore energetico, e le grandi incertezze innescate hanno fatto crollare nuovamente la disponibilità a investire. 

E nel bel mezzo di questa fase di debolezza, la politica monetaria europea è passata ad una fase fortemente restrittiva. La differenza con l'andamento degli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria è notevole: allora, l'aumento dei tassi d'interesse, più lento e meno esteso, era stato preceduto da una ripresa degli investimenti durata due anni, protrattasi anche durante il rialzo dei tassi d'interesse, prima che la crisi finanziaria la interrompesse bruscamente, così come il rialzo dei tassi d'interesse. Prima dell'inizio dell'attuale inasprimento della politica monetaria, invece, in Germania non si era registrata alcuna ripresa degli investimenti, al massimo una faticosa ripresa della domanda di investimenti avvenuta dopo lo shock pandemico, che lo shock della guerra in Ucraina però aveva prontamente ucciso.

La politica monetaria della BCE tuttavia non può essere guidata solo dalla costellazione economica del suo membro piu' grande. Qual è dunque la situazione della domanda di investimenti nell'Unione Monetaria Europea nel suo complesso? Purtroppo l'indicatore "nuovi ordini" a livello di statistiche europee non esiste. Dobbiamo quindi accontentarci delle statistiche sulla produzione. Tuttavia, quest'ultima non sempre corre parallela in termini temporali rispetto ai nuovi ordini.

Negli ultimi tre anni, in particolare, non è stato possibile evadere tempestivamente gli ordini a causa della pandemia e dei colli di bottiglia legati alla guerra. A tale proposito, il crollo della domanda verso la situazione estrema attuale, ancora non si è riflettuto sulla produzione, come dimostra l'esempio dell'attività edilizia (Figura 9).


Quale sarà il prossimo passo della politica monetaria europea? Il tasso di interesse è la controparte diretta del rendimento (atteso) degli investitori e quindi, in termini macroeconomici, la più importante variabile di controllo per qualsiasi tipo di investimento di cui la politica economica dispone. Può essere utilizzato per deprimere la domanda in aree cruciali dello sviluppo e del cambiamento strutturale, come dimostrano i dati, in maniera tale che la domanda aggregata finisce per crollare. Il tasso di inflazione ha lo stesso effetto. Ma è davvero questa la strada giusta da seguire se ci sono buone ragioni per credere che il tasso di inflazione tornerà a un livello accettabile nel prossimo futuro anche senza questo corso accelerato?

Politica macro o politica strutturale

Ogni medico, prima di intraprenderla, deve considerare gli effetti collaterali della terapia proposta. Operazione riuscita, paziente morto: non è un concetto sensato. La BCE rischia di infilarsi in un vicolo cieco da cui difficilmente riuscirà a venirne fuori. Immaginiamo che le attuali tensioni internazionali portino a ulteriori strozzature dell'offerta, compresa la corrispondente speculazione sui mercati delle materie prime, tali da fare in modo che l'aumento dei prezzi riprenda velocità. La BCE in quel caso continuerebbe il suo percorso e addirittura lo inasprirebbe? Dovrebbe farlo se non vuole perdere la faccia rispetto alle sue precedenti motivazioni politiche. Il risultato per l'economia reale sarebbe però disastroso, perché una forte recessione sarebbe a quel punto inevitabile in tutta Europa. Se la BCE se ne rendesse conto, dovrebbe prendere la strada opposta. Ma come potrebbe giustificare questa scelta?

Resta il fatto che chi non considera in modo differenziato le cause dell'andamento dei prezzi e non reagisce ad esse in maniera differenziata, ma ritiene tutti i settori ugualmente responsabili per gli shock imprevedibili, sta applicando il metodo della mazza di legno sul livello dei tassi di interesse, oltre a distruggere la volontà di affrontare gli investimenti in capitale fisso.

Non è forse questo il cambiamento strutturale che si voleva ottenere?

Non dobbiamo forse ridimensionare alcune attività economiche, come continuano a dirci, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici? Sì, probabilmente è così. Ma se è il risultato di una politica monetaria sbagliata e avviene mediante uno shock, avrà esattamente l'effetto opposto. Poiché sempre più persone avranno paura per il proprio posto di lavoro, e diventerà sempre più difficile per i politici chiedere la disponibilità a impegnarsi nel cambiamento strutturale necessario per raggiungere gli obiettivi climatici.

Il necessario cambiamento strutturale deve essere guidato dai giusti segnali di prezzo, ma non può essere il prodotto accidentale di una medicina di politica monetaria i cui effetti collaterali sono peggiori della malattia stessa. Il cambiamento strutturale guidato dai prezzi, come abbiamo descritto qui recentemente, deve essere affiancato da una redistribuzione in favore degli strati più poveri della popolazione, perché altrimenti lo Stato non ha la legittimità per attuare i suoi obiettivi. Ma deve anche essere accompagnata da una politica macroeconomica che faccia della piena occupazione il suo obiettivo primario e che, in questo modo, riesca a contenere il giustificato timore nei confronti del cambiamento strutturale in modo da riuscire ad ottenere la maggioranza necessaria per poter applicare questa politica nel quadro di una democrazia.



giovedì 6 aprile 2023

Deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione, cosi' Bruxelles ha imposto il nuovo corso neoliberista ai lavoratori della periferia

La Nuova Politica del Lavoro Europea accresce la divisione fra i lavoratori della periferia sud e gli Stati del centro, con la Germania nel ruolo di paese egemone. E' questo il risultato di un'analisi molto interessante condotta dal politologo Felix Syrovatka sugli ultimi 10 anni di politiche europee. Ne scrive Makroskop.de



L'UE non è amica degli alti salari. Per esercitare pressioni sull'andamento dei salari nei paesi membri, infatti, ricorre agli strumenti della Troika o del Semestre europeo. E lo fa con "successo": uno "sviluppo salariale moderato", unito a un settore finanziario deregolamentato e a una politica monetaria espansiva hanno innescato una deflazione dei prezzi dei beni di consumo e un'inflazione degli asset patrimoniali.

L'economista politico Felix Syrovatka ha ridefinito questa politica salariale restrittiva come la nuova politica europea del lavoro (NEA). "Nuova" è NEA nel senso che la politica del lavoro prima della crisi dell'euro per gli Stati dell'UE era essenzialmente una questione nazionale. Nel suo studio omonimo, New European Labour Policy. Embattled Integration in the Euro Crisis, esplora tre questioni centrali: in primo luogo, si interroga sulla trasformazione della politica del lavoro europea nel periodo in esame, dal 2009 al 2017, e sulle lotte sociali che ne sono alla base. In secondo luogo è interessato al ruolo degli strumenti di politica del lavoro nella gestione della crisi europea e alla narrazione egemonica della crisi su cui si basano le politiche del lavoro. In terzo luogo, vuole individuare le forze sociali costitutive nel conflito sulla politica del lavoro e quali sono le strategie e gli interessi che stanno perseguendo.



Deregolamentazione, flessibilizzazione, liberalizzazione: la divisione dell'Europa

Syrovatka inizia notando uno spostamento di competenze nella politica del lavoro dal livello nazionale a quello sovranazionale. Prima della crisi dell'euro, il potere di disporre in materia di politica del lavoro [1] era principalmente di competenza degli Stati membri dell'UE. La situazione è cambiata con l'eurocrisi. La regolamentazione della politica del lavoro è stata spostata dal livello nazionale a quello europeo. Sempre più spesso, infatti, gli Stati membri sono stati privati della possibilità di plasmare direttamente e attivamente la direzione politica in materia di politica del lavoro. Sempre piu' spesso è stato loro applicato un "corsetto" liberale di mercato, come dice uno degli oltre 30 esperti UE intervistati da Syrovatka. La politica del lavoro è diventata sempre più esecutiva e sempre meno controllabile democraticamente.

Certo, la forma specifica e la direzione della politica del lavoro europea talvolta sono state molto contestate. Tuttavia, una rete di attori neoliberali è riuscita ad affermarsi sugli attori della regolamentazione sociale. Nella prima fase, che Syrovatka fa risalire al periodo compreso tra il 2009 e il 2014, i neoliberisti non sono stati né in grado né disposti a fare concessioni: "Piuttosto, la pratica dominante dell'esercizio del potere ha consistito in una divisione e smobilitazione permanente degli attori della regolamentazione sociale".

Nella seconda fase, dal 2014 in poi, tuttavia, la resistenza della rete di attori sociali e normativi si è rafforzata e le politiche del lavoro neoliberiste sono state attuate in misura minore. Il successo nel dividere e smobilitare gli attori sociali e normativi è stato sempre minore. Allo stesso tempo, la coerenza interna del blocco di potere neoliberale ha iniziato a sgretolarsi. Di conseguenza, la rete degli attori sociali e normativi è riuscita a partire dal 2017 a strappare alcune concessioni agli attori neoliberali grazie ad una "offensiva di politica sociale. Le misure di politica sociale che sono state approvate includono, ad esempio, la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori e la proposta di direttiva per un salario minimo europeo.



La rete degli attori neoliberali è riuscita ad imporre una narrativa che vede la causa della crisi essenzialmente nella mancanza di competitività dovuta a costi salariali troppo elevati. Di conseguenza, l'attenzione si è concentrata sul deficit delle partite correnti, che in tempi di crisi rischia di verificarsi nelle economie periferiche come Portogallo, Spagna o Grecia. Questo perché questi Paesi hanno avuto uno sviluppo relativamente debole della loro capacità produttiva e restano strutturalmente dipendenti dalle importazioni.

La caratteristica specifica dell'Eurozona - la stessa moneta per tutti - si esprime nella mancanza di sovranità monetaria degli Stati dell'Eurozona. I Paesi periferici sono quindi privati della possibilità di aumentare il saldo delle partite correnti attraverso la svalutazione della moneta. Ai Paesi dell'euro, fortemente colpiti dalla crisi, resta quindi solo la possibilità di aumentare le esportazioni attraverso una svalutazione interna. Ciò significa che la domanda dovrà essere radicalmente smorzata dai tagli salariali.

"Più un paese era integrato perifericamente nella divisione europea del lavoro, più era probabile che fosse incoraggiato dalle istituzioni europee a intraprendere delle riforme di politica del lavoro e maggiori interventi di politica del lavoro".

Di conseguenza, sono stati soprattutto i Paesi del Sud Europa, già integrati in maniera periferica, a subire una maggiore deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione dei rapporti di lavoro. Come conseguenza, lo sviluppo ineguale all'interno dell'UE e il relativo divario tra centro e periferia si sono ulteriormente intensificati.

Syrovatka individua nel "capitale europeo industriale e organizzato, orientato al mercato mondiale" la forza trainante della NEA. Questo è stato in grado di dominare la rete degli attori neoliberali durante il periodo in esame e di esercitare una notevole influenza sul processo di definizione dell'agenda politica. Sono stati soprattutto gli Stati membri dell'UE del Nord Europa, orientati all'export, ad articolare gli interessi e le iniziative del capitale industriale europeo. Il blocco di potere del Nord Europa è stato guidato dal governo tedesco. D'altro canto, i Paesi dell'Europa meridionale e la Francia si sono dimostrati ampiamente incapaci di attuare una contro-strategia efficace.

Già all'inizio della crisi, infatti, il capitale industriale è riuscito a consolidare il proprio orientamento strategico e a inserire la gestione della crisi in una strategia offensiva dell'UE. L'obiettivo è stato quello di imporre il progetto di "salvataggio dell'euro" nel loro interesse. Vale a dire: evitare il collasso dell'Eurozona e allo stesso tempo utilizzare la crisi per la ristrutturazione competitiva dell'UE. Syrovatka valuta questo obiettivo come ampiamente raggiunto.

La doppia deindustrializzazione del Sud

Syrovatka sottoliinea che è soprattutto il capitale industriale europeo orientato all'export che riesce a far valere i propri interessi attraverso la NEA. Questa intuizione tuttavia non emerge con altrettanta chiarezza in tutti i punti. Si parla anche di capitale industriale europeo o solo di capitale industriale. Sembra quindi ancora più utile esaminare da vicino le componenti del capitale industriale da suddividere in capitale industriale domestico e capitale industriale orientato al mercato mondiale. La suddivisione del processo di NEA in diverse fasi suggerisce inoltre di evidenziare i cambiamenti temporali nella produzione industriale e le lotte sociali che ne sono alla base.



Il processo di ripresa dimostra quindi che - anche se con un po' di ritardo - la svalutazione interna attraverso gli strumenti della NEA ha funzionato? I Paesi dell'Europa meridionale hanno raggiunto con successo il processo di svalutazione interna che la Germania ha attuato negli anni 2000 con le riforme dell'Agenda 2010? All'epoca, Hartz IV e altre politiche economiche orientate all'offerta hanno portato a uno sviluppo deflazionistico dei salari che ha reso la Germania il "campione mondiale dell'export".



Ma se si guarda allo sviluppo di Grecia, Spagna e Portogallo nel contesto del processo di integrazione europea, si dubita che possano seguire il percorso tedesco.

Rispetto alla Germania, i Paesi dell'Europa meridionale hanno vissuto un processo di integrazione quasi inverso, che ha portato a una costellazione di politiche del lavoro diverse da quella dell'economia tedesca. Mentre la Germania, in quanto membro fondatore della Comunità europea del carbone e dell'acciaio ha potuto svolgere un ruolo decisivo nel plasmare l'intero processo di integrazione europea in favore del capitale industriale locale, a Grecia, Spagna e Portogallo è stato negato un simile sviluppo. Al contrario, l'economista politico Etienne Schneider ipotizza che gli europei meridionali abbiano subito due processi di deindustrializzazione con l'adesione alla Comunità economica europea (CEE) e successivamente all'UE. [2]

Con l'adesione alla CEE, infatti, gli europei meridionali hanno perso importanti barriere commerciali ed eventuali misure protezionistiche per sviluppare la loro base industriale relativamente debole. Queste economie si sono trovate in gran parte indifese contro la concorrenza dei prezzi e le acquisizioni da parte di aziende orientate al mercato mondiale provenienti dalle economie dell'Europa centrale. Con l'adesione all'UE e l'adozione dell'euro, è stato avviato il secondo processo di deindustrializzazione. Questo ha eliminato l'ultimo strumento di protezione dell'industria nazionale: la svalutazione del tasso di cambio.

Così, mentre l'industria tedesca altamente sviluppata è stata in grado di compensare il crollo della domanda interna causato dalle riforme dell'Agenda 2010 esportando all'estero, ciò non è stato possibile per i Paesi del Sud Europa, già doppiamente deindustrializzati. Per il capitale industriale orientato all'esportazione non è mai stato possibile emergere su larga scala nell'Europa meridionale. All'epoca dell'introduzione degli strumenti NEA, il capitale industriale nazionale era principalmente orientato al mercato interno. Quando la domanda interna è crollata a causa della svalutazione interna, è seguita un'ondata di fallimenti che ha colpito le imprese industriali del sud.

La ripresa della base industriale dell'Europa meridionale a partire da inizio/metà anni "10 ha quindi poco a che fare con la NEA, ma è dovuta principalmente a spostamenti di forze nazionali ed europee. Da un lato, le politiche del lavoro neoliberali si sono indebolite a partire dal 2014 grazie al rafforzamento degli attori sociali di regolamentazione. Dall'altro lato, si sono verificati importanti cambiamenti nei parlamenti dell'Europa meridionale. È vero che il movimento di sinistra Syriza non è riuscito a contrastare i programmi di austerità dell'UE durante il periodo di governo dal 2015 in poi. E anche in Spagna un governo social-regolatore è fallito a causa delle dispute tra i socialdemocratici e il movimento Podemos.

In Portogallo, invece, le cose sono andate diversamente. Dopo un rigido programma di austerità iniziato nel 2010, il governo portoghese è stato in grado di imporre un maggiore margine di manovra nella politica del lavoro e in quella fiscale. Questo si è concretizzato con l'insediamento nel 2015 di un governo "anti-liberista" che ha avviato una serie di importanti misure di riforma, tra cui l'aumento degli stipendi nel settore pubblico, l'inversione dei tagli alle pensioni adottati dal governo precedente e l'aumento del 25% annuo del salario minimo. A ciò è seguito un processo di ripresa relativamente forte, non solo nella produzione industriale, ma anche nella disoccupazione e nell'andamento dei salari.

Lo studio di Syrovatka è anche un monito

Lo studio di Felix Syrovatka offre un importante contributo agli studi critici europei. Riesce a rendere visibile lo spostamento spaziale e temporale dell'equilibrio di potere nella politica del lavoro all'interno delle istituzioni europee e degli Stati membri. Come dimostra la mancanza di classificazione delle componenti del capitale industriale, manca un po' di differenziazione in alcune sue parti. Ma lo stesso Syrovatka sottolinea la difficoltà di cogliere in modo esaustivo i cambiamenti politici ed economici all'interno degli Stati membri in considerazione del quadro incentrato sull'UE.

Tuttavia, egli crea preziosi punti di contatto per la ricerca critica europea. Soprattutto in tempi di alti tassi di inflazione, gli attori neoliberali cercano sempre più di attaccare la capacità di determinazione salariale dei sindacati. Di conseguenza, lo studio di Syrovatka va inteso anche come un avvertimento su ciò che può accadere quando i salari vengono messi sotto attacco.

mercoledì 5 aprile 2023

Seymour Hersh - Depistaggio e insabbiamento da parte dei servizi segreti americani per coprire i veri responsabili dell'attacco a Nord Stream 2

Secondo il grande giornalista americano Seymour Hersh sarebbe in corso una manovra dei servizi segreti americani per imboccare i media occidentali e coprire i veri responsabili degli attacchi al gasdotto Nord Stream 2. Le rivelazioni di Seymour Hersh rilanciate dalle Nachdenseiten


Poco dopo la pubblicazione delle rivelazioni di Seymour Hersh sul sabotaggio di Nord Stream, il New York Times ha lanciato la sua versione della storia degli attachi che i media tedeschi hanno prontamente rilanciato. Ora non si parla più della versione di Hersh, ma del gruppo privato filo-ucraino che sarebbe partito per Bornholm su una barca a vela. Per Hersh, si tratta di un'evidente manovra di depistaggio per coprire l'operazione statunitense.

L'insabbiamento"

di Seymour Hersh

Sei settimane fa ho pubblicato un rapporto che indicava il Presidente Joe Biden come colui che aveva ordinato la misteriosa distruzione del Nord Stream 2 - un nuovo gasdotto da 11 miliardi di dollari progettato per raddoppiare il volume di gas naturale importato dalla Russia verso la Germania. La storia ha avuto molto seguito in Germania e in Europa occidentale, ma è stata messa a tacere dai media statunitensi. Due settimane fa, le agenzie di intelligence statunitensi e tedesche hanno ulteriormente tentato di oscurare la mia storia fornendo false notizie al New York Times e al settimanale tedesco Die Zeit. Questo per cercare di mascherare la notizia secondo cui Biden e gli agenti statunitensi si erano resi responsabili della distruzione del gasdotto.

Gli addetti stampa della Casa Bianca e della CIA hanno negato categoricamente che l'America potesse essere responsabile dell'esplosione degli oleodotti e con queste smentite pro-forma l'organo di stampa della Casa Bianca si è mostrato soddisfatto. Non risulta che uno solo dei giornalisti accreditati in loco abbia chiesto al portavoce dell'amministrazione se Biden avesse fatto ciò che qualsiasi capo di Stato serio avrebbe fatto: affidare ufficialmente ai servizi segreti americani il compito di condurre un'indagine approfondita, utilizzando tutte le proprie risorse, per scoprire chi ha commesso il crimine nel Mar Baltico. Secondo un informatore negli ambienti dell'intelligence, il presidente non l'ha ancora fatto e non intende farlo. Perché no? Perché conosce già la risposta.

Sarah Miller - esperta di energia e redattrice presso Energy Intelligence, una società che pubblica importanti riviste specializzate - in un'intervista  mi ha spiegato perché la storia del gasdotto ha fatto notizia in Germania e nell'Europa occidentale: "L'esplosione dei gasdotti Nord Stream a settembre ha portato a un ulteriore aumento del prezzo del gas naturale, che era già almeno sei volte il livello pre-crisi", ha detto. "Nord Stream è stato fatto saltare a fine settembre. Un mese dopo, in ottobre, il prezzo del gas in Germania ha raggiunto un picco dieci volte superiore ai livelli pre-crisi.

I prezzi dell'elettricità sono aumentati in tutta Europa e i governi hanno speso fino a 800 miliardi di euro, secondo alcune stime, per proteggere le famiglie e le imprese dagli effetti dell'aumento. I prezzi del gas, che hanno riflettuto l'inverno mite in Europa, ora sono scesi a circa un quarto del picco di ottobre, ma sono ancora tra il doppio e il triplo dei livelli pre-crisi e più di tre volte i prezzi attuali degli Stati Uniti. Nell'ultimo anno, i produttori tedeschi e di altri Paesi europei hanno chiuso i loro processi a maggior consumo di energia, come la produzione di fertilizzanti e di vetro, e non è chiaro quando, se mai accadrà, queste attività saranno riaperte. L'Europa si sta affannando ad aggiungere capacità solare ed eolica, ma quessto potrebbe arrivare troppo tardi per salvare gran parte dell'industria tedesca". (Miller scrive un blog su Medium).

All'inizio di marzo, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ricevuto a Washington il Cancelliere tedesco Olaf Scholz. L'agenda prevedeva due appuntamenti pubblici: un breve e formale scambio di convenevoli davanti alla stampa della Casa Bianca, dove non sono state ammesse domande, e un'intervista alla CNN con Scholz in cui le accuse relative all'oleodotto sono state omesse. Il Cancelliere quindi è volato a Washington senza essere accompagnato dalla stampa tedesca, senza che fosse prevista una cena ufficiale o una conferenza stampa, come avviene di solito per incontri così importanti.

Invece, in seguito è stato riferito che la conversazione tra Biden e Scholz è durata 80 minuti, la maggior parte dei quali trascorsi tra di loro. In seguito, nessuno dei due governi ha rilasciato una dichiarazione o uno scritto, ma mi è stato riferito da una persona che ha accesso agli ambienti diplomatici che la conversazione ha riguardato anche la storia delle rivelazioni in merito agli attacchi agli oleodotti. Di conseguenza, ad alcuni attori della CIA è stato chiesto di collaborare con l'intelligence tedesca per preparare una storia di copertura che avrebbe fornito alla stampa statunitense e tedesca una versione alternativa della distruzione di Nord Stream 2. Secondo le parole della comunità di intelligence, la CIA avrebbe avuto il compito di cercare di dissipare l'ipotesi secondo la quale Biden aveva ordinato la distruzione dei gasdotti.

A questo punto si deve aggiungere che il Cancelliere Scholz - se ne fosse a conoscenza o meno prima della distruzione del gasdotto, la questione è ancora aperta - è stato chiaramente complice, fin dall'autunno, dell'insabbiamento dell'operazione nel Mar Baltico da parte dell'amministrazione Biden, sostenendo questa azione.

La CIA ha fatto il suo lavoro e con l'aiuto dell'intelligence tedesca ha messo insieme una storia su un'operazione spontanea e non ufficiale per distruggere gli oleodotti e le ha diffuse nei media. La bufala è culminata in un articolo del New York Times del 7 marzo che citava un funzionario americano anonimo. Il 7 marzo il New York Times, infatti, ha pubblicato un articolo che citava un funzionario americano anonimo, in cui si affermava che "nuove informazioni suggeriscono" che un "gruppo filo-ucraino" potrebbe essere coinvolto nella distruzione dell'oleodotto; lo stesso giorno un articolo dell'edizione online di Die Zeit, il settimanale più letto in Germania, affermava che gli investigatori tedeschi avevano rintracciato una barca a vela di lusso presa a noleggio, partita dal porto tedesco di Rostock il 6 settembre e diretta all'isola di Bornholm, al largo della Danimarca. L'isola si trova a pochi chilometri dall'area in cui sono stati distrutti gli oleodotti il 26 settembre.

Lo yacht sarebbe stato noleggiato da proprietari ucraini, e l'equipaggio sarebbe stato composto da un gruppo di sei persone: un capitano, due sommozzatori, due assistenti subacquei e un medico. I passaporti falsi hanno avuto un ruolo importante. (Holger Stark, l'autore del servizio di Zeit, mi ha detto, dopo la pubblicazione del suo articolo, di aver seguito per mesi l'indagine penale sullo yacht e la sua posizione e che lui e il giornale hanno deciso di pubblicare rapidamente ciò che già sapevano quando sono venuti a conoscenza del servizio del New York Times. Non aveva avuto contatti con i servizi segreti tedeschi).

Entrambi i rapporti hanno chiarito che c'era, come ha detto il Times, "ancora molto che non si sapeva". Le nuove informazioni, tuttavia, avrebbero reso i funzionari governativi "ottimisti" sulla possibilità di identificare i responsabili. Secondo diversi alti funzionari di Washington e della Germania, tuttavia, ci vorrà del tempo. Il messaggio quindi è il seguente: la stampa e l'opinione pubblica dovrebbero smettere di fare domande e lasciare che gli investigatori vadano al fondo della questione indisturbati. Cosa che però non sarebbe mai accaduta. Il giornalista di lungo corso Stark, che dirige l'unità di ricerca investigativa di Die Zeit, si è spinto oltre, osservando che alcuni "nell'intelligence internazionale" non escludevano che la storia dello yacht fosse solo "un'operazione di false flag". E in effetti lo era.

"Si trattava di una frottola dell'intelligence americana che è stata trasmessa ai tedeschi e che aveva lo scopo di screditare la vostra storia", mi ha detto un informatore negli ambienti dell'intelligence americana. Gli esperti di disinformazione della CIA sanno bene che uno stratagemma propagandistico funziona solo quando incontra il desiderio disperato di una storia che possa sopprimere o sostituire una verità non desiderata. E la verità, in questo caso, è che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe autorizzato la distruzione degli oleodotti e potrebbe avere problemi a fare luce su questo fatto proprio nel momento in cui la Germania e i suoi vicini dell'Europa occidentale stanno soffrendo per la chiusura delle aziende a causa degli alti costi dell'energia.

Ironia della sorte, la prova schiacciante della debolezza del racconto del New York Times è venuta da uno dei tre giornalisti del Times indicati come autori della storia. Pochi giorni dopo la pubblicazione dell'articolo, infatti, il giornalista Julian Barnes è stato intervistato nel popolare podcast del Times:

Intervistatore: Chi è stato esattamente il responsabile di questo attacco? E come avete fatto lei e i suoi colleghi a scoprirlo?

Giornalista: Beh, durante gran parte della ricerca non abbiamo necessariamente fatto le domande giuste.

Intervistatore: Hmm. E quali erano le domande giuste?

Reporter: Beh, logicamente ci siamo concentrati prima sugli Stati.

Intervistatore: Hmm.

Reporter: Abbiamo analizzato alcuni Paesi: è stata la Russia? C'era dietro lo Stato ucraino? Siamo finiti in un vicolo cieco dopo l'altro. E non abbiamo trovato nessuno che ci dicesse che c'erano prove credibili che indicavano un governo. Così i miei colleghi Adam Entous, Adam Goldman e io abbiamo iniziato a porci diverse domande. Potrebbe trattarsi dell'azione di un attore non legato ad uno Stato? Potrebbe essere stato compiuto da un gruppo che non lavora per un governo?

Intervistatore: Una sorta di sabotatori freelance. Dove vi ha portato questa nuova linea di indagine?

Reporter: Per prima cosa ci siamo chiesti: chi potrebbero essere questi sabotatori? O con chi potrebbero essere in combutta? Potrebbero essere sabotatori filorussi? O altri sabotatori? E più ne parlavamo con funzionari che avevano accesso alle informazioni di intelligence, più questa teoria prendeva piede.

Il mio primo sospetto che potessero essere sabotatori filorussi si è rivelato sbagliato. Siamo giunti alla conclusione che molto probabilmente si trattava di un gruppo filo-ucraino.

Intervistatore: Quindi un gruppo di persone ha fatto questo lavoro per l'Ucraina? Come siete arrivati a questa conclusione?

Reporter: Per essere chiari, non ne sappiamo quasi nulla. Questo gruppo rimane misterioso. E rimane un mistero anche per i funzionari del governo americano con cui abbiamo parlato. Tutto ciò che sanno è che le persone coinvolte sono ucraine, russe o un misto. Sanno che non hanno nulla a che fare con il governo ucraino. Ma sanno anche che sono anti-Putin e pro-Ucraina.

Intervistatore: Quindi, dopo tutte queste ricerche, avete scoperto che i colpevoli sono un gruppo di persone che vogliono la stessa cosa dell'Ucraina, ma non sono ufficialmente collegate al governo ucraino. Mi interesserebbe sapere quanto è sicuro di questo?

Reporter: Beh, i servizi segreti al momento dicono che non sono collegati al governo ucraino. E anche se i funzionari ci dicono che il presidente ucraino e i suoi principali consiglieri non sono collegati, non possiamo comunque essere sicuri che sia vero o che qualcun altro non ne sia a conoscenza.

Dunque i giornalisti del Times a Washington dipendono da funzionari della Casa Bianca "che hanno accesso a informazioni riservate". Ma le informazioni che hanno ricevuto provenivano originariamente da un gruppo di esperti in manovre di insabbiamento e propaganda della CIA, la cui missione era proprio quella di fornire ai giornali una storia diversiva - e di proteggere un Presidente che aveva preso una decisione poco saggia e che ora sta mentendo al riguardo.



martedì 4 aprile 2023

Wolfgang Streeck - Germans to the front! (parte seconda)

"Nel complesso, dopo le elezioni americane di metà mandato, sembra esserci stato uno sforzo congiunto da parte degli Stati Uniti e della NATO per portare la Germania nella guerra...una Germania che negli episodi del Nord Stream e del Leopard 2 è stata sufficientemente umiliata in maniera pubblica da aver capito che, se non vuole essere messa alle strette dagli Stati Uniti, deve essere pronta a guidare l'Europa per suo conto" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. Per Streeck potrebbe essere proprio la Germania, sotto la pressione americana, a prendere la leadership nella guerra in Ucraina. Ne scrive Wolfgang Streeck su Makroskop.de

La leadership tedesca ovvero il nuovo desiderio di eroismo

Per la coalizione di governo tedesca, ma anche per l'amministrazione Biden, una questione cruciale in merito all'assegnazione alla Germania della leadership è se il pacifismo postbellico del Paese è ancora abbastanza forte da ostacolarla. Forse non è più così. L'abolizione del servizio di leva sembra aver reso più facile - non diversamente dagli Stati Uniti - considerare le guerre come un mezzo appropriato al servizio del bene: a differenza di quanto accade in Ucraina, in Germania i figli, gli amici, i mariti non corrono il rischio di dover partire per la guerra.

In gran parte delle giovani generazioni, c'è un idealismo morale che copre il crudo materialismo dell'uccidere e del morire. All'interno e intorno ai Verdi tedeschi, dall'inizio della guerra è emersa una sorta di nuova voglia di eroismo in una generazione che fino a poco tempo fa era considerata decisamente post-eroica. Non ci sono più i genitori, e nemmeno i nonni che possono raccontare in prima persona la vita e la morte in trincea. Si sogna apparentemente un tipo di guerra sterilizzata, rigorosamente secondo la Convenzione dell'Aia, almeno da parte nostra: non più una questione di guerra e di pace, ma di colpa e di espiazione, con l'obiettivo finale, che vale centinaia di migliaia di vite, di mettere Putin sotto processo.

Forse sono in gioco anche fattori specificamente tedeschi. Nella generazione verde, più che altrove in Europa, il nazionalismo come fonte di integrazione sociale è stato sostituito da un manicheismo pervasivo che divide il mondo, sia tra i Paesi che al loro interno, in due campi: il bene e il male. È giunto il momento di esaminare e comprendere questo cambiamento nello Zeitgeist tedesco, apparentemente avvenuto in modo insidioso e in gran parte inosservato. Le sue implicazioni politiche potrebbero includere il fatto che, diversamente da un mondo di nazioni, non ci può essere una pace basata su un equilibrio di forze e interessi, bensì una lotta senza quartiere contro le forze del male, definite sommariamente "fascismo", essenzialmente le stesse a livello internazionale e nazionale.




La somiglianza con le idee politiche americane è inconfondibile, sia con i neocon che con i democratici idealisti, incarnati ad esempio da Hilary Clinton. A sinistra dello spettro politico tedesco, la sindrome sembra essere particolarmente pronunciata, laddove in passato sarebbe stata la base naturale di un movimento contro la guerra e per la pace o almeno per il cessate il fuoco. Oggi, invece, nemmeno la Linke si è sentita in grado di appoggiare la manifestazione per la pace organizzata da Sahra Wagenknecht e Alice Schwarzer il 25 febbraio scorso, anche a rischio di spaccare il partito cessandone l'esistenza in quanto forza politica.

Nel dopoguerra, inoltre, i tedeschi hanno avuto a lungo la tendenza ad ascoltare con simpatia i non tedeschi che imputavano loro presunti deficit morali collettivi e chiedevano loro, in una forma o nell'altra, una certa umiltà. Non c'è altra spiegazione per la straordinaria popolarità del già citato ambasciatore ucraino in Germania, Andrey Melnyk, fan sfegatato del terrorista, collaborazionista nazista e criminale di guerra Stepan Bandera e del suo collega alla guida dei nazionalisti ucraini nel periodo tra le due guerre e sotto l'occupazione tedesca, anch'egli di nome Andrey Melnyk. Su Twitter, Melnyk ha incessantemente rimproverato i politici tedeschi, dal presidente tedesco Steinmeier in giù, di non essersi sufficientemente schierati con l'Ucraina, con un linguaggio che avrebbe portato alla revoca del suo accreditamento in qualsiasi altro Paese. Non passava una settimana senza che Melnyk venisse invitato a uno dei regolari talk show televisivi in cui accusava ripetutamente i politici tedeschi di una cospirazione genocida con la Russia contro il popolo ucraino.

Anche dopo l'ascesa alla carica di viceministro degli Esteri del suo Paese nell'autunno del 2022, Melnyk ha continuato a svolgere un ruolo di primo piano nel dibattito tedesco sugli obblighi del Paese nei confronti dell'Ucraina. Ad esempio, in riferimento a un articolo della Süddeutsche Zeitung in cui Jürgen Habermas, troppo misurato e tardivo agli occhi di molti, aveva sostenuto la necessità di un cessate il fuoco in Ucraina per consentire i negoziati di pace ha twittato:

"Che anche Jürgen Habermas sia così sfacciatamente al servizio di Putin mi lascia senza parole. È una vergogna per la filosofia tedesca. Immanuel Kant e Georg Friedrich Hegel si rivolterebbero nella tomba dalla vergogna".

(Un altro esempio del tono della discussione pubblica tedesca è il tweet di un giovane, alquanto mediocre, probabilmente impegnato in un tour finalizzato al marketing, il cosiddetto commediante Sebastian Bielendorfer: "Sahra Wagenknecht è semplicemente il guscio vuoto di un ammasso di cellule intellettualmente e umanamente completamente degenerato. Non dovrebbe essere invitata ai talk show, dovrebbe essere curata". Un giorno dopo: "Twitter ha cancellato il tweet. Deplorevole. La verità rimane").

Nel complesso, dopo le elezioni americane di metà mandato, sembra esserci stato uno sforzo congiunto da parte degli Stati Uniti e della NATO per portare la Germania nella guerra, facendolo in modo sempre più esteso e attivo. Altri Paesi europei nell'ultimo anno hanno imparato a mandare avanti la Germania in modo da poter restare loro stessi ai margini (Paesi Bassi) oppure per poter perseguire i propri interessi con maggiori possibilità di successo (Polonia e Paesi baltici). La Germania, a sua volta, stanca di essere spinta in avanti da altri, potrebbe essere sempre più propensa a spingere in avanti se stessa. Già nel 2022, i principali rappresentanti della socialdemocrazia, tra cui il nuovo leader del partito Lars Klingbeil, parlavano apertamente del fatto che la Germania dovesse assumere un ruolo di leadership in Europa e che fosse pronta a farlo.




È importante notare che in questo contesto la Francia non viene più menzionata. Dopo aver finto per troppo tempo di non essere coinvolta, la Francia ora potrebbe essere sempre più trattata come tale da una Germania messa alle strette. Il possibile ruolo che la Germania potrebbe assumere in questo processo sarebbe quello di un subappaltatore politico e militare privilegiato degli Stati Uniti - una Germania che negli episodi del Nord Stream e del Leopard 2 è stata sufficientemente umiliata in maniera pubblica da aver capito che, se non vuole essere messa alle strette dagli Stati Uniti, deve essere pronta a guidare l'Europa per suo conto. In questo ruolo, la Germania però riceverebbe gli ordini da Washington attraverso Bruxelles, intendendo con Bruxelles non l'UE ma la NATO, una catena di comando emergente visualizzata dalla disposizione dei posti alle conferenze di Ramstein, con Stati Uniti, Ucraina e Germania in testa. In tale funzione evolutiva, la Germania però avrebbe il compito di racimolare e pagare le armi che le forze ucraine ritengono necessarie per la vittoria finale - con il rischio, qualora questa non si concretizzi, di essere ritenuta colpevole, al posto degli Stati Uniti, di incompetenza, vigliaccheria, avarizia e, naturalmente, simpatia per il nemico.

Col tempo, la partecipazione indiretta della Germania alla guerra potrebbe diventare sempre più diretta e svilupparsi in modo simile al suo ruolo di fornitore di armi. Già oggi un numero considerevole di soldati ucraini viene addestrato in Germania, nelle basi americane ma sempre più anche in quelle della Bundeswehr, e non pochi tedeschi, per lo più di destra, combattono nelle legioni internazionali con l'esercito ucraino. Presto i Leopard, una volta arrivati sul campo di battaglia, dovranno essere revisionati e riparati, il che potrebbe richiedere il loro ritorno in Germania. Rheinmetall ha annunciato che aprirà in Ucraina una fabbrica per costruire circa 400 carri armati Leopard all'anno, apparentemente partendo dal presupposto che la guerra durerà abbastanza a lungo da permettere ai carri armati prodotti in Ucraina di essere messi in servizio per i propri scopi e rendere la fabbrica redditizia. Naturalmente, la fabbrica dovrà essere protetta da difese aeree - preferibilmente, presumibilmente, da squadre tedesche esperte. Per quanto riguarda i velivoli da combattimento, la cosa più sicura è che siano posizionati lontano dai campi di battaglia, magari in Renania, dove esistono già le strutture necessarie per la loro manutenzione. Gli esperti di diritto internazionale discuteranno se tale supporto renda o meno un Paese belligerante, ma alla fine sarà la Cina, e non un tribunale, a decidere quali azioni la Russia potrà intraprendere in risposta.

Per l'Unità dell'Occidente

La visita a sorpresa di Scholz a Washington il 4 marzo, durante la quale nessuna delle due parti ha rivelato informazioni su ciò che è stato discusso in privato durante gli ottanta minuti di colloquio con Biden, potrebbe essere servita a Biden per dare una lezione a Scholz e spiegargli cosa ci si aspetta dalla Germania se vuole essere un alleato affidabile dell'Occidente, dal punto di vista politico, materiale e militare. Questo poteva anche essere il momento per ancorare il governo tedesco alla "narrazione" che i servizi segreti americani hanno sviluppato per contrastare il Rapporto Hersh. Ai tedeschi potrebbe essere stato detto che questo è il risultato preliminare ufficiale della loro indagine, con l'obiettivo di sottoporli a un altro test quia-absurdum per scoprire quanto sono disposti ad accettare per il bene dell'unità dell'"Occidente".

Forse si è parlato anche di cosa fare quando non si potrà più nascondere la saggezza alquanto banale espressa da tutti gli esperti militari, vale a dire che una guerra di terra può essere vinta solo sul terreno. Al più tardi, allora, si dovrà affrontare la questione di come rimpiazzare i molti soldati ucraini morti, feriti o che hanno disertato. Forse è arrivata l'ora di un "esercito europeo", addestrato dalla Bundeswehr ed equipaggiato a spese dei tedeschi con prodotti di qualità di Rheinmetall e altri? Seguendo il modello del primo esercito europeo, le legioni romane multinazionali, le truppe potrebbero essere reclutate come volontari nei Paesi dell'Europa dell'Est o tra i potenziali immigrati di altri Paesi, ai quali verrebbe concessa la cittadinanza europea dopo il servizio. I comandanti sul campo di battaglia, essenziali anche nell'era dell'intelligenza artificiale, potrebbero avere due passaporti, il loro primo e un altro ucraino rilasciato di recente. Poiché gli ucraini, secondo la von der Leyen, stanno dando la loro vita per i nostri "valori", la Germania non sarebbe costretta a reintrodurre il servizio militare obbligatorio, rischiando così di perdere il sostegno popolare per la sua partecipazione alla guerra. D'altra parte, non si sa mai, soprattutto in tempo di guerra.

C'è naturalmente un'altra strada percorribile che vede la Germania come franchisee europeo degli Stati Uniti. Le richieste sempre più pressanti e incessanti del governo ucraino di avere un numero sempre maggiore di armi sembrano aver portato a una certa esasperazione da parte degli americani nei confronti del loro alleato ucraino. Soprattutto perché la volontà del Congresso di continuare a finanziare la guerra sta diminuendo. Sullo sfondo, potrebbe esserci anche il ricordo della richiesta pubblica del Presidente Selenskiy di avviare una rappresaglia nucleare da parte degli Stati Uniti per un presunto missile russo atterrato sul suolo polacco, che poi si è rivelato essere un missile ucraino errante. A ciò si aggiunge la richiesta pubblica di bombe a grappolo che potrebbe essere scaturita dalla momentanea esuberanza per il successo del Leopard 2. Il fatto che il resoconto alternativo della distruzione dei gasdotti Nord Stream, apparentemente fabbricato dall'intelligence americana, contenga un riferimento all'Ucraina può essere interpretato come un segnale di avvertimento al governo di Kiev.




Ritirandosi dal comando operativo della guerra in Ucraina e consegnandolo alla Germania, gli Stati Uniti potrebbero risparmiarsi l'imbarazzo di dover dire a Kiev che il sostegno occidentale ai suoi obiettivi bellici più ambiziosi non è illimitato. La Germania, da parte sua, potrebbe provare a fare quello che a volte fanno gli agenti quando il loro capo non può controllare nel dettaglio come svolgere la propria missione. Se la Germania assumesse la guida europea della NATO su richiesta degli Stati Uniti, potrebbe trovarsi nella posizione di resistere ai tentativi ucraini di trascinarla sempre piu' a fondo nella guerra e di cercare qualcosa di simile a un accordo sulla falsariga degli accordi di Minsk, oltre al semplice congelamento del conflitto. Aiutando gli Stati Uniti a liquidare in maniera parziale la loro posizione in Ucraina, potrebbero fare loro un favore e riaccendere una bella amicizia.

Se la Germania sarà effettivamente in grado di farlo dipenderà non da ultimo anche dalla capacità di raffreddare il nuovo entusiasmo per la guerra che coinvolge soprattutto la parte verde dell'opinione pubblica tedesca. Baerbock e i suoi sostenitori denunceranno come tradimento e disprezzo per la volontà del popolo ucraino tutto ciò che non porterà a un cambio di regime a Mosca. Resta da vedere se gli spiriti che sono stati evocati per provocare l'inversione di tendenza potranno essere eliminati nel breve termine. La retorica del primo anno di guerra potrebbe aver escluso per un certo periodo di tempo qualsiasi tentativo di pacificazione che esclude una vittoria totale, il che nel breve termine renderebbe impossibile porre fine al massacro, anche se gli Stati Uniti perdessero interesse in tal senso.

Inoltre, facendo saltare i gasdotti, la Germania probabilmente è stata deliberatamente privata dell'opportunità di offrire alla Russia la ripresa delle forniture di gas in cambio della sua partecipazione a qualcosa di simile a un processo di pace - per non parlare della vasta gamma di sanzioni economiche definite dagli Stati Uniti.

Durante la rivolta dei Boxer nel 1900, la Forza di spedizione europea, guidata da Sir Edward Hobart Seymour, ammiraglio della Royal Navy, era in viaggio da Tientsin a Pechino. Poco prima di raggiungere la destinazione, incontrò una forte resistenza cinese. Nel momento del bisogno, l'ammiraglio Seymour diede l'ordine al comandante del contingente tedesco, il capitano von Usedom: "The Germans to the front!". La tradizione militare tedesca con orgoglio considera questo episodio come un momento di supremo riconoscimento internazionale dell'abilità militare tedesca. A volte la storia si ripete.



lunedì 3 aprile 2023

Wolfgang Streeck - Germans to the front!

"La Germania - si ha la sensazione che già da tempo sia stata preparata dagli Stati Uniti per i "valori occidentali", vale a dire per il ruolo di comandante in capo nella parte ucraina della guerra globale. La germanizzazione del conflitto ucraino eviterebbe all'amministrazione Biden di doversi impegnare e di dover chiedere il sostegno dei cinesi per ritirarsi da una guerra che rischia di diventare impopolare a livello nazionalescrive Wolfgang Streeck. Per il grande intellettuale tedesco potrebbe essere proprio la Germania, sotto la pressione americana, a prendere la leadership nella guerra in Ucraina. Ne scrive Wolfgang Streeck su Makroskop.de


Sotto la pressione degli Stati Uniti, il coinvolgimento indiretto della Germania nella guerra in Ucraina potrebbe diventare sempre più diretto - e svilupparsi in modo simile al suo ruolo nella fornitura di armi.

La legge di Hofstadter, diretta discendente della legge di Murphy, è nota sotto questa forma: "Tutto richiede più tempo di quanto si pensasse". L'anno scorso, il signore della guerra russo, Putin, ha avuto modo di conoscerla. Se avesse seguito l'esempio di Trotsky e Mao Zedong e avesse dedicato un po' di tempo alla lettura di Clausewitz, avrebbe potuto risparmiarsi lo shock. Dopo il fallimento della presa di Kiev, che avrebbe dovuto essere completata in una o due settimane, Putin ha dovuto affrontare la spiacevole prospettiva di una guerra di durata indeterminata non solo con Kiev ma anche, in una forma o nell'altra, con gli Stati Uniti, se veramente intende porre fine una volta per tutte al fascismo endogeno e all'occidentalismo esogeno dell'Ucraina.

Pochi mesi dopo, anche l'omologo americano di Putin, Biden, si è dovuto rendere conto di una cosa simile. Non c'era alcuna vittoria ucraina in vista e l'arsenale di sanzioni economiche occidentali contro la Russia e gli amici oligarchi di Putin aveva fatto sorprendentemente pochi danni alla capacità della Russia di resistere nel Donbass e nella penisola di Crimea. Le elezioni di midterm del novembre 2022, inoltre, hanno reso inequivocabilmente chiaro che la disponibilità dell'elettorato americano a finanziare le avventure della squadra Biden-Blinken-Sullivan-Nuland è tutt'altro che illimitata e che l'incombente guerra di logoramento, di cui non si intravede la fine, potrebbe diventare un peso mortale nelle elezioni presidenziali del 2024.

Dal momento che un ritiro come quello dall'Afghanistan, rimasto indimenticabile persino per l'opinione pubblica americana, notoriamente ignara, è fuori questione, e che d'altra parte Putin non ha altra scelta che continuare o affondare, spetta ora a Biden decidere come procedere.



Alternativa 1: "congelamento"

All'inizio di marzo 2023, sembra che gli Stati Uniti si trovino a dover scegliere tra due alternative, e in fretta. La prima è la via d'uscita cinese. Dopo la visita di un giorno di Scholz a Pechino il 4 novembre, la Cina e Xi in persona hanno ripetutamente insistito sul fatto che l'uso di armi nucleari, comprese quelle di natura tattica, deve essere escluso in ogni caso. Per ragioni ben comprensibili, ciò preoccupa la Russia più degli Stati Uniti o dell'Ucraina, date le carenze ormai ampiamente visibili delle forze armate convenzionali russe. Con un bilancio militare di poco superiore a quello della Germania - e che si è presumibilmente dimostrato inadeguato nell'ambito della attuale svolta storica - la Russia, a differenza della Germania, deve mantenere un'arma nucleare con capacità strategiche intercontinentali equivalenti a quelle degli Stati Uniti. Le conseguenze sono state evidenti quando l'esercito russo si è dimostrato incapace di prendere Kiev, che dista solo 300 chilometri dal confine russo-ucraino.

Segnalando alla Russia, che dipende da lei come il suo più vicino e potente alleato, che una risposta nucleare a un'avanzata ucraina armata dagli americani non era auspicabile, la Cina ha fatto un favore importante agli Stati Uniti e alla NATO, così importante che è difficile credere che sia stato concesso senza una contropartita. Ci sono infatti indicazioni che in cambio gli Stati Uniti si siano impegnati a limitare la forza militare dell'Ucraina a un livello che non potesse mettere la Russia in una situazione tale da costringerla a ricorrere alle armi nucleari - tattiche. Il risultato di un tale tacito accordo, se esiste, come sembra probabile, sarebbe un "congelamento" della guerra: uno stallo sulle attuali posizioni territoriali dei due eserciti che potrebbe durare anni.

Se gli Stati Uniti fossero disposti a stare al gioco, questo tipo di diplomazia potrebbe continuare sotto l'egida della Cina. Non è molto lontano da una situazione di stallo o di un cessate il fuoco, e poi forse potrebbe portare a qualcosa di simile a un accordo di pace, anche se si trattasse di una pace disordinata come accadde in Bosnia e in Kosovo. Gli Stati Uniti dovrebbero costringere il governo ucraino a farne parte, cosa che non dovrebbe essere troppo difficile, visto che sono stati loro stessi a nominarlo: "Il Signore ha dato e il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore".

Dal punto di vista americano, tuttavia, un importante difetto di questo tipo di soluzione sarebbe che i cinesi potrebbero aspettarsi concessioni in Asia in cambio dei loro buoni uffici e dell'aiuto alla rielezione di Biden, il che renderebbe più difficile per Biden fare ciò che chiaramente vuole fare dopo l'Ucraina: attaccare la Cina in un modo o nell'altro per evitare quella che nel dibattito strategico statunitense odierno viene definita la "trappola di Tucidide", ossia la necessità per un egemone in carica di attaccare un rivale in ascesa abbastanza presto, quando si puo' essere relativamente ancora sicuri di vincere la guerra.



Alternativa 2: La Germanizzazione

Per quanto la prospettiva di una via d'uscita dal pantano ucraino possa essere allettante, ci sono segnali che indicano che gli Stati Uniti si stanno orientando verso un secondo approccio alternativo che potrebbe essere definito di europeizzazione, o addirittura di germanizzazione della guerra. Ricordiamo la cosiddetta vietnamizzazione della guerra in Vietnam. Alla fine forse non ha funzionato - gli Stati Uniti sono stati sconfitti, non il loro proxy regionale, che non è mai stato altro che un fantoccio americano - ma ha dato respiro agli Stati Uniti e ha permesso alla loro macchina propagandistica di vendere all'opinione pubblica americana la prospettiva di un ritiro onorevole dal campo di battaglia, in cui il massacro sarebbe stato lasciato a un alleato politicamente affidabile e militarmente capace.

Negli anni Sessanta nel Sud-Est asiatico non c'era un alleato di questo tipo, ma nell'Europa del 2020 le cose potrebbero essere diverse. A differenza dell'Afghanistan, gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi lentamente dalle attività operative della guerra, supervisionandola invece di guidarla, lasciando il supporto materiale, le decisioni tattiche e la consegna delle brutte notizie al governo ucraino ad un subcomandante locale che potrebbe fungere da capro espiatorio e fustigatore in caso di fallimento.

Chi potrebbe assumersi questo compito? È chiaro che l'Unione Europea non può farlo. E' guidata da un ex ministro della Difesa, ma la sua incompetenza è diventata evidente da quando, grazie al trasferimento a Bruxelles, per un soffio ha evitato un'inchiesta parlamentare sui suoi  fallimenti ministeriali. Ma soprattutto, l'UE non dispone di fondi veri e propri e chi a Bruxelles decide cosa fare con chi è un mistero anche per gli addetti ai lavori, il che porta regolarmente a decisioni lente, poco chiare e prive di responsabilità - non proprio ciò che serve in una guerra.

Il compito non può essere affidato al Regno Unito, che con la Brexit si è sganciato dall'apparato legislativo dell'UE. Il Regno Unito inoltre funge già da comando ausiliario globale per conto degli Stati Uniti nella costruzione di un fronte mondiale contro la Cina. Non è nemmeno in discussione il famoso "tandem" franco-tedesco, che nessuno con certezza può ammettere che sia qualcosa di più di una chimera giornalistica o diplomatica.

Resta la Germania - e in effetti, a posteriori, si ha la sensazione che già da tempo sia stata preparata dagli Stati Uniti per i "valori occidentali" - vale a dire per il ruolo di comandante in capo nella parte ucraina della guerra globale. La germanizzazione del conflitto ucraino eviterebbe all'amministrazione Biden di doversi impegnare e di dover chiedere il sostegno dei cinesi per ritirarsi da una guerra che rischia di diventare impopolare a livello nazionale. Gli sforzi americani per utilizzare la Germania come proxy europeo possono attingere all'eredità della Seconda guerra mondiale, vale a dire una forte presenza militare statunitense nel paese, ancora basata sulle rivendicazioni legali che risalgono alla resa incondizionata della Germania nel 1945.



Attualmente sono circa 35.000 i soldati americani di stanza in Germania, con 25.000 familiari e 17.000 civili, più di qualsiasi altra parte del mondo ad eccezione, presumibilmente, di Okinawa. In tutto il Paese, gli Stati Uniti mantengono 181 basi militari, le più grandi delle quali sono Ramstein in Renania-Palatinato e Grafenwoehr in Baviera. Ramstein ha avuto  il ruolo di quartier generale operativo nella cosiddetta "guerra al terrore" - tra l'altro da li' vengono coordinati i voli navetta per i prigionieri di tutto il mondo verso Guantanamo - ed è tuttora il posto di comando per tutti gli interventi americani in Medio Oriente. Infine, le basi americane in Germania ospitano un numero imprecisato di testate nucleari, alcune delle quali possono essere lanciate dall'aviazione tedesca con cacciabombardieri certificati dagli Stati Uniti (nell'ambito della cosiddetta "condivisione nucleare") verso obiettivi specificati dagli USA.

Nel dopoguerra, i governi tedeschi, infatti, hanno ripetutamente cercato di sviluppare una propria politica di sicurezza nazionale - come la politica di distensione di Willy Brandt, guardata con sospetto da Nixon e Kissinger; c'è stato poi il rifiuto di Schröder, insieme a Chirac, di unirsi alla "coalizione dei volenterosi" nella fallita ricerca di armi di distruzione di massa in Iraq; Il veto posto da Merkel nel 2008, insieme a Sarkozy, all'ammissione dell'Ucraina e della Georgia alla NATO; il tentativo di Merkel, insieme a Hollande, di mediare un qualche tipo di accordo tra Russia e Ucraina, culminato negli accordi di Minsk I e II; e l'ostinato rifiuto di Merkel di prendere sul serio l'obiettivo della NATO di un bilancio della difesa pari al due per cento del prodotto nazionale.

Nel 2022, tuttavia, il declino del Partito Socialdemocratico e l'ascesa dei Verdi hanno  definitivamente indebolito la capacità e la volontà della Germania di lottare per un minimo di autonomia strategica. Ciò si è resto evidente due giorni dopo l'inizio della guerra nel discorso di svolta di Scholz al Bundestag, di fatto una promessa fatta agli Stati Uniti che l'insubordinazione in stile Brandt, Schröder e Merkel non si sarebbe ripetuta.



Una prova dopo l'altra

Scholz forse sperava che il fondo speciale da 100 miliardi di euro, destinato a riarmare la Bundeswehr, fatto con del nuovo debito e invisibile nei normali conti di bilancio, avrebbe placato qualsiasi sospetto di disobbedienza tedesca. Invece, il primo anno di guerra in Ucraina ha visto una serie di test, concepiti e condotti dagli esperti statunitensi di governance globale per esplorare la reale profondità della conversione della Germania: dal pacifismo postbellico all'occidentalismo anglo-americano. Quando, poche settimane dopo il discorso della svolta, gli osservatori scettici hanno notato che nessuno dei 100 miliardi di euro di denaro fresco fosse stato ancora speso - una situazione che perdura tuttora - per il governo tedesco non è stato sufficiente sottolineare che le nuove attrezzature dovranno essere prima ordinate, poi pagate e che prima di essere ordinate devono anche essere selezionate. Per dimostrare la sua buona volontà, la Germania si è quindi affrettata a firmare un contratto per 35 aerei F-35 - con il governo americano e non, come ci si sarebbe potuti aspettare, con i produttori Lockheed Martin e Northrop Grumman. L'aereo, da tempo oggetto del desiderio del ministro degli Esteri verde, dovrà sostituire la flotta di Tornado, presumibilmente obsoleta che la Germania mantiene per la sua condivisione nucleare. Per una cifra stimata in otto miliardi di dollari, comprese le riparazioni e la manutenzione, gli aerei dovrebbero essere consegnati verso la fine del decennio con un contratto che sorprendentemente dà al governo americano il diritto di ritoccare unilateralmente il prezzo verso l'alto se dovesse ritenerlo opportuno.



Alla fine l'accordo sugli F-35 non ha dato ai tedeschi altro che una breve tregua. Mentre i lobbisti tedeschi e di altri Paesi e le forze armate discutevano su come spendere al meglio il resto del fondo speciale, Scholz, per placare l'impazienza americana, ha licenziato il ministro della Difesa, un politico SPD di lungo corso che era stato nominato contro la sua volontà, a quanto pare per soddisfare una presunta esigenza generale di parità di genere nel gabinetto federale. Poco prima che se ne andasse, uno dei suoi potenziali successori come garante della Bundeswehr ha chiesto un aumento del fondo speciale da 100 miliardi a 300 miliardi. Pochi giorni dopo, l'incarico è passato ad un altro uomo della SPD, all'epoca ministro degli Interni della Bassa Sassonia, che non ha alcuna esperienza militare, ma che emana qualcosa di simile a una competenza gestionale completa. Uno dei suoi primi atti in carica è stato quello di risolvere un'ambiguità fino ad allora accuratamente coltivata nel discorso della svolta, ovvero se i 100 miliardi dovevano essere utilizzati per aumentare il bilancio regolare della difesa fino alla soglia del due per cento fissato dalla NATO o se dovessero essere aggiunti a quel due per cento come una sorta di punizione per i fallimenti del passato.

Secondo il nuovo uomo, Pistorius, era quest'ultimo lo scenario da prendere in considerazione - il che per lui significava che la spesa per la difesa sarebbe dovuta aumentare di 10 miliardi di euro all'anno per diversi anni, in aggiunta e indipendentemente dalla spesa del fondo speciale. Quando l'allora Segretario Generale della NATO Stoltenberg, che sta per diventare capo della Banca Centrale Norvegese - una posizione di prestigio ma simbolica, se mai ce ne fosse stata una - ha fatto sapere che d'ora in poi il 2% deve essere considerato il minimo da superare, Pistorius è stato uno dei primi ad acconsentire pubblicamente.

Il test successivo, nel settembre 2022, è stata la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte di un commando americano-norvegese, come riportato da Seymour Hersh. In questo caso, il compito del governo tedesco è stato proprio quello di fingere di non sapere chi fosse stato, di mantenere un generale silenzio sull'evento e di far sì che la stampa tedesca facesse lo stesso o dicesse al pubblico che era stato "Putin". La prova è stata superata a pieni voti. Quando, poche settimane dopo l'incidente, una deputata al Bundestag della Linke - l'unica su 736 membri - ha chiesto al governo cosa sapesse in merito, le è stato risposto che per motivi di "interesse supremo dello Stato" non era possibile rispondere a tali domande né ora né in futuro. Il giorno dopo che Hersh ha reso pubbliche le sue scoperte, la Frankfurter Allgemeine titolava: "Cremlino: gli USA hanno danneggiato gli oleodotti".

„Stand with Ukraine!“

Un'altra prova di lealtà durata a lungo, parallelamente alla battaglia sul bilancio, ha riguardato la fornitura di armi e munizioni all'esercito ucraino. Dal 2014, infatti, l'Ucraina è il Paese industrializzato con l'aumento annuale del budget per la difesa di gran lunga più elevato, spese militari pagate non dai suoi oligarchi ma dagli Stati Uniti, che di fatto puntavano alla cosiddetta "interoperabilità" tra l'esercito ucraino e la NATO (da raggiungere entro il  2020, secondo le cifre ufficiali). Mentre questo deve essere stato un motivo di preoccupazione per i generali russi - che ovviamente sapevano del declino delle loro forze convenzionali dopo la decisione di Putin di tenere il passo con la modernizzazione delle forze nucleari americane - ai Paesi della NATO è stato chiesto fin dal primo giorno dell'attacco russo di inviare armi all'Ucraina, sempre di piu' e in numero sempre maggiore.

Quando è diventato chiaro che l'Ucraina non sarebbe stata in grado di sostenersi senza un costante aiuto materiale da parte del risorgente Occidente, gli Stati Uniti hanno insistito affinché i Paesi europei si facessero carico di una quota crescente dell'onere, compresi e soprattutto quei paesi colpevoli di aver trascurato i propri eserciti, in particolare la Germania.

Ben presto, però, è apparso a tutti chiaro che gli eserciti nazionali non erano affatto entusiasti di dover consegnare all'Ucraina alcuni dei loro equipaggiamenti più preziosi, che, secondo loro, avrebbero compromesso la capacità di difendere il proprio Paese. Alla base della loro riluttanza, infatti, potrebbe esserci il timore che quanto consegnato agli ucraini sarebbe caduto nelle mani del nemico, venisse irrimediabilmente danneggiato sul campo di battaglia o fosse venduto sul mercato nero internazionale, senza poter sperare di riaverlo indietro, anche se formalmente solo in prestito. Un'altra preoccupazione riguarda le prospettive di riarmo da parte dei governi nazionali quando la guerra sarà terminata e l'Ucraina sarà stata ricostruita dall'"Europa", meglio che mai, come Ursula von der Leyen da Bruxelles non si stanca mai di ripetere.



C'erano anche timori, tipicamente espressi da alti ufficiali militari in pensione, che i Paesi europei sarebbero stati trascinati in una guerra la cui guida e gli obiettivi sarebbero stati definiti dagli ucraini, come richiesto dagli Stati Uniti e dall'opinione pubblica. Non ultimo, sembra esserci il timore che, se la guerra dovesse finire bruscamente, l'Ucraina avrebbe l'esercito di terra più grande e meglio equipaggiato d'Europa.

Ancora una volta è stata la Germania, di gran lunga il più importante Paese dell'Europa occidentale, a dover dimostrare più di ogni altro la sua volontà di stare dalla parte dell'Ucraina ("Stand with Ukraine!") sotto gli occhi attenti degli Stati Uniti e dei media internazionali. Inizialmente, l'allora Ministro della Difesa tedesco aveva offerto 5.000 elmetti e gilet antiproiettile come sostegno alle forze armate ucraine, cosa che è stata considerata come ridicola dagli alleati e sempre di più dalla loro stessa opinione pubblica. Nei mesi successivi sono state richieste e consegnate armi sempre più potenti, tra cui un missile antiaereo come l'Iris-T, che non ha nemmeno raggiunto le truppe tedesche, e il potente obice semovente 2000. Ogni volta, il governo Scholz ha inizialmente tracciato una linea rossa, per poi oltrepassarla sotto la pressione dei suoi alleati e dei due partner minori della coalizione, i Verdi e i Liberali - i Verdi controllano il ministero degli Esteri, la FDP la commissione Difesa del Bundestag, presieduta da un membro della FDP di Düsseldorf, sede della Rheinmetall, uno dei maggiori produttori di armi in Europa e non solo.

Nell'inverno del 2022, il dibattito sul riarmo dell'Ucraina invece ha iniziato a concentrarsi sui carri armati. Anche in questo caso la Germania doveva essere spinta passo dopo passo verso modelli sempre più potenti, a partire dai veicoli da combattimento per la fanteria - i veicoli corazzati per il trasporto del personale - fino al famoso carro armato tedesco Leopard 2, un successo mondiale da esportazione costruito da un consorzio guidato  appunto da Rheinmetall (circa 3.600 Leopard 2 della linea più avanzata 2A5-plus sono stati venduti in tutto il mondo, fra gli altri anche a ferventi sostenitori dei valori occidentali come l'Arabia Saudita sotto forma di ringraziamento per la sua instancabile opera di pacificazione dello Yemen).

In parte perché i carri armati tedeschi hanno un ruolo importante nella memoria storica russa, ma anche perché non c'era alcuna indicazione sul fatto che la Germania avrebbe avuto voce in capitolo sull'uso dei suoi carri armati (dal confine ucraino a Mosca non ci sono più di 500 chilometri), Scholz dapprima ha fornito, come di consueto, una serie di motivi per cui purtroppo non sarebbe stato possibile consegnare i Leopard 2. In risposta, alcuni alleati della Germania, in particolare Polonia, Paesi Bassi e Portogallo, hanno fatto sapere di essere pronti a regalare i loro Leopard anche se la Germania non lo avesse fatto. La Polonia ha persino annunciato che avrebbe inviato alcuni dei suoi Leopard all'Ucraina, se necessario, e senza il permesso tedesco, come del resto sarebbe stato legalmente richiesto dalle disposizioni tedesche in merito alla politica di esportazione di armi della Germania.

Il prosieguo di questa storia potrebbe essere stato determinante per l'ulteriore corso degli eventi. Messa alle strette dai suoi alleati europei, la Germania non si è piu' rifiutata di fornire carri armati Leopard all'Ucraina, a condizione che anche gli Stati Uniti accettassero di fornire il loro carro armato principale M1 Abrams (un altro successo di esportazione globale con una produzione totale fino ad oggi di 9.000 unità). Come "primo passo" la Germania ha promesso di trasferire 14 dei suoi 320 carri armati Leopard all'Ucraina entro tre mesi, dove secondo i calcoli tedeschi tali carri armati avrebbero formato un reggimento di carri. In seguito, la Germania avrebbe costruito due battaglioni composti ciascuno da 44 carri armati Leopard- 2 , utilizzando i propri carri armati e quelli forniti dai partner europei, in modo da poterli consegnare all'esercito ucraino pronti per il combattimento, dopo aver addestrato gli equipaggi e aver incluso i pezzi di ricambio e le munizioni necessarie. (Secondo le stime degli immancabili "esperti", l'Ucraina avrebbe bisogno di circa 100 Leopard dell'ultimo modello per migliorare significativamente la sua capacità di difesa).



Poco dopo, però, in occasione della cosiddetta Conferenza sulla sicurezza di Monaco, si sono verificati due spiacevoli sorprese. In primo luogo, si è scoperto che dopo aver superato la resistenza tedesca, gli alleati europei della Germania si sono accorti di ogni possibile ragione per cui si devono tenere i loro Leopard, con o senza licenza di esportazione, con il risultato che hanno dovuto lasciare la fornitura di carri armati da combattimento essenzialmente ai tedeschi, con loro grande rammarico. (In totale, le forze NATO dispongono di circa 2.100 Leopard, dei modelli 1 e 2). In secondo luogo, i giornalisti investigativi americani, sul Wall Street Journal e altrove, hanno rivelato che i carri armati Abrams non sarebbero apparsi sulla scena del conflitto per alcuni anni, se non addirittura per nulla, un fatto apparentemente trascurato dai negoziatori tedeschi, forse su richiesta dei loro interlocutori americani.

Alla fine, quindi, il governo Scholz è stato lasciato solo, essendo sostanzialmente l'unico fornitore di carri armati a Kiev. A rendere la situazione ancora più imbarazzante è stato il fatto che il giorno stesso in cui i tedeschi hanno accettato l'accordo sui Leopard, il governo ucraino ha dichiarato che la prossima voce nella sua lista dei desideri sarebbe stata la consegna di jet da combattimento, sottomarini e navi da guerra, senza i quali l'Ucraina non avrebbe avuto alcuna speranza di vincere la guerra come concordato con i suoi alleati. (L'ambasciatore ucraino di lunga data in Germania, tornato a Kiev come vice ministro degli Esteri, ha twittato in inglese il 24 gennaio: "Alleluia! Gesù Cristo! Ora, cari alleati, formiamo una potente coalizione di caccia per l'Ucraina, con jet F-16 e F-35, Eurofighter e Tornado, Rafale e Gripen e tutto ciò che potete fornire per salvare l'Ucraina!) Inoltre, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco la delegazione ucraina ha chiesto pubblicamente agli Stati Uniti e al Regno Unito bombe a grappolo e al fosforo, che sono fuori legge secondo il diritto internazionale ma, come gli ucraini hanno fatto sapere al mondo, sono stoccate in gran numero dai loro alleati occidentali. (La FAZ, sempre attenta a non confondere i suoi lettori, nel suo racconto ha definito le bombe a grappolo "controverse" piuttosto che illegali).


(Fine prima parte)