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sabato 25 luglio 2020

Intervista ad Hans Werner Sinn sul Recovery fund

Il grande economista tedesco Hans Werner Sinn, ormai in pensione, intervistato da Handelsblatt, ci spiega il suo punto di vista sul Recovery fund e la crisi economica post-coronavirus. Da Handelsblatt.de


Professor Sinn, quasi tutti i partecipanti e gli osservatori si sono dichiarati soddisfatti per l'esito del recente vertice UE e per l'accordo raggiunto sul Recovery Fund. Anche Lei?

Sì, lo sono. I Paesi particolarmente colpiti dall'epidemia, come l'Italia, meritano la solidarietà degli altri membri. E alla fine possiamo dire che i partecipanti al vertice UE hanno deciso all'unanimità in favore di un fondo per la ricostruzione. E questo è un bene, perché quando si tratta di decidere su tali trasferimenti, nessuno dovrebbe essere messo in minoranza. Ma mi sarebbe piaciuto ancora di più se ogni Paese avesse potuto decidere da solo quanto era necessario donare ai Paesi bisognosi dell'Unione Europea, come l'Italia ad esempio

Con il passare degli anni sta diventando forse piu' buono? Nel suo libro, ancora una volta si scaglia contro l'idea che gli aiuti per fronteggiare il coronavirus possano essere lo strumento per avviare un'unione di trasferimento nella quale i paesi del Nord diventano corresponsabili per i debiti degli Stati del Mediterraneo.

Trovo che gli aiuti in sé siano ragionevoli e giusti. Sono più preoccupato per i vari aspetti collaterali che invece non erano necessari, come l'emissione di debito comune e il finanziamento di questi debiti tramite la stampante della Banca Centrale Europea (BCE). La condivisione del debito porterà inevitabilmente i partecipanti a indebitarsi piu' di quanto altrimenti non avrebbero mai fatto, perché ritengono che questi debiti alla fine saranno a carico della collettività.

Non c'è un'idea ragionevole dietro l'emissione di debito comune? Grazie alla responsabilità condivisa sul debito, tutti i Paesi dell'UE potranno contrarre dei prestiti ad un tasso d'interesse molto basso per finanziare investimenti che porteranno a una crescita maggiore. Con la ricchezza supplementare generata, i debiti potranno essere ripagati con facilità.

La prego, sappiamo bene che questa è solo una pia illusione. Quella della crescita economica è una bella storia da raccontare in pubblico, ma niente di più. È vero che gli aiuti regionali dell'UE possono ridurre in qualche modo le differenze in termini di tenore di vita. Ma ci sono studi in materia che dimostrano che questi aiuti non migliorano le caratteristiche strutturali dell'economia locale. In ogni caso, i trasferimenti fanno in modo che nei paesi beneficiari si sviluppino artificialmente dei salari superiori rispetto a quelli che normalmente le aziende del settore manifatturiero potrebbero sostenere.


Secondo lei come dovrebbero essere ripagati i debiti fatti durante il periodo del coronavirus?

In nessun caso attraverso la stampante della BCE. La base monetaria, ossia la massa monetaria della banca centrale, era già cresciuta drammaticamente dopo la crisi finanziaria. Al momento ci troviamo in una trappola della liquidità a tasso zero. Il denaro invece di essere speso o prestato viene accumulato. Questo è il motivo per cui negli ultimi dieci anni, dall'inizio dell'eurocrisi, non abbiamo avuto inflazione e anche al momento non ce ne è traccia. Ma le cose un giorno potrebbero cambiare.

In che modo?

Quando l'epidemia sarà finita e l'ottimismo tornerà a diffondersi, potrebbe esserci una ripresa economica globale che spingerà i prezzi al rialzo. Il prezzo del petrolio potrebbe tornare a crescere e innescare una spirale salariale. Qualunque sia il motivo dell'aumento dei prezzi, quando arriverà, la BCE avrà difficoltà a tirare di nuovo le redini. Entro la fine di quest'anno avremo una base monetaria di oltre cinquemila miliardi di euro. Di questi 5 trilioni, almeno 4 sono superflui, perché ai tempi della crisi Lehman, quando le dimensioni dell'economia non erano inferiori ad oggi, era stato sufficiente poco meno di un trilione. Come intendono ritirararli? In pratica non accadrà, perché o si mettono le banche nei guai a causa del crollo del valore dei titoli di stato nei loro bilanci, oppure gli Stati si troveranno in difficoltà finanziarie.

Non solo la BCE, ma anche la Fed americana e la banca centrale giapponese stanno stampando moneta allo stesso modo. In nessuna delle aree economiche però abbiamo avuto inflazione.

Ancora una volta: la politica monetaria in una trappola della liquidità non è inflazionistica. L'inflazione arriva al di fuori della trappola della liquidità.

Quindi, secondo lei, in tutti i paesi in cui le banche centrali seguono un principio simile a quello dell'eurozona, gli Stati Uniti e il Giappone, si trovano in una trappola della liquidità?

Si', esatto.

Ma gli Stati Uniti, prima dello shock causato dal coronavirus, hanno avuto la più grande ripresa degli ultimi decenni, eppure non c'era stata alcuna inflazione di cui preoccuparsi.

Gli Stati Uniti infatti stavano uscendo dalla trappola della liquidità. L'inflazione aveva già ricominciato a salire nei mesi precedenti la crisi del coronavirus. Per questo motivo la Fed recentemente aveva anche cercato di ridurre la massa monetaria. Con il coronavirus, però, gli Stati Uniti si sono trovati di nuovo in una trappola della liquidità.

La trappola della liquidità di solito comporta l'accumulo di denaro. Come si concilia con il fatto che le quotazioni di borsa negli USA si stanno già avvicinando a dei nuovi livelli record?

Anche questo è il risultato di un eccesso di liquidità. Nella trappola della liquidità, i tassi d'interesse e i rendimenti da dividendo sono bassi e i prezzi elevati.

C'è stato davvero qualcosa fra le conseguenze economiche del coronavirus che come economista l'ha sorpresa?

Sì, stiamo assistendo a un nuovo tipo di crisi. Di solito si distingue tra shock della domanda e dell'offerta. La crisi causata dal coronavirus non è né l'una né l'altra.

Che cos'è allora?

Abbiamo a che fare con un divieto e un blocco delle transazioni economiche che non era mai accaduto prima. L'essenza di questa crisi è che lo Stato giustamente ha seguito i consigli degli epidemiologi e ha impedito alle persone di entrare nei negozi e nei ristoranti. Ha anche chiuso le frontiere. La gente voleva consumare e le imprese volevano rifornire i negozi, ma a causa dei divieti di contatto, la domanda e l'offerta non si potevano incontrare. Di conseguanza non aveva alcun senso prendere misure di stimolo lanciando un pacchetto di stimolo. Ora il blocco è finito e l'economia sta ripartendo da sola. Purtroppo, però, in Germania si è formata una mentalità del "Whatever-it-takes", e sulla scia del coronavirus ogni politico cerca di portare avanti il suo progetto politico preferito e spesso costoso.

Al contrario, il suo giudizio nei confronti dei pacchetti di salvataggio per le aziende è sorprendentemente positivo

È giusto salvare le aziende che hanno dei modelli di business validi e che si trovano nei guai solo a causa dell'epidemia.

E lei si fida dello Stato per fare questa distinzione?

No, lo Stato non può farlo e deve quindi accettare di poter salvare anche le aziende che non lo meritano. Nel frattempo, lo stato ha già fatto troppo ed è stato già troppo generoso. Tutto quel denaro sta facendo sì che molte aziende e molte imprese per un po' di tempo si riposino invece di lottare per andarsi a cercare dei nuovi clienti. La "pulizia generata dalla crisi" ipotizzata da Joseph Schumpeter, non sta accadendo

Ritiene che aiutare le aziende ritardi quel cambiamento strutturale che in Germania sarebbe effettivamente necessario?

Anche quello. Ma è difficile trovare il giusto equilibrio tra il "salviamo tutti" e il "non salviamo nessuno".

Herr Sinn, la ringrazio per l'intervista.





1 commento:

  1. Se lui è contento noi dobbiamo cominciare a preoccuparci 😅😅

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