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sabato 20 luglio 2024

Martin Sonneborn - La Crisi della Democrazia nell'UE: Analisi di un Decadimento Sistemico

La democrazia in Europa sta vivendo tempi difficili, e già vent’anni fa Ralf Dahrendorf lo aveva previsto. Oggi vediamo quanto avesse ragione, soprattutto guardando cosa sta succedendo nell’UE con la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Ne scrive sulla Berliner Zeitung il deputato europeo Martin Sonneborn,

crisie UE

Oltre 20 anni fa, il sociologo, commissario europeo e (in seguito) nobilitato Ralf Dahrendorf, all’epoca un importante esponente dell’idea di società e stato liberale, diagnosticò le “crisi della democrazia”.

L’apodittica natura di crisi viene messa al plurale per una buona ragione, poiché UNA crisi – come sappiamo da Lukács e altri – in realtà non è mai confinata all’area isolata alla quale si cerca di ridurla linguisticamente. Una vera crisi riguarda sempre – per logica del pensiero – la totalità di un sistema.

“La crisi attuale della democrazia è una crisi di controllo e di legittimità”, dice Dahrendorf. È iniziata l’era post-democratica – caratterizzata da una crisi degli stati nazionali (come condizione esistenziale della democrazia), una “popolazione fondamentalmente disinteressata e apatica”, una perdita di significato e di controllo dei parlamenti, causata dalla crescente concorrenza di organizzazioni non governative e think tank, aziende multinazionali e individui – in breve: una classe globale emergente. Questo comporta una perdita di trasparenza nel processo decisionale politico, che (necessariamente) porta a un “autoritarismo strisciante”.

Poco più di 20 anni dopo, una “piattaforma” politica delegittimata dalle ultime elezioni europee si riunisce per l’inaugurazione di una figura anti-democratica esposta a molteplici scandali, basata sull’ultimo elaborato di teste vuote strapagate del dipartimento PR del Parlamento europeo. “Democrazia in azione”, gridano 25 cartelloni blu di fronte alle porte del Parlamento europeo di Strasburgo, mentre nei retrobottega democraticamente oscuri dell’interno dell’edificio, il PPE, il più tossico di questi club politici, lavora per perpetuare il suo potere.

Il PPE governa a Bruxelles da ormai 25 anni. È un intero quarto di secolo, più a lungo di Stalin, Pol Pot e Mao Tse-tung – probabilmente anche più a lungo di tutti e tre insieme.

Contrariamente all’impressione creata con l’aiuto dei media, questo Partito Popolare Europeo non è affatto un partito, ma un'”associazione internazionale” di diritto belga. Un club! Cosa che degrada Manfred Weber, contabile di potere della CSU e presidente del PPE, dalla figura di spicco che vorrebbe stilizzare, al goffo presidente di club che è in realtà.

Manfred Weber e il suo carisma politico mancante ci hanno regalato i primi 5 anni di von der Leyen, perché se lui non fosse ciò che è, ma ciò che vorrebbe essere, von der Leyen avrebbe visto i centri di potere dell’UE solo in sogno. I capi di stato e di governo riuniti nel Consiglio avrebbero approvato Weber, che era comunque il candidato ufficiale del suo club politico, alla presidenza della Commissione nel 2019 senza molte storie.

Tuttavia, come noto, le cose sono andate diversamente – almeno in apparenza, perché l’interfaccia personale dell’esercizio continuo del potere dello stesso club gioca ormai un ruolo marginale – Weber, von der Leyen, qualche altro sconosciuto di cui nessuna persona ragionevole ha mai sentito parlare, non importa. Il riflettore pubblico può spostarsi da una figura all’altra senza che la struttura del potere cambi minimamente.

Ci sono molti aiutanti: dai socialdemocratici notoriamente pronti all’auto-degradazione ai liberali tradizionalmente intrecciati con i lobbisti, fino ai verdi devoti al potere e a selezionati rappresentanti dell’estrema destra politica.

L’intero progetto del PPE non è altro che una ben oliata macchina per organizzare la propria conservazione del potere, il che naturalmente include la cooperazione con chiunque e qualsiasi cosa possa procurare a questo club la maggioranza parlamentare formalmente richiesta.

Il PPE fa affari con chiunque – non diversamente dai tipi che mette al comando. La “cannonata di valori” von der Leyen mano nella mano con la neofascista italiana Giorgia Meloni in un abbinamento di colore albicocca, una vista di per sé di cattivo gusto in molti modi.

Mano nella mano con il banchiere greco-americano Mitsotakis, che per anni ha sorvegliato politici dell’opposizione, giornalisti e ONG con software spia israeliano. Mano nella mano con Alexander De Croo, noto in Belgio solo per il suo tentativo di trasformare il cosiddetto stato di diritto in un puro stato di sorveglianza – con riconoscimento facciale biometrico, archiviazione automatizzata dei dati e molte altre illegalità. La lista potrebbe continuare.

Martin Sonneborn
Martin Sonneborn

Quello che l’UE è diventata negli ultimi 25 anni – con Ursula von der Leyen come punto culminante e finale logico – è OPERA LORO e del loro club: l’americanizzazione, la NATOizzazione e la militarizzazione.

La stabilità del 25% della povertà sin dall’inizio della raccolta dati dell’UE, l’erosione delle classi medie e l’impoverimento dei poveri, la crescente disuguaglianza.

Oltre al disprezzo per i trattati, le istituzioni e la democrazia: auto-empowerment, violazioni aperte della legge e nepotismo, imbrogli nei retrobottega e corruzione aperta. A questo si aggiunge l’intransparenza e l’elusione organizzata della responsabilità democratica – accompagnata da una pedagogia coloniale e auto-importante che rasenta apertamente il disprezzo per i cittadini e la democrazia. Depressione, deindustrializzazione, distruzione della sostanza economica e sociale, deliberalizzazione del discorso sociale, svolta autoritaria con censura, controllo dell’informazione e sorveglianza, intrallazzi con corporation americane, think tank e interessi particolari.

Il disprezzo per le procedure obbligatorie dell’UE e le norme vincolanti, così come la chiara violazione dei principi di diritto europeo e internazionale.

Il declino delle infrastrutture materiali e intellettuali, dell’istruzione, della saggezza, della sanità, dei trasporti, della dialettica, dell’amministrazione, del futuro digitale.

Arroganza non giustificata da nulla, errori politici, costante iper-regolamentazione. L’irrilevanza geostrategica. Svuotamento e decadimento di tutti i valori dichiarati.

Senza dubbio, chiunque si chieda ancora qualcosa del genere deve al PPE i più disastrosi sviluppi negativi di tutta la sua vita (politica). E come, bisogna davvero chiedersi, potrebbe mai cambiare qualcosa in questa UE, magari in meglio, se là governa sempre lo stesso club?

70 anni dopo l’inizio del progetto europeo, tutte le speranze di una RIPRESA – verso tempi migliori, più giusti, democratici, trasparenti, rivolti ai cittadini, orientati al bene comune e pacifici – sono completamente svanite.

A tutte le forze politiche nel Parlamento europeo che si mascherano da “(pro-)europei” e “democratici” non basta più mantenere la disumanità e l’inintelligenza del sistema che hanno creato. Indifferenti, passano da un estremismo all’altro: guerra, indebitamento e sorveglianza devono essere la musica d’accompagnamento concertata (da una Commissione europea moralmente appena legittimata da von der Leyen) per un piatto disgustoso, a sua volta composto dall’implosione ordinata e dalla distruzione controllata di tutte le fondamenta integrali delle strutture sociali civilizzate.

Dopo la svolta linguistica e iconica, che portarono il dominio della parola e poi dell’immagine, agli europei ora tocca la svolta totalitaria, la svolta autoritaria militaristica.

Il pilastro ideologico di questa nuova Europa è questo: la somma di tutte queste svolte che provocano nausea, posizionata come un’arma d’assalto brutalista, a cui i soldati del parlamento (e le trombe mediatiche) assegnano routinariamente il loro contrario semantico – pace, libertà, democrazia – Orwell oblige – insieme al più grande NIENTE esistenziale che questa classe globale postdemocratica, si potrebbe dire postpolitica, abbia mai prodotto, e che è così assoluto, onnicomprensivo e insostituibile da aver portato una volta all’esistenzialismo e oggi a una presidente della Commissione come von der Leyen. Il nulla filosofico ed etico rappresentato da lei ha superato il suo punto di svolta (anti)democratico non solo raggiungendolo, ma superandolo a grandi passi.

Ursula von der Leyen

Von der Leyen e il PPE. La frase e il nulla.

L’arroganza auto-compiaciuta con cui entrambi si pongono al di sopra di tutto ciò che potrebbe anche solo vagamente ricordare la democrazia – o l’Unione Europea come era stata concepita – non conosce più limiti.

A causa dello scandaloso affare dei consulenti che ha lasciato in Germania, la signora von der Leyen non avrebbe dovuto essere nominata presidente della Commissione europea cinque anni fa. Già allora non soddisfaceva i severi requisiti di comportamento conforme alle regole e integrità morale richiesti ai potenziali membri della Commissione. Già allora gli osservatori riuscivano a immaginarla come “la migliore” tra (all’epoca) 500 milioni di cittadini dell’UE solo sotto l’effetto di droghe. Cinque anni, numerose violazioni delle regole, infrazioni contrattuali e scandalosi affari dopo, questo è più inimmaginabile che mai.

I criteri di Dahrendorf per un esercizio legittimo del potere sono messi alla prova più dura per quanto riguarda questa UE deformata dal PPE e da von der Leyen: la possibilità di un cambiamento non violento, il controllo totale su chi esercita il potere e una vera partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere sono inesistenti in QUESTA UE. L’inquietudine rassegnata della popolazione nei confronti di questa struttura di potere mascherata da “politica” è il risultato dell’ulteriore distacco tra sovrastruttura politica e società civile. Vediamo, per dirla con Hegel, lo (inarrestabile) decadimento della moralità democratica.

Von der Leyen è la figura di prua e l’espressione personale del decadimento (morale) della democrazia, l’immagine caricaturale dello stato dell’UE, la personificazione della crisi postdemocratica. Ciò che Dahrendorf descrisse 20 anni fa può essere facilmente visto oggi nell’UE – e in von der Leyen. Nessuno potrebbe incarnare meglio lo stato di crisi sistemica del politico – la democrazia de-democratizzata – di von der Leyen, è la scelta postdemocratica perfetta. E – non solo in questo senso – è adatta al suo ruolo quanto Joe Biden lo è al suo.

Il decadimento dell’ordine esterno va inevitabilmente di pari passo con il decadimento dell’ordine interno. “Quando la classe dirigente ha perso il consenso, cioè non è più ‘dirigente’ ma solo ‘dominante'”, la crisi consiste “proprio nel fatto che il Vecchio muore, e il Nuovo non può nascere”, scrive Gramsci sull’interregno, questo stato di tempo politico intermedio che genera le manifestazioni più abnormi di malattia. È il tempo dei mostri.

Non sorprende più nessuna persona ragionevole che la forza visionaria di coloro che guidano l’UE in questo interregno corrisponda a quella di coloro per cui è fatta. Questo è, questo sarà – il tempo dei mostri e degli idioti.

E ora tutti in piscina!

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