La Commissione Europea sta pianificando l’introduzione di dazi sulle auto elettriche provenienti dalla Cina. Questo dimostra quanto male i politici comprendano l’economia. Ma la Cina è davvero una minaccia per il libero scambio? Vediamolo nel dettaglio. Ne scrive Heiner Flassbeck
Il Problema: Una Scorretta Comprensione dell’Economia
In questi giorni possiamo osservare chiaramente come una scorretta comprensione dei processi economici possa portare a enormi conflitti politici. I dazi che l’Europa, guidata dalla Commissione Europea e dalla sua presidente Ursula von der Leyen, intende imporre sulle auto elettriche cinesi dimostrano ancora una volta quanto la politica moderna stia causando danni, poiché i politici non capiscono minimamente i sistemi economici su cui intervengono.
Non solo in Europa, ma ovunque, si dipingono pericoli per il commercio globale legati alla Cina. Dietro a questa percezione vi è senza dubbio la dottrina dei neoconservatori americani, decisi a impedire con ogni mezzo che la Cina minacci la loro egemonia. Ma la paura della “minaccia cinese” non sarebbe credibile senza il sospetto di una minaccia economica. Tuttavia, questa minaccia è basata su un malinteso.
Il Mito del Libero Scambio
La Cina non è la minaccia definitiva per il “libero scambio” semplicemente perché il libero scambio, che tutti credono di dover difendere, in realtà non esiste. Il concetto di libero scambio suona bene, anche se quasi nessuno sa cosa significhi davvero.
Ad esempio, la Zeit qualche anno fa scrisse:
“L’idea del libero scambio è che ogni paese si specializzi nella produzione dei beni che può produrre al minor costo. L’eccedenza può essere esportata, e il ricavato utilizzato per importare altri beni… La Cina, per esempio, dovrebbe produrre beni che richiedono molta manodopera, come l’abbigliamento, poiché in Asia il lavoro è relativamente economico. L’Europa, dove i salari sono più alti, dovrebbe produrre beni che richiedono grandi impianti produttivi.”
Questa affermazione descrive il nucleo della teoria tradizionale del commercio, ma, come spiego nel mio nuovo libro, è un errore fondamentale. Il dogma del libero scambio, secondo cui i paesi in via di sviluppo dovrebbero concentrarsi sulla produzione di beni a bassa intensità di lavoro, non ha alcuna giustificazione. Viene spesso usato come pretesto per il protezionismo, impedendo ai paesi emergenti – con l’eccezione di Cina e pochi altri paesi asiatici – di crescere rapidamente e con successo.
La Realtà del Commercio con la Cina
In Asia e in Cina, da decenni si producono la maggior parte dei beni tessili venduti a livello globale, ma non attraverso metodi intensivi di lavoro, bensì con le tecnologie più moderne provenienti dall’Occidente. Tuttavia, gli economisti, intrappolati nella loro visione limitata, cercano ancora di salvare dogmi commerciali che non sono mai stati in linea con la realtà dell’economia globalizzata.
La teoria neoclassica del commercio internazionale, ancora dominante tra economisti e politici, presume che gli investimenti dei produttori dei paesi ad alto salario (con alta produttività) nei paesi con bassa produttività e salari bassi siano guidati dai prezzi relativi di lavoro e capitale.
Il Paradosso dei Profitti e della Teoria del Commercio
Si suppone che un produttore occidentale, trasferendo la produzione in Cina, adatti la propria tecnologia per sfruttare il basso costo del lavoro locale. Tuttavia, questa visione ignora il fatto che le aziende, utilizzando tecnologie moderne, possono mantenere alta produttività anche in paesi a basso salario, senza rinunciare ai profitti.
In passato, erano prevalentemente le aziende occidentali a sfruttare i vantaggi assoluti della Cina. Circa il 60-70% delle esportazioni cinesi erano generate da filiali di aziende occidentali. Ora, con l’ascesa delle aziende cinesi che sfruttano le stesse tecnologie avanzate, i politici occidentali gridano all’ingiustizia, attribuendo la competitività cinese a sussidi statali.
Una Conclusione Inevitabile
Tutto ciò ci porta a una sola conclusione: l’intera idea del libero scambio è superata. Anche se il commercio fosse libero, non potremmo dire se sia efficiente. L’idea che la libertà nel commercio si traduca automaticamente in efficienza non ha nulla a che fare con la realtà.
Abbiamo bisogno di un nuovo sistema commerciale internazionale, basato sulle condizioni reali e non su una finzione neoclassica. Non si tratta solo di distorsioni dovute agli interventi statali, ma di capire cosa significhi davvero concorrenza nel mondo reale, considerando anche le distorsioni causate dal sistema finanziario globale o dalle strategie di sottovalutazione del cambio, come nel caso della Germania.
Conclusioni Finali
Non sarà facile, ma è necessario. Un paese che si difende dalle importazioni provenienti da paesi con salari bassi e alti profitti monopolistici non può essere condannato a priori. Tuttavia, impedire ai paesi in via di sviluppo di crescere attraverso vantaggi assoluti è controproducente.
Infine, chi accoglie favorevolmente i benefici delle importazioni a basso costo dalle aziende occidentali in Cina, ma impone dazi quando sono le aziende cinesi a trarne vantaggio, si dimostra un nazionalista ipocrita.
L’adozione di strategie commerciali nazionalistiche, come proposto da alcuni, potrebbe portare a conflitti commerciali globali, in cui alla fine tutti perderebbero, soprattutto paesi come la Germania, che hanno tratto enormi benefici dal commercio globale.
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