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mercoledì 27 marzo 2019

"Anche Karl Marx era solo un vecchio uomo bianco"

"Persino a Karl Marx, in quanto vecchio uomo bianco, oggi verrebbe negato il diritto di esprimere la propria opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia uno come Marx dell'oppressione?" scrive Michael Bröning della fondazione Friedrich Ebert (vicina alla SPD) su Die Zeit, facendo riferimento alle banalità politiche tipiche della sinistra tedesca di questi anni. Una riflessione molto interessante di Michael Bröning su Die Zeit


Si tratta solo di un fraintendimento? Tutta questa critica alle aberrazioni di politica identitaria in una parte della sinistra che sempre più spesso deve lottare per la sopravvivenza? "Non si può incolpare la politica dell'identità per la crisi", spiegano Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch su DIE ZEIT il 14 marzo 2019. La politica della sinistra era politica dell'identità anche nel diciannovesimo secolo – solo che allora era in nome della classe operaia. Chiunque neghi questo "orientamento di base dato alla domanda di identità", oggi soffre di amnesia storica. A soffrire di percezione selettiva tuttavia non sono gli scettici della politica dell'identità, ma Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch. La loro definizione di politica dell'identità ha poco o nulla a che fare con il suo orientamento liberale attuale. 


Senza dubbio anche il movimento operaio del diciannovesimo secolo faceva riferimento alle questioni dell’identità. I sindacati, i circoli di lettura, i giornali proletari, naturalmente avevano tutti una dimensione identitaria di classe. Alla fine, tutto è personale quando si tratta di persone. E le persone che si uniscono gettano le basi per una coscienza comune. "La costruzione della classe come identità", di cui parlano Mueller-Stahl e Pausch, non è affatto controversa. Ma non può essere la prova di una presunta tradizione del movimento operaio, piuttosto della diffusione dell'approccio politico-identitario.


Se in un modo o nell’altro tutto può essere considerato politica dell’identità, alla fine solo una cosa sarà completa: la confusione. Già oggi i suprematisti bianchi usano la politica dell'identità per affrontare la necessità di proteggere la "cultura bianca". Ma se anche i populisti di destra sono arrivati a chiedere spazi sicuri e luoghi dove non è consentita alcuna discriminazione, qualcosa è andato storto. 





"Reaganomics per la sinistra" 

La forma dominante di politica dell'identità liberale oggi non può essere considerata un legittimo successore, ma esattamente il contrario degli sforzi storici di emancipazione del movimento operaio. La loro grande attenzione per il riconoscimento di identità di gruppo sempre più piccole, costruite sulla base di aspetti etnici, sessuali, sociali o culturali non ha nulla a che fare con la solidarietà e lo spirito pubblico, ma con la soggettività e l'esclusione. Invece di avanzare richieste universalistiche per un accesso senza barriere all’istruzione, alla sanità, al benessere e alla partecipazione, ci si occupa di diritti speciali. Il risultato è una competizione a somma zero per le posizioni più redditizie nella gerarchia sacrificale della società. Alla fine di questa balcanizzazione non c’è l'azione comune, ma solo un risentimento rabbioso compatibile con lo status quo. 



Questo lo si può osservare in alcune parti della sinistra americana e nel milieau accademico di molti progressisti europei. Qui l'ossessione politico-identitaria non equivale all'empowerment, ma all'auto-esautorazione della sinistra. Certo, questo vale ancora di piu’ più se si combina con il disprezzo morale per il loro ambiente elettorale tradizionale popolato da guidatori di automobili, e carnivori che amano festeggiare il carnevale. 

"La politica delle identità", scrive Mark Lilla, professore alla Columbia University è una "Reagonomics per la sinistra". Poiché è compatibile con i dogmi di un neoliberismo polarizzante, l'ingiustizia economica si trasforma in una contraddizione secondaria, parte di una discriminazione presumibilmente più fondamentale, neutralizzata grazie a delle piroette di simbolismo progressista e ad un certo "atteggiamento". Una tale sinistra è molto preoccupata per le offese emotive derivanti dalle micro-aggressioni, ma ha solo un sensore selettivo per la progressiva scomparsa della democrazia all’interno della società, per la crescente disuguaglianza economica e per le ginocchia rotte di un piastrellista nell'anello esterno della S-Bahn. 

Al centro non c’è necessariamente l'ideale di uguaglianza civica, ma quello dell’eccezione. Invece di promuovere la comunità, le persone vengono ordinate in cassetti separati. In questo modo i conflitti economici si trasformano sempre più in lotte culturali. Le discussioni sull'identità del resto non possono essere risolte attraverso dei compromessi – senza considerate che, data la fluidità delle identità, è difficile concepire delle coalizioni durature. 

Nella lotta di sinistra sono necessarie delle ampie alleanze 

In tempi in cui l'assimilazione culturale è considerata una usurpazione, la partecipazione ai dibattiti politici è riservata esclusivamente alle persone coinvolte in maniera diretta. "Io come ..." così iniziano i contributi al dibattito considerati appena ammissibili. Persino a Karl Marx oggi, in quanto vecchio uomo bianco, verrebbe negato il diritto di esprimere la sua opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia Marx dell'oppressione

Poiché l'attenzione si focalizza sulle auto-percezioni, la realtà politica concreta diventa sfocata. Invece di confrontarsi con la disuguaglianza globale, una parte del milieau accademico guarda verso l’interno per esplorare il nucleo delle idee e dei concetti. Ciò è sicuramente legittimo, ma è l'esatto opposto dell'ambizione con cui il movimento operaio si batteva per l'emancipazione delle classi svantaggiate. Karl Marx, Friedrich Engels e l'Associazione Generale dei Lavoratori tedeschi non si occupavano del riconoscimento e della continuazione delle differenze esistenti, ma del loro superamento. L'obiettivo non erano i privilegi, ma l'uguaglianza. 

Martin Luther King nel 1963 formulava un sogno e si augurava che i suoi quattro figli un giorno potessero vivere in un mondo "nel quale non sono giudicati per il colore della loro pelle ma per la natura del loro carattere". In gran parte dei circoli ispirati dal tema dell’identità politica, questo sogno oggi probabilmente verrebbe registrato come una micro-aggressione. Dopotutto l'origine e il colore della pelle non dovrebbero essere superati, ma essere invece enfatizzati come unici punti di riferimento decisivi. Non dovremmo superare la visione universalista di Martin Luther King con tanta facilità. Anche il candidato alla presidenza democratica Bernie Sanders, in occasione dell'annuncio della sua ricandidatura, ha fatto riferimento all’attualità del messaggio di "I have a dream". 

È altrettanto chiaro: nulla sarebbe più sbagliato che riportare la politica ai presumibilmente buoni e vecchi tempi in cui a dominare era l’uomo bianco, eterosessuale. La lotta contro la discriminazione e l'emancipazione deve essere sempre lasciata alla sinistra - e qui sono necessarie ampie alleanze. Ma deve essere guidata da una visione complessiva e senza il paraocchi della divisione. Una sinistra che lo dimentica, fa un assist alla destra radicale. L'ex capo-stratega di Donald Trump, Steve Bannon, ritiene che la politica identitaria di sinistra per lui sia un grande regalo. "Più parlano di politica dell'identità", diceva Bannon, "prima li riacciuffo”. Voglio che parlino di razzismo ogni giorno. “Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità, possiamo schiacciarli". È ora di smetterla di fare a Steve Bannon questo favore.   





lunedì 26 novembre 2018

Arbeit muss sich lohnen

Mentre in Italia si parla del reddito di cittadinanza, la politica tedesca vorrebbe superare Hartz IV aumentando i sussidi ed eliminando le odiatissime sanzioni. Ora anche gli economisti finalmente ci spiegano quello che l'uomo della strada sa da sempre: tra lo stare a casa a prendere il sussidio facendo finta di cercare un impiego e lo svolgere uno dei tanti lavori malpagati o pagati al salario minimo (8.84 euro lordi l'ora), la differenza in termini di retribuzione non è poi cosi' grande. "Arbeit muss sich lohnen" significa che fino a quando non si aumenteranno i salari più bassi, mettendo in crisi interi settori dell'economia tedesca fondati sul lavoro a bassa retribuzione, sarà difficile andare oltre l'attuale Hartz IV. Ne parla su Die Zeit Marcel Fratzscher, economista e direttore del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung di Berlino.


Hartz IV per molti è un drappo rosso. E negli ultimi tempi la discussione su come sostituire o superare Hartz IV si è riaccesa. Queste riforme spesso vengono considerate la causa dell'aumento della povertà, della crescita della disuguaglianza e della polarizzazione sociale. Hartz IV spesso viene usato come capro espiatorio per problemi la cui responsabilità risiede altrove. Invece di concentrarsi sul dibattito intorno ad Hartz IV, la politica dovrebbe riflettere su cosa fare affinché per molte persone torni ad essere conveniente andare a lavoro, e allo stesso tempo su come in questi anni di vacche grasse sia ancora possibile rendere i sistemi sociali a prova di futuro.

Il segretario dei Verdi Robert Habeck vorrebbe superare Hartz IV introducendo un sistema di garanzia con dei sussidi più elevati e senza sanzioni. Il segretario generale della SPD Lars Klingbeil propone un sussidio di disoccupazione Q, nel quale i disoccupati ricevono dei sussidi di disoccupazione fintanto che si trovano in un percorso di formazione e qualifica.

Con tali proposte lo stato sociale si mostrerebbe più generoso verso i disoccupati. Molto di cio' è certamente vero, specialmente l'abolizione delle sanzioni. Si deve rimettere al centro del sistema sociale il principio del sostegno, e non più quello della punizione. Abbiamo bisogno di un cambio di mentalità per riuscire a capire che le persone che oggi non lavorano non lo fanno per pigrizia, ma perché sono costrette da ragioni di salute, oppure per mancanza di qualifiche o perché non trovano un lavoro adatto alle loro competenze.

Una riforma intelligente dei sistemi di assistenza sociale non deve limitarsi alla riforma di Hartz IV. Sarebbe pericoloso e, nel peggiore dei casi, controproducente. Molte delle persone che oggi in Germania sono minacciate dalla povertà vivono in un nucleo familiare dove si lavora, ma in cui il reddito è insufficiente. Il settore a bassa retribuzione in Germania  negli ultimi 20 anni è cresciuto costantemente: oggi il 20 % di tutti i dipendenti lavora per un basso salario o si trova in un rapporto di lavoro precario o atipico. Soprattutto le donne, i genitori single, le persone con un background migratorio e gli anziani sono particolarmente a rischio povertà.

Anche con un lavoro a tempo pieno retribuito al salario minimo svolto per oltre 40 anni, quando il lavoratore andrà in pensione avrà comunque bisogno del sostegno dello stato. Quasi due milioni di lavoratori aventi diritto al salario minimo, in realtà non lo ricevono nemmeno perché i datori di lavoro riescono ad eludere il  minimo salariale di legge.

Molte persone in Germania lavorano solo part-time - non necessariamente perché vogliono farlo, ma perché ad esempio è quanto gli chiede di fare il datore di lavoro, oppure perché a causa della mancanza di servizi per l'infanzia non possono lavorare full-time, oppure perché per i minijob, i midijob o per via di un sistema fiscale e dei trasferimenti disfunzionale, alle persone con un reddito basso viene tolta una larga parte di quello che guadagnano.

Una riforma intelligente dei sistemi sociali dovrebbe quindi consistere di tre elementi: un miglioramento della sicurezza di base; un lavoro pagato meglio che valga la pena di essere svolto; e un rafforzamento dei sistemi sociali per renderli più sostenibili. Qualsiasi riforma del sistema della sicurezza di base sarà controproducente se renderà il lavoro sempre meno conveniente. Ancora oggi, chi lavora per un salario minimo riceve solo poco di più di quello che prenderebbe se fosse disoccupato. La stragrande maggioranza delle persone continua a lavorare perché il lavoro per loro ha un valore in sé, o perché magari trovano gratificante far parte di un team e ottenere un riconoscimento per quello che fanno. C'è il grande rischio, infatti, che molte persone possano considerare un miglioramento della sicurezza di base come una forma di svalutazione del proprio lavoro.

In altre parole, il lavoro deve essere ricompensato. Ciò richiede non solo che il settore dei bassi salari si riduca in maniera significativa, ma anche che le persone abbiano a disposizione delle opportunità di carriera migliori. Molti politici la fanno troppo facile quando pensano che un salario minimo più alto possa essere l'unica soluzione. Se si gira troppo la ruota del salario minimo, al prossimo rallentamento dell'economia un certo numero di persone finirà disoccupato. Ciò non significa tuttavia che il salario minimo sia uno strumento spuntato. Ma in aggiunta a ciò c'è una percentuale molto più alta di persone occupate nel settore dei bassi salari che deve essere garantita tramite contratti collettivi di categoria. A ciò si aggiunge la liberalizzazione di molti settori dei servizi, che servirebbe ad aumentare la concorrenza, l'efficienza e, in ultima analisi, i salari.

Altrettanto importante sarebbe un'offensiva nella formazione, perché troppi beneficiari di Hartz IV e troppi lavoratori a basso reddito non hanno qualifiche sufficienti o non ne hanno affatto. A tal fine i centri per l'impiego dovrebbero essere ridisegnati e diventare delle agenzie che si occupano dell'assistenza attiva e del supporto alle persone in stato di bisogno. Anche un mercato del lavoro come quello del modello del reddito sociale di base proposto a Berlino, che in definitiva darebbe a ogni disoccupato il diritto a lavorare e quindi la possibilità di accedere al mercato del lavoro privato, è una delle soluzioni possibili.

Per la politica è facile promettere grandi benefici sociali in questi tempi di vacche grasse. I forzieri sono ancora pieni. Ma deve essere chiaro a tutti che con il cambiamento demografico e la normalizzazione economica, le prestazioni dello stato sociale tedesco nei prossimi due decenni diminuiranno drasticamente. Ciò significa che per la politica sarà ancora più importante concentrarsi sul mercato del lavoro e sul modo in cui sempre più persone possano trovare lavoro a condizioni e salari migliori, e quindi alla fine, poter assumere una maggiore responsabilità per la propria vita. Il duplice obiettivo di un aumento delle pensioni e della spesa sociale oggi è facile da promettere, ma non potrà essere mantenuto nel lungo termine.

La politica deve dare alla riforma della sicurezza sociale un'elevata priorità. Allo stesso modo non dovrà esservi una politica del capro espiatorio che incolpa erroneamente Hartz IV dei problemi sociali e della eccessiva polarizzazione in Germania. I problemi - e con essi le soluzioni - si trovano altrove.



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mercoledì 7 novembre 2018

Gustav Horn su die Zeit: cosa si deve fare per disinnescare il ricatto italiano

Sulla stampa tedesca è arrivato il tempo delle colombe, dopo quello dei soliti avvoltoi, e Gustav Horn su Die Zeit prova a spiegare ai tedeschi un modo semplice per fermare il "ricatto italiano": autorizzare la BCE ad acquistare titoli di stato italiani quando lo spread supera una soglia di allarme, a patto che le partite correnti italiane restino in territorio positivo. In questo modo il debito pubblico sarebbe una questione tutta italiana e il governo di Roma non avrebbe piu' a disposizioni le solite armi per ricattare Bruxelles e Berlino. Gustav Horn su Die Zeit


Gustav A. Horn dirige l'Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung della Fondazione Hans Böckler, fondazione vicina al sindacato. È membro della SPD e membro consultivo della Commissione di base del partito.

La miccia sta bruciando, ma quale sarà il suo percorso verso la polveriera non è ancora chiaro. Per questo spegnerla è ancora piu' difficile. Il rischio più grande è che presto ci si possa trovare davanti alle macerie dell'edificio europeo perché si è cercato di salvarlo agendo sui punti sbagliati.

Il punto sbagliato è proprio il tanto discusso bilancio pubblico italiano. Il deficit al 2,4% del prodotto interno lordo (PIL) previsto dal governo italiano è una violazione delle promesse fatte dai precedenti governi e rappresenta quindi un'erosione della fiducia. Di per sé questo valore tuttavia non è un disastro economico. In uno scenario realistico caratterizzato da uno sviluppo economico ragionevolmente immutato e da un lento aumento del tasso di inflazione, il rapporto debito/PIL italiano, anche con questo valore, continuerebbe a scendere. A ciò si aggiunge che l'Italia ha un surplus commerciale con l'estero. Non si tratta quindi di una combinazione esplosiva fra un rapporto debito/PIL in crescita e un aumento del debito estero, che fra l'altro sui mercati finanziari internazionali ha spinto la Grecia verso l'abisso. L'Italia, al contrario, si è indebitata con i propri cittadini e le proprie imprese, e sono proprio loro che alla fine dovranno convivere con le conseguenze.

Al momento non è nemmeno chiaro se questo maggior deficit in futuro non finirà per restringere significativamente il margine di manovra fiscale. L'introduzione di un reddito di base, data la totale inadeguatezza del sistema di protezione sociale italiano, potrebbe rivelarsi una benedizione. A beneficiare dell'aumento di spesa e del relativo aumento dei consumi sarebbe l'andamento della congiuntura economica generale e ciò potrebbe contribuire a far rientrare molte più persone nel mercato del lavoro. Il resto delle spese aggiuntive, tuttavia, è alquanto discutibile e piu' che altro sembrerebbe orientato a servire la propria clientela elettorale. Dal lato dei tagli fiscali non ci sono benefici economici significativi che ci si possano attendere. In ogni caso contribuiranno ad aumentare ulteriormente l'onere debitorio, già estremamente elevato a causa dell'eredità del passato.

Tutto sommato questo approccio del governo italiano, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe causare un po' di rabbia a livello europeo, ma non dovrebbe essere sufficiente per far scattare scenari catastrofici. I mercati finanziari possono restare tranquilli. Ma non lo sono - a ragione.

La ragione non risiede tanto nella discutibile logica economica delle proposte, ma nella loro controversa intenzione politica. Alla fine la coalizione di governo italiana, alla luce degli orientamenti politici totalmente diversi, è unita da un solo elemento: dalla lotta a un presunto establishment a Roma, Berlino, Bruxelles e altrove ostile ai veri interessi del popolo. Questa è la sostanza di cui sono fatti i governi populisti di questo periodo. La loro forza motrice arriva dalla paura dell'immigrazione sulla quale vengono proiettate tutte le preoccupazioni culturali ed economiche di questa società globalizzata, e dalla convinzione che i populisti sono gli unici che possono rappresentare il popolo di fronte a questo progetto di globalizzazione guidato dalle élite. Tutto ciò è una mezza verità o forse è completamente falso, in ogni caso ipocrita, ma politicamente efficace.

Questa miscela non promette nulla di buono per l'Europa. Perché è lecito aspettarsi che il governo italiano non farà nulla per calmare i mercati. Al contrario, è nel loro interesse farli andare nel panico con delle provocazioni retoriche sempre più violente. Solo allora gli altri membri dell'unione monetaria, o per l'aumento dei tassi di interesse o per l'incertezza dilagante sulla coesione dell'unione monetaria, saranno colpiti dalla politica di deficit del governo italiano e quindi saranno obbligati a confrontarsi con il governo di Roma e con le sue richieste radicali, ad esempio, in materia di immigrazione.

Si sta presentando la vendetta per non aver voluto introdurre nell'unione monetaria dei cosiddetti "safe assets". Ogni area valutaria funzionante dispone di simili forme di investimento sicure, di solito titoli di stato, che vengono difesi dalla rispettiva banca centrale con tutti i mezzi a disposizione. Un investimento sicuro all'interno dell'area dell'euro renderebbe impossibile ogni forma di ricatto attraverso i mercati finanziari.

Nell'area dell'euro attualmente non vi sono investimenti sicuri, per questo gli italiani possono mettere in campo la loro strategia. Il governo tedesco e gli altri stati membri si trovano di fronte ad una spiacevole scelta: fare delle concessioni di vasta portata all'Italia su molte questioni politiche, oppure rischiare il collasso dell'unione monetaria.

Ma c'è un altro modo per aggirare questo dilemma. I ministri delle finanze potrebbero, almeno temporaneamente, autorizzare la Banca centrale europea (BCE) ad orientare il suo programma di acquisto titoli sui singoli paesi, e cioè sulla base dello spread dei tassi di interesse. In altre parole, la BCE acquisterebbe sul mercato soprattutto titoli di stato per i quali il premio al rischio è elevato, e che quindi vengono considerati rischiosi dai mercati finanziari. Questo tipo di acquisti tuttavia dovrebbe essere subordinato al fatto che la bilancia commerciale esterna del paese non sia in deficit. Con questo approccio, o semplicemente con il suo annuncio, sarebbe possibile evitare un aumento dei tassi d'interesse in grado di mettere a repentaglio l'intera unione monetaria. L'obiezione attesa, e cioè che in questo modo stiamo dando all'Italia una licenza per fare piu' debito, è giusta solo a metà. Certo, l'Italia ora potrà continuare a indebitarsi senza dover temere i mercati finanziari. Ma a causa della condizionalità relativa al saldo commerciale estero, l'indebitamento potrebbe avvenire solo a livello nazionale, quindi all'interno del paese. Le conseguenze del maggiore indebitamento verrebbero infatti sopportate solo dagli italiani, e il ricatto verso gli altri paesi sarebbe inefficace.

Questo passo richiederebbe indubbiamente molto coraggio politico ed economico. Ma sarebbe un passo con il quale forse faremmo ancora in tempo a staccare la miccia dalla polveriera europea.

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domenica 4 novembre 2018

L'uomo di BlackRock verso la Cancelleria di Berlino

La stampa liberal-conservatrice ha già iniziato a pomparne la candidatura al vertice della CDU, i sondaggi lo danno davanti agli altri contendenti, l'endorsement di Schäuble è già arrivato, ma chi è Friedrich Merz? Potrebbe sembrare il wet dream di ogni complottista, ma invece è tutto vero: l'UE traballa, la moneta unica viene messa in discussione, in Germania è scoppiato il piu' grande scandalo fiscale di tutti i tempi con molte grandi banche coinvolte, ma il prossimo Cancelliere tedesco potrebbe essere proprio un uomo di BlackRock, vale a dire il piu' grande gestore di risparmio del mondo, con decine di miliardi di euro investiti nei paesi periferici della zona euro. Ne parla un ottimo Zacharakis su Die Zeit


Se in Germania per strada chiedi a dieci persone se conoscono la società Blackrock, non saranno molti a rispondere di sì. Ma la società di gestione dei fondi è profondamente radicata nell'economia tedesca. Così profondamente da preoccupare alcuni esperti. Blackrock non ha proprio la reputazione migliore. E questo potrebbe diventare un problema per l'uomo che per diversi anni ha rappresentato questa società in Germania: Friedrich Merz.

Merz si è candidato alla segreteria della CDU in vista del prossimo congresso di dicembre, lo ha confermato ufficialmente martedì. La sua elezione sarebbe uno spettacolare ritorno in politica del leader del gruppo parlamentare della CDU, dopo che Merz quasi dieci anni fa aveva lasciato il Bundestag ed era uscito dalla politica. Nel frattempo l'avvocato d'affari ha lavorato come consulente presso lo studio legale Mayer Brown LLP, dove ha assistito molte società in attività di fusione e acquisizione. Ed è stato in vari consigli di sorveglianza di aziende tedesche. Dall'inizio del 2016, Merz è anche presidente del consiglio di sorveglianza di Blackrock, il più grande gestore patrimoniale al mondo.

Blackrock è una società che con i suoi fondi raccoglie il denaro dei clienti in tutto il mondo e investe principalmente in azioni - con l'obiettivo di far crescere il capitale quanto più possibile. Secondo dati recenti, la società di gestione attualmente ha un volume di investimenti di oltre 6,3 trilioni di dollari. Una somma incredibile, quasi il doppio rispetto al PIL tedesco (3,7 trilioni di dollari).

Non è esecrabile di per sé il fatto che i manager aziendali possano passare alla politica. Persino le organizzazioni come Lobbycontrol considerano un simile passo molto meno critico rispetto a quello nella direzione opposta, cioè dalla politica al business. Un esempio negativo di un tale cambio è quello dell'ex sottosegretario alla Cancelleria e politico della CDU Ronald Pofalla: nel 2015 è passato a Deutsche Bahn e dopo un breve periodo di attesa è entrato nel consiglio di amministrazione per occuparsi dei contatti politici dell'azienda. I legami personali con la politica dopo un tale passaggio sono ancora freschi, e non è difficile avere accesso diretto alle figure chiave del governo e del parlamento.

Critica della vigilanza sulla concorrenza

Per Merz, tuttavia, potrebbero esserci altre circostanze a pesare sulla sua possibilità di arrivare alla presidenza della CDU. Gli economisti accusano la statunitense Blackrock di avere un'influenza troppo forte sull'economia tedesca. Da qualche tempo la società nei suoi fondi detiene consistenti pacchetti azionari di tutte le 30 società tedesche presenti nel listino Dax. Nel caso di Post, Allianz e Bayer, ad esempio, Blackrock recentemente ha raggiunto una partecipazione di oltre il 7%, e sul Dax complessivo un totale del 4,5 %. E' stato segnalato piu' volte che la direzione del gruppo da New York interferisce attivamente nelle decisioni dei dirigenti tedeschi.

Gli esperti in materia di concorrenza la vedono in maniera alquanto critica: "un azionista con interessi multipli in un settore è interessato al bene dell'intero settore e non necessariamente al successo della singola azienda", ha detto a Wirtschaftswoche Achim Wambach, presidente della Commissione per i monopoli. Se l'influenza sulle aziende dovesse aumentare, come annunciato da Blackrock, ciò finirà per danneggiare la concorrenza. La Commissione europea ha già preso in considerazione questi importanti temi dal punto di vista sistemico e intende agire.

Un'azienda controversa, dunque. E per la quale Merz ha rivestito un ruolo importante. Quando circa tre anni fa ha assunto la carica, la società ha subito dichiarato che il suo compito sarebbe andato oltre la semplice supervisione. Avrebbe assunto un "ruolo di consulenza più ampio in cui avrebbe dovuto sviluppare per conto di Blackrock le relazioni con i clienti chiave, i regolatori e le autorità di regolamentazione tedesche", scriveva il suo datore di lavoro. Merz era quindi il principale lobbista di Blackrock in Germania e - se ha fatto bene il suo lavoro - ha lavorato affinché lo stato ponesse il minor numero possibile di ostacoli alla società.

Ulteriori spiegazioni probabilmente dovrà darle anche in merito ad un'altra posizione presso un'altra società finanziaria per la quale Merz dall'inizio del 2010 è stato membro del consiglio di sorveglianza. La banca di Düsseldorf "HSBC Trinkaus", che secondo il rapporto finale della commissione d'inchiesta del Bundestag era coinvolta in operazioni fiscali, note da tempo al pubblico con il nome di "Cum-Ex". Si tratta di rimborsi fiscali su operazioni azionarie a cui gli investitori non avevano diritto. Queste pratiche fiscali a danno dei contribuenti tedeschi sono mai state discusse dal consiglio di sorveglianza della banca?

Merz dovrà esprimersi su questi temi, soprattutto perché prima della sua uscita dalla scena politica è stato l'esperto di fiscalità del suo partito. Nel 2003 è diventato famoso per la sua proposta di rendere la dichiarazione dei redditi così facile da farla stare in un sottobicchiere da birra.

Anche lo studio legale Mayer Brown, per il quale Merz è ancora attivo, a modo suo guadagna con le transazioni fiscali Cum-Ex. Sul sito web lo studio legale scrive: "gli operatori di mercato potrebbero dover affrontare rischi legali crescenti in seguito a transazioni cum-ex". Le autorità fiscali tedesche avrebbero intensificato le loro attività investigative per  individuare ulteriori reati fiscali. E lo studio legale vuole aiutare i propri clienti a "contrastare questo rischio".

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domenica 16 settembre 2018

Mi' cuggino a Monaco di Baviera (2)

M'ha detto mi' cuggino che a Monaco di Baviera gli danno 2000 euro al mese...questa volta è Die Zeit a occuparsi del livello incredibile raggiunto dagli affitti a Monaco di Baviera e della prima manifestazione degli inquilini, si arriva da qui. Da Die Zeit


A Monaco, gli affitti e i prezzi degli immobili crescono intinterrottamente da anni. Nel frattempo, un metro quadro di nuova costruzione in periferia costa almeno 8.000 euro. Gli affitti per gli edifici di nuova costruzione partono da 17 euro e arrivano spesso ai 25 euro al metro quadro. Sabato, migliaia di residenti di Monaco scendono in piazza per manifestare a favore di alloggi a prezzi accessibili. Come siamo arrivati a questa situazione? Cosa deve cambiare affinché gli infermieri e i parrucchieri non siano costretti ad andare via dalla città? Abbiamo chiesto alle parti interessate: un attivista, un immobiliarista (...)

Maximilian Heisler è titolare di un bar. Ha fondato il Bündnis Bezahlbares Wohnen

ZEIT: Herr. Heisler, lei è nato e vive da sempre nell'ex quartiere operaio Untergiesing in un appartamento in affitto. Perché uno come lei ha fondato un movimento di cittadini contro il caro affitti?

Heisler: Vedo quello che succede ai miei amici e conoscenti: chiunque cerchi un appartamento in questa città non troverà nulla, oppure solo delle case così costose da non potersele permettere. A volte ho l'impressione di vivere in una delle ultime zone a prezzi accessibili ancora esistenti a Giesing, tra tutti i nuovi edifici molto costosi o quelli vecchi ristrutturati. Nei blocchi che stanno a sinistra e a destra rispetto al mio, non potrei permettermi nessun appartamento. E io sono un lavoratore con un reddito medio. In questa città ci sono migliaia di persone che guadagnano meno di me e sono in cerca di una casa: genitori single, disoccupati, famiglie con bambini - prima di tutto, cosa accadrà a loro?

ZEIT: Gli economisti dicono: se così tante persone vogliono vivere nel centro città, i prezzi inevitabilmente umentano. Vivere in centro quindi non puo' essere alla portata di tutti.

Heisler: Si parla spesso di infermieri o poliziotti che non possono piu' permettersi di pagare un affitto. Ma prima di loro ci sono altre persone ad essere colpite: cassieri, commessi e parrucchieri. Vogliamo davvero che nessuno sia piu' in grado di permettersi la città in cui lavora?  A Monaco la carenza di alloggi colpisce perfino la classe media. Nel frattempo, ad essere colpite ci sono anche molte persone ben istruite, intorno ai 40 anni, con una laurea. I miei amici sono designer industriali, giornalisti o informatici, e anche con loro almeno una conversazione su due ruota intorno al tema della carenza di alloggi.

ZEIT:  Perché ci sono così poche case ad un prezzo accessibile a Monaco?

Heisler: Da un lato ne sono state costruite troppo poche. Ogni anno ci sono 30.000 persone che si trasferiscono a Monaco, e già ora mancano dai 60.000 agli 80.000 appartamenti. Quello che viene costruito è molto caro, motivo per cui ogni nuovo appartamento fa salire l'indice degli affitti. Molti appartamenti fino ad ora affittati ad un prezzo accessibile vengono acquistati da grandi investitori per essere ammodernati o ristrutturati. E in quel caso per i residenti la situazione diventa davvero costosa: sentiamo parlare di aumenti dell'affitto di nove o dieci euro - al metro quadrato!

ZEIT:  cosa fate a riguardo?

Heisler: Finalmente diamo una voce agli inquilini. Finora la cosa riguardava piu' che altro le persone anziane che finivano per parlarne e arrabbiarsi con i vicini. O gli studenti, che poi si trasferivano in un appartamento condiviso oppure ricevevano supporto dai loro genitori. Fino ad ora nessuno a Monaco era sceso in strada per la casa. Molti si sono abituati alle piccole dosi di veleno somministrate sotto forma di continui aumenti dell'affitto. Altri si vergognavano ad ammettere di poter a malapena pagare l'affitto. Ora per molti si tratta della sopravvivenza. Noi incoraggiamo tutti: insieme è piu' facile lottare!

ZEIT:  cosa potrebbe alleviare la carenza di alloggi?

Heisler: L'amministrazione della città dovrebbe comprare tutto ciò che arriva sul mercato e quello che gli immobiliaristi si passano fra loro, al fine di guidare i prezzi. Ma l'amministrazione della città non fa abbastanza. Si dovrebbe anche chiarire qual'è il ruolo della Sparkasse nei progetti immobiliari che finanzia in quanto banca di diritto pubblico, che poi pero' sul mercato arrivano solo ad un prezzo molto elevato. Le associazioni di edilizia comunale potrebbero almeno abbassare simbolicamente gli affitti delle loro migliaia di appartamenti, per l'indice degli affitti. Inoltre, sarebbe necessario passare al sostegno diretto dei piu' bisognosi attraverso dei sussidi per l'affitto. Nel complesso, sono alquanto sconcertato. Abbiamo perso molto tempo.

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Reinhold Knodel è l'amministratore di Pandion AG, uno dei maggiori sviluppatori immobiliari di Monaco. Gli sviluppatori comprano un terreno, ci fanno costruire sopra delle abitazioni e vendono poi le case o i singoli appartamenti insieme al terreno.

ZEIT: Herr Knodel, non potreste costruire piu' appartamenti?

Knodel: certo che potremmo, se dipendesse da noi. Ma c'è un collo di bottiglia in due aree cruciali: in primo luogo la disponibilità di terreni edificabili. L'offerta è lontana dal soddisfare la domanda, per questo i prezzi sono cresciuti così tanto. In secondo luogo, anche i costi di costruzione sono drasticamente aumentati, si può dire anzi che sono esplosi. Il costo della muratura e degli impianti in un anno è salito fino al 25%. E questo vale anche a livello nazionale. Ma potremmo costruire di più. Se domani ricevessimo dalla città di Monaco un terreno per altri 50.000 metri quadrati edificabili, potremmo andare dal notaio dopodomani.

ZEIT: i costi di costruzione stanno aumentando perché attualmente ci sono pochi artigiani e tecnici disponibili?

Knodel: Esattamente. Se 5 anni fa avessimo offerto una costruzione per 30 milioni di euro, avremmo ricevuto almeno dieci offerte dalle società di costruzioni. Oggi riceviamo una o due offerte e dobbiamo accettare i loro prezzi. E cosi' accade anche con molti altri mestieri. Non possiamo aspettare a lungo altre offerte perché abbiamo preso degli impegni e dobbiamo rispettare i tempi di consegna. Prima o poi devi iniziare a costruire. Gli artigiani lo sanno. Ma i progetti che costruiamo oggi sono già stati venduti ai clienti circa un anno e mezzo fa. In questo caso non puoi aumentare i prezzi di vendita. Di conseguenza, molti sviluppatori immobiliari sono diventati decisamente più cauti.

ZEIT: Cosa pensa del fatto che ci sia bisogno di più alloggi sociali?

Knodel: Ciò è completamente controproducente, perché farà salire i prezzi ancora di piu'. Il collo di bottiglia non è nel fatto che ci sono troppi pochi investitori che investono in appartamenti. Non siamo un fattore limitante che deve essere sostituito dalle forze dello stato. Il punto è che c'è troppo poco terreno edificabile e pochi artigiani. Se lo stato si mettesse a fare il costruttore, non supererebbe il collo di bottiglia. Cio' accadrebbe solo se identificasse nuovi terreni edificabili.

ZEIT: Da dove potrebbe arrivare il terreno edificabile?

Knodel: le città devono crescere oltre i loro confini. Continuare a pensare nei limiti della vecchia città è il vero problema: Londra o Monaco di 100 anni fa non erano cosi' grandi come oggi. Continuiamo a discutere di come possiamo riempire ancora di più una pentola su cui teniamo ancora un coperchio. Ma il sollievo puo' arrivare solo quando la città oltrepassa i propri confini verso l'esterno.

ZEIT: Ma non è così facile come ai tempi dei re, in cui i governanti decidevano: su quel terreno agricolo si dovrà costruire.


Knodel: non devi espropriare subito i proprietari. Ma negli anni '70 nel nostro paese c'era già stata una riforma amministrativa. Bisogna solo osare. E pensare in modo più pragmatico, ma nessuno lo sta facendo.

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sabato 8 settembre 2018

Perché Sahra Wagenknecht ha ragione

Die Zeit non poteva certo essere tenero con il nuovo movimento di sinistra Aufstehen! In un articolo uscito ieri tuttavia non puo' fare a meno di dare ragione a Sahra Wagenknecht e al suo movimento su un punto centrale della loro proposta politica: i redditi reali delle famiglie piu' povere in Germania negli ultimi anni hanno perso potere d'acquisto mentre la disuguaglianza sociale è cresciuta. Ne parla Die Zeit


Sahra Wagenknecht questa settimana non ha perso occasione per promuovere il suo nuovo grande progetto politico #aufstehen. La leader politica di sinistra tuttavia continua a ripetere un dato: il 40% della popolazione piu' povera avrebbe un reddito reale inferiore rispetto quello di venti anni fa. E' un'affermazione coerente con un movimento politico di sinistra. Serve a dare la sensazione che in questo paese c'è sempre piu' ingiustizia sociale, che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. "In un paese del genere la democrazia non funziona più", sostiene Wagenknecht. Ma il dato è corretto?

Per capire come si stanno muovendo le retribuzioni e gli stipendi in Germania, gli economisti di solito analizzano i dati del del Panel socio-economico (SOEP), sviluppato dal Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW). Secondo il DIW, i redditi reali del 40% delle famiglie piu' povere tra il 1999 e il 2015 sarebbero diminuiti di quasi il 7%, tenendo conto dell'aumento dei prezzi. Altri economisti tuttavia esprimono dei dubbi su questo dato ottenuto dall'istituto.


Il DIW è noto per essere vicino al sindacato, quindi piuttosto vicino alla sinistra. Come punto di partenza per il dato citato da Wagenknecht gli autori dello studio hanno preso l'anno 1999, vale a dire un anno in cui il reddito del 40 % più povero era particolarmente alto. Un'altra obiezione arriva dall'antagonista scientifico del DIW, l'Institut der deutschen Wirtschaft (IW), considerato vicino ai datori di lavoro e di orientamento liberista. L'IW sottolinea che negli ultimi anni il SOEP nel panel ha inserito sempre piu' genitori single, famiglie con bambini piccoli o molti figli e le famiglie a basso reddito. Inoltre, il SOEP 2013 includeva un ampio campione di persone con un background migratorio.

I ricercatori del SOEP hanno aggiornato il campione per rispecchiare in maniera più precisa possibile la composizione della popolazione. L'IW teme pertanto che un confronto fra campioni relativi a due periodi diversi non sia significativo. Perché questi gruppi di solito guadagnano meno della media. Per dimostrarlo, l'IW ha calcolato l'effetto dei campioni composti da migranti sull'evoluzione dei redditi reali. Se si sottrae questo effetto, il reddito reale del 40% inferiore non sarebbe diminuito, ma aumentato del 7,6%. Tuttavia l'IW considera per questa analisi un periodo diverso: quello dal 1994 al 2004.

Jan Goebel, vice direttore del SOEP, difende l'operato del suo istituto: se la struttura della popolazione cambia, anche il campione deve riflettere questi cambiamenti. Il campione è ponderato in modo da poter riflettere le caratteristiche di base della popolazione. Pertanto, l'argomento secondo il quale non sarebbe possibile confrontare i dati relativi ai gruppi di reddito nel tempo, da un lato è corretto perché nel campione ci sono altre persone rispetto a quelle degli anni precedenti, dice Goebel. Ma l'argomento allo stesso tempo è anche sbagliato, perché l'obiettivo deve essere quello di tenere conto della struttura complessiva della popolazione in un determinato momento in Germania. Il problema metodologico è stato evidenziato in tutte le pubblicazioni.

Nonostante i livelli record di occupazione, la disuguaglianza è in aumento

Quindi, se si preferisce seguire l'IW ed escludere dal campione la componente legata all'immigrazione, anche la buona notizia ad un secondo sguardo deve essere relativizzata. È vero che il 40 % più povero non ha un reddito reale inferiore rispetto al passato, ma di quasi l'otto percento superiore. Tuttavia, senza l'effetto migrazione, i redditi dell'altro 60 % nello stesso periodo sono aumentati del 16,5 % e quelli del 10 % piu' alto addirittura del 21,9 %. Non tutti si sono avvantaggiati allo stesso modo dello sviluppo economico favorevole degli ultimi anni: il reddito dei ricchi è cresciuto molto più velocemente di quello dei poveri. La famosa forbice ha continuato ad aprirsi, specialmente dall'inizio del millennio. E questo sebbene i disoccupati siano cosi' pochi come non accadeva da decenni.

Nonostante l'occupazione da record ci sono molte possibili spiegazioni per la crescente disuguaglianza. Ci sono ad esempio piu' donne che lavorano a tempo pieno e che in media hanno un salario inferiore rispetto agli uomini. Ci sono poi sempre meno lavoratori pagati in base ai contratti collettivi. Sebbene molte aziende facciano dei grandi profitti, i salari dei lavoratori non crescono coerentemente. La popolazione sta invecchiando e gli anziani hanno redditi più bassi. Ci sono sempre piu' persone che lavorano in settori a bassa retribuzione. E poi c'è la globalizzazione, che apre molte nuove opportunità economiche, ma che mette i lavoratori scarsamente qualificati in competizione con quelli dei paesi a basso reddito. In tali condizioni, un nuovo movimento di sinistra potrebbe effettivamente avere successo. Oppure uno di destra.
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venerdì 17 agosto 2018

Marcel Fratzscher: "potrebbe accadere anche in Germania"

Marcel Fratzscher è il presidente del prestigioso Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung e conosce molto bene la situazione delle infrastrutture tedesche. In un commento su Die Zeit ci spiega perché dopo anni di austerità un crollo simile a quello di Genova potrebbe accadere anche in Germania e perché non fare gli investimenti pubblici necessari per ammodernare il paese è un crimine a danni delle generazioni future: è necessario fermare la follia del pareggio di bilancio. Un ottimo Marcel Fratzscher su Die Zeit

infrastrutture tedesche necessitano di interventi

La tragedia di Genova ha scioccato molti. La triste verità è che non solo in Italia, ma anche in Germania, l'infrastruttura pubblica si trova in condizioni sempre peggiori. In nessun'altro paese industrializzato occidentale lo stato investe cosi' poco come in Germania. Per questo il crollo del ponte di Genova dovrebbe essere un campanello d'allarme affinché la politica tedesca possa finalmente prendere sul serio la questione della mancanza di investimenti pubblici e avviare una svolta politica. La debolezza degli investimenti pubblici polarizza il paese e la società ed è in definitiva responsabile per il divario crescente fra il sud e il nord e per le condizioni di vita sempre piu' disuguali. Si tratta inoltre di una minaccia per l'attrattività economica e produttiva della Germania e quindi per il lavoro, il reddito e il benessere nel nostro paese.

I fatti parlano da soli: gli investimenti pubblici netti in Germania sono negativi, pertanto i costi di ammortamento dei ponti, delle strade e di ogni altra infrastruttura sono superiori rispetto agli investimenti pubblici effettuati ogni anno. Solo per le infrastrutture di trasporto in Germania ogni anno mancano tra i 7 e i 10 miliardi di euro. E' soprattutto il 30% dei comuni finanziariamente piu' deboli a non poter fare abbastanza investimenti. Cosi' secondo i calcoli del panel comunale della KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) nei comuni si è formato un collo di bottiglia di investimenti pari a 159 miliardi di euro, di cui 47 miliardi di euro per le scuole e 38 miliardi di euro per le infrastrutture di trasporto comunali.

La preoccupazione tuttavia non è solo per l'infrastruttura pubblica che in molte zone è in piena decadenza, ma anche per la ulteriore crescita del divario fra la Germania del nord e quella del sud. Cosi' i comuni della Germania meridionale, ad esempio, hanno notevoli avanzi di bilancio e in alcuni casi i loro investimenti pro-capite sono piu' di cinque volte superiori rispetto ai comuni del nord. Non si tratta di una divisione est-ovest - anche i comuni della Nordrhein-Westfalen e della Bassa Sassonia hanno problemi crescenti.

Le ragioni di questa situazione spesso non risiedono nel potere decisionale dei comuni, ma nel fatto che questi spesso devono far fronte a delle spese sociali elevate per le quali non vengono adeguatamente compensati. Perciò' questi comuni diventano sempre meno attraenti per le imprese e per i giovani altamente qualificati e disposti a spostarsi che spesso preferiscono migrare verso sud, mettendo in moto un circolo vizioso, con comunità deboli che diventano sempre piu' deboli e comunità forti che diventano economicamente sempre piu' forti.

In questo modo lo stato fallisce in uno dei suoi compiti centrali, e cioè garantire condizioni di vita uguali per tutti in Germania. Il risultato sarà una ulteriore polarizzazione politica, economica e sociale.

La politica dovrebbe affrontare la mancanza di investimenti pubblici attraverso 3 misure. Da un lato dovrebbe avviare una nuova riforma della perequazione finanziaria fra governo centrale e regioni (Bund-Länder-Finanzausgleich), in modo che i comuni finanziariamente più' deboli possano essere meglio equipaggiati e assumersi maggiori responsabilità. Se vogliamo che il federalismo tedesco funzioni è necessaria una maggiore solidarietà fra le regioni e i comuni.

Lo Schuldenbremse (pareggio di bilancio) ha una parte importante della colpa nella difficile situazione di mancanza di investimenti in cui si sono trovati molti comuni e molte regioni. Perché nei momenti difficili molti enti hanno dovuto fare dei tagli finanziari cosi' forti che ora negli uffici di costruzione e pianificazione manca il personale per poter colmare le lacune. Per questo lo Schuldenbremse deve essere integrato da una norma sugli investimenti che garantisca a ciascun comune e regione almeno la possibilità di pareggiare il calo del valore dell'infrastruttura.

I comuni sovra-indebitati devono essere alleggeriti

Come terzo punto il governo centrale e le regioni dovrebbero alleggerire le condizioni dei comuni sovra-indebitati con un taglio del debito, affinché questi possano di nuovo avere la possibilità di investire nelle loro infrastrutture e tornare ad essere attrattivi per le persone e le imprese. Recentemente alla Grecia è stato accordato un taglio del debito. Perché non farlo anche con i comuni tedeschi affinché questi possano rimettersi in piedi e tornare ad agire sotto la propria responsabilità?

Lo stato tedesco vive della sua sostanza. Il deterioramento delle infrastrutture pubbliche è soprattutto un crimine ai danni delle generazioni future. Perché un'infrastruttura forte ed efficiente è essenziale per l'attrattività del territorio tedesco come luogo di insediamento economico e in definitiva per la competitività e la prosperità del nostro paese. Cio' richiede tuttavia un ripensamento fondamentale della dotazione finanziaria dei comuni, della legge sul pareggio di bilancio (Schuldenbremse) e della perequazione finanziaria fra stato e regioni. E' il momento di invertire la rotta nella politica di investimento del governo federale.

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Se ne era parlato anche qui:

L'incubo dello Schwarze Null

Lo Schwarze Null e il fallimento della democrazia

Tutti i danni fatti dallo Schuldenbremse

mercoledì 11 luglio 2018

Mark Schieritz: "nessuna paura della bomba da un trilione di euro!"

Un ottimo Mark Schieritz su Die Zeit risponde alla FAZ e prova a tranquillizzare i tedeschi in merito al famoso trilione di euro di crediti vantati dalla Bundesbank nei confronti dell'eurosistema all'interno del Target 2. Per Schieritz la politica si è ormai impossessata di un argomento tecnico sconosciuto ai piu' con il quale può attaccare il governo di Berlino, l'obiettivo sarebbe uno solo: modificare l'orientamento politico pro-europeo della Germania e scardinare l'eurozona. Ne parla Mark Schieritz su Die Zeit


Forse non l'avevate ancora notato, ma la Germania è vicina alla rovina finanziaria. Almeno questa è l'impressione che si ha seguendo il dibattito sui cosiddetti saldi Target della BCE.

In parole povere, l'argomento piu' o meno è questo: le banche centrali dei paesi in crisi dell'Europa del sud devono alla Bundesbank tedesca piu' o meno 1.000 miliardi di euro. I soldi prima o poi andranno perduti perché tanto questi paesi sono insolventi. Se dovessimo calcolare correttamente le perdite attese, la Germania non avrebbe un surplus di bilancio ma un deficit enorme. I partiti dell'establishment tuttavia preferiscono tenere la "verità" nascosta perché altrimenti i cittadini salirebbero sulle barricate, ed è proprio per questa ragione che a Berlino nessuno sta facendo nulla.

Su questo tema è quasi tutto falso.

Primo: la Bundesbank non ha prestato denaro alle banche centrali del sud. Gli importi in questione provengono dal sistema di pagamento Target 2. Questo sistema garantisce che ovunque all'interno dell'unione monetaria si possa pagare in euro. Normalmente i saldi di questo sistema sono piu' o meno in equilibrio. I risparmiatori portano i loro soldi alla banca, e questa concede dei prestiti.

Se ad un certo punto ci sono molti risparmiatori che affidano i loro risparmi ad una banca estera, sarà la BCE a dover colmare la lacuna creatasi. Dal  punto di vista tecnico il paese avrà quindi delle passività presso la BCE. Il paese nel quale il denaro è stato trasferito - e che quindi non dipende dal denaro della banca centrale - avrà invece un credito nei confronti della BCE.

Ma i crediti e le passività sono solo delle grandezze fittizie. Esistono virtualmente nei bilanci della banca centrale, ma non nel mondo reale. Il fatto che attualmente il denaro scorra dal sud verso il nord (e che questo sia compensato dalle corrispondenti registrazioni di contropartita presso la BCE) è un segnale che la crisi monetaria non è stata ancora definitivamente superata. Ma in realtà è sempre stato cosi'.

C'è solo una situazione in cui i saldi diventano rilevanti: se un paese della zona euro dovesse uscire dall'unione monetaria. Ovviamente questo potrebbe anche accadere, ma in quel caso sui mercati finanziari e nella politica europea avremmo un caos gigantesco. Fra tutti i problemi quello dei saldi Target probabilmente sarebbe il piu' piccolo.

Non è nemmeno chiaro se la Bundesbank sarebbe effettivamente insolvente, come si legge spesso. Una banca centrale alla fine non è una banca commerciale qualsiasi. Puo' stamparsi da sola i soldi e puo' semplicemente ignorare il buco nel suo bilancio. Se AfD dice, il ministro delle finanze Scholz nel bilancio pubblico dovrebbe prendere misure preventive in considerazione della possibilità di subire delle perdite, allora la domanda sorge spontanea: per farci cosa esattamente? E in quale misura?

Secondo: non c'è nessuno che sta cercando di tenere nascosti i saldi Target. I dati relativi ai saldi vengono pubblicati dalla Bundesbank su internet, e sul tema ci sono dei libri interi. Se la politica non fa nulla è perché "fare qualcosa" in questo caso significherebbe limitare la libera circolazione dei capitali all'interno dell'unione monetaria. E quasi certamente questa sarebbe la fine della stessa unione monetaria. Anche negli Stati Uniti le sedi regionali della banca centrale si aiutano a vicenda.

E allora perché la questione è diventata un tema cosi' importante? Perché non si tratta piu' di economia, ma di politica. Numeri molto grandi, una materia complessa, che quasi nessuno riesce a comprendere a fondo - sono esattamente gli elementi di cui c'è bisogno per raccogliere consenso con i racconti horror sui tedeschi e il loro presunto ruolo di mucca europea da mungere, e con la minaccia di una bancarotta imminente.

In altre parole: i saldi Target sono uno strumento per attaccare l'orientamento politico pro-europeo della Germania. Il vero pericolo arriva da questa appropriazione indebita di un discorso scientifico, non dal trilione che è da qualche parte in un bilancio.

giovedì 5 luglio 2018

Ciao Hallodri! Come i media tedeschi esorcizzano la minaccia italiana

Bellissima traduzione appena ricevuta da Edoardo che con grande piacere pubblichiamo. Nei giorni della formazione del governo Conte i cosiddetti "media di qualità" tedeschi hanno tirato fuori dal cassetto i peggiori cliché sull'Italia e gli italiani. L'obiettivo della campagna era chiaro: lanciare una spedizione punitiva contro chi osava mettere in discussione gli interessi del paese dominante. Ma i "primi della Klasse" sono abituati a vivere in un mondo ordinato e prevedibile e fanno fatica a capire cosa succede a sud delle Alpi. Per molti giornalisti l'Italia resta un paradiso di arte e cultura abitato da un popolo indisciplinato, incapace di pensare al futuro e che soprattutto dovrebbe prendere esempio dai laboriosi "primi della Klasse".  “Hallodri” è appunto un termine colloquiale tedesco usato per indicare una persona leggera, nullafacente e inaffidabile. Grazie Edoardo per l'ottima traduzione! Da Übermedien, un ottimo Sven Prange



Pochi giorni fa il caporedattore di Der Spiegel, Klaus Brinkbäumer, ha partecipato a un incontro in cui si è confrontato con lettori e lettrici. Deve averne tratto davvero una straordinaria impressione, se nel numero successivo della rivista si è soffermato a parlarne per diverse righe nel suo editoriale. I lettori – ha spiegato ai suoi stessi lettori – non apprezzano quando i redattori di Der Spiegel “esprimono le proprie opinioni su dei fatti senza distinguere chiaramente le une dagli altri”, né gradiscono se eventuali voci discordanti vengono obliterate. A simili critiche Brinkbäumer ha agevolmente replicato che: “noi ovviamente continuiamo a vederla in modo diverso, dato che ogni settimana facciamo uscire Der Spiegel mettendoci tutta la coscienza e la passione possibili”. Subito dopo è cominciata – come se quei lettori non fossero mai esistiti – una settimana di cronaca sulla formazione del nuovo governo italiano che ha portato al numero di Der Spiegel con il cappio di spaghetti in copertina. Numero in cui la carente distinzione tra fatti e opinioni rappresentava tutto sommato il minore dei problemi.

Lavoro da più di dieci anni, perlopiù ricoprendo ruoli direttivi, nelle redazioni delle maggiori testate tedesche di informazione economica e da alcuni anni sono corrispondente dall’Italia. Credevo di aver vissuto più o meno tutti gli accidenti e le storture della vita quotidiana di redazione. Ho messo pepe su alcune tesi, ho semplificato, ai fini della comprensibilità, circostanze complesse, ho anche evitato di dare troppo spazio ad alcune voci. Ciò perché la semplificazione è uno strumento chiave per adempiere al compito del giornalista, che è quello di spiegare. E certamente ho pure scritto qualche marchiana sciocchezza. Eppure, mi pare incredibile ciò che la scorsa settimana – dopo giorni di evidente frenesia – è finito nel servizio di prima pagina di Der Spiegel. Non solo perché tale servizio pare confezionato in modo dubbio, ma anche perché esso rappresenta l’atteggiamento della maggioranza dei media tedeschi nazionali.

Negli ultimi anni ho potuto osservare come si sia fatta sempre più forte la polemica nei confronti dei giornalisti, specie dei giornalisti delle grandi testate nazionali. Ho sentito parlare di “giornalismo di branco”, “stampa pilotata”, “giornalismo delle élites”. Mi paiono esagerazioni, in alcuni casi da teoria del complotto. Ma penso anche questo: un giornalismo che affronti i temi legati all’Italia come lo fanno Der Spiegel, Süddeutsche Zeitung, Frankfurter allgemeine Zeitung, Die Welt, ARD e alcuni media di informazione economica, in parte perché incitati da economisti tedeschi, lobbisti finanziari e politici conservatori, rinfocola queste polemiche e scuote le fondamenta del proprio stesso lavoro.

Sia chiaro: in Italia si è formato un governo di coalizione in cui l’azionista di minoranza, la Lega, è, a mio parere, a tratti omofobo, xenofobo e chiaramente collocato troppo a destra nello spettro politico. Nondimeno è stato votato dal 17% degli elettori. C’è poi un partner di coalizione grande il doppio, i 5 Stelle, che non è più tanto semplice da inquadrare: un variopinto miscuglio di critici del sistema, ecologisti, economisti comportamentali e pasionari dei diritti umani – e tra di loro sono sicuramente presenti anche dei pazzoidi.

Tuttavia, dopo avere trascorso anni a lavorare come giornalista viaggiando per l’Italia e osservando con attenzione il Paese, ritengo che questo governo sia stato eletto in modo democratico. E credo che l’Italia sia una solida àncora in un’Europa che serve anche agli interessi tedeschi: ciò in ragione della forte consistenza della sua economia e del ruolo che essa finora ha ricoperto nell’Unione Europea e nell’Eurozona in qualità di contributore netto, terza economia, propulsore del processo di unificazione e, infine, di unico alleato che la Germania abbia avuto negli scorsi anni in materia di politiche migratorie.

Der Spiegel ha riassunto tutta questa situazione così complessa mettendo sulla copertina degli spaghetti disegnati a mo’ di cappio. Titolo: “Ciao Amore”. Quando lo vedo ho ancora in testa un articolo di Jan Fleischauer pubblicato pochi giorni prima sulla edizione online di Der Spiegel, nel quale gli italiani, che sono – nota bene! – contribuenti netti nel bilancio UE, vengono complessivamente dipinti come dei parassiti. O il testo di Hans-Jürgen Schamp, per il quale il Presidente Sergio Mattarella “invece di lasciare andare al potere i populisti ostili alla UE” ha per fortuna ostacolato la formazione del governo. Come se entrambi i partiti fossero “ostili alla UE” e come se fosse il Presidente, e non gli elettori, a conferire il potere di governare.


Per una settimana ho dovuto assistere a una campagna stampa orchestrata ad arte in cui veniva restituita l’immagine di un’Italia sull’orlo del caos economico a causa del governo che si profilava all’orizzonte. Finché la settimana non si è conclusa con una copertina del Der Spiegel che pronostica il fallimento del Paese, e ciò sulla base di un miscuglio di ignoranza dei fatti, paragoni fuorvianti e mistificazioni; tutti tesi a un solo scopo: privare questo governo, che intende opporsi – in parte a ragion veduta– alla politica tedesca in Europa, di ogni credibilità economica.

Ecco lo strabismo di questo dibattito: la parte del nuovo governo composta dalla Lega può senz’altro attirare critiche profonde sulla sua umanità, sulla sua concezione democratica e sul suo contegno in pubblico. E invece, a fronte di ciò, tutti i media tedeschi per giorni interi vanno agitando lo spettro di una imminente minaccia economica.

Tre esempi su tutti di come lavora Der Spiegel:

Il pezzo si apre muovendo dall’idea che il leader della Lega Matteo Salvini sia il nuovo uomo forte dell’Italia, a capo di un governo di destra. Eppure, la Lega è indubbiamente il partner di minoranza rispetto ai Cinque Stelle (cosa che peraltro viene ammessa altrove nel testo). È come se si volesse qualificare il governo tedesco di Grosse Koalition come un governo socialdemocratico, o come se si raffigurassero Olaf Scholz e Andrea Nahles come le figure politiche dominanti in Germania. Salvini e la sua Lega si prestano molto meglio ad attizzare le paure dei lettori di quanto non possano fare i Cinque Stelle e il vincitore delle elezioni Luigi di Maio, i quali hanno un programma che non è né di destra né assurdo.

Si afferma poi che verrebbe introdotto un reddito minimo garantito. Anche questo serve a comprovare il presunto avvicinarsi del caos finanziario. Peccato che nel contratto di coalizione non vi sia alcun piano nel senso di introdurre un reddito minimo garantito.

Infine, si può leggere una sorta di reportage dalla Sicilia, scritto in modo tale che sembra la descrizione del profondo entroterra di uno stato fallito. Ovviamente il fine è ancora una volta quello di dimostrare tutta la fragilità attribuita all’Italia. La tesi per cui il Paese verserebbe in condizioni disperate sarebbe avvalorata da un dato: il PIL pro capite in Sicilia (circa 18mila €) ammonta a meno della metà di quello delle più ricche regioni settentrionali (circa 40mila €).

Pare logico, no? Si tratta invece di un ragionamento ingannevole. Se si guarda ai rapporti tra i Länder tedeschi più forti e quelli più deboli il divario è ancora maggiore: il PIL pro capite qui parte da 20mila € per arrivare fino a circa 60mila €. Ma chi sosterrebbe mai che per questo la Germania è prossima al collasso?

Chi, dopo questo servizio dalla prima, non si fosse ancora del tutto convinto che questo governo italiano è un pericolo per la Germania, potrebbe leggersi Henrik Müller sulla edizione online di domenica di Der Spiegel . Qui, sulla base di quanto avvenuto col nuovo governo in Italia, si deplora il fatto che “popoli interi votano contro i propri stessi interessi”. Perché è ovvio che Henrik Müller dall’università di Dortmund conosca perfettamente gli interessi degli italiani. Perché egli sa che l’attuale governo è il primo governo dal 1994 senza ministri imputati o condannati; il primo governo dall’inizio degli anni Sessanta che non sia sospettato di avere contatti latenti con la mafia; il primo governo che abbia suggellato il proprio programma con un contratto di coalizione, seguendo così l’esempio tedesco e fornendo una base affidabile al proprio lavoro.

Vista la natura cangiante dei protagonisti il tutto potrebbe saltare più domani che domani l’altro – ma perlomeno se ne potrebbe dare notizia al lettore del Der Spiegel, il cui caporedattore tanto si cruccia per la mescolanza di fatti e opinioni e l’omissione di informazioni al fine di dar risalto a tesi forti.

Forse si potrebbe indulgere davanti a simili errori, se solo Der Spiegel non stesse come pars pro toto per tutti i grandi media tedeschi: si monta uno scenario di caos economico che mini la credibilità del governo italiano ancora prima che questi inizi a sfidare le posizioni, ormai immutate da anni, del governo tedesco nei confronti dei partner europei, reclamando riforme dell’eurozona per una gestione meno rigida del debito, un ridimensionamento del surplus commerciale tedesco e una vigilanza bancaria comune a Bruxelles.  

L’ex ministro greco delle finanze, Yanis Varoufakis, dopo il fallimento del suo tentativo di mutare dall’interno la politica UE, ha supposto che l’insuccesso fosse dovuto anche all’opposizione di una schiera (tedesca) di giornalisti economici, politici, burocrati UE e lobbisti finanziari. A tal proposito ha addotto i seguenti motivi: l’organizzazione di un fronte nordeuropeo di pubblicisti allineato contro gli europei del sud; la pretesa di avere l’esclusiva nel dire quali misure economiche potessero essere sensate (misure che poi coincidevano puntualmente con la politica economica dominante nella UE); la diffamazione di chiunque la pensasse diversamente e la rimozione di quanto avvenuto nell’Eurozona prima del 2010. 


Varoufakis ha talmente torto che, dopo alcune settimane di intense cronache dall’Italia, è possibile esemplificare ciascuna delle situazioni da lui denunciate. 

Entrambi i partiti di governo sono imperterritamente definiti come populisti. “I populisti ci riprovano”, titola ad esempio la Süddeutsche Zeitung. Sulla problematicità dell’impiego del concetto di “populismo” si è espresso tra gli altri lo storico Michael Wolffsohn il quale ha ritenuto il termine nient’altro che un “manganello diffamatorio” da usare in mancanza di altre argomentazioni. La definizione di populismo che al momento va per la maggiore l’ha data invece il politologo Jan-Werner Müller: “il populismo è una ben precisa concezione politica per la quale a un popolo omogeneo e moralmente puro si contrappongono sempre élites corrotte, immorali e parassitarie”. In Italia questa definizione potrebbe andare bene per la Lega, ma di certo non per i Cinque Stelle. Cionondimeno nessun termine relativamente all’Italia è stato impiegato dai media più di frequente. 

Sempre la Süddeutsche Zeitung titola il 18 maggio ciò che tuttora molti colleghi prendono per vero: “Lega e Cinque Stelle progettano un reddito minimo garantito di 780 €”. Con l’incessante ripetizione di questa notizia si vuole provare in modo sistematico l’incompetenza finanziaria del prossimo governo. Come già si è detto per Der Spiegel, vi è solo un piccolo problema: che non è affatto così! 

In effetti, i Cinque Stelle avevano sostenuto nel proprio programma elettorale un reddito minimo garantito. Tuttavia, la proposta non è stata neppure considerata nelle trattative per formare la coalizione; al suo posto il governo vuole introdurre una garanzia minima per i disoccupati, garanzia che al momento non esiste. Chi mai in Germania si metterebbe a equiparare l’Hartz IV a un reddito minimo garantito? Forse l’erronea interpretazione si deve alla parola “reddito” (Einkommen). Eppure, l’aggettivo “garantito” non è mai stato pronunciato. Questo fa la differenza. Ma mettiamo pure che fosse diversamente: in Germania perfino degli amministratori di grandi gruppi quotati in borsa si sono espressi in favore di un “reddito minimo garantito”. Tutti ammattiti?

Holger Steltzner, uno dei direttori della Frankfurter Allgemeine Zeitung, scrive: “La BCE dovrebbe regalare a Roma 250 miliardi di euro”. Anche questa una affermazione che compare ovunque negli articoli della stampa. La richiesta era effettivamente stata messa per iscritto in una delle prime bozze del contratto di coalizione, per poi scomparire immediatamente e non venire più ripetuta… tranne che dai media tedeschi. 

Handelsblatt da ultimo imposta la storia di copertina su questa tesi: “il declino politico ed economico dell’Italia minaccia l’intera Eurozona”. Anche qui l’immagine di un paese fragile dell’Europa meridionale che minaccia il benessere tedesco e l’Euro. Ma che vorrebbe poi significare declino politico? Che in Italia per la prima volta da anni nasce un governo che nelle urne ha trovato il consenso di più del 50% degli elettori? E che significa declino economico? Che tutte le istituzioni internazionali pronosticano, per la terza volta consecutiva, una crescita economica del Paese maggiore dell’1%? Che gli italiani sono campioni mondiali nelle esportazioni di autoveicoli, generi alimentari, prodotti di lusso e di alta moda? Frasi a effetto, che rimangono sempre nel vago e che sono soprattutto funzionali alla rappresentazione dell’Hallodri meridionale. 

È del tutto evidente che questa coralità di atteggiamenti e di toni non è dovuta a previ accordi, né siamo di fronte a una qualche congiura. Eppure le parole si assomigliano tra di loro, non solo quelle dei media, ma anche quelle dei media e dei politici. Quando  Handelsblatt scrive ad esempio che un governo tecnico nominato dal Presidente della Repubblica sarebbe stato più conforme alla “ragionevolezza economica” di quello attuale, ciò ricorda molto quanto detto dal Presidente del Consiglio bavarese, Markus Söder, che ha chiesto agli italiani di essere “ragionevoli”. 

Morale della favola: i giornalisti tedeschi di punta sono uniti nel voler difendere a ogni costo i presupposti delle politiche economiche europee dominanti. Come spiegare altrimenti il fatto che in nessuno di questi articoli si ricorda che la Germania ha a lungo ignorato, prima che lo facesse l’Italia, i limiti all’indebitamento previsti dal Patto Euro Plus? Che la Germania ha salvato le banche con soldi pubblici prima che lo facesse l’Italia? Che in Germania è stata licenziata una riforma delle pensioni molto più costosa di quella che si progetta ora in Italia?

Vi sono alcuni colleghi e colleghe che lo hanno rammentato nei giorni scorsi. Ad esempio, Petra Reski, che da anni lavora come corrispondente indipendente dall’Italia, e anche Markus Oetting, che segue con grande attenzione i Cinque Stelle. E non sono mancati neppure alcuni editoriali perspicaci, come quello di Giovanni di Lorenzo su Die Zeit di due settimane fa, che si sono mostrati più critici, pur senza impiegare queste stesse argomentazioni. Nondimeno, i toni non sono finora complessivamente mutati. 

Del resto, anche io nei mesi scorsi ho potuto partecipare ad alcune ricerche di mercato e a tavoli di discussione con lettori ed ex utenti dei media giornalistici. Ho incontrato, proprio come Brinkbäumer, lettori e lettrici perlopiù disgustati da un giornalismo a tesi univoche; che tengono per tradizionalistico il mescolare fatti a opinioni, come vorrebbe la vecchia scuola.; che rifiutano il giornalismo da campagna di opinione e che si sentono venduti come degli scemi quando vengono tenute loro nascoste determinate informazioni. 

L’impressione è che non si tratti di casi isolati: basta guardare su internet come hanno reagito molti lettori di Der Spiegel la settimana scorsa, dopo la pubblicazione della copertina con il cappio di spaghetti. Almeno Brinkbäumer nel suo pezzo ha anche aggiunto, circa l’incontro con i lettori, che: “se ne deve trarre come conclusione che dovremo riesaminare l’opinione che abbiamo di noi stessi”. C’è da augurare ai lettori del Der Spiegel che l’attuale titolo di copertina sia stato prodotto prima di questo riesame, e che non ne sia invece il risultato.