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domenica 20 gennaio 2019

Perché la priorità assoluta degli industriali tedeschi è evitare una Hard Brexit

"L'accordo avrebbe declassato la Gran Bretagna allo stato di colonia commerciale dell'UE" scrive l'importante economista dell'Ifo Institute di Monaco Gabriel Felbermayr in riferimento al voto del Parlamento britannico sulla Brexit. Per questo motivo gli industriali tedeschi cominciano a preoccuparsi seriamente e a lanciare i loro accorati appelli in favore di un accordo con lo UK che tenga in considerazione l'enorme avanzo commerciale verso l'isola e i 750.000 posti di lavoro che nell'industria tedesca dipendono direttamente dall'export oltremanica. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


"Allo stato di colonia commerciale"

Il respingimento dell'accordo sulla Brexit da parte del Parlamento britannico era prevedibile sin dall'inizio. L'accordo conteneva infatti diversi elementi del tutto inaccettabili per uno stato sovrano - in particolare in riferimento al cosiddetto backstop. Nel caso in cui in futuro non fosse stato possibile raggiungere alcun risultato nei negoziati sulle relazioni fra il Regno Unito e l'Unione, l'accordo avrebbe previsto non solo la permanenza del paese nell'unione doganale, ma anche una duratura spaccatura di carattere economico tra l'Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Bruxelles avrebbe semplicemente potuto forzare entrambi gli elementi rifiutandosi di raggiungere un accordo; Londra, infatti, nei confronti di una tale decisione sarebbe del tutto impotente [1]. Di fatto l'accordo, come ribadito da Gabriel Felbermayr dell'Ifo Institute di Monaco, "avrebbe declassato la Gran Bretagna allo status di colonia commerciale dell'UE" [2]. La Camera dei Comuni martedì sera lo ha respinto. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio UE, Donald Tusk, suggeriscono invece che Bruxelles stava cercando proprio questo risultato. Martedì Tusk su Twitter, rivolgendosi quindi a un vasto pubblico, scriveva: "Se un accordo è impossibile e nessuno vuole un no-deal, chi avrà il coraggio di dire qual'è l'unica soluzione positiva?" In effetti, la permanenza della Gran Bretagna nell'UE sarebbe proprio nell'interesse di Berlino e Bruxelles (...) 

Miliardi di perdite

Negli ambienti commerciali ed economici tedeschi questo gioco pericoloso sta facendo suonare molti campanelli di allarme. Dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito è il secondo più grande destinatario di investimenti diretti tedeschi - con oltre 120 miliardi di euro. È anche il quinto più grande mercato di vendita per le aziende tedesche; e come ha dichiarato il presidente della Camera dell'Industria e del Commercio tedesca (DIHK), Eric Schweitzer, il volume delle esportazioni tedesche verso il Regno Unito a partire dal referendum sulla Brexit "è già sceso di oltre il cinque per cento." [8] Le tariffe doganali che secondo le norme WTO entrerebbero in vigore in caso di "hard Brexit", solo per gli esportatori di auto tedeschi potrebbero comportare "maggiori oneri per circa due miliardi di euro all'anno", cosi' metteva in guardia il presidente della DIHK nel mese di dicembre. Inoltre, in Germania "più di 750.000 posti di lavoro dipendono...dalle esportazioni verso la Gran Bretagna". A ottobre un'analisi dell'Institut der Deutschen Wirtschaft (IW) di Colonia ha rivelato che le tariffe WTO e le probabili barriere tariffarie future, solo per l'economia tedesca, potrebbero portare a decine di miliardi di euro di perdite. Nello scenario peggiore, il commercio tedesco-britannico potrebbe crollare così bruscamente da provocare perdite superiori ai 40 miliardi di euro all'anno [9].

Le priorità dell'economia tedesca

Anche il presidente della Federazione delle industrie tedesche (BDI), Joachim Lang, si è espresso in linea con queste preoccupazioni. "Il respingimento dell'accordo è drammatico", ha detto Lang, "per la Germania l'uscita disordinata del Regno Unito vuol dire mettere a rischio un volume di commercio estero bilaterale di oltre 175 miliardi di euro - tenendo conto delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi". [10] Si rischia "una clamorosa ed immediata recessione dell'economia britannica che anche in Germania non passerebbe inosservata". "Qualsiasi mancanza di chiarezza metterebbe a repentaglio decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di posti di lavoro in Germania...", avverte il capo della BDI: "La priorità assoluta" sarà: "evitare una hard Brexit". Insieme ad altri importanti rappresentanti dell'economia tedesca, il CEO di Deutsche Bank, Christian Sewing, mette in guardia da una Brexit non regolamentata: costerebbe "al resto dell'UE...almeno mezzo punto del loro PIL" [11].

Troppi cantieri aperti

Lo stato di allarme dell'economia si spiega anche con il fatto che lo scorso anno la crescita economica tedesca è diminuita significativamente - dal 2,2 per cento del 2017 all'1,5 per cento del 2018, il dato più basso dal 2013 - e che contemporaneamente c'è il rischio di altri crolli sui diversi fronti economici. [12] Anche la Cina dovrebbe mostrare una crescita più lenta a causa della guerra commerciale avviata con Washington; le esportazioni tedesche verso la Repubblica Popolare, il terzo più grande mercato di vendita per le aziende tedesche, infatti, hanno già iniziato ad indebolirsi. La Francia, il secondo cliente dei tedeschi, al momento non è certo un bastione di stabilità in espansione, mentre la Germania sta combattendo una dura battaglia commerciale con il suo cliente più importante, gli Stati Uniti. In caso di Hard Brexit c'è il rischio molto concreto di un crollo delle esportazioni verso il mercato in quinta posizione.
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[1] S. dazu An die EU gefesselt.
[2] Chaos-Brexit verunsichert deutsche Wirtschaft. n-tv.de 16.01.2019.
[3] "Die Zeit ist fast abgelaufen". faz.net 15.01.2019.
[4] Remo Hess: Brexit-Verhandlung: Die Briten hatten keine Chance gegen Brüssel. nzzas.nzz.ch 12.01.2019.
[5] S. dazu Das Feiglingsspiel der EU.
[6] Ashley Cowburn: "This is not Dunkirk": Cabinet minister Liam Fox claims no-deal Brexit would not be "national suicide". independent.co.uk 14.01.2019.
[7] Anthony Wells: As MPs prepare for the Brexit vote, where do Britons stand? yougov.co.uk 14.01.2019.
[8] Deutsche Wirtschaft warnt vor hartem Brexit. n-tv.de 15.12.2018.
[9] Michael Hüther, Matthias Diermeier, Markos Jung, Andrew Bassilakis: If Nothing is Achieved: Who Pays for the Brexit? Intereconomics 5/2018, 274-280. S. dazu Das Feiglingsspiel der EU.
[10] Chaotischer Brexit rückt in gefährliche Nähe. bdi.eu 16.01.2019.
[11] Chaos-Brexit verunsichert deutsche Wirtschaft. n-tv.de 16.01.2019.
[12] Wirtschaft schrammt an der Rezession vorbei. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.01.2019.

venerdì 21 dicembre 2018

La questione tedesca

"L'immagine che la Germania ha di sé è cambiata radicalmente rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto", scrive German Foreign Policy, facendo un parallelo fra la questione tedesca del 1871 e quella attuale. La Germania di oggi si trova esattamente nella stessa condizione del 1914: "di fatto la maggiore potenza in Europa, ma in una situazione di conflitto con molti altri stati". Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


"Non in grado di resistere alle crisi"

Nella politica europea della Germania, secondo gli esperti, sarebbero necessari dei cambiamenti, in particolar modo in merito alla moneta unica. Una grave debolezza dell'Unione monetaria è il fatto che l'Eurozona, nonostante le varie misure adottate dopo lo scoppio della crisi finanziaria, "da tempo ormai non è in grado di resistere alle crisi", scrive Daniela Schwarzer, direttrice dell'Istituto di ricerca della Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) [1]. In effetti, il problema di fondo resta immutato: "l'introduzione della moneta unica senza una politica economica comune ... divide politicamente il Nord dal Sud Europa", scrive il direttore dell'Istituto per la politica di sicurezza dell'Università di Kiel (ISPK), Joachim Krause. [2] Le richieste, soprattutto da parte della Francia, di introdurre una sorta di governo economico per l'Eurozona, come proposto dal presidente Emmanuel Macron nel suo discorso in favore di un bilancio dell'Eurozona, fino ad oggi sono state regolarmente bloccate da Berlino; sebbene un altro focolaio di crisi, ad esempio a causa della situazione di instabilità in Italia e delle sue banche, non sia affatto da escludere. In futuro, se non si prenderanno delle misure precauzionali, avverte l'esperto della DGAP Schwarzer, potrebbero sorgere "crisi di entità ancora maggiore". Le risposte ad hoc, come quelle date a partire dal 2010, sarebbero oggi ancora più "difficili" di quanto non fossero allora "poiché la polarizzazione politica all'interno dell'UE e all'interno degli stati membri è aumentata".

"Divisi"

Come sollecitato, fra gli altri, anche dal direttore dell'ISPK Krause, Berlino dovrebbe finalmente affrontare "i problemi strutturali dell'Eurozona", e non solo quelli. Il governo federale e l'UE, infatti, dovrebbero mettere in agenda anche il "problema dell'immigrazione", che fino ad oggi "ha diviso l'Europa orientale da quella occidentale" [4]. In realtà "la gestione da parte del governo federale della crisi dell'euro (dal 2010) e della crisi migratoria del 2015", "ha fatto rivivere la diffidenza nei confronti del presunto unilateralismo tedesco e delle sue ambizioni egemoniche". Krause ritiene che ciò sia controproducente. Nonostante ciò Berlino si appresta ad approfondire ulteriormente i solchi già esistenti in Europa estendendo il voto a maggioranza nell'UE. La decisione di accogliere i rifugiati nell'UE, presa a maggioranza nel settembre 2015, aveva irritato diversi paesi membri dell'est spingendoli a schierarsi con forza contro la Repubblica federale e provocando una frattura che dura ancora oggi, e che probabilmente continuerà ad approfondirsi [5]. Il governo federale si sta infatti concentrando su una ulteriore e rapida espansione delle decisioni da prendere a maggioranza e vorrebbe sottrarre ai singoli paesi dell'UE il diritto di veto sulla politica estera e perfino su quella militare. Se i singoli Stati membri in futuro dovessero essere scavalcati su ulteriori importanti decisioni, il potenziale per ulteriori rotture politiche non potrebbe che aumentare.

1871 e 1990

L'ambivalenza della politica di Berlino - imporre le proprie posizioni sulle questioni chiave, unita all'incapacità di ottenere un riconoscimento generale per queste stesse posizioni - recentemente ha spinto alcuni osservatori a fare un confronto con alcune fasi antecedenti della storia tedesca. Da quando la Repubblica federale ha "trovato una nuova forza economica" - "diciamo da circa il 2005" - ha di nuovo "quella posizione dominante in Europa di cui già si parlava ai tempi dell'impero di Bismarck", scrive lo Storico Andreas Rödder. [7] "Fin dal 1871 e dal 1990 la questione tedesca" - "ha riguardato il tema della compatibilità fra la forza tedesca e l'ordine europeo". Altri paesi europei ai tempi dell'impero del Kaiser avevano già individuato una "minaccia proveniente dalla forza tedesca" e consideravano la Germania allo stesso tempo "imprevedibile e volubile". "Questo punto di vista sulla Germania è stato confermato ancora una volta dalla crisi debitoria dell'euro e dalla crisi dei rifugiati". In entrambi i casi la Repubblica federale "ha agito da sola" cercando di imporre la propria volontà agli altri paesi membri dell'UE. In termini di politica di potenza, la Germania "oggi si trova esattamente dove si trovava nel 1914" - "di fatto la maggiore potenza in Europa", ma in conflitto con molti altri stati [8]. Il membro della CDU Rödder ritiene che ciò sia "inquietante".

Il senso di superiorità tedesco

Rödder inoltre, facendo riferimento ai crescenti conflitti all'interno dell'UE, mette in guardia dall'arroganza tedesca. Nel diciannovesimo secolo, a differenza del Regno Unito o della Francia, la Germania non poteva fare riferimento a un territorio tradizionalmente definito - e quindi "si considerava una nazione culturale". Questa "coscienza di sé e del proprio ruolo" ha "sempre implicato una tendenza alla superiorità morale", sostiene Rödder, che insegna storia contemporanea all'Università Johannes Gutenberg di Mainz. [9] Sicuramente "l'immagine che di sé ha la Germania è radicalmente cambiata rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto". Oggi si esprime "contro i polacchi" considerati xenofobi, "o gli ungheresi, per esempio, o anche i pazzi inglesi che osano lasciare l'UE". Al contrario, "i tedeschi ritengono di essere una potenza civile multilaterale e illuminata", mentre in altri paesi dell'UE vengono percepiti come una minaccia egemonica. Su questa discrepanza si tende a "riflettere troppo poco", avverte Rödder: "anche questa è una costante storica, e cioè che i tedeschi sono molto concentrati su se stessi".
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[1] Daniela Schwarzer: Das nächste Europa. Die EU als Gestaltungsmacht. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[2] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[3] S. dazu Das Eurozonen-Budget.
[4] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[5] S. dazu "Deutsche Überheblichkeit".
[6] S. dazu Wie man weltpolitikfähig wird.
[7] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.
[8] S. dazu Alles oder nichts.
[9] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.


martedì 11 dicembre 2018

Die Welt: brutte notizie per la Germania, ora dovrà gestire un'altra Italia

Per il prestigioso quotidiano di Amburgo il discorso di Macron di lunedi' sera segna il definitivo spostamento dell'equilibrio interno all'unione monetaria in favore del Club Med (Spagna e Italia). L'uomo di Berlino a Parigi, il giovane Macron, ha deluso le aspettative dei neoliberisti tedeschi, come era accaduto con Renzi in Italia, e ora i tedeschi dovranno capire come sarà possibile gestire un'altra Italia nella stessa unione monetaria. Ne scrive su Die Welt Olaf Gersemann, responsabile sezione economia nonché commentatore di spicco.


In Germania, il salario minimo legale è di 8,84 euro all'ora. E i malumori per il passaggio a fine anno a 9,19 euro sono relativamente pochi - dopotutto il paese si sta dirigendo verso la piena occupazione, almeno fino a quando l'attuale fase di crescita non porterà ad una recessione.

In Francia il salario minimo legale è molto più alto, 9,88 euro l'ora, e anche la disoccupazione è molto più alta - nel confronto europeo la Francia è al quarto posto, solo Grecia, Italia e Spagna riescono a fare peggio.

Se all'Eliseo ci fosse un riformatore con qualche ambizione, saprebbe cosa fare: assicurarsi che il salario minimo aumenti solo modestamente o, nel migliore dei casi, per niente. Non sarebbe una condizione sufficiente, ma comunque necessaria affinché la disoccupazione possa almeno iniziare a scendere in maniera simile a quanto accade su questa sponda del Reno.

Emmanuel Macron tira fuori le pistole. Per settimane, i giubbotti gialli hanno imperversato in Francia, lunedì sera, il presidente francese ha risposto con un discorso televisivo. Quella sarebbe stata l'occasione per contrastarne gli eccessi. Quella era l'occasione giusta per passare all'offensiva, per proporre la visione di una Francia prospera che richiede anche dei sacrifici da parte dei suoi cittadini sulla strada necessaria per raggiungere l'obiettivo.

Macron non solo ha perso un'opportunità. Ma ha legittimato le rivolte ex-post proclamando lo "stato di emergenza economica e sociale" e strisciando incontro alla folla che incendia le auto di piccola cilindrata.

Aumento del minimo salariale di quasi il sette per cento

La più simbolica delle sue concessioni: il salario minimo dovrebbe salire di 100 € al mese. Cioè, in un colpo solo, un aumento pari a tutti gli aumenti degli ultimi sei anni messi insieme. Il salario minimo salirà di quasi il sette percento, a 10,54 euro all'ora.

Che la disoccupazione in seguito a questo aumento rischia di crescere ancora, lo sa bene anche Macron. Ecco perché dovrebbe essere lo stato a pagare i 100 euro. Tra le altre cose, è disposto anche ad accettare il superamento da parte della Francia del limite di deficit del 3% in rapporto al PIL fissato dai criteri di Maastricht; Parigi nel 2017, per la prima volta a partire dal 2007, aveva rispettato il criterio unicamente grazie alla politica dei tassi a zero della BCE. Devi essere davvero cinico allora, se pensavi di rimettere in questo modo la Francia "En Marche" - in movimento.

La speranza è sempre stata quella che Macron potesse trasformarsi nel Gerhard Schröder francese: un uomo che, se necessario, avrebbe messo in pericolo il suo mandato pur di riuscire a fare la giusta politica economica. Invece Macron si è fatto piccolo ed è diventato la versione francese di Matteo Renzi. Il primo ministro italiano è stato presidente del consiglio dal 2014 al 2016, anche lui era di bell'aspetto, giovane e dinamico, e a suo tempo prometteva le stesse cose di Macron: formule magiche senza effetti collaterali.

Alla fine l'Italia, lungo la strada che porta alla bancarotta dello stato, ha perso solo del tempo prezioso. Ad avvantaggiarsene politicamente sono stati i ciarlatani dell'estrema destra e dell'estrema sinistra che ora a Roma dirigono le operazioni.

Brutte notizie per la Germania

La Francia, un paese che in realtà avrebbe ancora il potenziale economico per contendere alla Germania il primo posto in Europa, ora rischia di inciampare dietro all'Italia lungo la strada che porta in terza divisione. Difficilmente potrà permettersi un altro presidente conciliante: la lenta e strisciante caduta del paese, a partire dalla crisi finanziaria ha subito un'accelerazione e ora rischia di trasformarsi in una retrocessione permanente.

Per la Germania si tratta di una brutta notizia. Economicamente. Ma anche politicamente. Già al culmine della crisi dell'euro, in considerazione del suo peso economico, è sempre dipeso tutto dalla Francia: se Parigi sta dalla parte di Berlino, si può evitare che l'unione monetaria finisca sotto l'influenza del Club Med informale guidato da Italia e Spagna e scivoli nell'unione di trasferimento. D'altra parte, se Parigi si mette dalla parte di Italia e Spagna - o se rimane neutrale - allora l'intera costruzione si ribalta.

Per 15 mesi la Berlino politica si è occupata maniacalmente del modo in cui si poteva rispondere alle proposte di riforma dell'euro e dell'Europa, presentate da Macron nel settembre 2017 subito dopo le elezioni tedesche in occasione del discorso alla Sorbonnne di Parigi. Proposte che fondamentalmente mirano a spillare il denaro e la sovranità dei contribuenti tedeschi.

Memori della performance di Macron nella disputa sui gilet gialli, ora a Berlino ci si potrà occupare con fiducia di altre cose. Cose più urgenti. La questione consiste esattamente nel modo in cui si dovrà gestire una situazione in cui la Germania all'interno dell'Unione monetaria e nell'UE, non avrà piu' a che fare con una sola Italia. Ma con due.


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domenica 9 dicembre 2018

Le guerre future dell'UE

Nei Think Tank di Berlino e fra i consulenti del governo tedesco si lavora a pieno ritmo per delineare i contorni del futuro esercito europeo e soprattutto delle future guerre europee. Un recente studio della prestigiosa Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) ipotizza diversi scenari di intervento UE e giunge ad una conclusione che sicuramente non dispiacerà ai fabbricanti di armi: gli stati UE non sono preparati per le future guerre europee, si dovrà spendere di piu' per gli eserciti. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


L'esercito degli europei

L'attuale studio sullo stato della militarizzazione dell'UE, realizzato dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) insieme al London International Institute for Strategic Studies (IISS) rileva innanzitutto che nell'ultimo anno l'Unione Europea in ambito militare ha fatto dei rapidi progressi. L'integrazione delle forze armate degli Stati membri nell'ambito del progetto PESCO è già iniziata. [1] Anche l'integrazione della pianificazione del riarmo nell'ambito dell'UE viene già affrontata nel quadro della Coordinated Annual Review on Defence (CARD). Il Fondo europeo per gli armamenti già ora eroga denaro per lo sviluppo congiunto degli armamenti fra gli Stati membri. La Commissione Europea ha anche dichiarato che l'Autonomia Strategica dell'UE è un obiettivo comune da portare avanti su vari livelli, non da ultimo quello militare. [2] Il dibattito sul futuro "esercito degli europei", inoltre, è in pieno svolgimento e recentemente, verso la fine di novembre, durante l'ultima Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha fatto un ulteriore passo in avanti [3]. La decisione della Francia di creare una iniziativa di intervento europea (Initiative européenne d'intervention) promuove ulteriori misure pratiche finalizzate alla costruzione di una forza d'intervento europea [4].

Varianti di impiego

In questo quadro lo studio della DGAP-IISS analizza fino a che punto l'UE potrebbe essere in grado di realizzare e guidare concretamente le operazioni militari sulla base delle decisioni prese. Si tratterebbe di cinque tipi operazioni: "peace-enforcing", realizzabili in un raggio geografico di 4.000 chilometri intorno all'Europa;  missioni di "prevenzione dei conflitti" (fino a 6.000 chilometri dall'Europa); "missioni di stabilizzazione" (fino a 8.000 chilometri dall'Europa), "operazioni di soccorso e di evacuazione" (10.000 chilometri dall'Europa) e "azioni di aiuto umanitario" (fino a 15.000 chilometri dall'Europa) [5] Lo studio DGAP-IISS nei suoi scenari già considera l'imminente uscita della Gran Bretagna dall'UE: analizza eventuali operazioni congiunte fra l'UE a 27 e il Regno Unito, ma si chiede anche se l'UE a 27 sarebbe in grado di svolgere le proprie azioni militari in autonomia. In particolare, gli autori dello studio si sono chiesti se l'UE, con le sue risorse militari, sarebbe in grado di effettuare più operazioni contemporaneamente. Bruxelles lo considera infatti politicamente necessario.

Guerre nel Caucaso meridionale

Gli autori basano il loro studio su alcuni scenari operativi concreti che forniscono informazioni sul tipo di operazioni militari che gli strateghi dell'UE nei prossimi anni considerano fattibili. Un esempio fra questi è lo scenario che descrive una missione di "peace-enforcing" nel Caucaso meridionale. Una forza UE viene inviata nel Caucaso meridionale (EUFOR-SC) e schierata fra Armenia e Azerbaigian; entrambi i paesi, nello scenario individuato, da diversi mesi combattono una guerra feroce in cui alla fine intervengono anche i terroristi jihadisti. L'UE viene incaricata di far rispettare un cessate il fuoco precario. In un primo momento i due Battlegroup dell'UE, che a rotazione vengono tenuti sempre pronti, dovrebbero intervenire entro un breve lasso di tempo per evitare che i combattimenti si riaccendano. Successivamente, l'attuale EUFOR-SC, una forza di circa 60.000 soldati, arriverebbe nell'area operativa. La EUFOR-SC dispone di componenti terrestri, aeree, marittime e di forze speciali; tra le altre cose, dovrebbero essere inviati circa 150 aerei da combattimento con il compito di svolgere fino a 250 missioni aeree al giorno. Secondo lo studio della IISS-DGAP, nella situazione attuale, in particolare nell'ambito delle forze di terra e delle forze aeree, la EUFOR SC mostrerebbe una capacità presumibilmente insufficiente, sempre a condizione che il Regno Unito continui a operare congiuntamente con l'UE a 27. Se il Regno Unito non dovesse piu' partecipare, nella marina vi sarebbero delle forti lacune.

Neutralizzare i jihadisti 

Gli ulteriori scenari delineati nello studio della DGAP-IISS comprendono anche la lotta contro i jihadisti. La EUFOR HOA (Forza UE per il Corno d'Africa) si troverebbe a dover intervenire in Somalia dove i jihadisti hanno portato sotto il loro controllo gran parte del paese, e dove le forze governative e le unità dell'Unione africana sono state spinte verso la capitale Mogadiscio e il nord del Kenya. La forza EUFOR HOA ha ricevuto il compito di neutralizzare i jihadisti - 3.000 combattenti dell'IS nel nord del paese, 4.000 miliziani di Al Qaeda nel sud, 7.500 jihadisti Al Shabaab intorno a Mogadiscio, tutti molto mobili, molto motivati ​​e, tra l'altro in possesso di missili portatili anti-aerei. Sono di nuovo due gruppi tattici dell'UE a dover intervenire in maniera rapida prima che la  EUFOR HOA scenda in campo con i suoi battaglioni di terra, con le forze navali, aeree e con le forze speciali. In un altro scenario si ipotizza invece una guerra contro i pirati nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano, sotto la guida di EUFOR IO (forza UE per l'Oceano Indiano) su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Contemporaneamente EUFOR IO deve tenere sotto controllo gli attacchi provenienti dagli Houthi dello Yemen. Ciò rende necessario implementare una efficace difesa missilistica, mentre le operazioni sarebbero svolte principalmente dalla marina e dalle forze speciali. In entrambi gli scenari gli autori dello studio evidenziano ancora una volta delle forti mancanze in termini di armamenti, deficit che resterebbe immutato anche se l'UE a 27 combattesse a fianco del Regno Unito, e che riguarderebbe peraltro tutte e tre le forze. Se il Regno Unito non dovesse partecipare, l'elenco delle carenze aumenterebbe in maniera significativa.

Diversi interventi in parallelo

Secondo gli autori la dotazione militare dell'UE è inadeguata, soprattutto se dovessero rendersi necessarie più operazioni contemporaneamente. Lo studio della DGAP-IISS si concentra su due possibili varianti. La prima prevede parallelamente una cosiddetta missione di rafforzamento della pace e una "missione di salvataggio ed evacuazione". La seconda presuppone che diverse operazioni minori vengano eseguite contemporaneamente: due per la "prevenzione dei conflitti", due missioni di stabilizzazione, una per il "salvataggio e  l'evacuazione" e una per gli "aiuti umanitari". Sulla prima variante gli autori ipotizzano che anche se la Gran Bretagna partecipasse a entrambe le missioni, nel tentativo di svolgere il proprio compito l'UE a 27 "si troverebbe in grande difficoltà". Se la Gran Bretagna dovesse restare fuori, allora sarebbe "molto difficile" eseguire le operazioni militari in maniera soddisfacente. La seconda variante, secondo gli autori, sarebbe chiaramente "fuori dalla portata degli Stati membri dell'UE". Il divario tra le capacità militari dell'UE e le esigenze militari è troppo ampio e implica che queste ultime vengano soddisfatte solo per circa un terzo. L'UE avrà bisogno del sostegno dei paesi terzi. Anche se ciò dovesse essere possibile, in questo modo non si potrà ottenere alcuna "autonomia strategica".

Piani di riarmo? "Inadeguati"

Gli autori dello studio ritengono che, anche nel caso in cui gli attuali piani di riarmo venissero attuati, l'UE anche nel 2030 non sarebbe in grado di disporre della capacità necessaria per la prima variante di schieramenti simultanei, almeno per quanto riguarda le forze aeree e navali. Nella seconda opzione, anche operando congiuntamente con la Gran Bretagna, non sarebbe comunque in grado di resistere. Lo studio quindi può anche essere inteso come un invito ad aumentare la spesa tedesca ed europea per gli armamenti.
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[1] S. dazu Der Start der Militärunion.
[2] S. dazu Strategische Autonomie.
[3] S. dazu Die Armee der Europäer
[4] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen (II)
[5] Zitate hier und im Folgenden: Douglas Barrie, Ben Barry, Henry Boyd, Marie-Louise Chagnaud, Nick Childs, Bastian Giegerich, Christian Mölling, Torben Schütz: Protecting Europe: meeting the EU's military level of ambition in the context of Brexit. London/Berlin, November 2018.


Criticità nell'impostazione dell'esercito EU (anonimo)

Questo blog rilancia un commento di altissimo livello lasciato pochi giorni fa da anonimo sul tema dell'esercito UE, che senza dubbio alza la media del blog. Quello dell'esercito europeo è infatti un tema fondamentale che al pari della moneta unica è destinato a spaccare ancora di più l'UE e a peggiorare i rapporti con America e Russia. Un ringraziamento ad anonimo per la riflessione.


Rilevo numerose criticità nell'impostazione dell'esercito EU così come auspicato dall'articolo:

1) Stanti passate esperienze di decisioni politiche spacciate per tecniche e sottratte al processo democratico, il vagheggiato "comitato di politici esperti di sicurezza, espressione dei parlamenti nazionali, che in tempi rapidi dovranno essere in grado di preparare e prendere decisioni" suona abbastanza sinistro. Non si dovrebbe dimenticare che, a parte le dichiarazioni di rito di difesa della democrazia, l'EU è un organismo che presenta evidenti deficit di democrazia. Demandare ad organismi tecnici le decisioni politiche è, oltre che altamente antidemocratico, anche pericoloso infatti nessuna nazione al mondo ha MAI lasciato la più politica delle decisioni (se, a chi, e quando, fare la guerra) in mano ad un organismo tecnico. 

2) La questione della gestione dell'arsenale nucleare, da me evidenziata in un altro intervento sul medesimo tema, risulta ancora totalmente indefinita. Non si tratta di una questione di poco conto. Dal momento che l'arsenale nucleare europeo sarebbe costituito dall'arsenale nucleare francese (essendo la Gran Bretagna fuori dall'UE), è molto difficile pensare che i francesi cedano il controllo del loro arsenale (che si sono pagati), senza chiedere sostanziose compensazioni in termini di peso decisionale e/o diritto speciale di veto sulle decisioni riguardanti l'impiego dell'esercito EU. Sarebbe interessante sentire il punto di vista francese sull'argomento.

3) Non si affronta minimamente la spinosa questione di se e come l'esercito EU possa venir usato per questioni interne all'EU tipo "law enforcing", "stabilizzazione", "pace keeping", sedazione rivolte. 

4) L'articolo rispecchia il tipico approccio germanico: parla diffusamente degli interessi della Germania senza confrontarsi con gli interessi degli altri paesi dell'unione. L'unico punto in cui si citano gli interessi non germanici è quello in cui si dice che "i singoli stati membri in futuro potranno essere costretti a sostenere una politica estera apertamente contraria ai loro interessi". Il che suona assai sinistro, specialmente per l'Italia. 

5) la proposta di abolire l'obbligo dell'unanimità va vista alla luce del fatto che la rappresentanza politica in EU è lo specchio dei rapporti di forza economici. Per capire come questo c'entri con la questione dell'unanimità, bisogna ricordare che quando si parla di Germania in realtà si sta parlando non solo della Germania in senso stretto, ma di tutto quel blocco economico che prima dell'euro si chiamava "area del marco tedesco" e che comprende Germania, Austria, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Non è difficile capire che convergenti interessi economici siano motore di convergenti interessi politici, se pur con eccezioni anche notevoli (vedasi la posizione austriaca sull'immigrazione rispetto alla posizione tedesca). 

Essendo che i rapporti di forza economici sono già oggi molto sbilanciati a favore della Germania "largamente intesa", un passaggio dall'unanimità alla maggioranza determinerebbe un ulteriore rafforzamento dell'egemonia tedesca.

6) L'articolo non affronta la questione di chi dovrebbe mantenere finanziariamente l'esercito EU. Stanti i punti precedenti, perché un paese che rischia di vedersi costretto "a sostenere una politica estera apertamente contraria ai propri interessi" dovrebbe contribuire a mantenere lo strumento della propria stessa costrizione?


7) Non si chiarisce cosa si intende esattamente con "esercito europeo" e quale dovrebbe essere almeno a grandi linee la sua composizione. Una forza armata moderna è genericamente composta da 3 armi: esercito propriamente detto, una forza aerea ed una marina. E' evidente che paesi diversi hanno esigenze strategiche diverse. Ad esempio l'Austria, non avendo accesso al mare, non ha una neanche marina da guerra e non è interessata ad averla. All'opposto l'Italia, essendo una penisola, ha interesse ad avere una marina da guerra decisamente preponderante rispetto alla componente terrestre. Si pone quindi il problema di come evolverà nel tempo la composizione stessa dell'esercito europeo. 



Il rischio è di ritrovarsi, nel tempo, con uno strumento militare la cui stessa composizione di materiali sia tagliata a misura di una ristretta cerchia di paesi e poco o nulla impiegabile per gli altri. 

Per dare concretezza a quanto esposto si paragonino i numeri della marina tedesca con quelli della marina italiana: si vede chiaramente come l'impostazione della marina tedesca sia prettamente difensiva (avendo la Germania scarso accesso al mare). La marina italiana è invece molto più capace di interdizione d'area e proiezione di forza, come è ovvio per un paese protratto nel mediterraneo, aggredibile via mare e che storicamente ha prosperato con i commerci marittimi con la conseguente esigenza di difenderli.

Marina TEDESCA / ITALIANA
portaeromobili 0 / 2
incrociatori lanciamissili 0 / 4
fregate 10 / 12
corvette 5 / 1
pattugliatori d'altura 0 / 10
cacciamine 19 / 10
assalto anfibio 0 / 3
sottomarini 4 / 8

8) La visione data dall'articolo è totalmente autocentrica, come se la costituzione di una forza armata di rilevanza globale fosse una questione solamente interna all'UE, e non prende minimamente in considerazione la reazione del resto del mondo. Questa visione è per lo meno miope. Ci sono almeno 2 attori di rilevanza globale che verrebbero impattati dalla creazione di una forza armata europea, e sono USA e Cina. Già oggi vi sono notevoli segni di attrito USA-Germania e una indipendenza militare europea (leggasi: tedesca) che rendesse la politica estera tedesca meno dipendente da quella USA, sarebbe un ulteriore elemento di scontro.

Un altro elemento di sicuro scontro USA-UE introdotto dalle costituende forze armate europee, sarebbe il dominio del Mediterraneo. L'unione delle marine di Italia, Francia, Spagna e Germania costituirebbe una forza navale capace di una opposizione *credibile* alla VI flotta USA che è responsabile del controllo del mar Mediterraneo. Per comprendere come questo sia un terreno -anzi mare- di scontro, bisogna considerare che il Canale di Suez è un ganglio assolutamente vitale dei commerci mondiali: non è un caso infatti che la marina USA tenga la VI flotta di stanza nel mediterraneo e la V flotta nel Mar Arabico, cioè ai due lati della trafficatissima rotta commerciale che passa dal canale.

Sempre per la stessa ragione, la Cina avrebbe molto da temere da una marina europea capace -potenzialmente- di bloccare il canale, essendo questo la principale arteria di entrata delle merci cinesi in europa.

La posizione dell'Italia in un tale frangente sarebbe doppiamente delicata: a Napoli vi è la base della VI flotta e ciò rende l'Italia particolarmente importante per la politica USA nel mediterraneo. Al tempo stesso l'Italia è importante per una ipotetica marina europea essendo la seconda marina UE appena dopo quella francese.

Concludendo, se gli annunci sul costituendo esercito europeo non fossero solo propaganda elettorale in vista delle venture elezioni europee, possiamo stare certi che questo sarà un tema di scontro -anche molto duro- con gli USA.



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venerdì 7 dicembre 2018

Saranno i tedeschi a salvare Macron con l'unione di trasferimento?

Editoriale molto interessante su Die Welt che ci fa capire quanto le élite tedesche siano consapevoli della posta in gioco nella partita francese, del resto il giovane Macron sin dall'inizio è stato il candidato di Berlino nella corsa all'Eliseo. Le élite politiche ed economiche tedesche, consapevoli del fatto che l'eurozona e l'UE rappresentano la base su cui fondare le ambizioni egemoniche della Repubblica Federale, si sono affidate al talento dell'uomo di Rotschild per tentare di riformare un paese irriformabile. Ora che la parabola politica del giovane ex-banchiere sembra essere al capolinea, fra i tedeschi si fa sempre piu' strada l'idea che per salvare l'uomo di Berlino a Parigi dovranno fare delle concessioni importanti sul terreno dell'unione di trasferimento. Ne parla Michael Stürmer, editorialista di spicco su Die Welt


Helmut Kohl aveva definito quella tra Francia e Germania, a causa della loro vicinanza e del loro vicinato, una comunità di popoli uniti dallo stesso destino. Ciò non era da intendersi nel senso storico, ma soprattutto guardando al futuro. Se ora la Quinta Repubblica, fondata da De Gaulle mezzo secolo fa, inizia a vacillare, lo sguardo tedesco non può che rivolgersi con una certa preoccupazione ai vicini oltre il Reno, alla stabilità delle loro istituzioni, alla responsabilità degli interessi organizzati e al senso dello stato del Presidente e del suo governo. Una crisi come quella attuale non era ancora mai stata sperimentata dalla Quinta Repubblica.

La Francia ha vissuto a lungo al di sopra delle proprie possibilità. Nei primi anni '80, era già accaduto che sotto una presidenza di sinistra, quella di Mitterrand, il paese si sia trovato in una situazione difficile in cui la Repubblica federale ha avuto un effetto stabilizzatore sul vicino. Proprio in quegli anni ebbe inizio una politica che trovò il suo coronamento nella moneta unica, e che allo stesso tempo ha reso il benessere e la sventura di entrambi i paesi e del resto d'Europa fra loro irrimediabilmente legati.

La Quinta Repubblica, ora in crisi, era stata pensata da de Gaulle come una forma statuale di emergenza, con l'Assemblea nazionale come luogo di rappresentanza delle forze sociali e l'uomo forte dell'Eliseo come contrappeso e salvatore della società. Nella crisi attuale questa costruzione viene messa in discussione, si tratta in realtà della governabilità o dell'ingovernabilità di un paese che in tempi di crisi è sempre stato abituato ad una rapida escalation, agli attacchi di anarchia e in seguito alla resa dei governanti di fronte alla rabbia pubblica.

Il grande Paese orgoglioso cosi' ha vissuto al di sopra dei propri mezzi per un lungo periodo, in segreto e in accordo con i grandi poteri sociali, e si è concesso molti usi e costumi che a un certo punto sono diventati troppo costosi e che in modo nuovo hanno messo in discussione l'equilibrio sociale. Il Presidente, come previsto dalla costituzione presidenziale, ha pronunciato delle verità scomode, ha dato al Paese una dose di rivoluzione omeopatica dall'alto - ed è riuscito fino ad ora anche a trovare delle maggioranze per farlo.

Ciò che ora è in gioco, proprio in un momento in cui bisogna affrontare grandi sfide esterne e sulla sicurezza, non è solo la forza di integrazione della Repubblica francese, ma la fattibilità del progetto europeo. Siamo testimoni di un dramma che per molto tempo ha continuato a montare prima di raggiungere l'apice della crisi. Questa non è solo una questione francese. Questa è un'emergenza dell'Europa, e quindi la Francia potrà e dovrà contare su tutta la possibile solidarietà tedesca.
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mercoledì 5 dicembre 2018

Egemonia à l'allemande

Secondo un'analisi della prestigiosa Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) le responsabilità tedesche nella attuale crisi francese sarebbero molto chiare. Sono infatti le élite politiche ed economiche della Repubblica Federale che da anni tramite i volenterosi burocrati di Bruxelles fanno pressione per implementare anche in Francia un programma di riforme ispirato da Berlino. Ma il giovane Macron è in grande difficoltà, non solo sul fronte interno, ma anche sulla riforma della governance europea, dove ha disperatamente bisogno di portare a casa un risultato concreto in vista delle europee del prossimo anno. I tedeschi nel frattempo preferiscono temporeggiare. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy.




Solleciti da Berlino

Che le misure di riforma che il presidente francese Emmanuel Macron ha iniziato ad attuare sin dal suo insediamento, il 14 maggio 2017, e che ancora oggi continua a portare avanti, corrispondano in larga parte a quelle stesse riforme richieste dalla Germania, lo sottolineava già la scorsa primavera in un breve documento di analisi la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Macron nel settembre 2017 ha "approvato una riforma del mercato del lavoro che tra le altre cose riduce la tutela e rafforza gli accordi contrattuali aziendali e di settore" scriveva la DGAP. [1] Inoltre, "i contributi dei datori di lavoro sono stati ridotti ed è stato aumentato il contributo sociale generale (CSG)"; fatto che "fra i pensionati ha causato un certo malcontento". In seguito poi è stata affrontata "la riforma della società ferroviaria pubblica SNCF". Se fosse per Macron 'nessun elemento dello stato sociale francese dovrebbe restare intatto' si legge nell'analisi, sempre secondo il documento, il corso di "riforme interne" di Macron in Germania sarebbe particolarmente apprezzato dai liberali e dai conservatori: alla fine è stata proprio "la Germania a sollecitare l’attuazione delle riforme strutturali raccomandate dalla Commissione europea".



Elementi inseparabili

Il DGAP sottolinea che Macron ha iniziato il suo duro corso di riforme "à l'allemande" nella speranza che Berlino gli possa andare incontro sui temi della politica europea. Non da ultimo le sue misure erano finalizzate a presentare la Francia come un "partner affidabile" - "soprattutto in Germania" - "un paese che mantiene i suoi impegni e che quindi ha la legittima pretesa di aspirare alla leadership nell'UE", sostiene l'analisi della DGAP. [2] Tuttavia, come indicato dallo stesso piano di Macron, la riforma della governance "dell'UE dovrebbe contribuire al successo delle riforme interne". Perché il popolo francese "sarà disposto ad accettare ulteriori riforme solo se si convincerà che queste sono un bene per il futuro della Francia ..." - e che l'UE, che è ben nota per la sua insistenza su queste riforme, "non solo sostiene la liberalizzazione e l'indebolimento dello stato sociale ma è anche a favore della difesa e del miglioramento delle condizioni di vita". A tale riguardo, "le riforme interne e quelle della governance europea", che Macron persegue contemporaneamente, "dovranno essere considerate elementi inseparabili in cui il successo dell'una influenzerà anche l'altra". Che ora nonostante l'elevato "ritmo politico [...] delle riforme interne", nella politica europea non si muova nulla, "per il presidente francese ... si tratta di un problema serio".

Eurozona senza governo

Berlino intanto a livello europeo continua la sua politica di blocco nei confronti di Parigi, soprattutto in due ambiti di fondamentale importanza per Macron. Uno è la riforma della zona euro. Macron mira in linea di principio a standardizzare quanto piu' possibile un'area valutaria estremamente eterogenea, attraverso un determinato livello di redistribuzione. Ciò darebbe alle economie nazionali più deboli, specialmente quelle del sud dell'Eurozona, la possibilità di sperare in una ripresa. A beneficiarne sarebbero tuttavia anche i paesi del nord: una ripresa nel sud potrebbe aiutare a condurre la moneta unica in maniera duratura fuori dalla crisi. Macron spinge quindi per l'introduzione di un bilancio unitario, un ministro delle finanze dell'eurozonza e di altre misure analoghe, che in realtà Parigi chiede da sempre. Già nell'ottobre 2008 infatti il presidente Nicolas Sarkozy aveva chiesto di formare all'interno dell'Eurogruppo un "governo economico" per l’eurozona [3]. Il suo successore François Hollande aveva poi ripreso la stessa proposta nel luglio 2015. [4] Entrambi non vi sono riusciti a causa dell'opposizione di Berlino. Lo stesso ora vale per Macron. Il governo tedesco subito dopo il suo insediamento all'Eliseo lo aveva inizialmente tenuto in attesa con il pretesto della campagna elettorale federale; poi in seguito durante la lunga fase di formazione del governo la scusa era stata quella di uno spazio politico insufficiente per una riforma della zona euro. In questo modo Berlino è riuscita ad annacquare cosi' tanto i piani di Parigi che di fatto non è rimasto quasi nulla [6].



PESCO Versus IEI

Se la fiducia della popolazione francese nei confronti della riforma della zona euro, e quindi della possibilità di partecipare alla ridistribuzione delle risorse a favore del Sud, è venuta meno, allo stesso modo Berlino ha negato a Parigi anche un successo parziale su altri aspetti che Macron avrebbe potuto utilizzare per migliorare un po' la sua immagine tra i francesi. Si tratta della militarizzazione dell'UE. Vi è accordo tra i governi di entrambi i paesi sul fatto che l'UE dovrà avere una forza armata comune. Vi sono, tuttavia, controversie sull'ancoraggio istituzionale da dare alle truppe e sul calendario per la loro istituzione. Parigi ha fretta: per le missioni future, in particolare nella sua sfera di influenza africana, ha bisogno di ricevere il più rapidamente possibile sostegno e di non essere frenata da quei paesi che - come i paesi dell'Europa orientale - nel continente africano non hanno alcun interesse strategico. Macron pertanto sostiene con forza l'Iniziativa di Intervento Europeo (IEI), che dal punto di vista formale potrebbe operare in maniera del tutto indipendente e già ora sarebbe in grado di elaborare dei piani per eventuali missioni [7]. Berlino, invece, chiede con forza un ancoraggio "dell'esercito degli europei" all'interno della UE e un sistematico ricongiungimento delle truppe alle basi militari per avere a disposizione a lungo andare una forza militare per quanto possibile grande e potente. Lo strumento scelto è la PESCO. [8] Sebbene la Repubblica Federale partecipi all'IEI, iniziativa fondata da Parigi, Berlino in questo ambito agisce principalmente da freno e continua a negare a Macron quel successo in termini di immagine di cui tanto avrebbe bisogno.

Scaricato

Già ad aprile, la DGAP avvertiva che Berlino deve tener conto "del grande rischio a cui Macron sta andando incontro con il suo processo di cambiamento": "Le riforme impopolari devono essere legittimate ... tramite un rapido successo "; se questo venisse a mancare, Macron sarebbe in pericolo. [9] Non a caso il 10 maggio di quest'anno il presidente francese ha ricevuto il prestigioso premio Carlo Magno ad Aachen. Tuttavia il breve momento di splendore politico ottenuto con la cerimonia di premiazione non può essere considerato un ragionevole sostituto di un duraturo successo politico. La scorsa settimana la DGAP ha nuovamente avvertito: Macron ha disperatamente bisogno che "il successo nell'UE sia credibile per poter andare avanti con le sue riforme in Francia"; da ciò dipende - non da ultimo in considerazione delle prossime elezioni del Parlamento europeo - anche "la sua autorità come fonte di ispirazione e leader del campo pro-europeo" all’interno dell'Unione [10]. Berlino tuttavia non è disponibile a fare qualsiasi concessione. Per il suo profitto immediato, la potenza egemone dell'UE è pronta a mettere a repentaglio anche il benessere del suo alleato più stretto.





[1], [2] Claire Demesmay, Julie Hamann: Der gebremste Präsident. DGAPstandpunkt Nr. 11, April 2018.
[3] Berlin: Sarkozy könnte die EU spalten. faz.net 24.10.2018.
[4] Albrecht Meier: Unions-Fraktionsvize Friedrich erteilt Hollandes Vorschlag Abfuhr. tagesspiegel.de 20.07.2015.
[5] S. dazu Zuverlässig ausgebremst.
[6] S. dazu Das Eurozonen-Budget.
[7] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen und Die Koalition der Kriegswilligen (II).
[8] S. dazu Der Start der Militärunion und "Eine echte europäische Armee".
[9] Claire Demesmay, Julie Hamann: Der gebremste Präsident. DGAPstandpunkt Nr. 11, April 2018.
[10] Claire Demesmay: Macrons Kampfruf für den Progressivismus. Frankreich vor der Europawahl. DGAPstandpunkt Nr. 23, November 2018.

domenica 2 dicembre 2018

"L'esercito europeo non è questione del se, ma solo del come"

Prosegue lo sforzo delle élite politiche e militari di Berlino per la costituzione di un esercito europeo dietro il quale poter nascondere le ambizioni della potenza europea dominante. La nuova forza europea dovrà essere controllata direttamente da Bruxelles, non richiederà l'unanimità dei paesi membri e soprattutto avrà bisogno di una nuova narrativa militarista europea. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


Unione militare in divenire

Il ministro della difesa tedesco Ursula Von der Leyen ieri (mercoledì 28-11) in occasione della chiusura della Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha promesso nuovi passi verso la costruzione di un "esercito degli europei". Come spiegato dalla Von der Leyen, "l'autonomia strategica" dell'UE, da raggiungere con le proprie forze armate, "non è una piu' una questione del se, ma solo del come": "l'Unione europea della difesa è un processo in divenire"[1]. Nel prossimo futuro, tuttavia, sul tema bisognerà affrontare delle questioni alquanto delicate. Così ad esempio per le future missioni dell'UE sarà necessario creare una "propria capacità di leadership", oltre a quelle della NATO. Inoltre, le strutture decisionali dovranno essere semplificate. Le riserve a disposizione del parlamento tedesco non dovranno essere completamente messe da parte, ma ridisegnate: a Bruxelles dovrà si dovrà creare un "comitato di politici esperti di sicurezza, espressione dei parlamenti nazionali", che in tempi rapidi dovranno essere in grado di preparare e prendere decisioni - relativamente alla guerra o alla pace. Inoltre nella politica estera dell'Unione Europea sarà necessario abolire l'obbligo dell'unanimità: "in materia di politica estera dovrà essere possibile prendere decisioni europee supportate da un'ampia maggioranza". In questo modo i singoli stati membri in futuro potranno essere costretti a sostenere una politica estera apertamente contraria ai loro interessi.


Autonomia strategica

Lo sviluppo futuro "dell'esercito degli europei" è già stato delineato all'interno del dibattito dell'establishment della politica estera tedesca. Per ottenere una maggiore "autonomia strategica", "l'Europa dovrà occuparsi della sicurezza strategica molto più di quanto non abbia fatto fino ad ora, forse addirittura in maniera completa" chiedeva ad esempio a gennaio Jan Techau, capo del programma europeo del German Marshall Fund of the United States. [2] Cio' dovrebbe riguardare non solo le armi convenzionali, ma anche "l'organizzazione della deterrenza nucleare in Europa". [3] A sua volta dovrà essere "accompagnato da una maggiore attività e competenza in termini di intelligence da parte dell'UE". Con lo "spostamento degli atti offensivi verso il settore delle tecnologie dell'informazione, della guerra ibrida, dei media e nella formazione delle opinioni" sarà quindi necessario "estendere la garanzia della sicurezza europea ad aree in cui attualmente l'Europa non viene considerata una delle principali potenze al mondo" commenta Techau. In questi ambiti "gli europei in futuro, e in primo luogo la Germania, dovranno offrire qualcosa che vada ampiamente oltre ciò che l'America ha fatto finora." La "portata del compito", impone che in futuro "nelle università tedesche venga insegnata la strategia...e che vi sia un corso di formazione obbligatorio sulla strategia per tutti i funzionari pubblici di livello superiore al B6". Non da ultimo, in futuro ci dovrà essere "un comitato di sicurezza federale a mettere insieme i diversi settori dell'azione ministeriale sulle questioni chiave" in modo da "offrire alla Cancelleria di Berlino una consulenza strategica approfondita".

Il boom dei budget militare occidentali

Gli esperti della Conferenza sulla sicurezza di Berlino hanno anche espresso preoccupazioni in merito alla possibilità che il "vantaggio in materia di difesa" dell'Occidente nei confronti della Russia e della Cina possa "erodersi" [4]. Entrambi i paesi "si sono rafforzati" in termini di armamenti, secondo Jürgen Beyerer, presidente del gruppo Fraunhofer per la difesa e la sicurezza presso il Fraunhofer IOSB (istituto di ricerca). Le precondizioni sarebbero state create dall'aumento delle spese militari. In realtà Cina e Russia per i loro eserciti spendono molto meno rispetto a quanto non facciano le potenze occidentali. Questo è dimostrato dai dati dell'International Institute for Strategic Studies. Secondo questi dati il budget militare statunitense nel 2017 ammontava a 602,8 miliardi di dollari, quello della Cina era di solo 150,5 miliardi e la Russia spendeva solo 61,2 miliardi di dollari - un decimo del bilancio militare statunitense. La Russia spenderebbe per la difesa meno dell'Arabia Saudita, che destina all'esercito 76,7 miliardi di dollari. Da soli, i quattro paesi dell'UE con i più grandi budget militari, solo nel 2017 per le loro forze armate hanno speso 163,9 miliardi di dollari, più della Cina e quasi tre volte la Russia. La Germania sta aumentando in maniera massiccia il suo budget militare, ampliandolo dai 34 miliardi di euro del 2015 ai 38,9 miliardi quest'anno, mentre il prossimo anno destinerà alla Bundeswehr 43,2 miliardi di euro. Inoltre Berlino per il futuro ha già messo a bilancio altri miliardi di euro a favore dei costosi progetti di riarmo. Il nuovo "profilo di capacità" della Bundeswehr mostra, infatti, che il budget tedesco per la difesa è destinato a salire fino a circa 60 miliardi di euro entro il 2023 [6]. La Germania in questo modo spenderà per le sue forze armate piu' di quanto non faccia la Russia oggi. (...)

Una "narrativa europea"

Infine, ma non meno importante, gli esperti stanno riflettendo sul modo in cui si potranno comunicare alla popolazione le future guerre europee. Ad esempio, Géza Andreas von Geyr, capo del Dipartimento di politica del ministero federale della difesa, durante la tavola rotonda alla Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha affermato: "abbiamo bisogno di una comune narrativa europea" con la quale "il concetto di una Unione europea della difesa possa essere trasferito in maniera approfondita alla società civile dei cittadini europei". Bisognerà tenere in considerazione il fatto che potremmo trovarci di fronte ad un "uso anche massiccio dell'esercito degli europei" [10]. In questo caso, la "narrativa" dovrebbe contribuire, se possibile, anche a contrastare ogni potenziale opposizione alle future guerre dell'UE.

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[1] Rede der Verteidigungsministerin zur Eröffnung der Berlin Security Conference. bmvg.de 27.11.2018
[2] Jan Techau: Strategiefähigkeit und Weltschmerz. Die deutsche Außenpolitik bis 2030. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[3] S. dazu Die deutsche Bombe und Die nukleare Frage.
[4] Adrian Bednarski: Erosion des westlichen Verteidigungsvorsprungs? behoerden-spiegel.de 28.11.2018.
[5] Warum die Welt wieder mehr Geld für Militär ausgibt. orange.handelsblatt.com 19.02.2018.
[6] S. dazu Die Kosten der Weltpolitik (II).
[7] Katarina Heidrich: "Partner sein über den Ozean hinaus". behoerden-spiegel.de 28.11.2018.
[8] Adrian Bednarski: Verteidigung zwischen 5G und KI. behoerden-spiegel.de 27.11.2018.
[9] Ayad Al-Ani, Jörg Stenzel: Verteidigungsplattformen als Streitkräfte der Zukunft. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[10] Übergreifende politische Kultur notwendig. bmvg.de 27.11.2018.