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giovedì 1 novembre 2018

Perché la nuova legge tedesca sull'immigrazione è sbagliata

A scriverlo non è un foglio estremista dell'est ma il prof. Thomas Straubhaar sulla liberale e liberista Die Welt. Dopo il recente accordo fra SPD e Unione per una legge sull'immigrazione che favorisce l'arrivo di lavoratori extra-UE (qui e qui), per quanto ancora questo governo possa andare avanti, è lecito porsi una domanda: perché la Germania del 2018, invece di puntare sulla digitalizzazione e gli aumenti di produttività, ha deciso che il suo futuro risiede nell'importazione in massa di lavoratori stranieri a basso costo? Ah saperlo... Ne parla un ottimo prof. Thomas Straubhaar su Die Welt

Al fine di superare il problema della carenza di lavoratori qualificati, il governo tedesco ha deciso di puntare sull'arrivo di lavoratori dall'estero. In realtà, la Germania dovrebbe risolvere un altro problema. Altrimenti l'umore generale potrebbe cambiare rapidamente.

Quando in gioco ci sono interessi personali, i punti di vista scientifici generalmente accettati vengono rapidamente dimenticati. E al momento ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la tanto discussa carenza di lavoratori qualificati. Ovunque nel nostro paese si sostiene che la mancanza di manodopera qualificata costi molti miliardi di euro all'economia e diversi punti percentuali di benessere alla società.

In ogni libro di testo si può leggere che in una situazione di carenza simile a quella attuale, cioè se la domanda è maggiore dell'offerta, il prezzo dovrebbe aumentare. Questo vale per tutti gli oggetti di uso quotidiano, dal caffè ai biglietti per i concerti.

Per questo la domanda centrale è una: perché in Germania i salari dei lavoratori qualificati non aumentano molto più rapidamente? Salari più alti avrebbero un duplice effetto: da un lato, per molte persone sarebbe più attraente lavorare più di quanto non facciano già oggi, e dall'altro lato costringerebbe i datori di lavoro a ripensare il loro modo di lavorare. Per questi imprenditori sarebbe molto più interessante sostituire le persone con delle macchine.

La qualità è più importante del semplice numero dei dipendenti

E forse si risolverebbe anche la questione relativa ai lavoratori qualificati provenienti dall'Unione europea (UE). Grazie alla libera circolazione, infatti, i cittadini dell'Unione europea provenienti dai paesi con un'elevata disoccupazione potrebbero effettivamente mettersi in viaggio verso la Germania. In realtà al momento c'è solo un debole "effetto aspiratore" che non corrisponde nemmeno lontanamente ai bisogni del paese. Se gli stipendi fossero piu' alti, i lavoratori qualificati dei paesi UE non verrebbero forse piu' volentieri a lavorare in Germania?

Ovviamente retribuzioni più elevate potrebbero portare le aziende tedesche a perdere competitività rispetto agli altri paesi. Ma questo non accadrebbe se i dipendenti venissero pagati per i soldi che valgono, come dimostrato dalla loro alta produttività lavorativa. Se così fosse, probabilmente sarebbe solo la redditività del capitale a diminuire, non la competitività tedesca. Il valore aggiunto del lavoro sarebbe quindi redistribuito in maniera diversa rispetto a oggi - alcuni direbbero in maniera "più giusta" - di quanto non accada aggi.

Sostituire le persone con delle macchine aumenterebbe la produttività del lavoro di coloro che restano occupati. Poiché lo sviluppo della produttività del lavoro si rifletterebbe nello sviluppo delle retribuzioni, il livello dei salari aumenterebbe ulteriormente, rendendo le ore di straordinario ancora più attraenti.

Cosi' si solleva un'altra domanda: perché nell'era della digitalizzazione la Germania ritiene che il suo futuro risieda nell'immigrazione di manodopera? La qualità, ovvero la produttività del lavoro misurata dal valore aggiunto per unità di tempo, e non la quantità, cioè il numero totale di dipendenti, è la base della prosperità.

La produttività del lavoro, tuttavia, non è un destino dato da Dio. È determinata dagli investimenti, sia nel capitale umano, cioè nella formazione, sia nel capitale fisico, cioè nei macchinari. Persone sempre piu' istruite che lavorano mano nella mano con dei robot sempre più moderni. Questa è la divisione del lavoro che nell'era della digitalizzazione rende i dipendenti più produttivi e che permette di pagare dei salari più alti.

L'immigrazione mantiene i salari bassi 

Nella politica economica, inoltre, ci sono leve piu' che sufficienti per compensare l'aumento del costo del lavoro, ad esempio riducendo la burocrazia, semplificando le procedure di approvazione e attuazione fino alla riduzione delle imposte sulle società.

L'esperienza della Svizzera inoltre ci mostra che diversamente da quanto previsto, anche degli specialisti ben qualificati, motivati e adeguatamente pagati possono avere un effetto positivo sulle decisioni di investimento. "Successo e decenza" pagano sia a livello micro che macro.

Non è il prodotto interno lordo (PIL) che determina la ricchezza di una società, ma il PIL pro capite. La crescita in termini reali del PIL tedesco tra il 2014 e il 2017 è stata del 6,3%. Al contrario, nello stesso periodo il PIL pro capite è aumentato solo del 4,2%, dato che la popolazione è cresciuta del 2%.

Da una crescita economica generata attraverso un aumento della popolazione - cioè dall'immigrazione - la società, almeno inizialmente,  ottiene solo un limitato aumento della ricchezza. Ma la focalizzazione sul "totale" copre comunque ogni possibile effetto redistribuivo. Tali effetti sono causati dal fatto che "una crescita estensiva dovuta all'immigrazione" crea una pressione al ribasso sui salari, il che significa che i salari restano relativamente piu' bassi rispetto a quanto si verificherebbe con "una crescita intensiva spinta dalla digitalizzazione".

Una politica dell'immigrazione intelligente dovrebbe servire al benessere di tutti

Chi in Germania in quanto lavoratore specializzato subisce la concorrenza da parte degli immigrati difficilmente trarrà beneficio dalla crescita del PIL, oppure lo farà solo in maniera indiretta. Al contrario, si rallenta ogni possibile aumento dei salari. Dall'altro lato, grazie all'immigrazione di lavoratori qualificati e alla conseguente modesta crescita dei salari, aumenterà il rendimento del capitale.

In breve: i lavoratori qualificati tedeschi beneficeranno meno della "crescita generata mediante l'immigrazione", ma tutti gli altri, in particolare i datori di lavoro, ne trarranno molto piu' vantaggio. Non c'è da stupirsi, quindi, che la denuncia di una presunta carenza di lavoratori qualificati sia particolarmente forte da parte delle aziende.

Tuttavia, una politica migratoria e di integrazione intelligente dovrebbe servire al benessere di tutti - sia dei capitalisti che dei lavoratori. Diversamente si dovrà mettere in conto una forte divergenza nello sviluppo dei redditi, una polarizzazione e ulteriori tensioni sociali e quindi una crescente resistenza all'immigrazione da parte della popolazione.

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domenica 12 agosto 2018

Fermate il "Deutschland-bashing" ovvero la controffensiva tedesca in difesa dell'export

Dopo l'atto di accusa del FMI e i tweet di Trump, Die Welt schiera l'economista Thomas Straubhaar per lanciare la controffensiva tedesca in difesa dei surplus commerciali. Per il professore di Amburgo il FMI utilizza dei modelli superati mentre la contabilità nazionale non avrebbe piu' alcuna importanza perché ormai è stata superata dalla globalizzazione. Secondo Straubhaar è necessario fermare il "Deutschland-bashing" perché i tedeschi in fondo sono gli unici ad aver capito la globalizzazione. Da Die Welt


I fatti parlano da soli. La Germania detiene il record mondiale: gli avanzi delle partite correnti sono considerevolmente superiori rispetto a qualsiasi altra economia. Secondo le ultime statistiche pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) a giugno l'avanzo tedesco ammonterebbe a oltre 300 miliardi di dollari.

Anno dopo anno circa l'8% del PIL tedesco non va a vantaggio dell'economia nazionale, ma dell'estero. In cambio anno dopo anno i crediti tedeschi nei confronti dei debitori esteri aumentano dell'8% annuo.

Nella classifica dei paesi in surplus segue il Giappone con 200 miliardi di dollari, al terzo posto c'è la Cina con 165 miliardi di dollari. Tutte le altre economie hanno un surplus ben al di sotto dei 100 miliardi di dollari.

Ci sono poi altri paesi come gli Stati Uniti che con un deficit di 466 miliardi di dollari annui registrano il piu' grande deficit del mondo, oppure il Regno Unito con poco meno di 100 miliardi di dollari di deficit estero.

E' un fatto e non una fake-news che la Germania e la sua popolazione da anni vivono al di sotto del livello che sarebbe possibile in base alla performance economica. L'8% del PIL annuo viene risparmiato sotto forma di crediti verso l'estero, denaro che non viene speso per consumi e investimenti in Germania.

I tedeschi scambiano i loro beni con dei titoli di debito

I tedeschi, invece di godersi la vita oggi, preferiscono scambiare le loro merci sui mercati mondiali con dei titoli di debito con i quali in un futuro piu' o meno lontano potranno essere acquistati e pagati dei beni. Proprio come fanno i privati quando risparmiano per potersi permettere un giorno una casa, un auto o un viaggio con quei soldi risparmiati.

I posti di lavoro tedeschi, finanziati dai clienti americani, non possono pertanto essere considerati una conseguenza giusta ed equa del libero mercato, almeno secondo il verdetto di Donald Trump. Se il contenimento della spesa - sia per il consumo che per gli investimenti - è la vera causa dello squilibrio delle partite correnti, allora la soluzione è ovvia: Germania in futuro concediti qualcosa in piu' di quanto tu non abbia fatto fino ad ora. Risparmia di meno, consuma di piu' e fai piu' investimenti.

La Germania può investire di più e aumentare i salari

Spendi piu' denaro, aumenta i salari e la spesa pubblica, stendi cavi di fibra ottica, migliora le reti digitali e modernizza l'infrastruttura statale. Con piu' investimenti anche in futuro potrai garantirti una migliore performance economica e assicurare un futuro migliore al figlio dei tuoi figli.

Senza dubbio i costi di produzione in Germania stanno aumentando, il che riduce la competitività internazionale. Sta quindi migliorando la posizione competitiva del paesi esteri!

E se i tedeschi guadagnano un po' di piu' e possono permettersi anche qualcosa in piu' allora cresceranno le importazioni - anche se dovessero solo concedersi una vacanza in qualche luogo remoto del mondo. Tutto bene nella misura in cui gli squilibri di conto corrente possono essere ridotti.

La logica semplice e conclusiva di eliminare gli avanzi delle partite correnti attraverso l'aumento dei consumi, degli investimenti, dei salari e delle spese governative viene applicata nei consigli forniti dal FMI e dal suo capo-economista Maurice Obstfeld.

La Germania dopo tutto dovrebbe sfruttare il suo attuale spazio fiscale per far crescere la domanda interna attraverso un sensibile aumento della spesa pubblica, ad esempio investendo di piu' in infrastrutture.

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Le riforme strutturali fondamentali dovrebbero fare in modo che le imprese investano a casa propria senza dover spostare il denaro all'estero. Altrettanto coerente è il riferimento a un cambiamento della durata della vita lavorativa al fine di ridurre il tasso di risparmio. Incrementi salariali piu' elevati nel quadro di un mercato del lavoro in tensione aumenterebbero anche la domanda interna.

La visione meccanicistica del FMI è superata

Cio' che sconcerta nell'intero ragionamento è la visione alquanto meccanicistica degli esperti del FMI che trascura in particolare alcuni importanti cambiamenti che negli ultimi anni hanno messo in questione la vecchia visione dell'economia e in particolare l'approccio della teoria del commercio estero. La realtà del 21° secolo è molto piu' complessa di quanto i modelli del FMI vorrebbero ammettere.

Primo: è semplicemente sbagliato dire che la Germania e la "Germania spa" sono identici - e che forniscono beni e servizi all'estero. Chi critica la Germania per i suoi surplus di conto corrente ipotizza che la Germania segua un modello di economia pianificata alla DDR in cui il governo federale puo' dettare in maniera dittatoriale la quantità delle esportazioni, delle importazioni, dei risparmi e degli investimenti e che puo' intervenire direttamente nella formazione dei salari - come se non esistesse la contrattazione collettiva.

Oppure non ha capito che in un'economia di mercato il costrutto "Germania" come entità auto-operante non esiste. Le "economie" non sono "aziende". Sono sempre e solo le singole imprese oppure le persone e non i paesi a produrre e commerciare, comprare o vendere, investire oppure risparmiare, ad essere competitivi, ad avere successo oppure fallire.

Secondo: è necessario spiegare perché la Germania ha un enorme surplus commerciale in termini di merci (hardware), ma nei servizi (software) registra un significativo deficit commerciale. Tutto quello che vale per il commercio dei prodotti industriali, vale a dire macchinari, veicoli, attrezzature e prodotti trasformati, viene completamente capovolto da cio' che accade nel settore dei servizi.

Perché in questo ambito i campioni del mondo sono gli Stati Uniti. Nei servizi generano un avanzo annuale di quasi 250 miliardi di dollari, la Germania al contrario ha un deficit di 22 miliardi di euro, la Cina un deficit di 238 miliardi di dollari.

In Germania allora le banche e le assicurazioni, le società di consulenza, quelle nell'informazione e nella comunicazione e nel management non dovrebbero forse tirare la corda, tagliare gli stipendi e aumentare i tassi di risparmio per poter stare al passo con gli Stati Uniti? Una politica macro-economica giusta per alcuni, potrebbe essere fuorviante per qualcun'altro.

Terzo: si pone la questione se i dati registrati nei saldi delle partite correnti possono rendere giustizia a un mondo globalizzato e digitalizzato. Nell'era della divisione globale del lavoro le statistiche nazionali difficilmente possono dirci chi commercia con chi. Ad esempio, cio' accade quando le multinazionali valutano le loro transazioni interne o i pagamenti intermedi dal paese A al paese B a dei prezzi convenzionali, che spesso pero' per ragioni fiscali sono lontane dai prezzi di mercato.

Questo vale in particolar modo quando invece delle merci sono i dati a dover fare dei lunghi viaggi. Il valore aggiunto e le statistiche commerciali sono messe sotto pressione quando ad essere spostate non sono le merci ma le informazioni elettroniche scambiate nelle stanze virtuali, quando ad esempio invece di spedire container pieni di motori o pezzi di ricambio, ad essere inviati via internet dalla Germania verso il sud-est asiatico sono dei piani di costruzione per fabbricare un prodotto finale su misura e preciso con la stampante 3D sul posto. Gli spazi virtuali non conoscono confini nazionali.

Quarto: con i tassi di cambio flessibili gli squilibri delle partite correnti scomparirebbero da soli. I paesi in surplus dovrebbero solo rivalutare la loro moneta. I loro prodotti diverrebbero piu' costosi sui mercati mondiali, fatto che ridurrebbe le esportazioni e aumenterebbe le importazioni. Se i mercati funzionassero senza intoppi, i prezzi e i salari reagirebbero in maniera flessibile e si arriverebbe automaticamente ad una bilancia dei pagamenti in equilibrio.

Il fatto che la Germania abbia un problema fondamentale, anche se scritto con caratteri molto piccoli, lo si puo' leggere anche nell'analisi del FMI, che dal punto di vista tedesco considera "l'euro sottovalutato fra il 10 e il 20%" e che in un calcolo piu' raffinato parla "di una sottovalutazione del 19%".

Cosa accadrebbe quindi all'avanzo delle partite correnti tedesco se l'euro si rivalutasse nei confronti del dollaro? Il tema si risolverebbe in gran parte autonomamente. E' tuttavia corretto dire che all'interno dell'area dell'euro - dove non sono possibili dei tassi di cambio flessibili - un apprezzamento per la Germania di fatto sarebbe possibile solo con prezzi e salari piu' alti. 

Una disputa dal passato

La disputa sugli squilibri delle partite correnti - tutto sommato - deriva dal vecchio pensiero economico contrassegnato dagli stati nazionali, dalle società industriali e da una macropolitica globale guidata dagli stati. La globalizzazione e la digitalizzazione sottraggono a questa discussione le fondamenta pratiche.

Le sfide del 21° secolo non possono essere affrontate con dei punti di vista sempre piu' obsoleti. E' quindi necessario cercare nuove risposte per affrontare la dinamica di economie aperte e internazionalmente altamente connesse e società collegate in rete attraverso spazi virtuali. 

Il "Deutschland-bashing" non porta all'obiettivo, ma è solo fuorviante.