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martedì 22 gennaio 2019

L'arma invisibile della Francia in Africa: il franco CFA

Nell'Africa occidentale e centrale prosegue lo sfruttamento delle ex colonie francesi, anche grazie a una moneta che alimenta le vecchie relazioni di potere coloniale e blocca lo sviluppo economico. Le conseguenze: povertà, conflitti e migrazioni. A parlarne non è un covo di complottisti ma la autorevolissima radio pubblica Deutschlandfunk. Un'ottima inchiesta sull'arma invisibile della Francia in Africa, il franco CFA. Da Deutschlandfunk.de (prima parte)


Le donne con i bambini per mano spingono tra la folla, i ragazzi frugano fra le montagne di vestiti stesi sulla strada e ammucchiati sui teloni di plastica. Giornata di mercato ai margini della città vecchia di Dakar. La capitale dell'ex colonia francese del Senegal è uno dei centri economici dell'Africa occidentale. Negli ultimi anni qui si è formata una classe media relativamente forte. Ma la maggior parte del paese continua a vivere in povertà.

Importazioni più economiche della produzione interna

Un fenomeno che può essere osservato in molte parti dell'Africa: élite urbane da un lato, dall'altro lato una grande povertà nei sobborghi della città e nelle zone rurali. Da dove arriva tutto ciò e perché decenni di aiuti allo sviluppo e miliardi di dollari non sono riusciti a far uscire il continente africano dalla povertà? Ci sono diverse ragioni. Una delle cause principali può essere trovata qui, al mercato di Dakar. Sulle etichette dei pantaloni e delle magliette ci sono nomi e marchi noti: Zara, H & M, Wrangler e Co. Tutti di seconda mano.

Nell'Africa occidentale ci sono alcune delle zone di produzione di cotone più importanti del mondo, ma praticamente non esiste un'industria tessile indipendente. Neanche il dieci per cento del cotone viene lavorato sul posto. Di solito è più economico importare indumenti usati dall'Europa piuttosto che produrli in Africa occidentale. Com'è possibile che accada in una parte del mondo in cui il costo del lavoro è bassissimo?

Chi è alla ricerca delle ragioni, chi vuole andare alle radici della povertà nelle ex colonie francesi dell'Africa sub-sahariana si scontra immediatamente con un sistema economico complesso, una fitta rete di clientelismo e dipendenze: l'eredità del colonialismo, un sistema che avvantaggia le industrie francesi, i governanti africani e il loro ambiente di potere.

La potenza coloniale francese ne ha approfittato fino ad oggi

Quanto la Francia anche dopo l'indipendenza delle sue ex colonie abbia fatto affidamento sui suoi antichi privilegi, lo mostra una lettera dell'allora ministro delle Finanze francese Michel Debré al suo omologo del Gabon nel luglio del 1960. In essa Debré scriveva senza mezzi termini: "Noi vi diamo l'indipendenza a condizione che lo stato dopo la sua indipendenza si attenga agli accordi commerciali sottoscritti. L'uno non puo' funzionare senza l'altro."

Accordi commerciali firmati in cambio dell'indipendenza. Fino ad oggi la Francia, grazie a questi vecchi trattati, si è assicurata un accesso preferenziale alle risorse naturali delle ex colonie. Nel caso del Gabon, ad esempio, il trattato afferma: "La Repubblica del Gabon si impegna a fornire risorse strategiche per gli armamenti dell'esercito francese. L'esportazione di queste materie prime in altri paesi per ragioni strategici non è consentita"

Materie prime molto al di sotto dei prezzi sul mercato mondiale

Sono stati stipulati altri trattati in parte identici con tutte le ex colonie dell'Africa sub-sahariana. Nell'appendice degli accordi viene spiegato quali sono le materie prime strategicamente importanti: oltre alle fonti energetiche convenzionali come il petrolio, il gas e il carbone, ci sono anche gli elementi radioattivi come l'uranio e il torio, oltre al litio e al berillio. E di fatto la Francia ancora oggi continua a comprare materie prime in Africa occidentale e centrale ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello presente sul mercato mondiale.

In Niger, ad esempio, il gruppo industriale francese Orano, ex Areva, controllato dallo stato, estrae abbastanza uranio da coprire circa il 40% della sua domanda totale in Francia, pagandolo circa un terzo del suo normale prezzo di mercato. E il Niger è uno dei paesi più poveri al mondo. È probabilmente l'esempio più estremo dello sfruttamento previsto dai trattati che la Francia ha imposto alle sue ex-colonie in cambio della loro indipendenza. Ma il principio di fondo è lo stesso in tutti i paesi interessati.

Mamadou Koulibaly è stato prima ministro delle finanze della Costa d'Avorio e poi  per dieci anni presidente del Parlamento. E ci dice: "lo sfruttamento oggi si presenta sotto forma di aiuto allo sviluppo." L'occidente si comporta come se stesse ricoprendo l'Africa con miliardi di aiuti. "Ma in verità, si tratta di un bidone. Esportando verso la Francia a dei prezzi molto piu' bassi rispetto a quelli presenti sul mercato mondiale, perdiamo molto piu' soldi di quanti poi non ne tornino indietro".

Il franco CFA - strumento per lo sfruttamento economico

Ma non ci sono solo questi vecchi contratti a garantire alla Francia dei benefici e l'influenza economica sulle sue ex colonie. Il nucleo centrale della continuità coloniale e del controllo finanziario viene troppo facilmente sottovalutato: il franco CFA; il franco per le "Colonie francaises d'afrique", le colonie francesi d'Africa. Una valuta utilizzata da otto paesi dell'Africa occidentale e sei stati centro-africani. Entrambe le regioni hanno una propria banca centrale, ma entrambe le valute sono legate all'euro allo stesso tasso di cambio e quindi scambiabili. In totale 150 milioni di persone usano il franco CFA. 

"Il franco CFA viene sempre descritto come una moneta progettata per dare all'Africa occidentale una certa stabilità economica", spiega la giornalista ed esperta di Africa Fanny Pigeaud. Insieme all'economista senegalese Ndongo Samba Sylla ha appena pubblicato un libro sul franco CFA. Il titolo è: "L'arma invisibile della Francia" .

"Sì, la Banca centrale dell'Africa occidentale, obbligata dai trattati con la Francia, sta perseguendo una politica monetaria che mantiene l'inflazione al minimo. In questo senso, in termini di prezzi, c'è davvero una certa stabilità. Tuttavia, questa stabilità forzosa blocca lo sviluppo economico dei paesi interessati. In questo modo è impossibile avviare una politica monetaria indipendente. C'è sicuramente una certa stabilità, ma una stabilità nella povertà. Ecco perché gli economisti da anni affermano che il sistema deve essere riformato ".

La Francia continua a controllare

La moneta è stata creata nel 1945 per imporre gli interessi francesi nelle colonie. Era un mezzo di sfruttamento economico. L'obiettivo di fondo, secondo la giornalista, ancora oggi non è cambiato. L'ex Ministro delle Finanze Mamadou Koulibaly afferma: "l'indipendenza ha concesso libertà politica alle ex colonie, ma ha mantenuto l'intero sistema di sfruttamento coloniale. L'indipendenza è solo di facciata. "

È possibile? Colonialismo nel XXI secolo? Il franco CFA di fatto rappresenta un sistema di controllo da parte di una potenza straniera unico nel suo genere a livello mondiale. Anche se dopo l'indipendenza le parole dietro l'acronimo sono state cambiate, in modo che oggi CFA in Africa occidentale significhi "Communauté Financière d'Afrique" e in Africa centrale invece "Cooperazione Financiere en Afrique Central". Ma fino ad oggi tuttavia non c'era mai stata nessuna valuta al mondo gestita dall'esterno come accade al franco CFA.

Il 50% delle riserve valutarie dei 14 paesi CFA ancora oggi si trova in Francia. Le banconote vengono stampate in Francia e la Francia ha il diritto esclusivo svalutare o rivalutare la valuta. In ciascuna delle banche centrali dell'Africa occidentale e centrale siede un rappresentante francese con il diritto di veto. Senza la Francia non si muove nulla. Le divise estere, i tassi di cambio e le riserve valutarie, che a prima vista potrebbero sembrare anche noiose, ad uno sguardo più ravvicinato ci spiegano molto sulle origini della povertà, dei conflitti e delle migrazioni nelle ex colonie francesi.

"Il franco CFA è un sistema di repressione finanziaria"

"Non sto dicendo che il franco CFA sia l'unica ragione del sottosviluppo dei nostri paesi. Ma è uno dei più importanti. Il franco CFA è un sistema di repressione finanziaria ", afferma Guy Marius Sagna. Il 39enne attivista è co-fondatore del movimento "France Degage". Tradotto, significa piu' o meno "Francia vattene". Per le sue azioni politiche contro il franco CFA, Sagna è stato arrestato più di 20 volte. Come la giornalista Fanny Pigeaud, l'economista Ndongo Semba Sylla e l'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio, anche Sagna vede nel franco CFA tre problemi principali: in primo luogo, il suo passato coloniale, in secondo luogo, la sua mancanza di flessibilità a causa del cambio fisso con l'euro, e la terza, una massiccia sopravvalutazione del cambio.

In realtà il franco CFA non riguarda solo l'indipendenza delle ex colonie o la continuità dell'influenza francese. Riguarda anche il significato economico e l'uso della valuta. E quasi nessuno può giudicarlo con la stessa competenza di Abdourahmane Sarr. Sarr ha lavorato per dieci anni al Fondo Monetario Internazionale ed è stato consigliere del FMI presso la Banca centrale dell'Africa occidentale dal 2007 al 2009.

Il Franco CFA inibisce lo sviluppo economico

Dal un punto di vista economico non c'è un solo motivo per restare agganciati al franco CFA nella sua forma attuale, secondo l'economista infatti "tutti gli economisti concordano sul fatto che il CFA debba essere riformato. In primo luogo, nessun paese al mondo mantiene le sue riserve in un altro paese, e in secondo luogo, il CFA è troppo forte perché è agganciato all'euro e quindi non è allineato alle prestazioni economiche dell'Africa occidentale".

Cosa può significare una valuta troppo forte per un popolo lo si puo' osservare al mercato di Dakar, dove si trovano vestiti di seconda mano europei invece dei vestiti africani. Il tasso di cambio funziona come una sovvenzione alle importazioni e una tassa simultanea sulle esportazioni. L'economista Ndongo Semba Sylla ci dice: "se vogliamo svilupparci e creare posti di lavoro, non dobbiamo solo produrre materie prime ma anche investire nella trasformazione. Con il franco CFA è impossibile".

Il peg fisso con l'euro non solo crea una dinamica all'interno della quale è quasi impossibile costruire un'industria fiorente, ma significa anche che gli stati CFA  importano più di quanto esportino, l'economista dice: "fin dagli anni sessanta non abbiamo mai avuto un saldo commerciale con l'estero in pareggio. Abbiamo sempre avuto un deficit nel commercio estero. Di conseguenza, siamo sempre stati in una situazione di indebitamento con l'estero. "E questi debiti devono essere rimborsati. Ogni anno i paesi CFA devono trasferire miliardi verso l'Europa. Solo per pagare gli interessi sul denaro preso in prestito."

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giovedì 25 ottobre 2018

Sahra Wagenknecht - Se vogliamo salvare l'Europa dobbiamo sostenere la battaglia del governo italiano

Sahra Wagenknecht, capogruppo della Linke al Bundestag, intervistata da Deutschlandfunk, esprime un sostegno convinto nei confronti della battaglia del governo italiano contro le tecnocrazie di Bruxelles: se vogliamo salvare l'Europa dobbiamo sostenere il governo italiano e difendere la sovranità dei parlamenti nazionali. Da Deutschlandfunk.de, un'ottima Sahra Wagenknecht



DLF: Frau Wagenknecht, Roma è sul banco degli imputati. È giusto secondo lei?

Wagenknecht: beh, vorrei dire che non ho molta simpatia per il signor Salvini. Ma non è questo il punto. Questo è un governo democraticamente eletto. La legge di bilancio riguarda la sovranità dei parlamenti. E se vuoi distruggere l'UE, allora devi fare esattamente quello che sta facendo Bruxelles.

Inoltre bisogna anche parlare di quanto possa essere sensato costringere a fare ulteriore austerità un paese che da dieci anni attraversa una lunga crisi economica, un paese in cui il reddito pro capite è inferiore a quello precedente l'introduzione dell'euro, ovviamente ciò contribuisce a far crollare l'economia. Ecco perché penso si tratti di una decisione priva di senso.

DLF: allora, dal suo punto di vista, stiamo assistendo ad una protesta giustificata contro la politica di austerità di Bruxelles?

Wagenknecht: bisogna dare a questa proposta di bilancio un'occhiata un po' più da vicino. Dentro ci sono cose molto ragionevoli. Ad esempio, l'Italia ha un altissimo tasso di disoccupazione, in particolare un elevato tasso di disoccupazione giovanile, in alcune zone del 30, 40 per cento, soprattutto nel sud del paese, e un'assicurazione contro la disoccupazione molto povera, peggio anche dell'Hartz IV tedesco, per fare un confronto. Se in questo ambito si apportano  determinati miglioramenti, o se si migliora la legge per il prepensionamento, che in una situazione di elevata disoccupazione potrebbe essere un sollievo per molte persone, si tratta senza dubbio di una scelta ragionevole.

Ci sono alcune agevolazioni fiscali. A beneficiarne sono anche le persone ricche. Se ne puo' certamente discutere. Ma ancora una volta: penso che semplicemente non sia la Commissione europea ad avere il potere di decidere in merito alla legge di bilancio dei diversi paesi, perché in questo modo stiamo distruggendo l'UE. Gli italiani non vogliono essere governati da Bruxelles, e non vogliono nemmeno essere governati da Berlino. Stiamo dando ad un governo, e in particolare ad un partito nazionalista, che in realtà è davvero semi-fascista, e a un certo signor Salvini, un'ottima possibilità per profilarsi politicamente. Sicuramente nel suo paese in questo modo sta ottenendo degli ottimi risultati e non finirà certo in difficoltà.

DLF: Frau Wagenknecht, lei ora parla di immischiarsi negli affari dell'Italia. Bisogna tuttavia ammettere che queste sono esattamente le procedure sottoscritte dagli stati dell'UE, e cioè presentare il loro bilancio a Bruxelles per farselo approvare. Tutto ciò affinché la politica fiscale europea rimanga nel complesso stabile e quindi anche l'euro sia stabile, senza finire in un'altra crisi monetaria. Possiamo davvero dire che in questo caso l'Italia può comunque andare avanti?

Wagenknecht: in primo luogo, ci sono dei trattati europei. C'è un criterio del deficit del tre percento. L'Italia è al di sotto di esso.

La seconda è una questione di ideologia economica, secondo la quale anche se un paese è in crisi deve comunque risparmiare per ridurre il debito. Fatto che è stato più volte confutato. Le economie non sono una cosa cosi' semplice che se si risparmia, si riduce il debito, e se si aumenta la spesa, il debito sale. Sembrerebbe anche plausibile. Ma non funziona così, perché risparmiare o spendere ha delle conseguenze per l'attività economica. L'Italia per molti anni ha cercato di ridurre significativamente la spesa pubblica. Il debito continuava a salire mentre l'economia crollava. E anche questo non è un concetto molto ragionevole.

Bisogna dire: se vuoi spingere l'Italia fuori dall'euro - ed è quello che sta accadendo - devi fare esattamente cosi'.

DLF: allora non la preoccupa il fatto che l'Italia, stato membro dell'euro, abbia un debito pubblico che supera il 130 percento del PIL?

Wagenknecht: la questione è se si tratta solo del risultato della condotta di spesa del governo, o se invece è il risultato di una crisi economica che dura da anni. E direi che si tratta decisamente della seconda opzione.

Dobbiamo ovviamente anche parlarne a livello europeo. Se ora vuoi presentarti come il sommo sacerdote del debito pubblico basso, ma non sei stato in grado nemmeno di imporre un'azione a livello europeo, ad esempio per limitare il dumping fiscale delle imprese, cosa che sarebbe anche possibile, oppure imporre alcune regole che rendano piu' difficile per le persone molto ricche eludere il fisco, allora diventa tutto molto ipocrita. Troverei sensato, se ad esempio, in Italia dove c'è una grande ricchezza privata - che è cresciuta anche durante la crisi economica, e oggi ci sono più milionari di dieci anni fa - questa venisse tassata molto più severamente. Allora naturalmente si potrebbe ridurre anche il deficit pubblico. Ma non è che l'UE abbia mai fatto delle leggi che rendano tutto ciò piu' facile, anzi al contrario: le regole dell'UE rendono tutto più difficile. Proprio la Commissione europea con il signor Juncker ormai è la personificazione del dumping fiscale, soprattutto per le grandi imprese.

DLF: il dumping fiscale, Frau Wagenknecht, è un altro argomento. Voglio tornare ancora una volta a questo immenso debito pubblico. Secondo lei non è motivo di preoccupazione se uno Stato membro dell'area dell'euro ha così tanti debiti?

Wagenknecht: lei dice che il dumping fiscale è un altro problema. Il dumping fiscale e il debito pubblico sono due questioni fra loro strettamente collegate. Se sono proprio le grandi aziende a pagare poche tasse, oppure se nei singoli paesi sono i più ricchi quelli che pagano poche tasse, allora il debito pubblico naturalmente continuerà a crescere. L'intero dibattito in corso riguarda il fatto che l'Italia possa apportare dei limitati miglioramenti all'assicurazione contro la disoccupazione e alle pensioni. Il tema della discussione è del tutto sbagliato. Su questi temi, come ho detto, il governo italiano può ottenere consenso politico, proprio perché  sono misure molto popolari nel paese, e non per nulla l'ultimo governo su questi temi ha fallito e non è stato rieletto perché la gente è stanca di vedere che le cose vanno sempre peggio, stanca di trovarsi in una situazione di emergenza sociale e di avere una disoccupazione alta. Se si fanno solo annunci, senza miglioramenti sociali, questa è un'Europa che rinuncia ad ogni credibilità.

DLF: la Commissione europea dovrebbe forse dire che in futuro intendono rinunciare alla funzione di controllo dei bilanci nazionali, e che chiunque può decidere autonomamente?

Wagenknecht: io sono per un'Europa delle democrazie sovrane e democrazia significa: le persone votano per eleggere il loro governo. Significa anche naturalmente che nessun altro paese sarà responsabile per i debiti degli altri paesi. Inoltre non penso sia giusto nemmeno se un paese pesantemente indebitato finisce nei guai e ad essere salvate con il denaro dei contribuenti sono sempre e solo le banche. Ma in Europa abbiamo una costruzione problematica, in quanto questa ci porta sempre piu' verso una sospensione della democrazia, e ad una situazione in cui le persone possono votare chi vogliono, perché tanto alla fine saranno i tecnocrati di Bruxelles o addirittura il governo di Berlino ad avere l'ultima parola e a decidere in merito alle leggi di bilancio nazionali. L'Europa in questo modo non puo' funzionare.

DLF: ma l'Italia ora vorrebbe entrambi. L'Italia vuole decidere autonomamente sul proprio bilancio, senza l'ingerenza di Bruxelles, ma allo stesso tempo vuole rimanere nell'euro e in caso di emergenza, avere anche il sostegno degli altri paesi dell'euro. Possono stare insieme le due cose?

Wagenknecht: no, le due cose non stanno insieme. Ma se continuiamo così, faremo uscire l'Italia dall'euro. Non so nemmeno se vogliano rimanerci a tutti i costi. L'euro ha portato relativamente pochi vantaggi all'Italia.

DLF: bene. Il governo di Roma, almeno, dice che vogliono assolutamente restarci. Questo è stato confermato ancora una volta dal Primo Ministro.

Wagenknecht: finché sono dentro, devono dire cosi', perché altrimenti lo spread e la speculazione sui mercati finanziari assumerebbe forme estreme. È già ora siamo in una situazione in cui questi extra-rendimenti non vengono pagati a causa delle dimensioni del debito. I titoli italiani pagano un elevato premio al rischio perché si ipotizza che l'Italia potrebbe lasciare l'euro, e naturalmente si tratta di una speculazione molto pericolosa. Tuttavia, sono la Commissione europea e la Banca centrale europea a gettare altra benzina sul fuoco. Voglio dire, per molti anni ha acquistato obbligazioni governative in una dimensione che, a mio avviso, non era affatto giustificata. Ma ora lancia un segnale di stop e, naturalmente, i rendimenti salgono.

Ancora una volta: se vogliamo che l'euro funzioni, allora deve funzionare su basi democratiche. E naturalmente, se la democrazia negli Stati membri è sospesa, il risultato in Europa sarà una crescente sensazione di frustrazione e di rifiuto, e l'affermazione del signor Salvini il quale non è certo conosciuto come un fervente sostenitore dell'Europa. Ci sono tuttavia altre opzioni, ovviamente, ma bisogna vedere se c'è la volontà di sostenerle e promuoverle. 

DLF: Sahra Wagenknecht, è il capogruppo della Linke al Bundestag. Grazie per il suo tempo questa mattina.


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