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mercoledì 21 novembre 2012

Flassbeck: Germania drogata di export

Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, dalle pagine del Financial Times Deutschland attacca il modello economico basato sull'export. O la Germania aumenta la domanda interna, o presto ci troveremo nei guai. Il ramo inizia davvero a scricchiolare? Dal FTD.de
Se i paesi in crisi aumenteranno la loro competitività come sperato, l'export tedesco crollerà. Solo la domanda interna ci potrà ancora sostenere. Incredibile che il Consiglio dei saggi economici nella sua relazione annuale abbia lasciato da parte questo tema.

Eurolandia è in recessione. I Saggi economici (Sachverständigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung), nella loro ultima relazione, devono aver pensato che forse è meglio non riportare i dati sulla difficile situazione europea. Quello che non so, non mi puo' far male! In verità i Saggi sono riusciti a nascondere il gigantesco avanzo delle partite correnti tedesco, pari a 150 miliardi di Euro nel 2012. Nelle 390 pagine della relazione, incluse le tabelle, questo dato non si legge da nessuna parte. La relazione inoltre non dice che la piccola crescita attesa per quest'anno (0.8 %) sarà generata esclusivamente da questo avanzo - poiché il contributo della domanda interna sarà nullo! Ma è chiaro e pacifico: anche quest'anno i partner commerciali della Germania accumuleranno altri 150 miliardi di debito. Ma il Consiglio degli esperti non ha il coraggio di spingersi fino a questo punto - perché la Germania senza la droga dell'export non riuscirebbe a sbarcare il lunario.

Detto senza mezzi termini: ci si doveva chiedere, come farà la Germania a crescere se il processo di aggiustamento nel sud Europa andrà avanti e i paesi del sud aumenteranno gradualmente la loro competitività? Perfino Frau Merkel ha annunciato in tempi recenti: il costo per unità di prodotto in alcuni paesi sta scendendo, ci sono buone ragioni per sperare. A cosa dovrebbe servire una riduzione dei CLUP  se non alla riduzione dei prezzi e al raggiungimento di un avanzo commerciale con l'estero? Se i paesi in crisi dovessero ridurre i loro deficit, allora il piu' importante paese esportatore non potrà contemporaneamente mantenere i suoi avanzi. A meno che non si trovi nel mondo un paese disponibile ad accettare una posizione di deficit con  un'Eurozona fortemente in attivo. Un paese del genere, come dimostrato dalle recenti discussioni nel G20, purtroppo ancora non esiste.

Di conseguenza una riduzione dell'enorme avanzo tedesco è inevitabile. E il contributo al PIL proveniente dall'estero dovrà necessariamente scendere. Se la Germania vuole avere ancora crescita e piu' posti di lavoro, dovrà superare lo scoglio del contributo negativo alla crescita dato dal commercio estero. Ma cosa potrebbe succedere ad un paese per il quale il Consiglio di Saggi prevede un avanzo con l'estero invariato, una buona situazione del mercato del lavoro, un aumento delle retribuzioni del 2% e una crescita del reddito disponibile complessivo del 2.5%? E questo con un aumento dei prezzi al consumo dell'1.8%? La risposta è semplice: non può funzionare.

Per poter sostenere l'effetto negativo della riduzione delle esportazioni sul lungo periodo, in Germania la domanda interna, vale a dire consumi e investimenti, dovrebbe crescere ad un tasso completamente diverso da quello attuale. Per stimolare i consumi, i redditi delle famiglie private dovrebbero crescere molto piu' di quanto è accaduto nell'ultimo decennio. Se i salari crescessero ad esempio del 5% annuo per i prossimi 10 anni, i settori che producono per  il mercato interno riceverebbero un forte stimolo e potrebbero attrarre investimenti. Con l'aiuto degli investimenti pubblici si potrebbe avere un aumento della produttività chiaramente superiore all'1.5%, che negli ultimi anni è stato la norma. Anche in termini reali si avrebbe un aumento della domanda interna. Nonostante il contributo negativo esterno, si avrebbe una crescita rimarchevole con la creazione di nuovi posti di lavoro.

Si obietterà che questo è irrealistico perché i sindacati sono deboli e la disoccupazione ha già ripreso a crescere. Bisognerebbe solo non dimenticare che è lo stato ad aver reso deboli i sindacati. Se la politica economica comprendesse il problema, si potrebbero avere accordi salariali ragionevoli senza aiuti o interventi. Se non lo si vuol fare, non resta che lo stato: con piu' spesa pubblica e investimenti potrebbe ancora salvare la congiuntura tedesca. Ma questo è vietato dalle leggi sul contenimento del debito pubblico (Schuldenbremse). Contare su una autonoma ripresa degli investimenti delle imprese, invece, è fuori dal mondo.

Da molti anni le imprese tedesche si sono sorrette con i grandi profitti provenienti dall'export. Profitti finiti piu' spesso in banca, che in investimenti o immobilizzazioni. In ogni caso non si è investito a sufficienza per tenere abbastanza alta la domanda interna. Perché questo dovrebbe cambiare in maniera radicale proprio ora che la domanda esterna sta crollando? E' palese: senza la droga degli avanzi commerciali con l'estero, la Germania non ha un modello economico plausibile.

Tra l'altro, il comitato di saggi (Sachverständigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung) era stato fondato per sviscerare i pro e i contro sulle questioni vitali dell'economia. Ora invece sembra non pensare piu' e spreca il suo tempo  e il suo denaro concentrandosi su stretti ambiti settoriali, dove puo' esercitare le sue preferenze ideologiche senza dovere andare incontro a grandi difficoltà argomentative. Che il numero piu' importante dell'anno, un avanzo commerciale di 150 miliardi di Euro, venga nascosto sotto il tavolo, è solo un danno collaterale che a quanto pare non scandalizza nessuno.

venerdì 22 giugno 2012

La Germania sta perdendo competitività?


Se lo chiede il Financial Times Deutschland, che anticipando i dati di uno studio, con sorpresa arriva ad affermare: gli squilibri regionali nell'area Euro si stanno ricomponendo e il sud recupera competitività. L'analisi è veramente credibile? 
L'economia tedesca come pilastro della competitività europea? Nemmeno per idea. Secondo uno studio i paesi Euro in crisi tornano ad essere competitivi - e l'industria tedesca in Europa è  la piu' penalizzata.

I paesi periferici dell'Eurozona recuperano competitività nei confronti dei paesi core. E' quanto emerge da uno studio non ancora pubblicato della società di ricerca The Conference Board, che Financial Times Deutschland anticipa. Secondo lo studio, sarebbero in particolare Irlanda e Spagna ad aver recuperato chiaramente competitività a partire dal 2008. Dal 2010 anche Grecia e Portogallo hanno iniziato un riequilibrio ad un passo piu' sostenuto.

"Il costo del lavoro per unità di prodotto (Lohnstückkosten) nei paesi periferici scende rapidamente - uno primo raggio di sole per l'intero continente", ha dichiarato Bart van Ark, capo economista di The Conference Board e coautore dello studio. Poiché i costi per unità di prodotto nell'industria tedesca e negli altri paesi del nord crescono con forza, procede all'interno dell'Eurozona il processo di riequilibrio macroeconomico.

Gli economisti che hanno preparato lo studio sono in disaccordo con quanti in Germania sono scettici sulla possibilità per i paesi del sud di tornare ad essere competitivi all'interno della zona Euro - e che quindi propongono un'uscita della Grecia dall'unione monetaria.

Come documentato dai dati di Van Ark e del collega Bert Colijin, il riequilibrio macroeconomico fra il sud Europa e il nord Europa è già a buon punto. Dall'inizio del 2008 alla fine del 2011 la competitività dei paesi in crisi è chiaramente cresciuta in rapporto a quella dei paesi core. I piu' grandi progressi da allora li hanno fatti l'Irlanda e la Spagna, dove i costi per ogni unità di prodotto nell'industria e nei servizi sono cresciuti rispettivamente del 6.3 e 4.4 %.

In Irlanda la flessibilità del mercato del lavoro ha sostenuto questo sviluppo - le imprese durante la recessione possono infatti reagire rapidamente licenziando i dipendenti. Il successo iberico, secondo i ricercatori, è da attribuire ad un maggiore ricorso al lavoro part time.

Da inizio 2010 anche Grecia e Portogallo stanno facendo sensibili progressi. "In Grecia i costi per unità di prodotto fra il 2010 e il 2011 sono scesi di oltre il 5% -  è un dato molto importante", secondo Van Ark. Il miglioramento è da attribuire in primo luogo alla riduzione dei salari.  In questo modo l'economia ellenica ha aumentato la propria competitività negli ultimi 2 anni piu' di ogni altro paese nella moneta unica".

Ancora migliori sono i ritmi di recupero della periferia nei confronti dei paesi core del continente nei settori importanti per l'industria dell'export. Secondo lo studio i costi unitari nel settore manifatturiero irlandese dal 2008 ad oggi sono scesi del 41.5 %. In questo modo un bene prodotto in quel paese costa quasi la metà di quanto non lo si pagasse prima della crisi finanziaria. Anche la Spagna ha ottenuto una riduzione a due cifre.

Al contrario, i paesi del nord, considerati competitivamente i piu' forti nell'unione monetaria, dal 2008 hanno invece perso competitività. In nessun paese i costi per unità di prodotto sono cresciuti piu' che nell'industria tedesca - esattamente del 14%. Anche in Austria e Finlandia gli aumenti sono stati considerevoli. "Gli aumenti in Germania e Austria sono da ricondurre prima di tutto al Kurzaarbeit (contratti di solidarietà durante i periodi di crisi) a cui hanno fatto ricorso molte aziende nel corso della recessione del 2009", così ci dice l'economista Van Ark. Invece di licenziare i dipendenti, molte imprese, nonostante la crisi, hanno scelto di tenerli in azienda - facendoli tuttavia lavorare poche ore la settimana. Questo ha messo sotto pressione la produttività, fino ad oggi. "Gli aumenti salariarli legati ai rinnovi contrattuali nell'industria tedesca possono rendere il riequilibrio in Europa ancora piu' facile", ci dice Van Ark. Poiché gli esportatori tedeschi sono sempre piu' legati alla domanda proveniente dai paesi emergenti,  gli aumenti salariali non dovrebbero avere un impatto così negativo - allo stesso tempo tuttavia la produttività dovrà continuare a crescere.

Con gli aumenti di produttività del sud e la riduzione del nord, secondo Van Ark, si dovrebbe raggiungere nel lungo periodo il necessario riequilibrio macroeconomico. Allo stesso tempo ci mette in guarda da un'uscita di Atene dall'unione monetaria. "Se questo accadesse, nel medio periodo ne risentirebbe non solo la competitività greca, ma anche quella degli altri paesi Euro". Sicuramente la Grecia, con una svalutazione della nuova moneta, nel breve periodo tornerebbe ad essere piu' competitiva  e a far crescere la propria economia. Nel lungo periodo gli svantaggi sarebbero superiori ai vantaggi - anche perché le riforme non potrebbero aiutare il paese.

Per il resto dei paesi Euro, un'uscita della Grecia secondo Van Ark causerebbe prevedibilmente una recessione massiccia e ad una crescente disoccupazione. Secondo gli esperti, se i capi di governo dell'Eurozona nelle prossime settimane dovessero trovare un accordo sull'unione fiscale, la competitività di tutti gli stati nell'unione monetaria ne trarrebbe grande vantaggio.

martedì 13 marzo 2012

L'Euro è stato un grande errore, ma ormai...


Martin Feldstein, illustre economista americano, professore di Harvard e consigliere di Ronald Reagan, da sempre critico nei confronti  della moneta unica ci spiega perchè l'euro è stato un gigantesco errore, ma ormai è qui, e indietro non si torna. Da Die Zeit.


L'economista americano Martin Feldstein aveva avvertito l'Europa dei rischi della moneta unica molto tempo fa.

ZEIT: Sig. Feldstein, 15 anni fa lei scriveva che l'Euro avrebbe potuto casuare una guerra in Europa. Lei vede nelle controversie fra Germania e Grecia una conferma a questa sua ipotesi?

MF: Io non ho previsto nessuna guerra

ZEIT: Citiamo "Una guerra in Europa sarebbe ripugnante, ma non impossibile"

MF: Le mie osservazioni erano rivolte a Helmut Kohl e ad altri. Argomentavano infatti, che solo l'introduzione di una moneta unica avrebbe impedito il rischio di una futura guerra. Ho sottolineato che per decenni gli USA avevano avuto una valuta comune, nonostante questo si era arrivati ad una guerra civile. La mia tesi era che la moneta unica non avrebbe prevenuto nessuna guerra ma avrebbe inasprito i conflitti fra gli stati.

ZEIT: Che cosa si aspetta che succeda?

MF: La Grecia e la Germania non inizieranno alcuna guerra. Ma le tenzioni sono enormi. Molte delle preoccupazioni espresse alla firma del trattato di Maastricht, oggi sembrano essere giustificate. L'idea di mettere insieme dei paesi così diversi fra loro economicamente, non era una buona idea.

ZEIT: L'Euro doveva unire i popoli europei. Era un'idea naive?

MF: Sì, alcuni credevano che i cittadini si sarebbero sentiti piu' europei, solo perché nelle tasche avevano l'Euro. Non è vero. Se lei chiede a un francese, se si sente francese o europeo, vedrà che sceglierà la prima opzione. Politicamente l'Euro non ha portato molto all'Europa, economicamante ha fatto solo dei danni.

ZEIT: Come? Le crisi valutarie appartengono al passato. Prima in Europa sui mercati delle valute c'erano sempre turbolenze . Per le aziende europee questo era pericoloso.

MF: Questo non era un problema solo europeo. Prima in tutto il mondo avevamo alti tassi di inflazione ed enormi fluttuazioni delle monete. Questo è terminato quando le banche centrali hanno riconosciuto i vantaggi di una moneta stabile - anche senza un'unione monetaria. La Svizzera, la Svezia, Gran Bretagna, Israele, Messico, Brasile: tutti hanno la loro moneta, nonostante ciò i corsi delle monete sono stabili. 

ZEIT: Sta dicendo che l'Euro minaccia l'unità dell'Europa?

MF: Almeno senza di esso non avremmo adesso questi conflitti fra gli stati causati dalla crisi. La crisi non ci sarebbe mai stata.

ZEIT: Che cosa intende?

MF: Per i mercati finanziari l'introduzione dell'Euro era il segnale, in Grecia, Spagna e Italia di prestare denaro allo stesso tasso della Germania. Questo ha portato ad un incremento dell'indebitamento in questi paesi. L'Euro ha causato molti dei problemi che ora stiamo combattendo.

ZEIT: Ma i governi europei lavorano alla soluzione di questo problema. Il Fiskalpakt è la pietra angolare di questa nuova unione.

MF: L'Europa non si sta muovendo verso una vera unione politica. Gli americani pagano una grossa parte delle loro tasse a Washington, e ricevono gran parte dei trasferimenti dal governo centrale. In Europa non è previsto di dare al centro dell'Unione così tanto potere.

ZEIT: Nessuna meraviglia. L'Europa non è ancora uno stato.

MF: Da un punto di vista economico una politica fiscale unitaria è molto importante. Un governo centrale potrebbe in questo modo  compensare le fluttuazioni della disoccupazione e della congiuntura nei singoli paesi.

ZEIT: Che cosa c'è da fare?

MF: Io credo che una parte del problema si sia risolta da sola. I mercati finanziari in futuro guarderanno da vicino e faranno suonare l'allarme, quando nei singoli paesi ad esempio i debiti crescono o le banche non vengono regolamentate in maniera corretta. Gli stati europei saranno sotto un'attenta osservazione. Gli USA in caso di necessità possono stampare denaro per pagare i loro debiti. L'Italia non lo può fare, e tutti lo sanno.

ZEIT: Lei ha una grande fede nella razionalità dei mercati

MF: Ci sono dei fallimenti di mercato, sì. Ma guardate all'Italia: il governo agisce e i tassi di interesse calano. Funziona! Alcuni problemi non sono però di facile soluzione. In un'unione monetaria non è possibile modificare il tasso di cambio e i tassi di interesse secondo le esigenze nazionali.

ZEIT: Dovremmo tornare al D-Mark e alle lire?

MF: E' stato un errore introdurre l'Euro. Ma ora è qui, e una sua dissoluzione comporterebbe dei costi maggiori. E' meglio continuare.

ZEIT: Su questo punto i governi europei sarebbero daccordo. La scorsa settimana si sono messi daccordo su un nuovo pacchetto di salvataggio per la Grecia. L'Europa va avanti?

MF: Il taglio del debito è ancora troppo piccolo. Alla fine dovremo cancellare tutto il debito greco, affinché il paese possa avere una chance. E anche allora sarà molto difficile per la Grecia all'interno dell'unione monetaria tornare a correre sulle proprie gambe.

ZEIT: Lei vuole far uscire la Grecia dall'Euro?

MF: Io propongo un'uscita temporanea. I greci reintrodurrebbero la loro stessa moneta. Allora potrebbero svalutare, e far crescere il loro export. Una volta risolti i problemi, il paese potrebbe tornare alla valuta unica.

ZEIT: Questo provocherebbe il kaos nei mercati finanziari. Spagna e Italia sarebbero attaccate, alla fine l'Euro scomparirebbe.

MF: Si potrebbe spiegare ai mercati che la situazione in Italie e Spagna non è cosi' cattiva come in Grecia. Non c'è motivo per questi paesi di dichiarare il default. Sarebbe un grande errore nella gestione della crisi non chiarire queste differenze fra i paesi.

ZEIT: I greci non sarebbero impressionati dalla sua proposta. Il governo ha paura che il sistema finanziario collassi e che i beni da importare come il petrolio non siano piu' finanziabili. 

MF: Un'uscita sarebbe molto dolorosa all'inizio, ma ci sarebbero prospettive di miglioramento.

ZEIT: E' nell'interesse americano difendere l'Europa?

MF: La Grecia è un caso particolare. L'Italia si può aiutare da sola, anche la Spagna. Non credo che dei trasferimenti dagli USA all'Europa - direttamente o attraverso il Fondo monetario internazionale - avrebbero un senso.

ZEIT: La vostra riluttanza a fare qualcosa, ha a che fare con il fatto che siete americani? L'Euro minaccia l'egemonia del dollaro.

MF: Pochi economisti americani sono preoccupati per il ruolo del dollaro. Da anni si sta svalutando, ma se questo non fosse successo, il nostro deficit estero sarebbe ancora piu' alto. Il vantaggio di essere una valuta di riserva viene ampiamente sopravvalutato.

ZEIT: In Europa molti pensano, che gli americani avrebbero impedito la nascita della moneta unica.

MF:  Questo non è vero. Molti economisti ne avevano sottolineato i rischi. Ufficialmente i nostri governi hanno sempre sostenuto l'unione monetaria. E ufficiosamente l'hanno sempre considerato come un affare europeo.

ZEIT: Perchè?

MF: Forse appartiene alla politica estera, essere gentile con i propri alleati. O forse i nostri politici hanno anche semplicemente creduto a Helmut Kohl.



lunedì 13 febbraio 2012

Referendum sui salvataggi nell'Eurozona


Seehofer, (segretario della CSU) vuole un voto popolare sul salvataggio dell'Euro. Dal Financial Times Deutschland.




Nel pieno della lotta per il salvataggio della Grecia, il capo della CSU e governatore del Land Bayer lancia una proposta radicale:  chiedere ai cittadini tedeschi di votare sul salvataggio dell'Euro con un referendum. Ma questo non sarebbe possibile con la legge costituzionale attuale.

Il numero 1 della CSU Horst Seehofer vuole far decidere ai cittadini sulle misure di salvataggio dell'Euro. "I provvedimenti sul salvataggio dell'Euro potrebbero essere oggetto di una votazione referendaria" ha dichiarato oggi Seehofer. "La partecipazione al salvataggio degli stati indebitati con fondi e garanzie molto importanti, dovrebbe essere decisa dal popolo. Questo controllo dei cittadini sul potere lo considero molto importante".

I referendum sulle questioni fondamentali dell'Europa sono generalmente "un buon modo, per portare l'idea di Europa più vicina ai cittadini" ha detto il presidente del Land Bayer:" Questo strumento deve essere garantito dalla costituzione". Al momento la costituzione attuale prevede la possibilità di indire un referendum, quando viene richiesta una nuova suddivisione dei Bundesland o quando la costituzione deve essere modificata. 

Con questa proposta Seehofer fa proprio un malcontento molto diffuso nell'opinione pubblica: per i paesi iperindebitati come la Grecia, che in questi giorni è sull'orlo della bancarotta,  o per i fondi per il salvataggio dell'Euro come il EFSF o il ESM la Germania mette a disposizione centinaia di miliardi di Euro. E allo stesso tempo l'Eurozona è radicalmente cambiata. I cittadini non possono in alcun modo esprimere la propria opinione. 

Allo stesso tempo, secondo molti, questo tipo di decisioni popolari sarebbero molto rischiose. Un "Nein" del popolo tedesco circa gli aiuti verso i paesi in crisi potrebbe acuire le turbolenze sui mercati finanziari. Anche l'incertezza sull'esito potrebbe rendere i mercati piu' nervosi.  

Seehofer a tal proposito è convinto che anche su temi impopolari ci sarebbe la possibilità di ottenere la fiducia degli elettori:"Bisogna solo sforzarsi di essere trasparenti e motivare le proprie scelte". Il popolo è sufficientemente intelligente, per poter decidere su domande difficili. 

Per quanto riguarda la Grecia ha chiarito Seehofer, che l'aiuto ci sarà solo se la volontà di riforma non viene meno: " Se coloro che devono applicare le riforme, sperano che esista un obbligo di versamento, non arriveremo mai ad una unione di stabilità" ha dichiarato a Der Spiegel.

Sempre a Der Spiegel, Seehofer ha dichiarato di escludere un aumento delle garanzie fornite dalla Germania ai salvataggi nell'Eurozona:" i 211 miliardi di garanzie totali fornite dalla Germania  per il salvataggio dell'Euro non possono in alcun modo essere aumentati" ha dichiarato "questa è la linea rossa".

Anche il ministro delle finanze Schäuble (CDU) e il ministro degli esteri Guido Westerwelle (FDP) hanno aumentato la pressione su Atene. La Grecia non deve diventare un pozzo senza fondo, ha detto  Schäuble alla Welt am Sonntag. Il paese deve diventare nuovamente competitivo. Facendo trapelare che questo non deve accadere necessariamente all'interno dell Euro. "Questo è nelle mani dei greci" ha dichiarato Schäuble.