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giovedì 20 giugno 2019

Verso la recessione?

L'ipotesi di una recessione si fa largo anche fra le parole, di solito prudenti, dei grandi centri di ricerca e della Bundesbank. Si parla con insistenza della frenata dell'economia italiana, ma anche l'economia tedesca è ferma, e il secondo trimestre molto probabilmente avrà il segno negativo. Ne scrivono le Deutsche Wirtschafts Nachrichten e la Reuters



Il PIL della Germania, secondo le previsioni della Bundesbank, nel corso del secondo trimestre diminuirà. "La produzione economica tedesca nella primavera del 2019 potrebbe registrare un lieve calo", ha anticipato la Bundesbank nel suo rapporto mensile pubblicato lunedì. "Gli effetti straordinari che hanno contribuito a un notevole aumento del PIL nel primo trimestre dell'anno in corso stanno finendo o addirittura si stanno invertendo", chiariscono gli esperti della Bundesbank. Da gennaio a marzo di quest'anno l'economia era cresciuta dello 0,4%.

Il settore delle costruzioni nel trimestre in corso dovrebbe registrare un certo "effetto rimbalzo", dopo che l'attività invernale era stata notevolmente espansa a causa del clima particolarmente mite. "Inoltre, a causa delle difficoltà di consegna dovute all'introduzione del nuovo test sulle emissioni WLTP dello scorso autunno, gli acquisti di auto che per questo motivo erano stati posticipati, nel frattempo potrebbero essere già stati realizzati", afferma la Bundesbank.

Le esportazioni tedesche nel Regno Unito - uno dei principali mercati di sbocco - rischiano di soffrire per il caos della Brexit.

Nel complesso l'andamento economico di base rimane debole. "Il fattore decisivo resta la continua flessione del settore industriale", sottolinea la Bundesbank. L'industria soffre per i conflitti commerciali, a causa di un'economia globale più debole e dei rischi come la Brexit.

"Lo slancio dell'economia interna, tuttavia, resta fondamentalmente invariato", sottolinea la Bundesbank in considerazione di un livello occupazionale record, di salari crescenti e di bassa inflazione. "In questo senso perdura un quadro congiunturale diviso a metà."

Ad inizio giugno la Bundesbank aveva ridotto le sue previsioni di crescita per l'economia tedesca. Per quest'anno ci si aspetta una crescita dello 0,6 %, che nel 2020 dovrebbe raddoppiare passando all'1,2 %. Nel dicembre 2018, la banca centrale ipotizzava una crescita dell'1,6% per entrambi gli anni.




Secondo le previsioni dell'Istituto Ifo, l'economia tedesca nel trimestre in corso rallenterà. Il prodotto interno lordo nel periodo da aprile a giugno, infatti, dovrebbe diminuire dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, come indicato martedì dal responsabile per le previsioni economiche dell'Ifo, Timo Wollmershäuser. Nell'estate del 2018, il PIL tedesco era sceso dello 0,2%. In seguito l'economia ha ristagnato, prima di registrare una ripartenza all'inizio dell'anno. Nonostante la difficile situazione in primavera, l'esperto dell'Ifo non si aspetta che ci siano due trimestri consecutivi negativi: "non abbiamo indicazioni per poter parlare di una recessione".

In considerazione dei conflitti sui dazi, del pericolo di una Brexit forse disordinata e delle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran, le aspettative economiche degli investitori continuano a precipitare. Il barometro dello ZEW di Mannheim a giugno è sceso di 19 punti passando a - 21,1 punti. Al pessimismo generale contribuisce "anche una congiuntura economica tedesca sostanzialmente peggiore" all'inizio del secondo trimestre, ha detto il presidente dello ZEW Achim Wambach. Anche la Bundesbank recentemente si è aggiunta al coro dei pessimisti prevedendo un calo della produzione economica nel secondo trimestre. Da gennaio a marzo, il PIL è cresciuto dello 0,4 %.

Industria in recessione

Secondo l'Istituto Ifo l'economia tedesca crescerà meno della metà rispetto al 2018. Il prodotto interno lordo aumenterà solo dello 0,6%. L'istituto di ricerca RWI di Essen nelle sue previsioni ipotizza un aumento dello 0,8 %. "Segnali sempre piu' forti indicano che la crescita dell'economia tedesca sta rallentando", ha dichiarato Roland Döhrn, Chief Economist di RWI. "Ciò emerge, tra le altre cose, dall'andamento negativo degli ordini nel settore industriale e da una più debole creazione di nuovi posti nel mercato del lavoro".

Secondo l'esperto di congiuntura dell'Ifo Wollmershäuser, la produzione nel settore manifatturiero fortemente orientato all'export, dove viene generato un quarto del valore aggiunto, attualmente si trova in recessione. Allo stesso tempo i fornitori di servizi operanti sul mercato interno e il settore delle costruzioni, tuttavia, stanno registrando una crescita robusta. L'Istituto di Monaco prevede che l'economia tornerà a crescere e che la crescita dei prossimi trimestri sarà dello 0,3%. (...)

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domenica 11 novembre 2018

Intervista a Clemens Fuest sulla situazione italiana: "come creditori siamo ricattabili"

Clemens Fuest, il presidente del prestigioso Istituto Ifo di Monaco di Baviera, intervistato da T-Online ci spiega quanto il rischio di implosione della moneta unica sia reale e ci ricorda un concetto di base, apparentemente molto chiaro anche ai tedeschi: i creditori sono sempre ricattabili. Da T-Online


T-Online: Herr Fuest, i partiti di governo nel nostro paese attualmente sono molto presi da questioni personali. Un altro tema con conseguenze enormi per la Germania sta invece passando in secondo piano: la crisi economica in Italia. Il nuovo governo di Roma vuole fare piu' deficit. La Commissione europea ha respinto il bilancio. E ora?

Clemens Fuest: un paese senza una propria moneta non può permettersi un debito pubblico superiore al 130% del PIL. Il vero problema in Italia non è l'eccesso di indebitamento, ma la stagnazione economica. L'Italia non cresce, la produttività del lavoro ristagna dagli anni '90. L'economia italiana è stata duramente colpita dalla globalizzazione e non è riuscita ad adattarvisi. Le ragioni risiedono in un sistema educativo mal funzionante, in un sistema giudiziario poco efficace e in una regolamentazione del mercato del lavoro paralizzante.

T-Online: Quindi l'Italia ha bisogno di riforme Hartz sul modello tedesco?

Clemens Fuest: bisogna essere molto attenti con il messaggio: fate come i tedeschi! L'Italia è un paese con condizioni diverse. Nel mercato del lavoro, a differenza della Germania prima delle riforme Hartz, il problema non è che i benefici per i disoccupati sono troppo generosi. Si tratta piuttosto del fatto che chi ha un impiego ha delle forti tutele e che i giovani hanno scarse possibilità di essere integrati nel mercato del lavoro.

T-Online: ciò si riflette anche sul mercato dei capitali, dove il nervosismo si sta diffondendo e i rendimenti dei titoli di stato italiani stanno crescendo. Un problema per il mercato finanziario dell'UE?

Clemens Fuest: i rendimenti crescenti dimostrano che il mercato finanziario funziona e che i rischi vengono prezzati. Se in Italia arriva una crisi finanziaria, i creditori avranno un problema. Lo stato italiano e le banche sono fortemente indebitate con i propri cittadini. Per quanto riguarda i paesi esteri, le banche tedesche sono molto meno coinvolte in Italia rispetto ad esempio a quelle francesi. Un terzo della cosiddetta esposizione verso l'estero dell'Italia, circa 300 miliardi di euro, è nei confronti della Francia. Ma difficilmente questo ci aiuterebbe in caso di emergenza, perché se la Germania ha prestato poco all'Italia, è invece molto esposta nei confronti della Francia. Il problema ci colpirebbe comunque.

T-Online: quanto è concreto il rischio di una bancarotta pubblica in Italia?

Clemens Fuest: nel breve periodo il rischio maggiore risiede in un'ondata di panico sul mercato dei capitali che potrebbe portare rapidamente alla bancarotta di stato. Sarebbe una situazione in cui gli investitori avrebbero dei dubbi sul fatto che l'Italia possa rifinanziare i propri debiti. Per questo i titoli di stato in scadenza non verrebbero riacquistati e il paese diverrebbe insolvente. Nel lungo periodo il rapporto debito/PIL dovrebbe scendere, altrimenti l'Italia nella prossima recessione economica si troverebbe in gravi difficoltà.

T-Online: se il gioco si fa duro, si aspetta che l'UE usi lo scudo salva stati e aiuti l'Italia a suon di miliardi?

Clemens Fuest: l'Italia è dieci volte più grande della Grecia. Stiamo parlando di molti soldi. Ma non penso che i fondi per il salvataggio siano insufficienti, come spesso si sostiene. Se l'Italia chiedesse un programma di aiuti al Meccanismo europeo di stabilità (ESM), la BCE potrebbe acquistare obbligazioni governative italiane e mantenere l'Italia liquida. La vera domanda è: possono ancora esserci programmi ESM?

T-Online: si riferisce alla questione delle competenze nazionali?

Clemens Fuest: sì. Non è chiaro se il Bundestag possa ancora approvare i programmi di salvataggio dell'ESM. Secondo la sentenza della Corte costituzionale tedesca, il programma OMT (acquisto illimitato di titoli di stato da parte della Banca centrale europea) costituisce un superamento delle competenze della BCE, mentre la Corte di giustizia europea afferma il contrario. Ciò solleva la questione su quale Corte il Bundestag dovrebbe seguire. Ancora più importante, in Italia c'è un governo che non vuole attenersi ai regolamenti dell'UE. In questa situazione i fondi di salvataggio europei non sono disponibili. Gli aiuti sarebbero disponibili solo se collegati a dei requisiti di ristrutturazione.

T-Online: qual'è influenza reale della Commissione europea nel tiro alla fune politico con il governo italiano?

Clemens Fuest: l'importanza del tiro alla fune politico fra Bruxelles e Roma è sovrastimata. E' il governo italiano che prende le decisioni in materia di bilancio, per questo è stato eletto. L'UE non sarà in grado di impedirlo. Le regole europee aiutano i governi che vogliono rispettare i criteri europei e implementarli contro le resistenze del proprio paese. L'idea che Bruxelles possa imporre le regole europee contro la volontà di un governo nazionale è un'illusione. Non funziona cosi'. Non possiamo costruire l'Eurozona su queste basi.

T-Online: e allora su quali?

Clemens Fuest: la chiave di tutto sta nella disciplina di mercato. Da un lato è corretto dire che gli elettori italiani hanno democraticamente deciso di indebitarsi. Ma ciò significa anche dire che non possono trasferire i costi ai contribuenti degli altri Stati dell'euro.

T-Online: sembra ragionevole, ma anche un po troppo semplice. Di nuovo piu' concretamente: quale margine di manovra ha a disposizione l'UE per impedire alla crisi italiana di infettare il resto d'Europa?

Clemens Fuest: in sostanza, l'Unione europea deve fare due cose: in primo luogo tenere aperto un canale di dialogo. Abbiamo un interesse fondamentale affinché in Italia non vi sia una bancarotta dello stato. In secondo luogo l'UE deve prepararsi per una crisi. Ciò significa che bisognerebbe ridurre l'esposizione al rischio Italia e quindi essere meno ricattabili.

T-Online: quindi ritirare il denaro dall'Italia, denaro che lì è effettivamente necessario e farlo in maniera urgente.

Clemens Fuest: non è compito degli altri stati della zona euro mantenere liquido uno stato italiano che intende abbandonare le regole del gioco concordate con gli altri paesi. Il problema è che come creditore sei ricattabile. Le banche nel resto dell'eurozona dovrebbero ridurre i loro crediti finanziari verso lo stato italiano e le sue banche o meglio coprirli con il patrimonio netto. Altrimenti, in caso di crisi, saremo costretti a salvare un'altra volta le nostre banche con i soldi dei contribuenti.

T-Online: guardiamo avanti: cosa succede se il governo italiano non si ferma, ma si attiene al suo corso e continua a fare debito per ampliare lo stato sociale?

Clemens Fuest: lo scenario più probabile è che il paese al prossimo rallentamento economico finisca in una crisi finanziaria: una bancarotta statale in Italia porterebbe a una crisi dei mercati finanziari sulla cui portata si può solo speculare. Se il sistema bancario italiano dovesse essere di fronte ad un crollo, l'Italia potrebbe introdurre volontariamente una nuova valuta. C'è anche la variante della valuta parallela, i cosiddetti mini-Bot. Tutto ciò, tuttavia, porterebbe a degli scontri molto forti all'interno della zona euro.

T-Online: quindi un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari potrebbe essere una soluzione, come alcuni stanno chiedendo?

Clemens Fuest: nella situazione attuale sarebbe un grave errore. L'Italia in questo modo potrebbe  vendere più titoli di stato alle proprie banche. Se dovessero fallire, le perdite verrebbero trasferite alla comunità dell'Eurozona. La pressione dei mercati finanziari sull'Italia si ridurrebbe, e verrebbe incentivato il superamento dei limiti all'indebitamento concordati con gli altri stati. Se vogliamo che l'eurozona nel lungo periodo funzioni, abbiamo bisogno di un'assicurazione comune sui depositi. Tuttavia, il prerequisito obbligatorio per fare ciò è che le banche abbandonino completamente o almeno in gran parte il finanziamento dei loro rispettivi stati di appartenenza. Altrimenti è meglio lasciar stare.

T-Online: detto in maniera piu' semplice: da anni l'Italia scivola da una situazione di precarietà politica ed economica all'altra. Il Paese è riformabile?

Clemens Fuest: credo di sì. Possiamo guardare alla situazione italiana anche in modo diverso. Immaginate che la Germania abbia attraversato un periodo stagnazione di 20 anni. Come sarebbe il nostro paese dal punto di vista politico? Il fatto che la società italiana sia rimasta stabile per così tanto tempo merita rispetto. Ciò che manca sono delle riforme convinte; forse arriveranno quando sarà chiaro che la politica attuale sta solo esacerbando i problemi.

T-Online: diamo un'occhiata alla Germania. In che modo la crisi italiana ci influenzerà?

Clemens Fuest: la Germania ha un interesse urgente affinché in Italia possa arrivare quanto prima una ripresa economica. Il governo tedesco dovrebbe rivolgersi al governo di Roma e cercare di convincerlo a fare politiche europee che dal punto di vista finanziario possano ridurre il peso sugli altri paesi membri. Invece da Berlino arriva solo un silenzio minaccioso.

T-Online: cosa potrebbero fare insieme Germania e Italia per stabilizzare la situazione?

Clemens Fuest: la Germania e l'Italia potrebbero sviluppare una politica estera e di sicurezza europea e cooperare più strettamente nella politica  migratoria e dello sviluppo. Acquisti militari congiunti, la messa in comune di ambasciate e consolati, aiuti allo sviluppo europei invece che nazionali e frammentati, tutto ciò ridurrebbe il peso sul bilancio dello Stato. Si ha l'impressione che la Germania sia troppo impegnata con se stessa e troppo poco con l'Europa.

T-Online: perché è così?

Clemens Fuest: nella Große Koalition si tengono sotto controllo a vicenda. Fanno allo stesso tempo lavoro di governo e di opposizione.

T-Online: il governo federale non sta quindi lavorando efficacemente?

Clemens Fuest: bisogna essere prudenti con simili giudizi. Ma la lotta per il potere a Berlino è una realtà. Gli argomenti europei passano in cavalleria. Sono importanti almeno quanto la questione abitativa o la migrazione. Il pericolo che l'UE e l'euro cadano in pezzi è molto reale.
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domenica 23 settembre 2018

Thomas Fricke: perché gli economisti tedeschi raccontano cosi' tante stupidaggini?

Un ottimo Thomas Fricke su Der Spiegel fa un parallelo con il caso Maaßen e si chiede perché gli economisti tedeschi che da anni raccontano stupidaggini e non ne azzeccano una non abbiano ancora perso le loro prestigiosissime poltrone, ma anzi continuino ad essere venerati dalla grande stampa. Da Der Spiegel


Certamente possiamo discutere se quanto dichiarato dal nostro povero capo del Verfassungsschutz sia così negativo. La questione del video falso, che evidentemente non era stato falsificato. La dichiarazione non è stata davvero felice, anzi una tesi alquanto traballante. Ad ogni modo, non così azzeccata da meritare una promozione al ruolo di Segretario di Stato.

Maaßen, con una tesi traballante che non può essere dimostrata, sorprendentemente ne è uscito bene. Per molti è fastidioso, ma non è certo un principio nuovo. Almeno nel campo della consulenza in materia di politica economica. Sembra anzi che le cose spesso vadano in questo modo.

Che qualcuno pur avendo delle tesi vacillanti riesca comunque ad uscirne bene, lo abbiamo appreso in un altro ambito: dai nostri economisti. Non importa che i papi dell'economia dominante come Hans-Werner Sinn abbiano già diagnosticato tutto o quasi in maniera erronea o almeno  traballante  - cio' non sembra aver danneggiato in alcun modo i grandi saggi. Almeno non a livello personale. Al contrario

Grazie alla madre di tutte le crisi che sarebbe dovuta arrivare, questi profeti di sventura sono riusciti ad ammansirci, senza che queste crisi poi siano effettivamente arrivate. Ed è per questa ragione che questi economisti non sono stati in grado di anticipare nessuna delle grandi crisi dei decenni passati. O almeno non hanno dato un contribuito significativo per poterle prevenire.

Ovunque assurdità 

Guardando in retrospettiva, una delle principali diagnosi errate dell'economia tedesca tradizionale sono state le grida ai tempi dell'Agenda 2010. A quel tempo la Germania, in quanto nazione esportatrice, sembrava essere minacciata nella sua stessa esistenza perché ormai era diventata troppo cara, e i tedeschi socialmente viziati e soprattutto pigri - questa era la tesi preferita dal maggior profeta di sventura dell'epoca, H. W. Sinn.

A quel tempo in realtà la Germania era ancora campione del mondo dell'export. Le vendite tedesche nel mondo non erano mai aumentate tanto quanto in quegli anni di presunto declino. Un'assurdità grottesca.

Non c'è da meravigliarsi se poco dopo nessun grande economista tedesco ha profetizzato che la Germania, a partire dal 2006, sarebbe entrata in una lunga fase di ripresa. A quel tempo gli economisti alla Sinn per molto tempo provarono a far finta di nulla. Fino a quando poi negli anni successivi non hanno dovuto reinterpretare quel successo economico attribuendolo all'Agenda 2010, senza tuttavia riuscire a prevedere l'arrivo della crisi finanziaria, compresa la successiva crisi dell'euro.

Uno dei delitti ritenuti meno importanti è quello relativo alla fase in cui alcuni cosiddetti "veterani" dell'economia mettevano in guardia, secondo la bellezza e il romanticismo dettati dall'economia di mercato, dal pericolo di un intervento della banca centrale finalizzato alla messa in sicurezza della moneta durante la crisi dell'euro. Che comunque Mario Draghi ha realizzato nell'estate del 2012. Quello che ora, secondo gli allarmi lanciati nel nostro paese, viene interpretato come un salvataggio.

Perché gli studiosi del mercato ci hanno fatto perdere il senno quando in Germania è stato introdotto un salario minimo? Il paese sembrava di nuovo sull'orlo del baratro. Ancora una volta si è rivelato essere un racconto falso. Della crisi del lavoro nessuna traccia. Nel dubbio si puo' dire che il salario minimo abbia persino portato a un aumento dell'occupazione, perché da allora in Germania i lavoratori hanno piu' soldi da spendere. E questo è positivo per l'economia.

D'altra parte non sono certo mancati gli avvertimenti, come del resto è divenuto chiaro negli anni seguenti, in merito al fatto che il tanto amato commercio mondiale, con la sua concorrenza a basso prezzo anche da noi avrebbe generato dei perdenti frustrati. Persone che, come ora dimostrano gli studi, votano per Donald Trump. O AfD. I libri di testo ci dicono che il commercio internazionale a conti fatti è buono per tutti perché ci sono più vincitori che vinti. Peccato che questo non serva a confortare i perdenti.

Per anni gli opinion leader delle corporazioni ci hanno ripetuto che dobbiamo umilmente prepararci al declino demografico. Ora invece si organizzano i vertici per l'emergenza abitativa, perché i profeti di sventura non si aspettavano che il declino demografico in un'economia in costante crescita non è così rapido, e che quando l'economia va bene sorprendentemente ci sono più nascite e più persone in arrivo dall'estero.

In realtà in questi giorni non stiamo assistendo a quei drammi per i quali eravamo stati messi in guardia dai nostri economisti - né alla carenza di alloggi, né al divario di ricchezza, né all'insofferenza della classe media, né al protezionismo come risultato di importanti fratture economico-sociali.

La critica alle eccedenze commerciali tedesche è una cospirazione globale?

Ora si potrebbe pensare che proprio in questi tempi di ricambio, i  profeti al vertice avrebbero dovuto essere sostituiti da persone che potrebbero non essersi sbagliate così spesso, oppure essere più disposte ad imparare.

Non proprio.

- Hans-Werner Sinn nonostante tutte le diagnosi sbagliate è rimasto al vertice dell'Ifo fino al suo pensionamento per ragioni di età -  e due anni e mezzo dopo resta ancora il secondo più importante economista del paese, come scrive ad esempio la "Frankfurter Allgemeine".

- Christoph M. Schmidt, il capo dei gloriosi saggi economici, da quasi dieci anni ricopre la sua posizione all'interno del consiglio degli esperti economici - apparentemente senza alcun dubbio sul suo operato. Nel Consiglio dei Saggi, anche se non sono riusciti a comprendere la crisi del secolo, non è piu' stato chiamato nessuno che si sia fatto notare per aver criticato i vecchi dogmi sul mercato.

- Il successore di Sinn all'Ifo, Clemens Fuest, assomiglia ad una versione light di Sinn.

- E quando in palio ci sono delle nuove posizioni da consigliere per la politica, come è stato di recente con la poltrona di presidente presso il Kieler Institut für Weltwirtschaf, sembra che si voglia fare di tutto per dare il via a qualcosa di  nuovo. Ma il nuovo, Gabriel Felbermayr, arriva dall'Ifo - ooh! - e ha già dichiarato che considera le critiche mondiali alle eccedenze commerciali tedesche come una cospirazione globale nei nostri confronti.

"Non si può negare che il modello economico britannico è ingiusto"

Le cose possono andare anche diversamente. Due settimane fa nel Regno Unito ha fatto scalpore un piano in dieci punti redatto da una commissione i cui rappresentanti di spicco appartengono a diversi gruppi sociali, dagli accademici ai dirigenti aziendali, fino ad un arcivescovo; piano con il quale hanno lanciato una campagna per una "nuova economia". L'obiettivo: allontanarsi dalla dottrina Thatcher. "Che il modello economico britannico sia profondamente iniquo, fino a poco tempo fa era considerata una posizione radicale, oggi è indiscutibile", ha scritto il Guardian.

In Germania invece i principali economisti dubitano ancora che in questo paese ci sia ingiustizia sociale - o del fatto che la gente possa essere insoddisfatta.

Tali diagnosi cosi' errate potenzialmente possono fare molti danni. I lamenti per il declino delle esportazioni degli anni 2000 hanno contribuito in larga misura al fatto che la politica economica tedesca ha speso tutto il tempo nel cercare di costruire la nostra prosperità fondandola sul commercio estero. Oggi la nostra economia dipende troppo dalle esportazioni - e ora c'è un presidente degli Stati Uniti che contrattacca con i dazi doganali.

La resistenza nei confronti degli aiuti finanziari durante crisi dell'euro, fondata sulla fiducia nel mercato, probabilmente ha contribuito ad aggravare la spirale del panico. E senza le preoccupazioni tipiche dei vecchi dogmi economici, in Germania avrebbe potuto esserci un salario minimo molto prima, e quindi meno cittadini arrabbiati che nel loro lavoro si sentono sfruttati.

La prossima crisi arriverà sicuramente. Al momento, nulla lascia presagire che i profeti di sventura questa volta faranno una figura migliore. Soffriamo del principio di Maassen.

È arrivato il tempo dei nuovi pensatori. Ce ne sono abbastanza.

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venerdì 18 maggio 2018

Clemens Fuest: "1.000 euro a testa"

Anche Focus.de non poteva astenersi dal commentare le nuove proposte in arrivo dall'Italia scomodando addirittura il presidente dell'Ifo Institute di Monaco, Clemens Fuest, il quale ha già fatto i calcoli e quindi spiega ai lettori che gli italiani vorrebbero scaricare 1.000 euro di debito non onorato su ogni singolo tedesco: la crisi spiegata all'uomo della strada. Da Focus.de




Fuest ha dei dubbi sulle competenze economiche della coalizione

Gli economisti sono indignati. Clemens Fuest, presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, non ha nessuna considerazione del piano: "la richiesta italiana mina le fondamenta dell'unione monetaria", dice Fuest a Focus Online. Non è accettabile "che i singoli paesi vogliano mettere le mani nelle tasche dei contribuenti degli altri paesi".

Fuest, considerato uno degli economisti tedeschi piu' famosi e rinomati, mette in discussione le competenze economiche dei politici italiani: la richiesta "di una cancellazione del debito detenuto dalla BCE è un'assurdità".

5 Stelle e Lega Nord pretendono infatti la cancellazione delle obbligazioni italiane acquistate dalla BCE. "In tal modo trascurano il fatto che eventuali perdite derivanti dall'acquisto dei titoli di stato nazionali sarebbero sopportate dalle rispettive banche centrali", chiarisce Fuest, "in questo caso da Banca d'Italia, che appartiene al governo italiano".

Gli altri stati della zona euro devono essero d'accordo

Il presidente Ifo chiarisce come dovrebbe essere in realtà la procedura per la riduzione del debito richiesta dall'Italia: "per avere un reale margine di manovra finanziario, gli altri stati membri dovrebbero dichiararsi disponibili a farsi carico del debito italiano".

Se infatti si dovesse arrivare al punto in cui gli altri stati UE devono farsi completamente carico delle perdite della BCE, il conto per il contribuente tedesco sarebbe scandalosamente alto: "se i costi fossero distribuiti proporzionalmente alla forza economica dei paesi, la Germania dovrebbe pagarne il 34%, vale a dire 86 miliardi di euro", calcola Fuest.

Sarebbero piu' di 1.000 euro a testa per ogni cittadino tedesco. Questo dovrebbe essere sufficiente a chiarire che il governo federale tedesco non accetterà mai un cosi' pessimo affare.


martedì 19 febbraio 2013

Maggioranze mediterranee


Hans Werner Sinn torna a chiedere un cambio di rotta radicale nella politica europea della Germania e rilancia un suo tradizionale cavallo di battaglia: c'è bisogno di una banca centrale che possa e sappia tutelare gli interessi tedeschi. Da CesIFO-group.de
La minaccia della Gran Bretagna di abbandonare l'Unione Europea è un segnale di allarme politico ed economico. La Germania dovrebbe avviare un'iniziativa di riordino della EU che possa rafforzare l'idea di sussidiarietà - per consentire ai britannici di restare.

Molti politici a Bruessel e a Parigi, ma anche a Berlino, hanno reagito deridendo le posizioni di David Cameron: far votare il suo popolo sull'adesione all'UE. Non sarà cosi' facile risolvere la questione. La Gran Bretagna è ancora il paese europeo piu' influente nel mondo e la decisione di Cameron cambierà l'Europa.

Il primo ministro britannico non ha fatto questo passo di sua iniziativa.  La vera causa è stata la   decisione di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo. Si puo' pensare cio' che si vuole di questa tassa. E' un provvedimento sciocco la cui utilità non è chiara - ma rappresenta una puntura di spillo nella carne viva dei britannici. Lasciare che la Gran Bretagna esca per questa ragione sarebbe un errore non trascurabile. Coloro che hanno spinto per la sua introduzione, sapevano che in questo modo avrebbero irritato la Gran Bretagna, ma l'hanno fatto ugualmente mettendo a rischio il progetto europeo. Non a caso Cameron ha tenuto il suo discorso sull'uscita il giorno dopo che la decisione di introdurre la tassa è stata approvata dalla  maggioranza dai paesi EU.

C'erano voluti due tentativi prima che la Gran Bretagna nel 1973 diventasse finalmente membro della Comunità europea. Il primo tentativo era fallito nel 1963 per il veto della Francia. La Germania era stata allora convintamente a favore: nell'ingresso dei britannici vedeva un mezzo per bloccare le intenzioni mercantiliste dei francesi e ridurre i rischi per l'industria tedesca. Inoltre era chiaro che senza la Gran Bretagna l'EU non sarebbe mai stata in grado di occupare nel mondo la posizione politica a cui ambiva. Da allora è stata ferma intenzione della Germania coinvolgere quanto piu' saldamente possibile la Gran Bretagna nel progetto di integrazione europeo. Oggi tutto cio' non vale piu'?

Il ministro degli esteri francese Fabius, con una certa malizia, facile da capire, ha annunciato: "non cercheremo di trattenere i britannici se intendono andarsene". E' incomprensibile invece  che il Ministro degli esteri tedesco, con la sua accusa di "cherry picking", si sia unito al coro dei critici. Angela Merkel al contrario, con la sua offerta ai britannici di una trattativa sui negoziati,  è stata molto piu' intelligente. 

Cameron ha sostanzialmente ragione. Nell'EU e nell'Eurozona c'è qualcosa di sbagliato. Il principio di sussidiarietà sottoscritto con il trattato di Maastricht, di fatto viene violato in continuazione.  La EU regolamenta in troppi ambiti per i quali non dovrebbe essere responsabile, e per i quali non esistono esternalità transfrontaliere. L'eliminazione delle lampadine a incandenscenza, le regole per la curvatura dei cetrioli e piu' recentemente gli sforzi per privatizzare l'acqua, che per motivi puramente tecnici non puo' essere un ambito in cui si esercita la concorrenza, sono solo alcuni esempi di una lunga lista di abusi di potere privi di ogni senso economico. Allo stesso tempo la BCE si muove in contrasto con le regole del trattato di Maastricht sul finanziamento agli stati, abusando del suo ruolo per attuare misure di natura fiscale, che secondo il precedente capo economista della BCE Otmar Issing non hanno piu' nulla a che fare con la politica monetaria. 

E' un errore perseguire l'unità politica europea attraverso un ulteriore approfondimento della zona Euro. Paesi importanti come la Gran Bretagna, la Svezia e la Polonia non appartengono alla zona Euro e a causa della socializzazione dei debiti non vi prenderanno parte per un lungo periodo di tempo. Sono pero' una parte dell'Europa come Cipro, Malta o la Grecia.

Se misurato secondo il diritto di voto nel consiglio BCE, il baricentro geografico dell'Eurozona è nel bacino mediterraneo.

L'Eurozona sembra quasi l'unione monetaria latina che nel diciannovesimo secolo si estendeva dalla Francia fino alla Grecia, e che allora causo' tre fallimenti statali. La Germania deve subordinarsi alle maggioranze mediterranee. L'impotente protesta dei presidenti Bundesbank Axel Weber e Jens Weidmann e quella del precedente capo economista BCE Jürgen Stark lo mostrano molto chiaramente.

Chi intende raggiungere l'unità europea attraverso una piu' stretta cooperazione nell'Eurozona, spinge la Germania in una posizione marginale - e divide l'Europa. Per questa ragione è arrivato il momento di ripensare radicalmente la politica europea tedesca. Durante il suo cammino l'EU ha perso di vista l'obiettivo di fondo. Non sappiamo dove il viaggio ci sta portando, ha sostenuto Cameron. In queste circostanze si dovrebbe veramente accelerare il passo? Non sarebbe meglio fare una pausa, riflettere e tornare all'ultimo bivio, e provare a imboccare un'altra strada?

La Germania dovrebbe prendere sul serio Cameron e insieme a Gran Bretagna, Francia e agli altri stati EU, sviluppare un'iniziativa per ridisegnare l'Europa. Un percorso che possa portare all'Europa piu' pace, libertà, unità e prosperità, molto piu' di quanto non accada con il corso attuale. 

David Cameron ha fondamentalmente ragione: c'è qualcosa che non va nell'EU e nella zona Euro.

mercoledì 9 gennaio 2013

Sinn: il 2013 sarà un buon anno per la Germania


Secondo Hans Werner Sinn il 2013 sarà un buon anno per la Germania, mentre per gli eurodeboli i problemi di competitività non potranno che crescere. Da WirtschaftsWoche
L'economia tedesca quest'anno crescerà, ma con moderazione. I vicini europei invece resteranno ancora distanti.

Dopo l'onda d'urto della crisi finanziaria e della crisi Euro, il 2013 sarà l'anno del consolidamento. I paesi industriali sovraindebitati, inclusi gli Stati Uniti e in particolare i paesi in crisi del sud Europa, dovranno fare ordine nelle loro finanze pubbliche. Questo doloroso consolidamento sarà essenziale per la ripresa dell'economia mondiale.

Naturalmente cio' peserà temporaneamente sulla congiuntura. L'economia mondiale nel 2013  nonostante gli effetti di rallentamento congiunturale non finirà tuttavia in recessione. I mercati emergenti stanno facendo molto bene. La loro dinamica aiuta anche la Germania - oggi siamo molto piu' dipendenti dall'economia mondiale che non dalla situazione dell'Eurozona. Nel 1995, anno in cui al vertice di Madrid i capi di stato e di governo europei annunciavano l'introduzione dell'Euro, l'economia tedesca vendeva il 47% del suo export nei paesi che oggi formano l'Eurozona. Nel 2011 era appena il 40%.

La recessione continua

Nel complesso la Germania non sarà troppo influenzata dagli squilibri economici nella zona Euro. Mentre i paesi orientati alla stabilità nella cosidetta "ex area del Marco" (Germania, Austria, Olanda e Finlandia) quest'anno cresceranno probabilmente dello 0.5 %, il resto d'Europa avrà una riduzione del Pil dello 0.6%. Nel complesso, l'attività economica dovrebbe crescere nella zona Euro dello 0.2 %.

La Germania continua a crescere piu' velocemente degli altri paesi della zona Euro fin dal superamento della prima ondata della crisi finanziaria, nell'estate 2009, dopo essere stata per molti anni l'ultima o la penultima della classe. Un ragione per questo andamento: prima della crisi, l'Euro aveva causato un massiccio deflusso di capitali dalla Germania. Subito dopo la crisi, al contrario, i capitali sono tornati. Solo grazie al massiccio export di capitali operato dalla Bundesbank tramite il sistema Target 2 e dai governi tramite i fondi di salvataggio europei, si è arrivati da un punto di vista contabile, durante e dopo la crisi, ad un nuovo deflusso netto di capitali dalla Repubblica Federale.

Il flusso di ritorno dei capitali ha alimentato un boom immobiliare e ha spinto gli investimenti in macchinari e apparecchi: nel 2010 e 2011, accanto all'export, sono stati il  principale motore della crescita. Nel 2012, con la ripresa del flusso di capitali verso il sud Europa, sotto la garanzia del fondo di salvataggio, gli investimenti in macchinari e attrezzature si sono raffreddati e in parte anche le costruzioni hanno frenato.

Il rallentamento degli investimenti in macchinari si è nel frattempo trasferito al mercato del lavoro interrompendo il trend che vedeva dal 2006 una riduzione costante della disoccupazione. L'IFO si aspetta che la disoccupazione nel 2013 si stabilizzi intorno al 6.9 %. Un po' di piu' rispetto al 6.8 % del 2012. La differenza è dovuta al fatto che l'Agenzia federale per il lavoro (Bundesagentur) ridurrà la sua attività per il sostegno dell'impiego, e cio' porterà ad un trasferimento nascosto verso la disoccupazione. 

Ancora in autunno si temeva che l'economia tedesca potesse essere colpita dalla recessione nel sud Europa. Negli ultimi tempi tuttavia si moltiplicano gli indicatori che ci spingono ad una visione piu' ottimistica della situazione. L'indicatore IFO sulla situazione economica è tornato a crescere in novembre e dicembre, dopo essere sceso per sei mesi consecutivi. Soprattutto è migliorata la componente legata alle aspettative.

La crescita nel mese di dicembre è la piu' forte dall'agosto 2009, quando l'economia tedesca si era ripresa con sorprendente rapidità dalla crisi economica globale. L'industria, grazie al recente aumento degli ordini in arrivo dai paesi non Euro, offre nuove speranze. Anche il settore delle costruzioni puo' sperare in buoni affari, visto che le licenze per la costruzione e gli ordini per nuove costruzioni nei primi 9 mesi del 2012 hanno segnato un + 6 % rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. 

Nel complesso il dipartimento economico dell'Istituto IFO prevede che il PIL tedesco nel 2013 crescerà dello 0.7 %, anche se naturalmente restano considerevoli incertezze. Il tasso di inflazione sarà dell'1.6 %, dopo il 2 % dell'anno appena concluso.

Nella zona Euro i prezzi cresceranno un po' di piu', intorno all'1.8%. Per la Germania cio' potrebbe essere positivo, molto meno positivo sarà invece per il necessario processo di aggiustamento dei prezzi relativi nella zona Euro, essenziale per la riduzione dei disavanzi delle partite correnti. E cio' purtroppo significa che i dolorosi problemi di competitività all'interno dell'Eurozona continueranno a crescere.

venerdì 12 ottobre 2012

La trappola Target


Hans Werner Sinn pubblica il suo nuovo libro dedicato al sistema Target e torna ad infiammare il dibattito sulla crisi Euro: la Bundesbank ha perso ogni potere decisionale e il patrimonio dei tedeschi è a rischio. Un estratto del libro da FAZ.NET 

La Germania è finita nella trappola Target, sostiene l'economista Hans Werner Sinn. Nel suo nuovo libro chiarisce perché il complicato sistema di pagamento della EU ci spinge a tentare di salvare l'Euro con sempre piu' denaro. Un anticipo

La portata delle azioni di salvataggio della BCE emerge chiaramente dalle dimensioni dei cosiddetti saldi Target. I responsabili politici sia a livello europeo che nazionale sull'argomento sanno poco. Si tratta infatti di flussi di credito che scorrono attraverso i tortuosi canali del sistema delle banche centrali, di cui i politici preferiscono non occuparsi pubblicamente, in modo da evitare ogni preoccupazione.

Il governo federale tedesco fino ad ora si è rifiutato di occuparsi pubblicamente della questione Target. Questo atteggiamento appare incredibile, perché nel frattempo tutto il mondo finanziario ne sta parlando. Sicuramente  da  quando Moody's ha avvertito il governo di Berlino di volerne mettere in discussione il merito di credito. Moody's ha infatti esplicitamente indicato i saldi Target della Germania come una delle ragioni per il peggioramento dell'outlook tedesco da stabile a negativo.

Target è il nome del sistema attraverso il quale vengono gestiti i pagamenti fra le banche nell'area Euro. E' l'acronimo di un'espressione complessa, che si dimentica immediatamente se la si sente, perché non dà nessun aiuto alla comprensione.

Il sistema Target gestisce e misura i trasferimenti di denaro fra le banche centrali nazionali dei paesi Euro, generati da movimentazioni internazionali, che il settore privato e pubblico realizzano attraverso le banche commerciali. Un deficit-Target di una banca centrale nazionale è un deflusso netto di Euro verso un altro paese, che gli economisti definiscono deficit della bilancia dei pagamenti. Di conseguenza un surplus-Target è un afflusso netto di denaro proveniente da altri paesi, ovvero un avanzo della bilancia dei pagamenti.

Azioni, obbligazioni e immobili

Nell'area Euro i pagamenti relativi ai commerci e ai movimenti degli istituti finanziari si spostano fra i diversi confini e all'interno dei paesi, ma solo i flussi transfrontalieri vengono considerati nel sistema Target. Vivo in un paese, compro beni in un altro e chiedo siano consegnati in un terzo paese. Azioni, immobili, obbligazioni e fabbriche intere vengono vendute e comprate attraverso i confini dei paesi. Si prendono in prestito dei capitali, mentre se ne rimborsano altri. Questi pagamenti portano a dei flussi di denaro, ma di solito non si hanno dei flussi netti, perché i movimenti di denaro in entrata e in uscita restano in equilibrio. Una tale situazione viene indicata come equilibrio della bilancia dei pagamenti. 

Si parla invece di uno squilibrio della bilancia dei pagamenti quando ci sono flussi di denaro maggiori in una direzione rispetto all'altra. Se i flussi in entrata e in uscita non si annullano,  si genera un saldo.

Vediamo che nella zona Euro fino all'estate 2007 c'era un equilibrio della bilancia dei pagamenti. I saldi non non sono mai stati pari a zero, perchè i flussi finanziari internazionali dipendono da fattori stocastici, ma le differenze erano ridotte. La somma dei crediti Target dei paesi in avanzo era appena dell'1.3% del PIL dell'Eurozona.

Squilibri di dimensioni maggiori sono emersi solo dopo l'agosto del 2007, da quando è iniziato il disordine sul mercato interbancario europeo. Le banche di Francia, Germania e Olanda hanno iniziato a concedere i loro prestiti all'estero con maggiore esitazione. I paesi GIPSZ ( Grecia, Irlanda, Portugal, Spanien, Zypern), i quali avevano grandi deficit delle partite correnti, dovevano finanziare i propri acquisti con dei prestiti, senza che dall'estero arrivasse un corrispendente flusso di denaro. Questo denaro scomparso è stato sostituito con il denaro elettronico della banca centrale.


I dati mostrano dimensioni drammatiche

Nel caso dell'Irlanda e dall'estate 2011 anche per Spagna e Italia si è avuta una fuga di capitali dovuta al rimpatrio del denaro precedentemente prestato dalle banche del centro. Già dall'estate 2007 i capitali hanno iniziato a fuggire dai paesi GIPSZ, mentre in Germania, Olanda, Finlandia e Lussemburgo stavano arrivando quantità sempre maggiori di denaro. Nel luglio 2012 la Germania aveva maturato un saldo netto di 727 miliardi di Euro. In Olanda in giugno era di 126 miliardi di Euro, in Finlandia di 54 miliardi di Euro e in Lussemburgo fino a maggio erano 128 miliardi di Euro. 

Nel complesso le somme raggiunte ci mostrano una situazione drammatica. All'inizio del 2011 quando i crediti tedeschi erano ancora intorno ai 300 miliardi, si diceva che le cifre sarebbero presto rientrate. Ma di questo rientro non c'è traccia. Negli ultimi 12 mesi, prima della conclusione di questo libro (luglio 2011-luglio 2012) il saldo Target tedesco è salito in media di circa 100 miliardi di Euro per trimestre, oppure di 32 miliardi di Euro al mese. Come il lettore può intuire facilmente dalla curva riportata, la crescita con diverse oscillazioni è continuata mese dopo mese. In caso di sviluppi come questo si può parlare di "sequenze esplosive": possiamo solo sperare, che questa espressione non venga presa troppo alla lettera.



Sebbene i saldi Target siano saldi della bilancia dei pagamenti, misurano anche i crediti fra la diverse banche centrali dell'Eurosistema. A prima vista questo non sembra evidente, perchè alla concessione di un credito è collegato anche un trasferimento di denaro. Ci si chiede allora dove e come la banca centrale tedesca ha prestato del denaro alla banca centrale greca. E questo infatti non è accaduto. Il rapporto di credito è nato molto spesso dal fatto che, ad esempio, al momento dell'acquisto di un prodotto tedesco da parte di un greco, la banca centrale tedesca ha effettuato il trasferimento alla banca commerciale del venditore per conto della banca centrale greca.

Per fare questo la Bundesbank concede alla banca nazionale del venditore tedesco un credito, che per per la Bundesbank rappresenta un debito nei confronti di questa banca commerciale. Allo stesso tempo concede alla banca centrale greca un credito dello stesso valore di quello concesso alla banca commerciale tedesca. Tale credito verso l'Eurosistema nei bilanci della Bundesbank viene registrato come un saldo Target (Forderung). E' come se io per il mio amico che ha dimenticato il proprio portafoglio, pagassi una fattura per una riparazione fatta da un artigiano. Effettuando il pagamento al suo posto gli concedo un credito, che poi registro come una posizione attiva nei suoi confronti.

Nessuna libertà di decisione da parte della Bundesbank

La differenza è che il mio amico mi restituirà i soldi della serata, mentre i crediti Target sono in principio illimitati e non arriveranno mai a scadenza. La Grecia acquista le merci e mette in conto, senza essere in grado di offrire merci in cambio. L'analogia con l'amico non è adatta perché in ogni occasione posso decidere se aiutare o meno il mio amico nella sua situazione. Nel sistema Target la Bundesbank non ha alcuna possibilità di decidere. Può naturalmente nel consiglio BCE, cosa che già fa, votare per una politica di concessione del credito piu' restrittiva, ma in quella sede il suo voto viene messo in minoranza e può fare ben poco. Deve effettuare i pagamenti causati dalla generosa politica di credito e non può rifiutarsi. Questo è l'Eurosistema.

I crediti Target chiariscono perché l'import di capitale nei paesi in crisi è andato avanti, nonostante la crisi abbia avuto origine proprio da questo: i capitali non vogliono piu' andare in questi paesi. Il sistema Target è il fondo di salvataggio, prima dell'arrivo dei fondi di salvataggio - il cavaliere bianco, il sostituto per un mercato dei capitali non piu' funzionante. Il volume dei crediti Target, di cui i paesi in crisi hanno beneficiato, è 5 volte il valore dei titoli acquistati, e il doppio delle somme previste dai fondi di salvataggio.

Per i paesi creditori, prima di tutto la Germania, i crediti Target sono un rischio, come lo sono anche le altre misure di aiuto concesse. Se i debitori non potranno rimborsarli, i crediti dovranno essere depennati, e i beni che sono stati acquistati dai paesi in crisi mediante il sistema dei crediti Target non torneranno mai indietro. Le perdite tedesche saranno poi ridotte attraverso la socializzazione dei guadagni e delle perdite fra le banche centrali nazionali della zona Euro ancora solvibili.

Cosi' ad esempio la Germania in caso di insolvenza e uscita dei GIIPSZ dalla zona Euro non perderebbe i suoi 727 miliardi di crediti (fine luglio), ma dividerebbe con gli altri paesi restanti i saldi negativi dei GIIPSZ, pari a 971 miliardi di Euro. In concreto la Germania si troverebbe ad avere una perdita del 43% ovvero 416 miliardi di Euro.

Una perdita di 593 miliardi di Euro

Per la Germania andrebbe ancora peggio se fosse l'intera Eurozona a dissolversi. In questo caso ci sarebbero dei crediti verso un sistema che non esiste piu': le perdite tedesche sulla base dei dati di agosto 2012 sarebbero di 727 miliardi di Euro.
Con i crediti e le garanzie concesse al fondo ESM la Germania in questo caso si troverebbe in una posizione decisamente migliore: da un lato perché sarebbe coinvolta solo con la propria quota di capitale, e dall'altro lato perché i titoli di stato restano dei crediti sempre esigibili da un punto di vista legale, anche se l'Euro fosse sostituito da altre monete. Sono certo minacciati da un hair-cut e dal rischio di svalutazione, ma non certo dalla scomparsa del quadro giuridico.

Per la Bundesbank sia l'uscita dei GIIPSZ che la dissoluzione dell'Euro sarebbero una catastrofe, visto che dispone di capitale proprio per soli 134 miliardi di Euro. Sottraendo queste perdite, la banca centrale tedesca in caso di uscita e insolvenza dei GIIPSZ avrebbe un capitale proprio negativo per 282 miliardi di Euro, e in caso di rottura dell'euro una perdita di 593 miliardi di Euro.

Su questo argomento sono in molti a sostenere che si tratta di un problema irrilevante visto che i saldi negativi Target si muovono in un mondo virtuale e non hanno alcun significato reale. La Bundesbank in una situazione di emergenza potrebbe lavorare anche con un capitale proprio negativo oppure lo stato potrebbe accordare un credito senza interessi e senza scadenza, in modo da poter ripristinare il capitale proprio. Ma è troppo bello per essere vero.

Sicuramente con trucchi del genere si potrebbe mantenere la Bundesbank funzionante, ma i crediti non potranno essere certo recuperati in questo modo. Per i beni che la Germania ha venduto all'estero e per i quali ha ricevuto solo dei semplici crediti Target, in caso di un fallimento degli altri paesi in crisi, non riceverà mai un controvalore adeguato sotto forma di altri beni. E questa non è una perdita virtuale, piuttosto una perdita reale che coinvolge ogni cittadino. 

Si può cadere in una trappola che qualcuno ci ha teso. Ma ci si può tendere anche una trappola da soli. Il giudizio su quale di queste 2 possibilità corrisponda al caso dei crediti Target, se alla convinzione con cui Helmut Kohl ha seguito il progetto europeo, o all'intelligenza e visione di Jacque Delors, può essere lasciato in sospeso. Il fatto è che oggi la Germania è caduta nella trappola Target.

Il sistema Target è una trappola perchè la Bundesbank non ha la possibilità di incassare i propri crediti. I crediti Target potranno essere rimborsati solamente quando la Germania concederà nuovamente credito all'estero oppure acquisterà dall'estero beni e immobili. Se non dovesse farlo, perchè ha paura che questi crediti non vengano poi rimborsati oppure perchè i beni e gli immobili sono troppo cari, i crediti di emergenza resteranno per sempre nei bilanci e saranno erosi dall'inflazione.

Il vero problema dei saldi Target

I volumi raggiunti dai saldi dei paesi caduti nella trappola del sistema Target, li costringono ad approvare ogni ulteriore misura di salvataggio, grazie alle quali affondano ancora di piu' in questa trappola. Questo riguarda sia l'acquisto di titoli di stato della BCE che i programmi di aiuto pubblico, sui quali decidono i parlamenti. Queste misure portano nuovo denaro nei paesi in crisi: offrono infatti una garanzia pubblica per i prestiti privati che potranno in questo modo essere di nuovo concessi nei paesi in crisi, oppure perché in maniera indiretta supportano l'acquisto di titoli di stato. Riducono i crediti Target, sostituendoli con altri crediti.

Questo è il vero problema dei crediti Target. La BCE ha dato ai paesi in crisi una carta di credito d'oro senza limiti di prelievo. Per fare in modo che questa carta di credito non venga utilizzata o addirittura per far si che questi crediti vengano rimborsati, dovrà essere concessa una carta di platino. La possibilità di rifornirsi di beni e attività in Germania a debito, semplicemente segnando un credito sul bilancio della Bundesbank, genera una dipendenza della politica, che ad ogni crisi sarà costretta ad accettare nuove concessioni verso i paesi in crisi.

sabato 30 giugno 2012

L'uscita temporanea

Hans Werner Sinn, ripreso da Die Welt, rilancia una sua vecchia proposta: facciamo uscire temporaneamente dall'Euro i paesi in crisi, e dopo una svalutazione, facciamoli rientrare. Ma perché dovrebbero scegliere una seconda volta il suicidio economico?
Il presidente IFO Hans Werner Sinn mette in guardia: la Germania potrebbe diventare responsabile per i debiti dei paesi in crisi. Grecia e Spagna possono recuperare competitività solo con un periodo fuori dalla moneta unica.

Il presidente dell'IFO di Monaco, Werner Sinn, propone un'uscita temporanea dall'Euro per i paesi Euro indebitati. Si potrebbe pensare ad un "centro di riabilitazione" per i paesi come Grecia e Spagna, ci dice Sinn.

"L'Euro dovrebbe essere mantenuto, ma non con tutti i paesi". I paesi in crisi devono avere la possibilità di risanarsi, cosa che non può accadere all'interno della moneta unica. La fase di riabilitazione potrebbe far tornare i prezzi e i salari competitivi: "Uscire, svalutare e tornare di nuovo dentro", dovrebbe essere il nuovo motto. L'economista ci dice: "descrivere l'uscita di un paese come una catastrofe, è un errore gigantesco".

La messa in comune dei debiti in Europa, al contrario, avrebbe conseguenze imprevedbili. Se tutti i debiti fossero messi nella stesso pentolone, e i diversi paesi non fossero piu' responsabili singolarmente per le loro passività, il massimo rating per la Germania sarebbe in pericolo.

La caduta dell'Europa

"Se accadesse saremmo risucchiati nel vortice. Allora la caduta dell'Europa sarebbe sicura". In questo senso devono essere assolutamente evitati nuovi incentivi che favoriscano un ulteriore indebitamento. Sinn appoggia la politica di Angela Merkel. Merkel si è espressa abbastanza chiaramente e su questo punto non dovrebbe fare alcun compromesso.

Sinn ci avverte anche dei pericoli di un trasferimento della responsabilità sui debiti bancari a livello europeo: quello di cui al momento si discute nella UE. Anche in questo caso gli oneri non dovrebbero essere socializzati. E nel complesso, le passività finanziarie degli istituti di credito sono circa tre volte i debiti pubblici. "Se avverrà, alla fine sarà a carico dei contribuenti". Gli istituti del sud Europa coinvolti, con i loro proprietari, dovrebbero farsi carico delle necessarie perdite. "Non c'è da girarci intorno. Si tratta di somme, che superano ampiamente le nostre capacità".