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venerdì 5 aprile 2019

La petizione per l'esproprio immobiliare a Berlino

La lunga stagione dei tassi a zero e l'enorme affluso di migranti e profughi degli ultimi anni ha alimentato un interminabile boom immobiliare che ha spinto sul mercato i grandi gruppi immobiliari in cerca di facili profitti. In un paese in cui la proprietà immobiliare fra le famiglie non è così diffusa come nel tanto criticato sud-Europa, non è certo un problema secondario. Ora a Berlino un movimento spontaneo di inquilini lancia una proposta di legge di iniziativa popolare per espropriare i grandi gruppi immobiliari. Ne parla Deutschlandfunk


Più di 30.000 persone ogni anno si trasferiscono a Berlino. Gli investitori fanno salire i prezzi, gli inquilini storici vengono buttati fuori. Per questa ragione l'iniziativa che raccoglie le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare fa tanto scalpore. Si chiede l'esproprio dei grandi gruppi proprietari di appartamenti.

"Qual è lo slogan? Restiamo tutti qui! A chi appartiene Hasenheide? Hasenheide è nostra! "

Berlin-Neukölln, Hasenheide 70/71. Gli inquilini si sono organizzati per protestare davanti alle loro case. "Insieme contro la sostituzione e contro la follia degli affitti" è scritto sugli striscioni appesi alla recinzione davanti al palazzo in stile Gründerzeit. Alle finestre sono appesi i manifesti con la scritta: "Restiamo tutti". Oggi cantano contro gli sfratti e la sostituzione, bevono sidro fatto in casa.

"A Stoccarda, Friburgo, Potsdam, Colonia e Bochum. Sappiamo che anche lì si discute degli stessi temi esattamente come a Berlino, l'affitto ormai costa più di quanto si riesca a guadagnare".

"Vogliamo solo sottolineare che le cose stanno così, ed è per questo che siamo qui e cantiamo cose un po' strane"

Dice Friederike Schönebach. Attualmente, il suo affitto non ha rivali. Il designer grafico paga poco meno di 500 euro per un appartamento ristrutturato di 96 metri quadrati con riscaldamento a stufa. Ma il grande condominio di Neukölln alla fine dell'anno scorso è stato venduto, ora tutti temono una ristrutturazione di lusso e lo sfratto.

Gli inquilini si organizzano contro la sostituzione

Daniel Diekmann alla protesta di Neukölln oggi canta con tutta la sua voce, rappresenta l'iniziativa degli inquiliini di Habersaatstraße.

"Dei 106 appartamenti, 80 appartamenti sono ancora vuoti, ottanta appartamenti tenuti vuoti con finalità speculative, e venti sono ancora abitati. Siamo il villaggio gallico di mezzo, stiamo resistendo e abbiamo già fatto molto. Ci sono già stati molti tentativi di intimidazione, cassette postali aperte, posta rubata, eccetera. "

In tutta Berlino gli inquilini si organizzano contro la sostituzione e gli affitti irraggiungibli. Le proteste culmineranno sabato in una grande manifestazione. In quel giorno parte anche la raccolta delle firme per l'iniziativa di legge popolare finalizzata all'espropriazione di „Deutsche Wohnen und Co.".

No, no, dice il promotore Rouzbeh Taheri e scuote il capo - non vogliamo il socialismo, ma:    

"Vogliamo liberare un certo ambito, liberare gli appartamenti, dalla dittatura del mercato. E dire che i bisogni esistenziali degli esseri umani, come quello della casa, non devono essere un giocattolo sul mercato borsistico. Non puoi speculare con gli appartamenti sul mercato azionario, come faresti con la carne di maiale"

L'obiettivo sono le aziende con oltre 3.000 appartamenti

Il quarantacinquenne aspira rapidamente il fumo dalla sua sigaretta fatta a mano, e poi pazientemente risponde alle stesse domande. L'iniziativa vuole espropriare tutte le società immobiliari profit-oriented con oltre 3.000 appartamenti a Berlino, sulla base dell'articolo 15 della Legge fondamentale. Nella sinistra politica di Berlino questa iniziativa colpisce un nervo scoperto, le  20.000 firme necessarie per la prima fase dell'iniziativa saranno raccolte in pochi giorni.

"Dimostra che il vecchio detto di Victor Hugo, lo scrittore francese, è ancora vero. Che nulla è più potente di un'idea, il cui momento è arrivato. "

David Eberhardt invece sospira. Il portavoce dell'associazione di categoria delle società immobiliari tedesche BBU da settimane riceve richieste da ogni parte della Germania. Il settore immobiliare si domanda: per l'amor di Dio, cosa sta succedendo a Berlino? Sembra la DDR. Eberhardt sospira di nuovo e dice:  

"Il fatto è che gli affitti in confronto alle altre altre grandi città sono ancora molto competitivi, con 6,40 euro in media per metro quadro, per questa ragione è davvero difficile spiegare ad una persona che vive a Monaco di Baviera, Colonia o Amburgo, che questa follia dell'espropriazione è scoppiata proprio qui".

Il Senato rosso-rosso-verde non è riuscito a costruire il numero di nuove abitazioni che si era dato come obiettivo

L'affitto medio è di 6,40 euro, ma quello per le nuove locazioni è almeno il doppio. In nessun'altra città tedesca le rendite sono aumentate così velocemente come a Berlino - perché l'immigrazione è enorme, e allo stesso tempo il Senato rosso-rosso-verde della città non ha raggiunto i suoi nuovi obiettivi. La Linke, che appoggia il governo della città, sostiene il referendum, i Verdi sono ancora indecisi.

E la SPD? La petizione di espropriazione mette in difficoltà il sindaco della città Michael Müller e i suoi socialdemocratici. Dopo un acceso dibattito al congresso regionale di sabato scorso, la SPD ha rinviato la decisione in merito all'esproprio.

"Per molte persone in città usare parole come espropriazione ha un significato molto importante. E ci sono molte persone in città che con essa hanno già fatto esperienza. E non sempre delle migliori". "A volte si pensa di essere tornati a 30 anni fa e di essere spostati verso est". "La questione del ruolo che la proprietà privata dovrebbe svolgere in questa società è una questione di sinistra, ma anche social-democratica". "Inoltre chiediamo che i terreni edificabili vengano espropriati in modo da poter costruire più rapidamente dei nuovi appartamenti e che non vengano più  considerati un oggetto speculativo".

Michael Müller, sindaco della città e leader regionale della SPD, si pronuncia contro l'espropriazione, ma per ragioni pragmatiche: 

"Perché presenta molti rischi. È una cosa legalmente discutibile. Ed è qualcosa che avrebbe pesanti ripercussioni finanziarie sul bilancio dello stato".

Molti firmeranno la petizione

"Perciò svegliatevi, dannati di questa terra, non ci lasceremo sostituire così facilmente ..."

Tornando alla protesta degli inquilini sulla Hasenheide a Neukölln. Espropriare le società di costruzioni residenziali? Non sono in molti a volerlo. Firmeranno comunque per l'iniziativa di legge popolare.

"La storia dell'esproprio? Penso che non sia la strada giusta. Anche se lo firmerò per principio e protesta". "In linea di principio, non trovo che la proprietà sia sbagliata. Ma il modo in cui nella pratica la proprietà viene gestita porta a dei problemi che alla fine rendono la vita democratica impossibile".


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martedì 22 gennaio 2019

L'arma invisibile della Francia in Africa: il franco CFA (seconda parte)

"Fino a quando l'Europa appoggerà la politica francese nella zona CFA, l'Europa dovrà anche sopportare le conseguenze di questa politica. Dovrete pertanto continuare a vivere subendo gli effetti delle migrazioni di massa provenienti dalle zone francofone dell'Africa" dice a Deutschlandfunk.de l'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio Koulibaly. Seconda parte dell'ottima inchiesta di Deutschlandfunk sull'arma invisibile dei francesi in Africa, il franco CFA. Si arriva da qui (prima parte)

"L'Africa è stata resa povera"

"Si dice sempre che l'Africa è povera. Non è vero. L'Africa è stata resa povera", dice Moona Ya. La giovane ha poco più di 30 anni e si considera parte di una nuova generazione che finalmente vuole farla finita con l'eredità coloniale. Insieme ai colleghi di tutta l'Africa occidentale, la musicista ha registrato una canzone di protesta. "Sept Minutes contre le Franc CFA". È convinta che i tempi siano maturi per il cambiamento.

Ma non c'è solo la Francia, ad essere responsabile è anche l'Europa. Fin dall'introduzione dell'euro, infatti, il franco CFA non è più agganciato al franco francese ma all'euro. Questo cambiamento nei fatti significa che da allora ogni euro-decisione presa dalla BCE a Francoforte colpisce direttamente 150 milioni di africani che non sono stati né inclusi né coinvolti nella decisione.

Moona Ya: "Ci è sempre stato detto che non ci potevamo gestire da soli perché siamo neri, perché siamo africani. Ci è stato detto che la democrazia non è per l'Africa, perché gli africani sono in un questo o in quel modo. Ma sono tutte sciocchezze! Ovviamente possiamo gestirci da soli il nostro denaro". Ci sono sempre più giovani che non vogliono più accettare il sistema creato intorno al franco CFA, dicono Moona Ya e i suoi colleghi. Quindi, perché il franco CFA non viene abolito?

Il franco CFA non è il solo responsabile

Ci sono diverse ragioni per la situazione attuale. In primo luogo, uno sguardo agli stati vicini mostra che l'abolizione del franco CFA è ben lungi dall'essere la panacea di tutti i mali. Un esempio è la Guinea. Il paese ha abolito il CFA nel 1960 sostituendolo con il franco della Guinea. Tuttavia, la situazione economica del paese è disastrosa almeno quanto quella nella maggior parte degli Stati CFA.

Dopo la riforma monetaria del 1960 la Francia ha fatto il possibile per punire la Guinea per aver lasciato l'Unione monetaria. Quella che per lungo tempo è stata solo una diceria ora può essere provata storicamente: la Francia all'epoca stampava moneta della Guinea contraffatta, inondando il paese di banconote e spingendo la moneta verso un'inflazione catastrofica. Una vergognosa espressione delle rivendicazioni coloniali francesi dell'allora capo di stato francese Charles de Gaulle. Tuttavia le ragioni degli odierni problemi economici del paese ricco di risorse naturali sono altre: la cattiva gestione, la corruzione e la svendita delle risorse minerarie hanno a lungo avuto un ruolo più importante in Guinea che nelle altre ex-colonie francesi.

Un altro caso è il Mali. Il paese dopo l'indipendenza del 1960 ha lasciato il franco CFA e poi vi è rientrato nel 1984. Ci sono anche paesi come la Guinea Bissau che non sono mai stati colonizzati dai francesi e che tuttavia alla fine hanno deciso volontariamente di essere parte dell'unione monetaria. Nonostante tutte le critiche legittime, il franco CFA ha un certo fascino: un'area economica comune, il commercio più facile con l'Eurozona e la stabilità monetaria restano argomenti convincenti

Anche le élite africane ne beneficiano

Ma c'è un'altra ragione se il franco CFA ancora oggi, più di mezzo secolo dopo l'indipendenza delle ex colonie, continua ad esistere. L'economista ed ex consigliere del FMI Abdourahmane Sarr dice: "potremmo riformare il Franco CFA domani. I capi di stato potrebbero incontrarsi e decidere di far rientrare le riserve dalla Francia. Il problema è che non abbiamo la giusta leadership politica. L'élite beneficia del CFA sopravvalutato. Queste persone non sono interessate ad alcun cambiamento del sistema che li ha resi ricchi. Non c'è nessuna pistola puntata alla tempia di nessuno. I nostri politici agiscono di loro spontanea volontà".

In effetti diversi presidenti francesi in passato hanno ripetutamente dichiarato di essere aperti nei confronti di una riforma del franco CFA. L'ultimo a dirlo è stato il presidente Emmanuel Macron nel novembre 2017 in un discorso agli studenti presso l'Università di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, "Nessuno obbliga gli stati a restare membri del franco CFA. Se il vostro presidente domani decidesse di lasciare l'Unione, il Burkina Faso domani sarebbe fuori dalla moneta. Gli stati  africani membri del franco CFA sono essi stessi padroni del loro destino. La decisione spetta a loro".

Continuità coloniale e corruzione

L'ex ministro delle finanze-Koulibaly è scettico, ha avuto esperienze diverse, e dice: "io stesso come ministro delle finanze già nel 2000 ho pubblicamente respinto il franco CFA annunciando l'uscita del mio paese. Ma l'allora presidente francese Jacques Chirac ha chiamato tutti i presidenti africani e ha fatto in modo che il generale Robert Guei, l'ex capo del governo militare in Costa d'Avorio, mi buttasse fuori dal governo. Alla fine sono stato espulso dal Ministero delle Finanze e spostato alla carica di Presidente del Parlamento ".

Questa storia non può essere verificata. Ma si inserisce in una lunga serie di interventi politici simili da parte della Francia nelle sue ex colonie: tentativi di colpi di stato segreti, omicidi e ricatti politici. Anche se solo la metà di questi fosse vera si tratterebbe di un business alquanto dubbio che non teme confronti con quello degli Stati Uniti in America Latina e in parti del Medio Oriente. E questa miscela di continuità coloniale e sfruttamento economico, da un lato, e di corruzione, cattiva gestione e svendita delle materie prime da parte delle élite locali, dall'altro, costituisce la base per la povertà delle ex-colonie francesi

L'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio Koulibaly è convinto: "fino a quando l'Europa appoggerà la politica francese nella zona CFA, l'Europa dovrà anche sopportare le conseguenze di questa politica. Pertanto dovrete continuare a vivere subendo gli effetti delle migrazioni di massa provenienti dalle parti francofone dell'Africa".
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L'arma invisibile della Francia in Africa: il franco CFA

Nell'Africa occidentale e centrale prosegue lo sfruttamento delle ex colonie francesi, anche grazie a una moneta che alimenta le vecchie relazioni di potere coloniale e blocca lo sviluppo economico. Le conseguenze: povertà, conflitti e migrazioni. A parlarne non è un covo di complottisti ma la autorevolissima radio pubblica Deutschlandfunk. Un'ottima inchiesta sull'arma invisibile della Francia in Africa, il franco CFA. Da Deutschlandfunk.de (prima parte)


Le donne con i bambini per mano spingono tra la folla, i ragazzi frugano fra le montagne di vestiti stesi sulla strada e ammucchiati sui teloni di plastica. Giornata di mercato ai margini della città vecchia di Dakar. La capitale dell'ex colonia francese del Senegal è uno dei centri economici dell'Africa occidentale. Negli ultimi anni qui si è formata una classe media relativamente forte. Ma la maggior parte del paese continua a vivere in povertà.

Importazioni più economiche della produzione interna

Un fenomeno che può essere osservato in molte parti dell'Africa: élite urbane da un lato, dall'altro lato una grande povertà nei sobborghi della città e nelle zone rurali. Da dove arriva tutto ciò e perché decenni di aiuti allo sviluppo e miliardi di dollari non sono riusciti a far uscire il continente africano dalla povertà? Ci sono diverse ragioni. Una delle cause principali può essere trovata qui, al mercato di Dakar. Sulle etichette dei pantaloni e delle magliette ci sono nomi e marchi noti: Zara, H & M, Wrangler e Co. Tutti di seconda mano.

Nell'Africa occidentale ci sono alcune delle zone di produzione di cotone più importanti del mondo, ma praticamente non esiste un'industria tessile indipendente. Neanche il dieci per cento del cotone viene lavorato sul posto. Di solito è più economico importare indumenti usati dall'Europa piuttosto che produrli in Africa occidentale. Com'è possibile che accada in una parte del mondo in cui il costo del lavoro è bassissimo?

Chi è alla ricerca delle ragioni, chi vuole andare alle radici della povertà nelle ex colonie francesi dell'Africa sub-sahariana si scontra immediatamente con un sistema economico complesso, una fitta rete di clientelismo e dipendenze: l'eredità del colonialismo, un sistema che avvantaggia le industrie francesi, i governanti africani e il loro ambiente di potere.

La potenza coloniale francese ne ha approfittato fino ad oggi

Quanto la Francia anche dopo l'indipendenza delle sue ex colonie abbia fatto affidamento sui suoi antichi privilegi, lo mostra una lettera dell'allora ministro delle Finanze francese Michel Debré al suo omologo del Gabon nel luglio del 1960. In essa Debré scriveva senza mezzi termini: "Noi vi diamo l'indipendenza a condizione che lo stato dopo la sua indipendenza si attenga agli accordi commerciali sottoscritti. L'uno non puo' funzionare senza l'altro."

Accordi commerciali firmati in cambio dell'indipendenza. Fino ad oggi la Francia, grazie a questi vecchi trattati, si è assicurata un accesso preferenziale alle risorse naturali delle ex colonie. Nel caso del Gabon, ad esempio, il trattato afferma: "La Repubblica del Gabon si impegna a fornire risorse strategiche per gli armamenti dell'esercito francese. L'esportazione di queste materie prime in altri paesi per ragioni strategici non è consentita"

Materie prime molto al di sotto dei prezzi sul mercato mondiale

Sono stati stipulati altri trattati in parte identici con tutte le ex colonie dell'Africa sub-sahariana. Nell'appendice degli accordi viene spiegato quali sono le materie prime strategicamente importanti: oltre alle fonti energetiche convenzionali come il petrolio, il gas e il carbone, ci sono anche gli elementi radioattivi come l'uranio e il torio, oltre al litio e al berillio. E di fatto la Francia ancora oggi continua a comprare materie prime in Africa occidentale e centrale ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello presente sul mercato mondiale.

In Niger, ad esempio, il gruppo industriale francese Orano, ex Areva, controllato dallo stato, estrae abbastanza uranio da coprire circa il 40% della sua domanda totale in Francia, pagandolo circa un terzo del suo normale prezzo di mercato. E il Niger è uno dei paesi più poveri al mondo. È probabilmente l'esempio più estremo dello sfruttamento previsto dai trattati che la Francia ha imposto alle sue ex-colonie in cambio della loro indipendenza. Ma il principio di fondo è lo stesso in tutti i paesi interessati.

Mamadou Koulibaly è stato prima ministro delle finanze della Costa d'Avorio e poi  per dieci anni presidente del Parlamento. E ci dice: "lo sfruttamento oggi si presenta sotto forma di aiuto allo sviluppo." L'occidente si comporta come se stesse ricoprendo l'Africa con miliardi di aiuti. "Ma in verità, si tratta di un bidone. Esportando verso la Francia a dei prezzi molto piu' bassi rispetto a quelli presenti sul mercato mondiale, perdiamo molto piu' soldi di quanti poi non ne tornino indietro".

Il franco CFA - strumento per lo sfruttamento economico

Ma non ci sono solo questi vecchi contratti a garantire alla Francia dei benefici e l'influenza economica sulle sue ex colonie. Il nucleo centrale della continuità coloniale e del controllo finanziario viene troppo facilmente sottovalutato: il franco CFA; il franco per le "Colonie francaises d'afrique", le colonie francesi d'Africa. Una valuta utilizzata da otto paesi dell'Africa occidentale e sei stati centro-africani. Entrambe le regioni hanno una propria banca centrale, ma entrambe le valute sono legate all'euro allo stesso tasso di cambio e quindi scambiabili. In totale 150 milioni di persone usano il franco CFA. 

"Il franco CFA viene sempre descritto come una moneta progettata per dare all'Africa occidentale una certa stabilità economica", spiega la giornalista ed esperta di Africa Fanny Pigeaud. Insieme all'economista senegalese Ndongo Samba Sylla ha appena pubblicato un libro sul franco CFA. Il titolo è: "L'arma invisibile della Francia" .

"Sì, la Banca centrale dell'Africa occidentale, obbligata dai trattati con la Francia, sta perseguendo una politica monetaria che mantiene l'inflazione al minimo. In questo senso, in termini di prezzi, c'è davvero una certa stabilità. Tuttavia, questa stabilità forzosa blocca lo sviluppo economico dei paesi interessati. In questo modo è impossibile avviare una politica monetaria indipendente. C'è sicuramente una certa stabilità, ma una stabilità nella povertà. Ecco perché gli economisti da anni affermano che il sistema deve essere riformato ".

La Francia continua a controllare

La moneta è stata creata nel 1945 per imporre gli interessi francesi nelle colonie. Era un mezzo di sfruttamento economico. L'obiettivo di fondo, secondo la giornalista, ancora oggi non è cambiato. L'ex Ministro delle Finanze Mamadou Koulibaly afferma: "l'indipendenza ha concesso libertà politica alle ex colonie, ma ha mantenuto l'intero sistema di sfruttamento coloniale. L'indipendenza è solo di facciata. "

È possibile? Colonialismo nel XXI secolo? Il franco CFA di fatto rappresenta un sistema di controllo da parte di una potenza straniera unico nel suo genere a livello mondiale. Anche se dopo l'indipendenza le parole dietro l'acronimo sono state cambiate, in modo che oggi CFA in Africa occidentale significhi "Communauté Financière d'Afrique" e in Africa centrale invece "Cooperazione Financiere en Afrique Central". Ma fino ad oggi tuttavia non c'era mai stata nessuna valuta al mondo gestita dall'esterno come accade al franco CFA.

Il 50% delle riserve valutarie dei 14 paesi CFA ancora oggi si trova in Francia. Le banconote vengono stampate in Francia e la Francia ha il diritto esclusivo svalutare o rivalutare la valuta. In ciascuna delle banche centrali dell'Africa occidentale e centrale siede un rappresentante francese con il diritto di veto. Senza la Francia non si muove nulla. Le divise estere, i tassi di cambio e le riserve valutarie, che a prima vista potrebbero sembrare anche noiose, ad uno sguardo più ravvicinato ci spiegano molto sulle origini della povertà, dei conflitti e delle migrazioni nelle ex colonie francesi.

"Il franco CFA è un sistema di repressione finanziaria"

"Non sto dicendo che il franco CFA sia l'unica ragione del sottosviluppo dei nostri paesi. Ma è uno dei più importanti. Il franco CFA è un sistema di repressione finanziaria ", afferma Guy Marius Sagna. Il 39enne attivista è co-fondatore del movimento "France Degage". Tradotto, significa piu' o meno "Francia vattene". Per le sue azioni politiche contro il franco CFA, Sagna è stato arrestato più di 20 volte. Come la giornalista Fanny Pigeaud, l'economista Ndongo Semba Sylla e l'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio, anche Sagna vede nel franco CFA tre problemi principali: in primo luogo, il suo passato coloniale, in secondo luogo, la sua mancanza di flessibilità a causa del cambio fisso con l'euro, e la terza, una massiccia sopravvalutazione del cambio.

In realtà il franco CFA non riguarda solo l'indipendenza delle ex colonie o la continuità dell'influenza francese. Riguarda anche il significato economico e l'uso della valuta. E quasi nessuno può giudicarlo con la stessa competenza di Abdourahmane Sarr. Sarr ha lavorato per dieci anni al Fondo Monetario Internazionale ed è stato consigliere del FMI presso la Banca centrale dell'Africa occidentale dal 2007 al 2009.

Il Franco CFA inibisce lo sviluppo economico

Dal un punto di vista economico non c'è un solo motivo per restare agganciati al franco CFA nella sua forma attuale, secondo l'economista infatti "tutti gli economisti concordano sul fatto che il CFA debba essere riformato. In primo luogo, nessun paese al mondo mantiene le sue riserve in un altro paese, e in secondo luogo, il CFA è troppo forte perché è agganciato all'euro e quindi non è allineato alle prestazioni economiche dell'Africa occidentale".

Cosa può significare una valuta troppo forte per un popolo lo si puo' osservare al mercato di Dakar, dove si trovano vestiti di seconda mano europei invece dei vestiti africani. Il tasso di cambio funziona come una sovvenzione alle importazioni e una tassa simultanea sulle esportazioni. L'economista Ndongo Semba Sylla ci dice: "se vogliamo svilupparci e creare posti di lavoro, non dobbiamo solo produrre materie prime ma anche investire nella trasformazione. Con il franco CFA è impossibile".

Il peg fisso con l'euro non solo crea una dinamica all'interno della quale è quasi impossibile costruire un'industria fiorente, ma significa anche che gli stati CFA  importano più di quanto esportino, l'economista dice: "fin dagli anni sessanta non abbiamo mai avuto un saldo commerciale con l'estero in pareggio. Abbiamo sempre avuto un deficit nel commercio estero. Di conseguenza, siamo sempre stati in una situazione di indebitamento con l'estero. "E questi debiti devono essere rimborsati. Ogni anno i paesi CFA devono trasferire miliardi verso l'Europa. Solo per pagare gli interessi sul denaro preso in prestito."

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giovedì 25 ottobre 2018

Sahra Wagenknecht - Se vogliamo salvare l'Europa dobbiamo sostenere la battaglia del governo italiano

Sahra Wagenknecht, capogruppo della Linke al Bundestag, intervistata da Deutschlandfunk, esprime un sostegno convinto nei confronti della battaglia del governo italiano contro le tecnocrazie di Bruxelles: se vogliamo salvare l'Europa dobbiamo sostenere il governo italiano e difendere la sovranità dei parlamenti nazionali. Da Deutschlandfunk.de, un'ottima Sahra Wagenknecht



DLF: Frau Wagenknecht, Roma è sul banco degli imputati. È giusto secondo lei?

Wagenknecht: beh, vorrei dire che non ho molta simpatia per il signor Salvini. Ma non è questo il punto. Questo è un governo democraticamente eletto. La legge di bilancio riguarda la sovranità dei parlamenti. E se vuoi distruggere l'UE, allora devi fare esattamente quello che sta facendo Bruxelles.

Inoltre bisogna anche parlare di quanto possa essere sensato costringere a fare ulteriore austerità un paese che da dieci anni attraversa una lunga crisi economica, un paese in cui il reddito pro capite è inferiore a quello precedente l'introduzione dell'euro, ovviamente ciò contribuisce a far crollare l'economia. Ecco perché penso si tratti di una decisione priva di senso.

DLF: allora, dal suo punto di vista, stiamo assistendo ad una protesta giustificata contro la politica di austerità di Bruxelles?

Wagenknecht: bisogna dare a questa proposta di bilancio un'occhiata un po' più da vicino. Dentro ci sono cose molto ragionevoli. Ad esempio, l'Italia ha un altissimo tasso di disoccupazione, in particolare un elevato tasso di disoccupazione giovanile, in alcune zone del 30, 40 per cento, soprattutto nel sud del paese, e un'assicurazione contro la disoccupazione molto povera, peggio anche dell'Hartz IV tedesco, per fare un confronto. Se in questo ambito si apportano  determinati miglioramenti, o se si migliora la legge per il prepensionamento, che in una situazione di elevata disoccupazione potrebbe essere un sollievo per molte persone, si tratta senza dubbio di una scelta ragionevole.

Ci sono alcune agevolazioni fiscali. A beneficiarne sono anche le persone ricche. Se ne puo' certamente discutere. Ma ancora una volta: penso che semplicemente non sia la Commissione europea ad avere il potere di decidere in merito alla legge di bilancio dei diversi paesi, perché in questo modo stiamo distruggendo l'UE. Gli italiani non vogliono essere governati da Bruxelles, e non vogliono nemmeno essere governati da Berlino. Stiamo dando ad un governo, e in particolare ad un partito nazionalista, che in realtà è davvero semi-fascista, e a un certo signor Salvini, un'ottima possibilità per profilarsi politicamente. Sicuramente nel suo paese in questo modo sta ottenendo degli ottimi risultati e non finirà certo in difficoltà.

DLF: Frau Wagenknecht, lei ora parla di immischiarsi negli affari dell'Italia. Bisogna tuttavia ammettere che queste sono esattamente le procedure sottoscritte dagli stati dell'UE, e cioè presentare il loro bilancio a Bruxelles per farselo approvare. Tutto ciò affinché la politica fiscale europea rimanga nel complesso stabile e quindi anche l'euro sia stabile, senza finire in un'altra crisi monetaria. Possiamo davvero dire che in questo caso l'Italia può comunque andare avanti?

Wagenknecht: in primo luogo, ci sono dei trattati europei. C'è un criterio del deficit del tre percento. L'Italia è al di sotto di esso.

La seconda è una questione di ideologia economica, secondo la quale anche se un paese è in crisi deve comunque risparmiare per ridurre il debito. Fatto che è stato più volte confutato. Le economie non sono una cosa cosi' semplice che se si risparmia, si riduce il debito, e se si aumenta la spesa, il debito sale. Sembrerebbe anche plausibile. Ma non funziona così, perché risparmiare o spendere ha delle conseguenze per l'attività economica. L'Italia per molti anni ha cercato di ridurre significativamente la spesa pubblica. Il debito continuava a salire mentre l'economia crollava. E anche questo non è un concetto molto ragionevole.

Bisogna dire: se vuoi spingere l'Italia fuori dall'euro - ed è quello che sta accadendo - devi fare esattamente cosi'.

DLF: allora non la preoccupa il fatto che l'Italia, stato membro dell'euro, abbia un debito pubblico che supera il 130 percento del PIL?

Wagenknecht: la questione è se si tratta solo del risultato della condotta di spesa del governo, o se invece è il risultato di una crisi economica che dura da anni. E direi che si tratta decisamente della seconda opzione.

Dobbiamo ovviamente anche parlarne a livello europeo. Se ora vuoi presentarti come il sommo sacerdote del debito pubblico basso, ma non sei stato in grado nemmeno di imporre un'azione a livello europeo, ad esempio per limitare il dumping fiscale delle imprese, cosa che sarebbe anche possibile, oppure imporre alcune regole che rendano piu' difficile per le persone molto ricche eludere il fisco, allora diventa tutto molto ipocrita. Troverei sensato, se ad esempio, in Italia dove c'è una grande ricchezza privata - che è cresciuta anche durante la crisi economica, e oggi ci sono più milionari di dieci anni fa - questa venisse tassata molto più severamente. Allora naturalmente si potrebbe ridurre anche il deficit pubblico. Ma non è che l'UE abbia mai fatto delle leggi che rendano tutto ciò piu' facile, anzi al contrario: le regole dell'UE rendono tutto più difficile. Proprio la Commissione europea con il signor Juncker ormai è la personificazione del dumping fiscale, soprattutto per le grandi imprese.

DLF: il dumping fiscale, Frau Wagenknecht, è un altro argomento. Voglio tornare ancora una volta a questo immenso debito pubblico. Secondo lei non è motivo di preoccupazione se uno Stato membro dell'area dell'euro ha così tanti debiti?

Wagenknecht: lei dice che il dumping fiscale è un altro problema. Il dumping fiscale e il debito pubblico sono due questioni fra loro strettamente collegate. Se sono proprio le grandi aziende a pagare poche tasse, oppure se nei singoli paesi sono i più ricchi quelli che pagano poche tasse, allora il debito pubblico naturalmente continuerà a crescere. L'intero dibattito in corso riguarda il fatto che l'Italia possa apportare dei limitati miglioramenti all'assicurazione contro la disoccupazione e alle pensioni. Il tema della discussione è del tutto sbagliato. Su questi temi, come ho detto, il governo italiano può ottenere consenso politico, proprio perché  sono misure molto popolari nel paese, e non per nulla l'ultimo governo su questi temi ha fallito e non è stato rieletto perché la gente è stanca di vedere che le cose vanno sempre peggio, stanca di trovarsi in una situazione di emergenza sociale e di avere una disoccupazione alta. Se si fanno solo annunci, senza miglioramenti sociali, questa è un'Europa che rinuncia ad ogni credibilità.

DLF: la Commissione europea dovrebbe forse dire che in futuro intendono rinunciare alla funzione di controllo dei bilanci nazionali, e che chiunque può decidere autonomamente?

Wagenknecht: io sono per un'Europa delle democrazie sovrane e democrazia significa: le persone votano per eleggere il loro governo. Significa anche naturalmente che nessun altro paese sarà responsabile per i debiti degli altri paesi. Inoltre non penso sia giusto nemmeno se un paese pesantemente indebitato finisce nei guai e ad essere salvate con il denaro dei contribuenti sono sempre e solo le banche. Ma in Europa abbiamo una costruzione problematica, in quanto questa ci porta sempre piu' verso una sospensione della democrazia, e ad una situazione in cui le persone possono votare chi vogliono, perché tanto alla fine saranno i tecnocrati di Bruxelles o addirittura il governo di Berlino ad avere l'ultima parola e a decidere in merito alle leggi di bilancio nazionali. L'Europa in questo modo non puo' funzionare.

DLF: ma l'Italia ora vorrebbe entrambi. L'Italia vuole decidere autonomamente sul proprio bilancio, senza l'ingerenza di Bruxelles, ma allo stesso tempo vuole rimanere nell'euro e in caso di emergenza, avere anche il sostegno degli altri paesi dell'euro. Possono stare insieme le due cose?

Wagenknecht: no, le due cose non stanno insieme. Ma se continuiamo così, faremo uscire l'Italia dall'euro. Non so nemmeno se vogliano rimanerci a tutti i costi. L'euro ha portato relativamente pochi vantaggi all'Italia.

DLF: bene. Il governo di Roma, almeno, dice che vogliono assolutamente restarci. Questo è stato confermato ancora una volta dal Primo Ministro.

Wagenknecht: finché sono dentro, devono dire cosi', perché altrimenti lo spread e la speculazione sui mercati finanziari assumerebbe forme estreme. È già ora siamo in una situazione in cui questi extra-rendimenti non vengono pagati a causa delle dimensioni del debito. I titoli italiani pagano un elevato premio al rischio perché si ipotizza che l'Italia potrebbe lasciare l'euro, e naturalmente si tratta di una speculazione molto pericolosa. Tuttavia, sono la Commissione europea e la Banca centrale europea a gettare altra benzina sul fuoco. Voglio dire, per molti anni ha acquistato obbligazioni governative in una dimensione che, a mio avviso, non era affatto giustificata. Ma ora lancia un segnale di stop e, naturalmente, i rendimenti salgono.

Ancora una volta: se vogliamo che l'euro funzioni, allora deve funzionare su basi democratiche. E naturalmente, se la democrazia negli Stati membri è sospesa, il risultato in Europa sarà una crescente sensazione di frustrazione e di rifiuto, e l'affermazione del signor Salvini il quale non è certo conosciuto come un fervente sostenitore dell'Europa. Ci sono tuttavia altre opzioni, ovviamente, ma bisogna vedere se c'è la volontà di sostenerle e promuoverle. 

DLF: Sahra Wagenknecht, è il capogruppo della Linke al Bundestag. Grazie per il suo tempo questa mattina.


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mercoledì 12 settembre 2018

Sopravvivere ad Hartz IV

Hartz IV non è un reddito di cittadinanza ma un sistema di controllo finalizzato a scandagliare l'esistenza dei sussidiati i quali sono costretti a dichiarare ogni minima entrata e restano costantemente sotto osservazione. La minaccia sullo sfondo è sempre la stessa: sanzioni, decurtazioni, tagli al sussidio. Una madre di Berlino racconta a Deutschlandfunk Kultur che cosa significa sopravvivere con un sussidio Hartz. Ne parla deutschlandfunkkultur.de


Quasi otto milioni di persone in Germania percepiscono un sostegno sociale al reddito sotto forma di sussidio "Arbeitslosengeld II" oppure come assistenza sociale. Persone che vivono sotto la minaccia costante di sanzioni e sotto un permanente controllo. Questa situazione li fa ammalare, si sentono feriti, senza dignità.

Un'insalata, qualche carota tagliuzzata, patate e un mango con qualche macchia marrone. Tutto finisce nella busta della spesa della signora con la treccia scura e il sorriso amichevole. Ogni martedì arriva in questo punto di distribuzione della Tafel di Berlino:

"Ho assolutamente bisogno di tutto ciò, un vero guadagno per noi, è quello che ogni settimana ci salva. Sono grata di poter venire qui ogni martedì per sentirmi parte di una comunità, per la premura, per la bella gente, e io a volte davvero ho le lacrime di gioia, perché sento un po' di integrazione ".

La donna ha poco più di 50 anni e qui vuole essere chiamata Beatrice Buchmann. I suoi vicini di casa non devono in alcun modo sapere che da decenni ormai fa affidamento solo sui soldi del Jobcenter o del Sozialamt e che senza l'aiuto della Tafel non avrebbe mai avuto abbastanza da mangiare.

"Devi fingere e questa è la cosa brutta, esci di casa come un bozzolo, perché hai ancora una dignità, ma quella dignità dentro di te in verità non ce l'hai piu' perché all'Arbeitsamt ti hanno già fatto male, perché ogni volta dobbiamo mostrare tutto quello che ancora abbiamo".

Non può permettersi l'affrancatura delle lettere

Beatrice Buchmann non ha mai avuto molto. Come assistente di un dentista part-time guadagnava così poco da dover integrare con l'indennità Arbeitslosengeld II. Madre single con un bambino, ha fatto ben 55 lavori diversi, su sollecitazione del Centro per l'impiego ha scritto 189 candidature, fino a quando alla fine le hanno diagnosticato la ragione dei suoi continui fallimenti: è una autistica con sindrome Asperger, e oltre a cio' ha una grave malattia agli occhi.

Ora vive con una pensione di invalidità e integra l'assegno con la sicurezza di base (Hartz IV): l'Arbeitsamt le trasferisce 416 euro al mese, detratti i 120 euro che deve aggiungere perché il suo appartamento è di qualche metro quadrato piu' grande e quindi troppo caro per il Sozialamt. Le restano circa 300 euro al mese per vivere. A ciò si aggiungono tutte le pratiche burocratiche con i servizi sociali. Deve andarci due volte al mese in bicicletta:

"Perché i documenti non possono più essere inviati via e-mail a causa della legge sulla protezione dei dati, è cosi' da maggio ormai. Ora dobbiamo fare tutto sempre per iscritto e questo ci costa anche tanti soldi. Oppure dobbiamo farlo da soli e di solito nei mesi estivi non prendo l'abbonamento scontato, perché voglio oppure devo risparmiare. Servono 27,50 € per l'abbonamento, quindi faccio tutti i giri in bicicletta".

In questo modo Beatrice Buchmann risparmia 1,45 euro a lettera. Questo è il motivo per cui deve segnalare immediatamente qualsiasi cambiamento nei suoi costi o acquisti:

"Devono prima arrivare la bolletta del riscaldamento e le altre bollette per i consumi, inviate separatamente dal padrone di casa. Oppure a luglio arriva l’aumento della pensione, quindi l'impiegato del Jobcenter prepara un nuovo documento che deve essere spedito all'assicurazione sanitaria. La cassa malattia prepara un nuovo calcolo e io poi devo inviare questo nuovo documento dall'assicurazione sanitaria all'impiegato a me assegnato al Jobcenter, e da quel momento l'importo puo' essere nuovamente adeguato. Ho tre grandi raccoglitori che stanno scoppiando ".


"Gli appuntamenti in cui sei messo a nudo"

Un sforzo enorme in termini di burocrazia. E poi ci sono gli appuntamenti durante i quali viene fatta un'audizione personale. Perché ogni anno tutte le domande devono essere rinnovate:

"Un altro appuntamento in cui sei messo a nudo, penso ogni volta, perché io come autistica mi immagino tutto in senso figurato. Ti viene chiesto quanto denaro hai a casa, domanda che trovo degradante in quanto ogni volta devi specificare tutto, se hai ricevuto gioielli o qualcosa del genere. "

Tutto viene calcolato e detratto dal sussidio. Il Kindergeld del figlio Lasse, che nel frattempo ha raggiunto la maggiore età ed è uscito di casa, veniva detratto dalla sua assistenza sociale di 300 euro. Se lei va in ospedale vengono detratti dei soldi dal sussidio perché il cibo durante la degenza è fornito dall'ospedale. Beatrice Buchmann non può nemmeno avere un credito sull'affitto nei confronti del suo padrone di casa, che aveva ottenuto perché per alcune settimane durante una ristrutturazione non aveva potuto usare la sua cucina:

"E sfortunatamente ho dovuto dichiararlo al mio impiegato del jobcenter come una forma reddito, ed è stato interamente detratto dal sussidio di base. Così non ho visto un centesimo per il mio disagio, per tutto quello che ho dovuto passare".

Al figlio non era permesso di tenere le mance

Quando il figlio Lasse viveva con lei era ancora peggio. Quando aveva 15 anni, madre e figlio dovevano vivere con poco meno di 800 euro al mese. Anche quando Lasse voleva guadagnare qualche soldo con un lavoro estivo, l'Arbeitsamt prendeva subito dei provvedimenti:

"Mio figlio poteva guadagnare al massimo 100 euro al mese. Niente in piu'. Ha dovuto rinunciare perfino alle mance, e anche il suo capo sapeva esattamente che con noi bisognava procedere in quel modo. Perché non gli era permesso di guadagnare un centesimo in piu', altrimenti dovevamo dichiararlo e poi veniva detratto"

Per Beatrice e suo figlio non ci sono né libertà né indipendenza: proprio mentre Lasse stava preparando la maturità, dal Centro per l'Impiego continuavano a chiamarlo per obbligarlo a candidarsi a dei colloqui di selezione e a dei test:

"C'era un impiegata che chiamava mio figlio in continuazione per dei colloqui a cui sono seguite decine di candidature. Questo è il peso che viene scaricato su di uno studente che a causa della madre purtroppo percepisce ALG II, è già in quel momento si trova in una trappola. Era vicino ad un esaurimento nervoso, deve immaginarselo, un diciassettenne, tormentato in questo modo dal centro per l'impiego, che non riesce piu' a gestire la sua vita. Era già a rischio suicidio".

"Il 90 per cento si ammala a causa dei centri per l'impiego"

Un esame poi è andato anche male, e purtroppo non è stato sufficiente per ottenere una Abitur pienamente valida. La madre di Lasse accusa:

"Io stessa ho avuto dei sensi di colpa, proprio perché mi trovavo in questa situazione e non ne sono mai uscita. Nessuno mi ha mai potuto aiutare. Nel 90 per cento dei casi le persone si ammalano di mente a causa della pressione del Jobcenter. Non possono fare alcun errore, perché vengono messe sotto osservazione con una lente di ingrandimento"

Oggi il figlio di Beatrice Buchmann ha 21 anni e vive da solo, ha finito un apprendistato come venditore di auto e ora vorrebbe ancora studiare. Per lei nulla è destinato a cambiare. Poiché continua a pagare la riparazione della lavatrice, attualmente vive con 80 euro al mese. Domani Beatrice Buchmann deve tornare di nuovo al Sozialamt:

"Cosi' passo da un mese all'altro e sono lieta di avere almeno qualcosa, anche se alla fine tutto cio' non è nemmeno degno di essere vissuto. E' solo un sopravvivere".


venerdì 20 aprile 2018

Rehberg (CDU): "Macron non l'ha capito ma sui soldi tedeschi si decide a Berlino"

L'intervista a Deutschlandfunk di Eckhardt Rehberg, membro della commissione bilancio al Bundestag per la CDU, non lascia alcun dubbio sulla posizione del tedeschi in merito alle riforme europee. Il messaggio per il giovane presidente francese è chiaro: Macron non l'ha ancora capito ma sull'utilizzo dei soldi tedeschi si continuerà a decidere a Berlino. Chi vuole avere i soldi dei tedeschi dovrà accettare le condizioni imposte dal Bundestag, mentre la garanzia comune sui depositi si farà nel giorno di poi dell'anno di mai. Da Deutschlandfunk.de


DLF: Herr Rehberg, quale messaggio dovrebbe portare con sé Macron da Berlino?

Rehberg: Macron dovrebbe portare con sé il messaggio che in molti ambiti in cui ci si puo' aspettare un valore aggiunto da una collaborazione a livello europeo, è necessario sostenere l'approfondimento dell'Unione Europea - i temi relativi alle politiche di sicurezza, alla difesa delle frontiere esterne, alla tassazione delle imprese, alla politica digitale comune, oppure alla politica comune in maniera di asilo. Siamo invece scettici in merito alle sue proposte e a quelle della Commissione UE dello scorso dicembre - che devono essere viste nello stesso contesto - relative allo sviluppo del fondo monetario europeo e dell'unione bancaria.

DLF: che cosa la preoccupa di questi piani?

Rehberg: quando io ad esempio guardo alle proposte di Macron e della Commissione UE sul tema del fondo monetario europeo, vedo che i diritti di partecipazione dei parlamenti, del Bundestag tedesco, che sono garantiti dalle sentenze della Corte Costituzionale tedesca, non vengono nemmeno presi in considerazione. La legge di bilancio del parlamento tedesco oggi dice che è necessario coinvolgere il Bundestag in ogni transazione dell'ESM e ci aspettiamo, come è indicato anche nel contratto di coalizione, che i diritti di partecipazione del parlamento tedesco e della commissione bilancio del Bundestag non vengano ridotti. E non è possibile che la Commissione UE voglia avviare un percorso di modifica dei trattati che escluda i parlamenti nazionali. Vorremmo essere coinvolti. Alla fine si tratta dei soldi dei contribuenti tedeschi.

DLF: ma l'Europa puo' davvero uscire dalla crisi attuale tenendo tutto nelle mani dei singoli stati dell'UE senza trasferire almeno alcune delle competenze alle istituzioni europee?

Rehberg: dipende della condizioni quadro, e la Commissione UE ad esempio non ha dato buona prova di sé in materia di monitoraggio del patto di stabilità. Ci sono state circa 100 infrazioni e nessuna è stata sanzionata. Non abbiamo nulla ad esempio contro un fondo monetario europeo, che sia indipendente dalla Commissione UE, come accade per la BCE o per la Banca Europea per gli Investimenti. Ma se ci sono fondi nazionali, bisogna dare ai parlamenti e ai governi nazionali il diritto di esprimersi.

DLF: Herr Macron non ha capito?

Rehberg: Herr Macron, se guardo alle sue idee originali, avremmo dovuto creare un nuovo budget per la zona euro, senza condizioni, senza regole, senza criteri. Diciamo sì alla solidarietà europea, ma solo con regole e condizioni.

DLF: la domanda è ovvia e si ripropone: se guardiamo a quello che è successo durante la crisi finanziaria ed economica, allora la situazione non è pressante? Un bilancio separato dell'UE avrebbe un senso, un bilancio con il quale le istituzioni europee potrebbero reagire a specifiche situazioni di crisi negli stati membri dell'UE.

Rehberg: il meccanismo europeo di stabilità ha dimostrato di funzionare, ed è necessario porsi una domanda fondamentale: chi è responsabile per la stabilità economica e la competitività dei paesi?. A nostro avviso si tratta di una responsabilità essenzialmente nazionale e non è possibile che con questo denaro si finisca per impedire le riforme di cui alcuni paesi hanno bisogno. Senza regole, senza condizioni, secondo l'Unione non si potrà utilizzare il denaro dei contribuenti tedeschi. E se parliamo degli ordini di grandezza - ne nomino solo uno - se dovessimo creare un euro-budget per la zona euro di 100 miliardi di euro, la Germania dovrebbe contribuire con circa 30 miliardi. Sarebbe denaro che dovrebbe provenire dal bilancio federale e dovremmo decidere di ridurre gli investimenti nelle infrastrutture digitali, o nelle scuole tedesche e cosi' via. Queste sono le decisioni che alla fine dovremmo prendere.

DLF: signor Rehber, vuole frenare anche sul tema dell'unione bancaria?

Rehberg: Ja! Penso che considerando lo stato attuale di molte banche europee, ancora piene di prestiti inesigibili, sia inaccettabile voler portare avanti un'assicurazione comune sui depositi. Difficilmente riusciremmo a spiegarlo al risparmiatore tedesco. Non siamo contrari ad una garanzia comune sui depositi, ma prima è necessario eliminare i crediti inesigibili o almeno ridurli in maniera consistente. Dopo questa riduzione potremmo iniziare a parlare di un'assicurazione comune sui depositi.

DLF: e questo potrebbe durare anche anni?

Rehberg: ci vorranno anni, perché penso che non sia politicamente sostenibile, con il nostro sistema bancario fondato su tre pilastri, le casse di risparmio, le banche popolari e soprattutto le banche private, dovremmo garantire il 40, il 50 o il 60% dei crediti inesigibili nei loro bilanci.

DLF: Herr Rehberg, allora possiamo affermare che rifiuta tutte le proposte fatte da Macron in materia di politica economica e finanziaria, almeno nei loro elementi centrali?

Rehberg: no, non è un rifiuto. Soprattutto laddove vediamo un valore aggiunto nell'affrontare le questioni a livello europeo, in quel caso ci stiamo. E vorrei anche sottolineare: io vengo dalla Germania del nord. C'è una lettera di otto ministri delle finanze, in particolare del nord Europa, che sottolineano di non condividere diversi aspetti delle proposte di Macron e della Commissione di Juncker. Dobbiamo fare attenzione: l'Europa non è solo Francia e Germania. L'Europa è composta da 27 stati dell'UE e 17 stati dell'eurozona. E' sempre stata una buona cosa coinvolgere anche i piccoli paesi.

DLF: Herr Macron è un uomo con una certa reputazione. Si è guadagnato l'immagine del riformatore, dell'innovatore carismatico, un uomo che puo' far uscire l'UE dal suo letargo. Queste aspettative sono troppo alte?

Rehberg: se ci si concentra sui temi giusti - ne menziono alcuni: difesa europea comune, migrazione, confini esterni - abbiamo una montagna di lavoro da fare davanti a noi. Pertanto a mio avviso bisognerebbe concentrarsi sul possibile, sul necessario, e non su una visione qualsiasi che una larga parte d'Europa vede in maniera critica. 

sabato 3 marzo 2018

Flassbeck: "l'UE e Juncker dovrebbero tenere la bocca chiusa"

Il grande economista Heiner Flassbeck intervistato da DLF sul tema della guerra commerciale scoppiata fra USA ed UE non ha dubbi: l'UE farebbe meglio a tacere perché gli Stati Uniti e Trump hanno pienamente ragione, i tedeschi e gli europei dovrebbero mettere in discussione il loro modello di sviluppo prima che sia troppo tardi. In caso di guerra commerciale sono i paesi in surplus con l'estero ad avere tutto da perdere, la Germania è avvertita. Da deutschlandfunk.de


DLF:  l'UE sta cercando di restituire il colpo, i Jeans potrebbero diventare piu' costosi, tra le altre cose. Potremmo chiamarla schermaglia o disputa commerciale - oppure è l'inizio di una lunga guerra commerciale?

Flassbeck: beh, dovremmo fermarci un attimo. E sarebbe bello se in Europa - abbiamo ascoltato diverse voci - ci si fermasse a riflettere e anche Herr Juncker dovrebbe capire che l'uso della ragione non è un sentimento, ma è qualcosa di indispensabile in questa situazione. E la cosa importante da ricordare è che in effetti gli Stati Uniti e l'Europa si trovano in una situazione completamente diversa, una situazione diversa in riferimento al commercio internazionale. Piu' precisamente, l'Europa ha delle enormi eccedenze, che sono principalmente le eccedenze tedesche, mentre gli USA sono in deficit da oltre 30 anni. Mi piacerebbe vedere cosa succederebbe in Europa se da 30 anni avessimo un deficit commerciale. Questa è la cosa piu' importante di cui dovremmo avere piena consapevolezza.

DLF: la colpa non è dei partner commerciali degli Stati Uniti, ma forse è degli stessi Stati Uniti stessi?

Flassbeck: è una narrazione molto diffusa in Germania che sfortunatamente non corrisponde alla verità. Ad essere responsabili naturalmente non sono i partner commerciali che hanno un deficit, ma c'è sempre un fattore scatenante: in Germania è stata chiaramente la moderazione salariale che da 15 anni ha fatto si' che la Germania diventasse estremamente competitiva sotto la protezione dell'euro, questo perché l'euro resta estremamente sottovalutato...

DLF: ma ora i salari sono tornati a crescere.

Flassbeck: no, no, non stanno crescendo con forza, crescono troppo poco. E questo divario è ancora molto grande, ed è ancora troppo grande rispetto ai nostri partner commerciali in Europa e nei confronti del resto del mondo. Abbiamo una doppia sottovalutazione e su questo sono d'accordo anche persone molto distanti fra loro come Hans Werner Sinn e il sottoscritto, c'è una doppia sottovalutazione della Germania. Ed è per questo che abbiamo delle eccedenze cosi' grandi. E non puoi dire che è colpa degli americani, lo si deve chiamare dumping salariale, è una forma di dumping. 


DLF: si potrebbe anche dire che gli americani dovrebbero offrire dei prodotti migliori, con una maggiore domanda all'estero.

Flassbeck: no, è sbagliato. Vede, questo non ha nulla a che fare con la qualità dei prodotti. La qualità dei prodotti si riflette sempre nel prezzo. Ma se un paese come la Germania offre dei buoni prodotti, che all'improvviso costano il 20% in meno, perché i salari non aumentano, allora questi prodotti vengono acquistati. E questo non ha nulla a che fare con la qualità, ma è molto semplice: per una data qualità il prezzo dei prodotti è del 20% troppo basso.

DLF: ma lei non vorrà seriamente considerare la Germania come un paese a basso salario?

Flassbeck: questo non ha nulla a che fare con il lavoro a basso costo...vede, deve capire, ed è importante, che non c'entrano nulla i bassi salari, si tratta piuttosto di un salario troppo basso in relazione alla produttività, dipende sempre da questo rapporto. La Germania è troppo a buon mercato in rapporto alla propria produttività e non possiamo dimenticarci del tasso di cambio che abbiamo nei confronti del resto del mondo.

DLF: torniamo indietro...

Flassbeck: bisogna guardare a casa propria, prima di parlare di guerre commerciali e simili. E io posso solo consigliare agli europei di tenere la bocca chiusa e di non fare nulla per il momento, invece di darsi un tono come sta cercando di fare Juncker.

DLF: questo significa che le contromisure dell'UE, le tariffe ad esempio sui jeans, il bourbon e le motociclette americane lei le considera eccessive?

Flassbeck: si' le considero sbagliate, perché potrebbero portare ad una escalation. Vede, quando un paese ha dei deficit persistenti, allora alla fine ha il diritto di prendere delle contromisure - e addirittura questo puo' essere fatto nel quadro del WTO. Questo è chiaro ed è perfettamente legale.

DLF: ciò significa che l'UE farebbe meglio ad aspettare e a stare a guardare?

Flassbeck: l'UE dovrebbe tenere per un po' la bocca chiusa, esattamente, e vedere se c'è un'intensificazione oppure no. Al momento è solo una misura di piccola portata, ridicolmente piccola. Voglio dire, considerando la discussione che abbiamo qui in Germania, in cui tutti dicono che i prezzi non hanno alcun effetto sui prodotti, perché i prodotti sono troppo buoni, allora è arrivato il momento giusto di dire: se i nostri prodotti sono cosi' buoni allora i dazi non hanno alcuna importanza! In verità i prezzi hanno un ruolo importante, ma al momento le misure riguardano solo pochi prodotti e misurato sul totale del commercio, sono davvero una piccolezza. Nel complesso posso solo consigliare di non avviare un'azione immediata, sarebbe meglio cercare di parlare con Trump e accettare che la sola misura ragionevole per la Germania è quella di ammettere: si' abbiamo capito, non vogliamo nessuna guerra commerciale, faremo il possibile affinché i nostri surplus commerciali spariscano quanto prima.

DLF: il segretario al commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, ha portato una lattina di zuppa davanti alle telecamere, ha detto, costa 1.99 dollari. E misurato cosi' il prezzo salirebbe solo di 6 decimi di centesimo. Ha fornito un esempio che non ha nessuna influenza per il consumatore. Quali rischi vede per il consumatore, sia qui da noi che là?

Flassbeck: non sono i consumatori ad essere colpiti, si tratta prima di tutto dei posti di lavoro e Juncker lo ha anche detto. Juncker dice di voler difendere i posti di lavoro europei, Trump dice di difendere i posti di lavoro americani. Ecco di cosa si tratta. La Germania difende i suoi posti di lavoro, ma i posti di lavoro della Germania sono principalmente nel settore dell'export. E questo non può funzionare. Chi ha un surplus commerciale, un gigantesco avanzo commerciale come l'UE oppure come la Germania, sta creando dei posti di lavoro a spese degli altri paesi, questo non puo' essere messo in discussione.

DLF: ne abbiamo già parlato, Herr Flassbeck, ma torniamo ai pericoli da lei individuati.

Flassbeck: nel complesso bisognerebbe dire: signori, abbiamo creato dei posti di lavoro nell'export, ci rendiamo conto che non si puo' andare avanti in questo modo e per questa ragione ora vogliamo un ridimensionamento e faremo in modo che anche voi abbiate la possibilità di riconvertirvi.

DLF: tuttavia molti economisti vedono enormi pericoli in arrivo verso di noi. E ieri gli investitori hanno già reagito e i corsi azionari sono crollati. Si tratta di una reazione eccessiva?

Flassbeck: sì, bisogna guardare tutto in prospettiva, come ho detto. Le reazioni sono sempre troppo veloci, senza un attimo di riflessione. E io sostengo sia necessario sedersi un attimo e riflettere su cio' che negli ultimi 20 o 30 anni è successo. E allora ci si rende conto che gli Stati Uniti non hanno poi così torto. Trump ha fatto molte cose sbagliate, non voglio difenderlo, ma nel complesso non si stanno sbagliando così tanto. E bisogna ricordare che anche Obama aveva criticato le eccedenze commerciali tedesche, e non è solo un fenomeno di Trump. Trump ora è il primo a prendere contromisure. Inoltre gli americani potrebbero sempre cercare di far scendere il corso del dollaro, cosa che avrebbe lo stesso effetto, con un impatto quantitativo molto maggiore. Quindi dobbiamo stare molto attenti. E come ho detto, chi ha un'eccedenza commerciale con l'estero si trova in una posizione piu' difficile rispetto all'altra parte. E chi è in una posizione difficile, non dovrebbe rispondere lanciando delle pietre.

DLF: quando Trump scrive su Twitter che le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere, ha ragione?

Flassbeck: se siano giuste o meno è un'altra questione, non mi voglio esprimere sul suo linguaggio. Ma che a perdere una guerra commerciale sarà il paese che ha un avanzo commerciale è perfettamente chiaro. E che a vincere sarà il paese con un deficit è altrettanto chiaro e giusto.

DLF: diamo un sguardo all'era Bush, quando c'erano i dazi doganali sull'acciaio e non hanno funzionato. E allora perché pensa che questa volta per gli Stati Uniti dovrebbero funzionare?

Flassbeck: che significa non ha funzionato? Bisogna stare molto attenti, per ora è solo una puntura di spillo, una chiamata: fate qualcosa contro i vostri avanzi commerciali, altrimenti saro' io a dover fare molto di piu'. Al momento è poca cosa. In questo senso la questione è un'altra, in qualsiasi senso funzionerà. La questione centrale, che conta nel rapporto fra Europa e Stati Uniti è la seguente: l'Europa è disponibile a implementare un modello economico diverso, vale a dire un modello in cui, come negli USA, ci si concentra sul proprio mercato interno, invece di annunciare ogni giorno - come fa Frau Merkel - che ora tutti devono diventare piu' competitivi e tutta l'Europa deve migliorare la propria competitvità. E questo puo' accadere solo a spese degli Stati Uniti, l'unico paese nel mondo nei confronti del quale questa Europa possa avere ancora qualcosa da guadagnare. E questa è anche una forma di annuncio di una guerra commerciale di cui qui da noi nessuno parla. E su tutte queste cose dovremmo riflettere con un po' di calma, prima di entrare in una escalation.