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venerdì 21 aprile 2023

Perchè l'appiattimento della Germania sulle posizioni atlantiste per i francesi è un problema

"Per quanto apprezzabili, le parole di Macron tuttavia non colgono il punto della situazione politica europea attuale. Soprattutto in Germania, la politica e i media mainstream preferiscono una fedeltà nibelunga all'impero d'oltreoceano" cosi' scrive l'ottimo Jens Berger che sulle Nachdenkseiten ci spiega perché l'attuale appiattimento della Germania sulle posizioni atlantiste segna una ulteriore frattura nel cosiddetto asse franco-tedesco. Dalle Nachdenkseiten




L'Europa dovrebbe lottare per avere una propria "autonomia strategica" e resistere alle pressioni che vorrebbero trasformarla nel "tirapiedi dell'America". Nella questione di Taiwan, non bisogna essere "subalterni". Altrimenti il rischio è quello di "diventare un vassallo degli Stati Uniti". Queste frasi non provengono da Oskar Lafontaine, che di recente aveva espresso posizioni simili sulle NachDenkSeiten, ma da Emmanuel Macron. Le reazioni sono state forti, soprattutto in Germania. Per quanto apprezzabili, le parole di Macron tuttavia non colgono il punto della situazione politica europea attuale. Soprattutto in Germania, la politica e i media mainstream preferiscono una fedeltà nibelunga all'impero d'oltreoceano. Di Jens Berger.

Bisogna riconoscere che il presidente francese Emmanuel Macron sa come sorprendere. Mentre le élite politiche tedesche fanno a gara nel dipingere la Cina come un "avversario del sistema" e un "rivale" con i toni più stridenti possibili, e nel consigliare all'economia tedesca di "diversificare i propri investimenti", il presidente francese si è recato nel Regno di Mezzo proprio nel periodo di Pasqua insieme ad una truppa di rappresentanti dell'economia dove ha discusso di investimenti per diversi miliardi di euro e parlato della situazione mondiale con il suo omologo cinese Xi, su un piano di parità e per ben sei ore. E già questo sembra notevole, visto che in Europa ormai sembra essere diventata prassi comune quella di comportarsi nel peggiore dei modi coloniali anche nei confronti di una potenza mondiale come la Cina.



Ma ancora più notevole, almeno per le orecchie tedesche, è stata l'intervista che Macron ha rilasciato sul volo di ritorno al portale mediatico statunitense "Politico", appartenente al gruppo Springer. Sembra quasi ricordare i tempi di De Gaulle, quando propagandava un'"Europa delle patrie" che distingueva chiaramente i suoi interessi - sotto la guida francese, ovviamente - da quelli degli Stati Uniti. Oggi in Germania si tende a dimenticare che l'integrazione europea, che in seguito avrebbe portato alla fondazione della Comunità europea con il Trattato di nascita della CE, è sempre stata intesa, soprattutto dalla Francia, come un modello opposto all'orientamento degli Stati Uniti e della NATO, come avveniva ad esempio in Gran Bretagna in quel periodo. De Gaulle vedeva la NATO come uno strumento degli interessi statunitensi, e infatti espulse le truppe NATO dal Paese e ritirò le truppe francesi dalle strutture militari della NATO nel 1966. Solo nel 2009, sotto Sarkozy, la Francia ha completato la piena reintegrazione delle sue strutture militari all'interno della NATO. I transatlantici hanno trionfato - anche se relativamente tardi - anche in Francia.

Tenendo presente questi contesti storici, le dichiarazioni di Macron appaiono meno sorprendenti. Che gli interessi di Francia e Germania non siano affatto congruenti con quelli degli Stati Uniti è ben noto, almeno ai lettori delle NachDenkSeiten. Soprattutto per quanto riguarda la Cina, le differenze sono evidenti. Mentre gli Stati Uniti vogliono disperatamente mantenere l'ordine mondiale unipolare con se stessi come unica superpotenza e - come nel caso dell'UE - conquistare tutti i concorrenti o, se ciò non è possibile - come nel caso della Cina - combatterli, l'UE, che dal punto di vista economico è strettamente interconnessa con la Cina, non può avere alcun interesse a essere trascinata in questo e altri conflitti al guinzaglio degli Stati Uniti.

L'Europa deve guardare ai propri interessi e anteporli a quelli degli Stati Uniti - questo è essenzialmente il messaggio di Macron. È chiaro che questo messaggio è diametralmente opposto non solo alle dottrine degli Stati Uniti, ma anche alle idee dei loro partigiani in Europa. Di conseguenza, non era difficile aspettarsi una dura critica alle dichiarazioni di Macron da parte dei media tedeschi fortemente influenzati dai potentati transatlantici e da parte dei politici tedeschi. Lo SPIEGEL ha immediatamente scritto che Macron è un "burattino della propaganda cinese" e i politici di tutti i principali partiti si sono superati nelle loro critiche al francese, secondo i quali avrebbe "perso il senno", come ha detto diplomaticamente il falco transatlantico Norbert Röttgen.

Macron ha perso il senno? Sì e no. In termini di contenuto, ovviamente, ha assolutamente ragione. Già nel 1987, lo storico Paul Kennedy, nel suo libro altamente raccomandato "The Rise and Fall of the Great Powers", aveva previsto i problemi legati all'ascesa della Cina e al relativo declino degli Stati Uniti e aveva messo in guardia dai cosiddetti "conflitti di erosione" in cui l'Europa non doveva farsi trascinare. Se ci si toglie le lenti del transatlantismo, le dichiarazioni di Macron sono poco spettacolari e in realtà anche poco controverse. Purtroppo, il resto dell'Europa indossa questi occhiali transatlantici ed è incapace di riconoscere i propri interessi. Non stiamo rischiando di diventare "vassalli", come dice Macron, ma lo siamo già.

Ed è proprio su questo punto che Macron probabilmente ha davvero perso il senno. Vorrebbe forse formulare una politica di sicurezza indipendente dagli Stati Uniti insieme alla Polonia? Buon divertimento. Vuole forse spiegare agli Stati baltici che i loro interessi non sono congruenti con quelli degli Stati Uniti? Divertitevi. Vuole convincere Annalena Baerbock che non è nell'interesse degli europei lasciare che gli Stati Uniti li trascinino nel conflitto di Taiwan? Mi sembra inutile.

Per questo l'intervento di Macron sembra soprattutto privo di efficiacia, un'eccezione "gollista" nel concerto transatlantico dei flauti dolci. Negli ultimi decenni si è parlato molto del tandem franco-tedesco che dovrebbe trainare l'Europa. Se prendiamo in parola Macron, però, risulta evidente che i componenti di questo tandem vogliono andare in direzioni opposte. Ma chi lo sa? Forse il "grande pasticcio" che la dottrina statunitense sta attualmente causando in Ucraina indurrà i politici tedeschi almeno a riaggiustare la bussola? Come tutti sappiamo, la speranza è l'ultima a morire.


martedì 6 aprile 2021

Perché la stampa tedesca e la Germania ora temono l'asse franco-italiano

Con l'uscita di scena di Merkel si apre nell'UE un vuoto di leadership che lascia molto spazio all'attivismo di Macron e Draghi in favore di un bilancio comune dell'eurozona e degli eurobond, fortemente voluti da Roma e Parigi. I tedeschi temono che alla fine saranno loro a dover pagare il conto delle ambizioni revanchiste franco-italiane. Ne scrive Die Welt

Draghi è abituato a ottenere il massimo effetto con il minimo delle parole. Nel 2012, quando era presidente della Banca Centrale Europea (BCE) gli erano bastate solo tre parole per salvare l'euro: "Whatever it takes". La BCE farà qualunque cosa sia necessario, aveva detto, per sostenere la moneta europea.

Draghi da appena due mesi è il presidente del consiglio italiano. Invece delle dichiarazioni concise, ora preferisce agire con un forte riverbero internazionale in modo da rendere chiara la sua agenda. Come all'inizio di marzo, quando l'Italia  sorprendentemente ha bloccato l'esportazione di 250.000 dosi del vaccino di AstraZeneca verso  l'Australia.

Le autorità italiane si erano effettivamente coordinate in anticipo con la Commissione UE. Ma l'impressione di fondo è che Draghi con il blocco abbia voluto mandare un segnale chiaro. Un colpo di tamburo che ha suscitato preoccupazione in tutto il mondo per un possibile blocco delle esportazioni europee. Subito dopo ha inviato i carabinieri in un magazzino dell'azinda vicino Roma, dove hanno scoperto circa 29 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca lì immagazzinate - quasi il doppio di quelle che il gruppo complessivamente in precedenza aveva fornito ai paesi dell'UE.




Draghi spinge per tornare sulla scena europea

I conoscitori di Draghi considerano il suo approccio energico come un segnale lanciato all'UE, Parigi e Berlino: l'italiano si sta facendo spazio sulla scena europea con la consapevolezza del suo potere e la volontà di modellare gli eventi. Il suo paese non deve essere più visto come un caso problematico, ma dovrà giocare un ruolo nella ridefinizione dell'UE

Il momento è quello giusto, perché la Cancelliera tedesca in autunno si dovrà dimettere. Attualmente Merkel è indiscutibilmente il politico più potente d'Europa; anche solo la sua capacità di resistere durante i summit europei, che spesso durano fino a notte fonda, è leggendaria. Crisi dell'euro, crisi dei rifugiati, Brexit, pandemia -  Merkel ha avuto un impatto decisivo sulla politica europea. Chiunque le succederà avrà bisogno di tempo per ambientarsi nel suo nuovo ruolo a livello europeo.

"Un nuovo cancelliere o una nuova cancelliera sarà lo spartiacque e cambierà anche la situazione nella struttura del potere europeo", dice Janis Emmanouilidis, direttore del centro studi del Think tank European Policy Centre di Bruxelles. "La partenza di Merkel sta creando un vuoto di potere - e Mario Draghi potrà parzialmente riempirlo".

L'ex banchiere centrale porta con sé un grande capitale politico: Draghi è estremamente ben connesso a livello europeo e sin dagli anni alla guida della BCE, molti attori in Europa hanno iniziato a fidarsi di lui. Il suo ruolo nella crisi dell'euro gli ha fatto fare un enorme salto di qualità. "Draghi è troppo importante per andare semplicemente a fare un giretto all'UE. Vuole fare dell'Italia il terzo protagonista piu' importante accanto a Francia e Germania", dice il politologo italiano Lucio Caracciolo.

Che l'Italia, come terza economia, abbia la rilevanza per farlo è fuori discussione. A differenza dei suoi predecessori, Draghi però potrebbe anche aspirare a usare il suo peso. Il suo obiettivo è trasformare l'Unione a beneficio del suo paese, si specula in Italia.

Draghi non fa mistero del fatto che sta lavorando per ottenere gli eurobond per il periodo post-pandemico. L'obiettivo finale è quello di avere un'UE con un bilancio comune che aiuti gli stati più deboli durante i periodi di recessione. E punta a una riforma delle regole sul debito: "Vuole trasformare il Patto di Stabilità in senso neo-keynesiano, in modo che si possa fare piu' debito per fare gli investimenti", dice Caracciolo.




Macron vuole essere il primo a incontrare Draghi

E Draghi a Parigi su questo tema ha un compagno d'armi: il presidente francese Emmanuel Macron sin da quando è entrato in carica, infatti, spinge per una riforma dell'UE e per ottenere un bilancio più ampio per Bruxelles. Parigi ha lavorato a lungo in favore di un'unione fiscale e per un prestito comune permanente tramite gli eurobond.

Al vertice del Consiglio UE di marzo, per la prima volta è diventato chiaro a quale livello Draghi e Macron si stiano già scambiando opinioni su questi temi. Durante la videoconferenza, infatti, sembrava che i due si fossero coordinati in anticipo. E infatti: poche ore prima del vertice i due capi di stato hanno parlato al telefono per accordarsi su un possibile divieto di esportazione dei vaccini, rivela un consigliere di Macron.

I negoziatori di Macron stanno lavorando senza sosta per organizzare una visita di stato di Draghi a Parigi. Potrebbe anche essere possibile un viaggio di Macron a Roma. L'importante è che nessuno arrivi prima di Macron e che il francese sia il primo a incontrare "Super Mario". I consiglieri del presidente francese si affrettano a sottolineare che la "fiducia è grande" e "l'alleanza è eccellente".

La speranza a Parigi è che Draghi si dimostri come il "garante della stabilità italiana e quindi della stabilità europea", come dice un assistente di Macron. Soprattutto, i due sono d'accordo sul fatto che l'UE dovrebbe aumentare i fondi per la ricostruzione post-Corona. "Entrambi sono convinti di questa necessità", dice l'Eliseo.

Per Macron, il ritorno dell'Italia nelle file dei paesi europeisti ha un valore inestimabile. Non appena la pandemia lo permetterà, Macron e Draghi vogliono firmare un Trattato del Quirinale - l'equivalente italo-francese del Trattato dell'Eliseo, con il quale nel 1963 gli ex arci-nemici Germania e Francia suggellarono la loro amicizia e la futura cooperazione e al quale si è aggiunto due anni fa il Trattato di Aquisgrana. Per mesi i francesi hanno fatto pressione su Roma affinché l'Italia partecipasse a cantieri tecnologici congiunti franco-tedeschi, come la tecnologia dell'idrogeno e il progetto di produzione congiunta di batterie.

Non è chiaro, tuttavia, fino a che punto questi progetti daranno frutti. Questa non è la prima volta che Italia e Francia speculano su una più stretta cooperazione a livello europeo, e nessuno sa per quanto tempo ancora Draghi riuscirà a mantenere il potere considerando la volatilità della politica italiana.

Daniel Gros, al vertice del think tank con sede a Bruxelles Centre for European Policy Studies (CEPS), ritiene che tali riflessioni siano principalmente un pio desiderio. "Un asse Parigi-Roma negli ultimi decenni è stato ipotizzato decine di volte, ma non se ne è mai fatto nulla", dice il politologo. "L'intesa franco-tedesca è così importante perché entrambi i paesi arrivano da punti di vista diversi e dietro di loro ci sono molti altri paesi membri che hanno punti di vista simili". Una stretta collaborazione tra Parigi e Roma, invece, è molto meno interessante per l'Europa, ha detto. Ciononostante, nei prossimi mesi potrebbe causare uno scompiglio nell'UE.




martedì 26 maggio 2020

Perché i tedeschi temono l'unione di trasferimento

Dopo l'accordo tra Francia e Germania sul recovery fund la stampa conservatrice prende di mira la Cancelliera tedesca accusandola di aver aperto la strada alla temutissima unione di trasferimento con il sud-Europa e di non aver tenuto conto dei veri interessi tedeschi. Se Merkel sul Recovery fund fa sul serio allora è anche probabile che non abbia nessuna intenzione di ricandidarsi, perché dalla stampa popolare e conservatrice le arrivano attacchi molto duri. Per una volta, forse, il governo tedesco ha preferito i libri di storia ai sondaggi sugli ultimi trend elettorali. Quattro riflessioni sull'accordo franco-tedesco dalla FAZ, da Tichys Einblick, da WirtschaftsWoche, e da Focus.


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Anche sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano con una linea spesso filo-merkeliana, il condirettore Berthold Kohler esprime dei forti dubbi sulla sostenibilità politica dell'unione di trasferimento:

(...) Perché anche quelli che vorrebbero svuotare gli stati nazionali dall'oggi al domani privando di ogni potere i loro organi fino anche alle corti supreme, in realtà stanno solo danneggiando l'ideale europeo. Si può anche andare in estasi per il fatto che il piano Merkel-Macron ha posto la "prima pietra di una nuova Europa" - ma i popoli europei vivono ancora molto volentieri nelle loro splendide e antiche costruzioni, gli stati nazionali. Che poi sono anche la patria della democrazia. Lì, il popolo sovrano ha ancora un'influenza maggiore e più diretta sulle decisioni politiche rispetto a quanto accade a Bruxelles. Anche il sentimento di appartenenza a un destino comune, per il quale sacrificarsi quando le circostanze lo rendono necessario, resta molto piu' forte negli stati nazionali.

Il più grande difetto del processo di unificazione

Non esiste ancora a livello europeo un simile sentimento di unità. E questa è la piu' grande mancanza del processo di integrazione. I tedeschi non sono certo felici di dover pagare sin dai tempi della riunificazione il "Soli" (imposta di solidarietà con l'est), ma continuano comunque a pagarlo con diligenza. Se un politico tedesco chiedesse un simile contributo di solidarietà per la Spagna o l'Italia sperimenterebbe un perfetto "shitstorm", anche se a dire il vero molti tedeschi preferirebbero vivere in Toscana piuttosto che in Sachsen-Anhalt.

L'identità europea tuttavia non può in alcun modo competere con il senso di comunità che esiste negli stati nazionali, che non è emerso solo ai tempi del nazionalismo, ma è nato come una forma di netta demarcazione dagli altri popoli. In un mondo di risorse limitate, pertanto, ogni atto di aiuto finanziario che comporta una rinuncia da parte del donatore, deve avere una giustificazione persino maggiore, ad esempio, della perequazione finanziaria fra le regioni tedesche. 

Perché anche in un paese ben disposto nei confronti dell'integrazione, come lo è la Germania, se i cittadini avessero la sensazione di essere relegati in eterno nel ruolo dell'ufficiale pagatore, l'umore potrebbe cambiare alla svelta. Sarebbe sciocco pensare che in nome dei vantaggi economici e politici offerti dall'integrazione europea, i tedeschi non possano fare altro che dichiararsi "solidali" a suon di miliardi di euro. Anche se il valore della pace e della prosperità garantiti da un'Europa senza confini potesse essere trasformato in numeri, la solidarietà non è il risultato di un conto fra profitti e perdite, ma una questione di atteggiamento e di sentimenti. E in Italia, Francia, Spagna e in altri paesi europei non dovrebbero dimentichare che i sentimenti, specialmente quando si infiamma l'indignazione nei confronti dei presunti teutonici non solidali, li hanno anche i tedeschi.


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Su WirtschaftsWoche invece Malte Fischer spera, come molti milioni di tedeschi, che i paesi frugalisti, guidati da Austria e Olanda, alla fine riescano ad imporsi sul duo franco-tedesco:


(...) Con il fondo per la ricostruzione, Macron si è ulteriormente avvicinato al suo obiettivo di trasformare l'UE, grazie a una propaganda sulla solidarietà molto efficace in termini di presa sull'opione pubblica, spingendola nella direzione sempre voluta e ricercata dalla Francia: da una comunità di Stati auto-responsabili a un'unione di trasferimento che sviluppa un potere statale determinato dalle ambizioni di potere dei francesi e finanziato dalla Germania in quanto principale fonte dei trasferimenti. L'emissione di obbligazioni proprie, tramite le quali l'UE per la prima volta può prendere denaro in prestito come se fosse uno stato, è anche un passo verso quella statalità sovranazionale che le élite europee hanno sempre sognato.

I contribuenti tedeschi dovranno pagare a caro prezzo il fatto che Merkel ha deciso di dare il via libera ad una trasformazione dell'UE in una unione di trasferimento. L'argomento secondo il quale i trasferimenti dalla Germania verso "Italia e Co." servirebbero a garantire dal punto di vista economico degli importanti mercati di esportazione e sarebbero quindi nell'interesse della Germania non ci deve ingannare. Se l'argomento fosse vero, allora la Germania dovrebbe trasferire risorse anche verso gli Stati Uniti e la Cina. Decisamente folle. In ogni caso, l'argomento dal punto di vista economico è simile al tentativo di un proprietario di un chiosco di panini di aumentare le vendite regalando ai suoi clienti delle banconote in modo che questi poi possano acquistare le sue salsicce.

Una simile economia vudù negli ambienti politici di Berlino potrebbe anche abbagliare qualcuno. I contribuenti tedeschi tuttavia non devono farsi ingannare. Gli resta solo la speranza dell'opposizione di Vienna o dell'Aia. Lì non sono certo entusiasti per l'iniziativa di Macron e Merkel. Il primo ministro austriaco Sebastian Kurz, infatti, dopo aver consultato il suo collega olandese ha immediatamente annunciato l'opposizione al piano di Macron. Insieme a Danimarca e Svezia, entrambi i paesi insistono affinché il denaro proveniente dal fondo per la ricostruzione venga concesso solo sotto forma di prestiti. Entrambi i paesi pertanto a breve presenteranno una proposta alternativa.

Gli epigoni di Machiavelli dell'Europa del sud non hanno ancora raggiunto il loro obiettivo. Soprattutto dal momento in cui l'istituzione di un fondo per la ricostruzione dovrà essere deciso all'unanimità da tutti i 27 paesi dell'UE. Per i contribuenti tedeschi, quindi, incrociamo le dita sperando che Austria e Paesi Bassi restino a rappresentare gli interessi dei contributori netti, per i quali apparentemente a Berlino non ci sono sostenitori.


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Anche su Tichys Einblick, il grande intellettuale e pubblicista tedesco Klaus-Rüdiger Mai ci va giu' duro e attacca Merkel accusandola di aver ignorato i veri interessi tedeschi:

(...) In parole povere, questo significa che i paesi del nord, in particolare la Germania, finanzieranno Spagna, Italia e Francia, e questo perché una situazione di grave difficolta finanziaria sarebbe un disastro per le banche francesi, fortemente investite in Italia. A questo punto va ricordato che la ricchezza media dei cittadini della "ricca" Germania, secondo un'analisi di WELT, è inferiore alla ricchezza media dei cittadini di Italia e Francia, ma saranno i cittadini della "ricca" Germania a dover pagare per la  voglia di spendere soldi di Merkel.


Ma se sai che Macron proviene dal settore finanziario francese, allora sai anche quali interessi sta rappresentando. Sarà però il contribuente tedesco a dover sborsare soldi per coprire la crisi del settore finanziario francese nei decenni a venire. La Cancelliera tedesca ha accettato questo piano - e nient'altro - in un vertice con il presidente francese.

Mai fino ad ora nella storia della Repubblica Federale un Cancelliere aveva ignorato in questo modo gli interessi tedeschi, aveva mostrato così poca empatia per la vita dei cittadini, per la prosperità della nazione e per la felicità e il futuro dei nostri figli, come invece sta facendo ora Angela Merkel. Mai prima d'ora nella storia tedesca un Cancelliere aveva rinunciato alla sovranità della Germania  indebitandosi tanto da pesare gravemente sul paese e sui suoi cittadini per generazioni, portandoci solo alla rovina economica e all'impoverimento. Il sogno di Macron dei campioni europei, che saranno i campioni francesi, spezzerà la spina dorsale delle piccole e medie imprese tedesche. Le quali però saranno chiamate a finanziare questo sogno.

Al momento, i cittadini tedeschi possono solo sperare in una resistenza a oltranza da parte dei capi di governo di Finlandia, Paesi Bassi e Austria. Ma forse anche questa speranza è solo un'illusione, perché potrebbe anche essere che questi stati rinuncino alle loro riserve se la Cancelliera dichiarasse che la Germania si assumerà la responsabilità e la quota del rimborso per i tre stati. Certo, è un'idea assurda, ma negli ultimi anni l'assurdità non è forse diventata realtà e la realtà non é diventata un'assurdità?



Non poteva mancare ovviamente Focus, che con un commento di Hugo Müller-Vogg si schiera decisamente contro ogni forma di unione di trasferimento a danno degli operosi e diligenti contribuenti tedeschi:


(...) L'Italia, d'altra parte, ha lasciato trascorrere gli ultimi anni molto positivi senza aver fatto nulla per risanare le sue finanze publiche disastrate. Allo stesso tempo, la ricchezza privata in Italia ha raggiunto nuovi massimi. Secondo i calcoli del Credit Suisse, la ricchezza privata italiana è 5,5 volte il PIL. In Germania, invece la ricchezza privata è solo 3,8 volte il PIL. Ciò ha anche a che fare con il fatto che nessun governo italiano cerca seriamente di riscuotere le tasse con la stessa meticolosità con la quale lo fanno le autorità fiscali tedesche.

E il risultato è grottesco: i tedeschi sono più poveri degli italiani - in base alla loro ricchezza pro capite - mentre lo stato tedesco finanziariamente  è molto più forte di quello italiano. Di conseguenza i "poveri" contribuenti tedeschi dovrebbero sostenere il "povero" stato italiano. Mentre i ricchi italiani preferiscono investire le proprie attività finanziarie al di fuori dei loro confini.

Merkel e Macron posano la "pietra angolare per una nuova Europa"

Emanuel Macron e Angela Merkel ritengono che il fondo per la ricostruzione rappresenti "la pietra angolare per una nuova Europa". La loro nuova Europa sarà come la precedente, e dovrà fare affidamento sulla solidarietà intergovernativa. La solidarietà tuttavia non dovrebbe essere vista come un affare unilaterale, cioè come l'impegno dei paesi economicamente più forti in favore di quelli più deboli. La solidarietà, se correttamente interpretata, riguarda anche gli sforzi di coloro che si aspettano di ricevere l'aiuto. Altrimenti tra coloro che devono aiutare cresce l'insoddisfazione, che potrebbe anche trasformarsi rapidamente in risentimento.

L'UE sosterrà i paesi in difficoltà, indipendentemente dal nome che lo strumento di finanziamento porta. Se negli altri paesi non dovesse cambiare nulla, accadrà che il contribuente tedesco cofinanzierà indirettamente delle prestazioni sociali che la Germania stessa non si può permettere. La Spagna ad esempio vuole introdurre un reddito di base incondizionato che invece noi non abbiamo. L'Italia si fa sfuggire miliardi di euro di gettito fiscale e lascia l'età pensionabile a 65 anni (donne: 60), mentre le autorità fiscali tedesche intervengono senza pietà e i tedeschi si stanno muovendo verso la pensione a 67 anni.

La Francia a sua volta garantisce ai lavoratori dipendenti il ​​secondo salario minimo più alto dell'UE con 10,14 euro l'ora, che molte aziende possono pagare solo grazie a dei sussidi statali. I lavoratori a basso reddito tedeschi, invece, devono accontentarsi di 9,35 euro lordi l'ora. Macron  inoltre vorrebbe ottenere l'approvazione della sua riforma delle pensioni, di cui c'è urgente bisogno, garantendo una pensione minima di 1.000 euro al mese. La nostra pensione di base minima non può tenere il passo.

I cittadini dei paesi donatori hanno il diritto di avere la solidarietà dei destinatari degli aiuti

Su una cosa non c'è dubbio: il mercato comune non va a svantaggio della Germania. In cambio, però la Repubblica federale finora è stato l'ufficiale pagatore d'Europa. I contribuenti tedeschi hanno ampiamente accettato questo "scambio". Alla luce  degli sconvolgimenti economici causati dal coronavirus, degli imminenti fallimenti e dei modelli di business in pericolo, potrebbe però venire meno la volontà di mostrare solidarietà con gli altri paesi, soprattutto se ai beneficiari dovesse mancare il "contegno di chi riceve solidarietà".

L'Europa non può funzionare senza solidarietà. Ma anche i cittadini dei paesi donatori hanno il diritto di avere la solidarietà dei destinatari.


domenica 19 aprile 2020

La lotta tra Francia e Germania per il potere nell'UE

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo. Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile". Non sono le parole di un blogger sovranaro qualsiasi, ma quelle usate dal presidente francese nell'intervista al FT di venerdì per descrivere l'atteggiamento dei tedeschi in Europa. La lotta per il primato nell'UE del dopo pandemia è iniziata. Ne scrive Lost in Europe


Fra Berlino e Parigi è scoppiata una dura lotta di potere per dettare il futuro dell'UE. Fondamentalmente la controversia dovrebbe riguardare la battaglia per la solidarietà finanziaria e i "corona-bonds". In verità, si tratta di più, di molto di più.

Al giorno d'oggi bisogna leggere i giornali per avere il polso di quello che succede nell'UE. Ai tempi del corona-virus e delle videoconferenze, la politica europea si fa con le interviste, sempre che si continui a farla. Il presidente del Consiglio dell'UE Michel ha rilasciato a tal proposito un' intervista alla FAZ. L'introduzione dei cosiddetti corona-bonds non è piu' in programma. "Ci sono sensibilità diverse all'interno del Consiglio", ha detto Michel alla "FAZ".

In questo modo il belga ha mostrato una strana concezione del suo ufficio. Come presidente del Consiglio non dovrebbe andare in cerca delle "sensibilità", ma piuttosto guidare l'organo più importante dell'UE. Dovrebbe fare in modo che la struttura continui a funzionare, non correre dietro ad essa.

Come si fa ad accendere l'UE, tuttavia, è un arte che nessuno conosce meglio del presidente francese Macron. "Ora è il momento della verità, in cui si tratta di stabilire se l'Unione Europea è un progetto politico o solo un mercato", ha detto al "FT".

A differenza di Michel, Macron ancora una volta si è pronunciato in favore di trasferimenti finanziari e di nuovi prestiti. E allo stesso tempo, si è espresso energicamente contro la cancelliera Merkel e contro la politica europea dei tedeschi e degli olandesi, ha detto infatti in un'intervista al FT:

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo", ha detto Macron. “Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile"

Macron in passato si era già espresso con toni simili. Ma questa volta, nel bel mezzo della peggiore crisi economica degli ultimi cento anni (secono l'ex presidente Von Rompuy), le sue parole sembrano quasi minacciose.

Macron ha anche messo in guarda dai danni ingenti al mercato interno causati dalle misure di sostegno nazionali - anche in questo caso si riferiva alla Germania. Dopo questa crisi non potrà esserci un semplice "proseguiamo così".

La ragione di fondo apparentemente è la preoccupazione che la Germania e la sua economia possano emergere ancora più forti dalla pandemia, mentre la Francia ancora piu' indebolita. Il mercato interno allora diventerebbe solo un mercato tedesco, e l'UE sarebbe sicuramente una "Europa tedesca".

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lunedì 10 febbraio 2020

Profonde divergenze franco-tedesche

Dopo il no di Macron alla condivisione dell'atomica francese con i tedeschi, le divergenze fra Berlino e Parigi sono sempre piu' evidenti, anche la stampa tedesca che conta suggerisce a Berlino di non fidarsi troppo del presidente Macron. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Contro l'egemonia tedesca

Il presidente francese Emmanuel Macron - in risposta a Berlino che stava sistematicamente rallentando tutte le sue iniziative sull'UE presentate nel corso del suo ben noto discorso alla Sorbona del settembre 2017 - ha iniziato ad opporsi apertamente al dominio tedesco, in particolare nel campo della politica militare dell'UE. Il primo passo è stato l'annullamento di un'apparizione congiunta con la Cancelliera Angela Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco dello scorso anno; Berlino, infatti, aveva programmato l'apparizione per dimostrare una unanimità - in realtà inesistente -  tra i leader dell'UE in materia di politica mondiale. Se l'annullamento riguardava una misura simbolica del governo federale, a colpire gravemente la Repubblica federale è stato invece un altro passaggio: Parigi a febbraio 2019 ha ritirato il suo appoggio al gasdotto Nord Stream 2, dopo tale ritiro solo con grande difficoltà Berlino è riuscita ad evitare il fallimento del suo progetto. Ad aprile poi, il governo di Parigi si è rifiutato di avviare colloqui formali su un accordo di libero scambio dell'UE con gli Stati Uniti. I negoziati essenzialmente dovevano servire a prevenire le tariffe punitive statunitensi sulle importazioni di veicoli; erano quindi nell'interesse dell'industria tedesca. Le case automobilistiche francesi, tuttavia, esportano poco negli Stati Uniti.

Nuovi scontri

Sempre ad aprile poi, Macron ha pubblicamente annunciato nuovi "scontri" con la Germania - dando seguito al suo annuncio con i fatti. Cosi' a maggio ha ufficialmente annunciato di non essere d'accordo sull'allora candidato tedesco per la successione al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, Manfred Weber (CSU). [2] In estate la Francia ha ostacolato l'accordo di libero scambio dell'UE con la confederazione sudamericana Mercosur, accordo appena concluso dopo venti anni di negoziati, chiedendone dei miglioramenti; l'accordo nell'UE è particolarmente importante per l'industria dell'export tedesca. In autunno Parigi ha bloccato l'inizio dei colloqui di adesione all'UE con la Macedonia settentrionale e l'Albania, ancora una volta contro la volontà espressa da Berlino. Solo un po 'più tardi Macron in occasione di un viaggio a Pechino ha cercato di unificare la politica UE-Cina: sotto la sua guida però, non quella tedesca [4]. A ciò sono seguiti ulteriori passi per ottenere un ruolo di primo piano nella politica estera e militare dell'UE: prima i negoziati con la Russia per migliorare le relazioni reciproche e, in questi giorni, i colloqui a Varsavia per ottenere il supporto della Polonia nei confronti delle iniziative di politica estera di Parigi.

"In declino, e debole in politica estera"

A Berlino l'attivismo di Macron si scontra sempre di piu' con un certo rifiuto. Un contributo sintomatico di questo clima è l'articolo pubblicato nel primo fine settimana di febbraio da Jacques Schuster, principale commentatore del gruppo "Welt", articolo che a Parigi ha ottenuto una certa attenzione e una risposta chiaramente infastidita. La Francia, recita  il testo dell'articolo, si trova in una fase "di declino" sin dagli anni '90. Mostra "crescenti tensioni sociali" e "debolezza in politica estera". Macron sta attualmente cercando di "dare al continente, sotto la guida francese, la posizione che merita"; poiché la Francia è "sempre meno in grado" di farlo, il presidente cerca di ricorrere "all'aiuto dei tedeschi". Ovviamente "senza fare concessioni": "Parigi non è né disposta a condividere il suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza con Berlino, né Berlino può sperare di avere voce in capitolo sull'uso dei missili nucleari francesi". "Anche i sostenitori del presidente criticano la corte reale che Macron ha creato a Parigi", scrive Schuster: "Vari circoli di amici, consulenti e rappresentanti di interessi stanno cercando di influenzare le decisioni del sovrano". [5] Ouest-France, il quotidiano francese a maggiore diffusione, ha classificato l'articolo, pubblicato con il titolo "La Germania non dovrebbe fidarsi di Macron", come la prova evidente di un ulteriore "irrigidimento" nelle relazioni franco-tedesche. [6]

"Sotto il comando dell'UE"

Nel frattempo, in Germania, influenti esperti di politica estera la scorsa settimana hanno lanciato un nuovo attacco nei confronti di Macron. All'inizio della settimana, Johann Wadephul, vicepresidente del gruppo parlamentare della CDU/CSU, responsabile per la politica estera e militare, ha rilanciato una richiesta tedesca, proposta con regolarità per anni, e cioè: l'accesso di Berlino alle armi nucleari francesi. È "nell'interesse tedesco poter influenzare la strategia nucleare che ci protegge", ha affermato Wadephul; la Francia dovrebbe quindi "mettere le sue forze nucleari" sotto un comando congiunto dell'UE o della NATO [7]. Se così fosse, Berlino avrebbe davvero accesso alle armi nucleari. Wadephul alla fine ha precisato, che Macron il quale "ci aveva chiesto piu' volte di osare piu' Europa, ora dovrebbe mostrare di essere anche lui pronto".

Dialogo strategico

Il presidente francese venerdì in un discorso davanti ai laureati dell'École de Guerre parigina ha respinto la richiesta tedesca. Macron non ha lasciato alcun dubbio sul fatto che la Francia non intende condividere le sue forze nucleari, che il Presidente resta il solo a decidere cosa fare e che il suo governo non è disposto a coinvolgere altri paesi nel finanziamento della "Force de frappe", in modo da fornire a terzi una qualche influenza sulle armi nucleari francesi [8]. Macron, ha tuttavia affermato di desiderare un serio "dialogo strategico sul ruolo della dissuasione nucleare nella nostra sicurezza comune" all'interno dell'UE. La Francia è pronta a prendere in considerazione gli interessi in materia di sicurezza dei suoi alleati all'interno di una strategia sulle armi nucleari: la sua indipendenza nell'ambito di una possibile decisione sull'uso delle armi nucleari francesi è "pienamente compatibile con la nostra incrollabile solidarietà con i nostri partner europei". Oltre al "dialogo" sulla strategia da intraprendere in materia di armi nucleari, gli altri paesi membri in qualsiasi momento potranno "partecipare alle esercitazioni delle forze armate francesi in ambito nucleare". Poiché questa offerta resta al di sotto della soglia dell'influenza, per Berlino non è sufficiente.

Alla conferenza sulla sicurezza di Monaco

Macron vuole discutere le sue idee al riguardo durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che inizia venerdì. Si tratta anche di dare una  voce forte all'UE nella politica mondiale, indipendentemente dagli Stati Uniti e, se possibile, sotto la guida di Parigi. Il primo punto incontra l'interesse di Berlino, il secondo viene respinto.


[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Vor neuen Konfrontationen (II).
[3] S. dazu Kollateralschäden im Führungskampf.
[4] S. dazu Zwischen China und den USA.
[5] Jacques Schuster: Deutschland sollte Macron nicht über den Weg trauen. welt.de 01.02.2020.
[6] La France doit-elle partager son arsenal nucléaire avec l'UE? Oui, selon un proche d’Angela Merkel. ouest-france.fr 03.02.2020.
[7] Hans Monath: "Wir sollten uns an nuklearer Abschreckung beteiligen". tagesspiegel.de 02.02.2020. S. dazu Griff nach der Bombe (III).
[8] Leo Klimm, Paul-Anton Krüger: Macron drängt zum Dialog über atomare Abschreckung. sueddeutsche.de 07.02.2020.


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domenica 9 febbraio 2020

Piccole guerre franco-tedesche

Oltre alla condivisione dell'atomica francese, gentilmente declinata dal presidente Macron, Parigi e Berlino si scontrano su diverse questioni scottanti ancora aperte: l'asse franco-tedesco non è poi così saldo come potrebbe sembrare. Ne scrive il sempre ben informato Lost in Europe


Gli inglesi sono fuori, e ora tocca ai due paesi piu' grandi dell'UE, Germania e Francia, mandare avanti la baracca. Ma invece di procedere uniti, Berlino e Parigi si mettono a litigare. Stanno persino combattendo una piccola e pericolosa guerra.

La prima controversia riguarda il futuro bilancio dell'UE. La Germania vorrebbe ridurlo, per contenere i costi post-Brexit. La Francia, invece, vuole abolire sia lo sconto tedesco che lo sconto britannico, che ora del resto non sarà più applicabile.

Non si tratta solo di soldi, ma anche di definire ciò di cui l'UE in futuro si dovrà occupare: della vecchia politica agricola, che rappresenta ancora la parte principale del bilancio europeo, o dei nuovi programmi come la protezione del clima e l'uscita  graduale dal carbone.

Berlino vorrebbe essere moderna e chiede un taglio degli aiuti agricoli "francesi" (di cui peraltro beneficiano anche le grandi aziende agricole tedesche nel Meclemburgo-Pomerania) - ma non vuole pagare un centesimo in più per l'eliminazione graduale del carbone ...

Il secondo argomento di discussione riguarda l'allargamento dell'UE. A prima vista si tratta solo di due candidati, l'Albania e la Macedonia settentrionale: la Germania vuole avviare i negoziati di adesione , la Francia li sta bloccando e chiede riforme.

Ma in verità si tratta della cosiddetta "finalità": l'UE deve comunque essere ampliata anche se questo indebolisce la coesione interna - oppure si tratta piuttosto di costituire prima un "nucleo duro" per far funzionare la baracca?

La cancelliera Merkel è per l'allargamento senza limiti, alla fine, in questo modo si amplia anche il mercato dell'export tedesco. Il presidente Macron, invece, chiede di fare prima le riforme per rafforzare la coesione e l'efficacia dell'UE ...

Il terzo argomento di scontro riguarda la Libia, Merkel appoggia il governo di unità di Tripoli, Macron l'autoproclamato generale Haftar. Al vertice di Berlino le due parti hanno comunque cercato di trovare un accordo sulla stessa linea.

Ma è proprio la Turchia ad accendere lo scontro - mentre continua ad inviare navi e combattenti dalla Turchia verso Tripoli. Il Sultano Erdogan si rifiuta apertamente di rispettare l'accordo di Merkel sulla Libia, critica Macron - ma la Cancelliera tace.

E questo non solo infiamma ancora di piu' le relazioni franco-tedesche, ma potrebbe portare ad una grave crisi nel Mediterraneo orientale e quindi nella UE e nella Nato. Erdogan continua a provocare la Grecia e Cipro con le trivellazioni per la ricerca del gas.

Conclusione: proprio dopo la Brexit le controversie franco-tedesche tornano ad inasprirsi. La piccola guerra franco-tedesca mette in ombra anche le negoziazioni dell'UE con il premier Johnson per un accordo commerciale.

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sabato 18 maggio 2019

Perché lo scontro tra Francia e Germania è destinato a proseguire

Dopo il recente riposizionamento di Macron, il cosiddetto asse franco-tedesco è sempre piu' debole. Ad allontanare Berlino da Parigi non ci sono solo le questioni di politica europea, ma anche la battaglia per le tradizionali zone di influenza geopolitica nel Mediterraneo e nei Balcani. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Lealtà limitata

A fine aprile il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una nuova fase "di confronto" con la Germania. Lo sfondo sul  quale si svolge lo scontro: mentre il governo tedesco chiede la piena lealtà francese per imporre gli interessi tedeschi nell'UE, Berlino invece continua sistematicamente a contrastare ogni proposta avanzata da Parigi per la difesa degli interessi francesi [1]. Macron, che in materia di politica europea a causa del blocco di Berlino è rimasto a bocca asciutta, e in politica interna si trova con le spalle al muro, già da febbraio ha iniziato a negare al governo tedesco la fedeltà a cui da tempo a Berlino si erano abituati. Tra le altre cose, il gasdotto Nord Stream 2, per il quale sorprendentemente è venuto a mancare il supporto francese. Per Berlino, che dal gasdotto spera di ottenere dei significativi benefici, si tratta senza dubbio di un duro colpo.

Contro il candidato tedesco

Il nuovo corso politico di scontro annunciato apertamente verso la fine di aprile, è proseguito anche a maggio. Così Parigi in occasione del vertice informale dell'UE di giovedi scorso a Sibiu ha presentato una proposta in materia di politica climatica che chiede all'UE di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030, piu' rapidamente del previsto, e di diventare "carbon neutral entro e non oltre il 2050". La proposta, concordata dal presidente francese con altri sette paesi dell'Unione europea, che tuttavia non era stata discussa con la Repubblica federale, non è passata, come era prevedibile. Berlino, infatti, in considerazione del sostegno del governo all'industria automobilistica tedesca, l'ha bocciata. Oltre a ciò Macron - con l'appoggio non secondario del primo ministro lussemburghese Xavier Bettel - si è pronunciato contro il meccanismo che prevede che il candidato di una delle diverse famiglie politiche europee possa essere eletto come successore del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Si ritiene "non vincolato da questo modello", ha detto Macron a Sibiu. [3] Si stava rivolgendo infatti al candidato alla Presidenza della Commissione del gruppo che probabilmente dopo l'elezione di fine maggio sarà il piu' numeroso al Parlamento europeo, cioè Manfred Weber della CSU, il leader del Partito popolare europeo (PPE).

Nell'area di egemonia tedesca

La resistenza di Macron all'egemonia tedesca non riguarda solo la politica europea, ma anche la classica politica estera. Ad esempio, il 30 aprile scorso il governo francese ha annunciato una nuova strategia per l'Europa sud-orientale che prevede nuove attività soprattutto nei sei paesi della regione non ancora nell'UE [4]. Oltre all'espansione delle relazioni politiche, è previsto un ampliamento anche di quelle economiche; fra le altre cose, Parigi metterà immediatamente a disposizione dei fondi per lo sviluppo fra i 100 e 150 milioni di euro. Ad essere intensificata sarà soprattutto la cooperazione militare: oltre ad un rafforzamento della cooperazione per la formazione in Francia degli ufficiali dell'Europa sud-orientale, ci sono anche dei piani per coinvolgere sempre di più i soldati della regione nelle operazioni militari francesi. [5] Già a febbraio, l'ex ministro francese degli affari europei, Nathalie Loiseaux, durante una visita in Serbia aveva firmato degli accordi dettagliati per una più stretta cooperazione economica 

Vecchie alleanze

Con il suo rinnovato slancio nell'Europa del sud-est, la Francia non solo torna ad essere attiva in una regione che tradizionalmente viene considerata dalla Germania come la sua principale area di influenza. Riprende anche delle vecchie relazioni con degli ex-alleati in un quadro di contrasto all'egemonia tedesca. La Serbia pertanto sarà al centro della nuova politica francese nell'Europa sud-orientale. Nel mese di marzo, pochi giorni dopo la visita a Belgrado del Ministro per gli affari europei francese, il Ministero degli Esteri francese, in una dichiarazione appositamente redatta, ha sottolineato l'importanza della stretta cooperazione franco-serba, iniziata nel 1838. [6] A partire dagli anni '90 del secolo scorso la cooperazione tuttavia è stata duramente messa alla prova: da quando cioè la Germania ha schierato con sé l'intera UE in una posizione ostile alla Serbia - fino alla guerra. Parigi invano all'epoca aveva tentato di impedire l'escalation dell'aggressione condotta da Bonn [7]. Macron, inoltre, a luglio intende visitare Belgrado. Parigi infatti sta ristabilendo la sua tradizionale politica nell'Europa sud-orientale, e lo fa scontrandosi con gli interessi di Berlino

Contrappeso all'allargamento ad est

Lo stesso vale per la politica mediterranea. Un po' più di dieci anni fà, il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già cercato di ribilanciare l'orientamento unidirezione dell'UE verso l'Europa orientale e sud-orientale. Fino ad allora, infatti, l'espansione verso est dell'Unione aveva indirizzato le risorse e la capacità dell'UE prevalentemente verso la tradizionale sfera d'influenza tedesca ad est del continente e in questo modo aveva dato alla Germania dei chiari vantaggi politici ed economici.  Con la fondazione dell'Unione del Mediterraneo, Sarkozy aveva cercato di creare un contrappeso mediterraneo nella tradizionale area di interesse francese in Nord Africa e nel Medio Oriente [8]. Berlino finora è sempre riuscita a frenare il progetto. Ora Macron invece intende rilanciare quella proposta. Fra poco meno di sei settimane (23-24 giugno) si terrà a Marsiglia un summit ("Sommet des deux rives", "Forum de la Méditerranée"), che intende intensificare la cooperazione fra i cinque paesi dell'Europa meridionale (Francia, Portogallo, Spagna, Italia, Malta) e cinque paesi nordafricani (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia). Macron si riallaccia esplicitamente ai piani di Sarkozy.

Non c'è più una minoranza di blocco

Il nuovo corso di Parigi trae slancio dalla prospettiva secondo cui Berlino dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non avrà più una minoranza di blocco per difendere la sua politica di austerità. Lo ha ripetutamente sottolineato anche l'ex presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn. La minoranza di blocco richiede almeno quattro stati con il 35% della popolazione dell'UE. Nelle controversie in materia di austerità, ispirate da Berlino, infatti, la Germania era sempre stata in grado di contare sull'appoggio di Londra. H.W. Sinn scrive a tal proposito: "con la Gran Bretagna nell'UE, i paesi del nord hanno sempre avuto il 38 % dei voti da opporre ai paesi meridionali dell'UE, senza gli inglesi sarà solo il 30 % .." [9 ] La Francia, che sinora si è sempre ribellata invano contro l'austerità dettata da Berlino, all'interno di un'alleanza con i paesi del sud Europa, avrà la possibilità di scrollarsi di dosso, almeno in parte, la spietata presa di Berlino sulla sua economia.
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[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Die Macht der Röhren.
[3] Matthias Kolb, Alexander Mühlauer: Macron schmiedet Pakt gegen Weber. sueddeutsche.de 13.05.2019.
[4] Es handelt sich um Albanien, Bosnien-Herzegowina, Mazedonien, Montenegro, Serbien und die illegal von Serbien abgespaltene Provinz Kosovo.
[5] Stratégie française pour les Balkans occidentaux. diplomatie.gouv.fr mai 2019.
[6] Commémoration des 180 ans des relations diplomatiques entre la France et la Serbie. diplomatie.gouv.fr.
[7] S. dazu Kein Tandem.
[8] S. dazu Im Schatten
[9] Florian Schwiegershausen: "Brexit ist ein Zeichen der Dummheit". weser-kurier.de 04.12.2018.





domenica 5 maggio 2019

Heiner Flassbeck: la misericordia non può sostituire la politica

"Un presidente francese competente avrebbe ringraziato educatamente per la disponibilità dei super-ricchi a sostenere la ricostruzione di Notre Dame, ma avrebbe immediatamente respinto l'offerta. Avrebbe detto che proprio alla luce di questa disponibilità, l'abolizione della tassazione sui patrimoni è stato un grande errore che sarà immediatamente corretto", cosi' il grande economista Heiner Flassbeck commenta le politiche di Macron e il tentativo del presidente francese  di copiare dai vicini di là dal Reno. Un commento molto interessante di Heiner Flassbeck su Makroskop


Lo stato francese a fine 2018 aveva esonerato i ricchi e i super ricchi del paese dal pagamento della tassa sui patrimoni e ora sono proprio gli stessi ricchi a sollevare lo stato dal peso della ricostruzione di Notre Dame. Si stima che gli sgravi fiscali per i ricchi applicati a partire da gennaio 2018 siano stati di almeno tre miliardi di euro all'anno. Ora vorrebbero restituire qualcosa allo stato e al "loro presidente". Non è questa la vera giustizia?

I super-ricchi hanno già donato quasi un miliardo di euro. Sembra grandioso, ma quanti anni servono per compensare lo sgravio di tre miliardi di euro all'anno e per giustificare il miliardo donato una tantum? Cento anni o addirittura 200? La cosa è fondamentalmente semplice e i Gilet Jaunes lo dicono altrettanto chiaramente: quelli che fanno di tutto per non pagare le tasse, quando si tratta di misericordia e generosità, semplicemente non hanno alcuna credibilità.

La fortuna dei ricchi

A volte la lingua aiuta a identificare in maniera chiara i fatti. In tedesco, la parola patrimonio (Vermögen) ha qualcosa a che fare con l'abilità. Si dice che qualcuno "fa" (vermöge) qualcosa quando si ritiene che sia in grado di fare qualcosa. In francese, per indicare un patrimonio (così come in inglese) si usa la parola "fortuna" (fortune). Ed è la stessa parola usata per indicare la fortuna. Sarà molto piu' facile quindi per la società chiedere a coloro che hanno avuto "fortuna", anche senza essere stati in grado di "fare qualcosa", di condividere una parte della loro fortuna con gli altri.

A tale riguardo, il presidente Macron non ha saputo spiegare la sua decisione di ridurre drasticamente la tassa sulla ricchezza (esiste solo una tassa sulla proprietà immobiliare, i patrimoni ne sono completamente esenti) ai suoi compatrioti. Ha sostenuto che bisognava ridurre le tasse a coloro che garantiscono delle prestazioni elevate. Ma chi dispone di una fortuna, non deve necessariamente essere un "top performer". In Germania, puoi rivendere un concetto come questo senza che la gente scenda per strada in massa, perché la lingua aiuta ad occultare i fatti. In Francia ovviamente non è così facile.

La comunicazione non basta

La sera del 15 aprile, il giorno in cui Notre Dame è andata in fiamme, Macron, con un grande discorso televisivo avrebbe dovuto spiegare ai suoi connazionali il risultato del suo lungo viaggio fatto di incontri e discussioni attraverso il paese. Il presidente ha speso ore e giorni a discutere dei problemi della Francia con i sindaci e gli esperti per trovare delle nuove soluzioni ai problemi. Probabilmente avrebbe voluto annunciare di aver fatto ancora una volta delle correzioni alle "riforme", per cercare di calmare gli animi surriscaldati emersi dal movimento dei giubbotti gialli.

Ma probabilmente anche questo non avrebbe avuto grandi effetti. La Francia semplicemente non capisce cosa ha fatto di sbagliato. L'inflazione non c'è più, sin dai tempi di Hollande si fanno le riforme, i redditi della massa da anni non crescono, lo stato continua a risparmiare, ma il paese non fa un passo in avanti. Solo i super ricchi diventano sempre più ricchi.

Il fatto che il Paese venga messo sotto sopra senza migliorare la propria situazione economica ha una semplice ragione: la Francia vive in un ambiente macroeconomico inadeguato. Questo ambiente è chiamato "unione monetaria europea". Se vivi in ​​un simile ambiente, anche la migliore volontà e la migliore "politica di riforma" non ti aiuteranno.

Il ruolo del sistema

Ma proprio laddove si dovrebbe riflettere seriamente sul sistema, in Francia come nella maggior parte degli stati membri dell'unione monetaria, affiora un riflesso semplice. Si guarda al grande vicino e si dice, sì, se con questo sistema a loro le cose vanno bene, allora probabilmente non può dipendere dal sistema. Ed è esattamente su questo punto che non si riesce a venirne fuori intellettualmente. Anche se è ovvio chiedersi se le condizioni di un paese si possano applicare anche ad un altro. Ma - lo si può constatare con facilità - non si riesce a porre questa domanda logica ad un livello politico. (...)

Le viti di regolazione decisive 

Ci sono esattamente tre leve macroeconomiche che possono essere utilizzate per stimolare un'economia stagnante in chiave espansiva. Una è il tasso di interesse, la seconda è il tasso di cambio reale, cioè la competitività internazionale, e la terza è la politica fiscale. Naturalmente, il peso di questi fattori varia da paese a paese. Ma è anche chiaro che colui che non ha a disposizione nessuna delle tre leve si trova in una situazione difficile.

Se la situazione è quella comune alla maggior parte dei paesi occidentali - in cui lo strumento del tasso di interesse è stato ridimensionato, senza alcun effetto, dato che l'andamento dei salari è deflattivo e nessuno vuole intervenire in questo ambito - rimangono solo due viti. Uno è il tasso di cambio reale, il cui utilizzo nell'unione monetaria europea è stato completamente abbandonato. Qui, paesi come l'Italia e la Francia non possono ottenere nessun effetto, perché qualsiasi tentativo di migliorare la propria competitività attraverso la moderazione salariale contribuisce ad affondare l'economia interna e provoca più danni di quanti non se ne possano compensare con le esportazioni.

La Germania, invece, grazie ai suoi lunghi anni di dumping salariale praticati sin dall'inizio dell'unione monetaria si è assicurata un vantaggio che non è piu' possibile recuperare. Sebbene la moderazione salariale abbia almeno inizialmente indebolito il mercato interno, grazie ai lunghi anni della svalutazione reale interna il settore dell'esportazione è diventato così grande che l'elevato livello di competitività (un basso tasso di cambio reale) è un fattore con un effetto costantemente positivo, sebbene i salari, e con essi la domanda interna, abbiano leggermente recuperato. Negli altri paesi, tuttavia, l'elevato tasso di cambio reale influisce in maniera costantemente negativa, senza che questi paesi abbiano alcun mezzo per compensarlo.

... non esiste in Europa

Rimane la politica fiscale. Qui i paesi dell'unione monetaria sono vincolati dai trattati, incluso il trattato di Maastricht. Se si parla di questi problemi nei negoziati e nelle conferenze internazionali, si ottiene una risposta incredibilmente semplice: i trattati non possono essere modificati, anche se ci fosse la volontà di farlo, perché è necessaria l'unanimità, che come possibilità politica è da escludere. Poiché dopo il referendum sulla Brexit l'uscita dalla moneta unica agli occhi di un normale politico è diventata ancora piu' insensata di quanto non non fosse in precedenza, resta solo la politica piccola-piccola, alla quale si lavora nella speranza che in qualche modo prima o poi possa accadere un miracolo "tedesco".

Macron giustamente a causa del suo stile e del suo comportamento presidenziale ha ricevuto molte critiche. Ma sostanzialmente si è solo unito alla lunga schiera di politici che dopo tutto non sanno cosa fare. Il fatto che abbia voluto aiutare i ricchi con un'enorme riduzione dell'imposta sulla ricchezza è anche logico: sono stati proprio loro, infatti, a spianargli la strada verso il potere. Il fatto che abbia fatto riferimento alla quasi-abolizione della tassa sulla ricchezza in Germania, ha reso naturalmente più facile rivendere questa forma di pura (e inutile) redistribuzione come una misura di politica economica per stimolare gli investimenti.

Dal momento che la maggior parte degli economisti accademici non ha alcuna comprensione dei rapporti macroeconomici generali, e la stragrande maggioranza dei media, a causa dei loro editori, sono appiattivi sul neoliberismo, mentre i politici stessi e una gran parte dei loro staff sono composti da giuristi, si può ritenere che su molti punti cruciali semplicemente non esista un rigoroso pensiero macroeconomico. Ovviamente a fronte di difficili ostacoli istituzionali puoi anche trovare delle soluzioni, ma devi sapere di cosa si tratta veramente e cosa c'è in gioco. Le cose in Europa dovranno andare molto peggio, anche solo prima di tentare soluzioni del genere.

Solo una coerente riflessione macroeconomica può impedire che nuove manipolazioni e contraffazioni, come ad esempio la riduzione delle tasse per i ricchi o per le imprese, possano essere seriamente prese in considerazione come un antidoto alla crisi economica. Ma è esattamente quello che accadrà ancora una volta in Germania. Il ministro federale  delle finanze e quello dell'economia sono classici esempi di politici completamente sopraffatti da questa situazione, probabilmente circondati da alti funzionari con la loro stessa polarizzazione.

La misericordia non è politica

La filantropia può certamente esistere in una società funzionante. Ma non deve, come invece oggi sembra essere la norma, sostituire la politica sociale e giustificare la rinuncia a politiche redistributive. La coesione della società non è garantita dalle donazioni volontarie o da quelle basate per lo piu' sull'interesse dei ricchi, ma solo da una politica che fin dall'inizio fa in modo che le differenze tra i ricchi e i poveri non siano troppo grandi. Per riequilibrare la "fortuna", non bisogna lasciarla solo nelle mani di chi l'ha ottenuta.

Un presidente francese competente avrebbe ringraziato educatamente per la disponibilità dei super-ricchi a sostenere la ricostruzione di Notre Dame, ma avrebbe immediatamente respinto l'offerta. Avrebbe dovuto dire che proprio alla luce di questa disponibilità, l'abolizione della tassazione sui patrimoni è stata un grande errore che sarà corretto immediatamente. La società, avrebbe dovuto dire, è disposta ed è in grado di guidare la ricostruzione in un modo tale che alla fine ogni francese potrà dire di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità, e che tutto quello che ci si aspettava da un governo democraticamente eletto è stato fatto.
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