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lunedì 16 settembre 2019

Marcel Fratzscher - Perché bisogna fermare il vittimismo e il nazionalismo della stampa popolare

Per Marcel Fratzscher il vittimismo della Bild Zeitung e gli attacchi alla BCE da parte della stampa tedesca sono piu' che altro una forma di nazionalismo miope che ignora gli enormi benefici che la Germania sta avendo dalla lunga stagione dei tassi a zero. Ne scrive la colomba Marcel Fratzscher su Handelsblatt


Il grido di indignazione levatosi dalla Germania giovedì scorso quando la BCE ha annunciato un nuovo pacchetto di misure è stato molto forte. Raramente fin ad ora l'argomento era stato trattato dalla maggior parte dei media tedeschi in maniera cosi' emotiva - i quali hanno attaccato la BCE in maniera cosi' dura.

La "Bild Zeitung" ha mostrato il presidente della BCE Mario Draghi come se fosse un vampiro che succhia il sangue dai conti dei piccoli risparmiatori e costringe le persone a fare debiti. È arrivato il momento di rimuovere dal dibattito il nazionalismo e l'ideologia, e di fondarlo su fatti ed elementi concreti. Un simile dibattito, nel nostro paese, servirebbe a smascherare molti falsi miti.

Il primo mito è quello del risparmiatore tedesco vittima della politica monetaria della BCE. È vero che i tassi di interesse a zero rendono estremamente difficili le forme di previdenza integrativa privata, soprattutto per i piccoli risparmiatori che non possiedono una abitazione propria, oppure che non hanno azioni. Ma è anche vero che la responsabilità dei bassi tassi di interesse non è della BCE, ma della politica.

L'interesse è il prezzo del denaro e poiché ogni anno in Germania risparmiamo il 7% del PIL, i tassi di interesse devono per forza restare bassi. Il problema non è tanto l'elevato livello di risparmio dei cittadini, piuttosto gli elevati risparmi e i bassi investimenti delle imprese e dello stato.

Soprattutto in questi periodi economici difficili, è urgente che il governo tedesco stabilizzi l'economia con un programma di investimenti e crescita di lungo periodo al fine di far risalire i tassi di interesse.

Lo stato tedesco è anche il principale beneficiario dei bassi tassi di interesse, grazie ai quali ogni anno risparmia 45 miliardi di euro di interessi sul debito. Il governo federale avrebbe potuto trasferire ai contribuenti questi risparmi attraverso la riduzione delle tasse, come l'abbassamento dell'IVA o la riduzione dei contributi sociali, ma invece ha preferito abolire in parte o del tutto il "Soli", non a beneficio dei piccoli risparmiatori, ma dell'alta borghesia.

Il secondo mito individua nelle banche le vittime della politica monetaria: è puro cinismo quello dei dirigenti delle banche tedesche che accusano la BCE di aver distrutto il sistema finanziario. Il fatto è che le banche con i loro comportamenti sono responsabili della crisi finanziaria globale del 2008/09, senza la quale oggi non ci sarebbero tassi di interesse a zero.

Invece di lamentarsi della BCE, le banche dovrebbero assumersi la responsabilità dei loro comportamenti. Il problema maggiore della BCE - e la ragione dei tassi negativi sui depositi - è che le banche non stanno adempiendo al loro compito di prestare denaro e in questo modo rallentano la ripresa economica dell'Europa. Senza le necessarie riforme del sistema bancario, i tassi di interesse non aumenteranno.

Il terzo mito è quello della Germania vittima della BCE. Non malgrado, ma grazie alla politica monetaria della BCE, l'economia tedesca sta andando cosi' bene.

Proprio l'economia tedesca, a causa della sua elevata dipendenza dalle esportazioni, ha notevolmente beneficiato dei bassi tassi di interesse, dell'abbondanza di credito, della salvaguardia della stabilità economica dell'Europa e di un euro relativamente debole 

Le lamentele di alcuni tedeschi secondo le quali la BCE starebbe assumendo dei rischi troppo elevati all'interno del sistema di pagamento Target oppure con i suoi prestiti è cinica: la Germania vuole trarre profitto dall'euro, ma essa stessa dovrebbe contribuire il meno possibile al successo della valuta comune.

E se alcuni continuano a lamentarsi del fatto che nelle decisioni della BCE la Bundesbank è stata messa in minoranza, bisogna dire che anche il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si è pronuncato in favore di una riduzione dei tassi sui depositi.

Il quarto mito riguarda il ruolo della BCE. Molti in questo paese desiderano che la BCE costringa i governi a risparmiare e a fare le riforme, proteggendo al contempo i piccoli risparmiatori e le banche. In Italia e in Spagna, molti invece chiedono che la BCE riduca in maniera permanente il debito pubblico o riformi le banche.

Niente di tutto ciò è compito della BCE, e fallirebbe miseramente se solo tentasse di farlo. La politica ha affidato un compito centrale alla BCE: mantenere la stabilità dei prezzi. La BCE non è riuscita a farlo e quindi non ha altra scelta che continuare la sua politica monetaria espansiva fino a quando i prezzi non saranno nuovamente stabili. Tutto il resto è compito della politica.

In Germania abbiamo bisogno di un dibattito onesto sui tassi di interesse e sulla politica monetaria, e non di un dibattito guidato dall'ideologia o dal nazionalismo. Invece di abusare della BCE come capro espiatorio per gli errori della politica economica e finanziaria - e quindi danneggiarla - i politici, i media e gli economisti dovrebbero avviare un discorso responsabile su ciò che dovrebbe essere fatto per determinare la fine della stagione dei tassi di interesse a zero, che tutti noi del resto desideriamo.



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sabato 14 settembre 2019

Perché le banche tedesche grazie alla BCE risparmieranno piu' di 500 milioni di euro all'anno

Al di là della solita narrazione fatta dalla stampa popolare, secondo i dati diffusi dall'Associazione bancaria tedesca, grazie alle recenti decisioni della BCE gli istituti finanziari tedeschi risparmieranno almeno 500 milioni di euro all'anno. Ne scrive Handelsblatt


Le nuove regole della Banca centrale europea (BCE) sui tassi di deposito faranno risparmiare alle banche tedesche circa 520 milioni di euro di oneri per interessi sui depositi. Lo ha chiarito venerdì l'Associazione bancaria tedesca (BdB) su richiesta delle agenzie di stampa Bloomberg e Reuters. Il BdB fa riferimento a dei calcoli propri.

La BCE Giovedi, tra le altre cose, ha ridotto il tasso di interesse negativo per le banche che depositano denaro presso la banca centrale. Il cosiddetto tasso sui depositi è sceso a - 0,5 %, rispetto al precedente - 0,4 %. Il segno meno sui tassi di deposito significa che gli istituti devono pagare delle penalità se parcheggiano i fondi in eccesso presso la banca centrale.

Allo stesso tempo, le autorità monetarie hanno annunciato uno scaglionamento, in modo che una parte della liquidità in eccesso depositata dalle banche venga esentata dagli interessi negativi. La BdB si aspetta per il futuro oneri inferiori per le istituzioni finanziarie tedesche, nonostante l'aumento dei tassi di interesse negativi.

Le precedenti regole sui tassi di deposito erano costate alle banche tedesche quasi 2,4 miliardi di euro all'anno, secondo i dati BdB. Grazie all'introduzione dello scaglionamento, le banche tedesche dovranno pagare circa 1,9 miliardi di euro all'anno per il loro denaro parcheggiato presso la banca centrale, ha riferito venerdì l'associazione bancaria. Senza lo scaglionamento, secondo la BdB, gli oneri per le banche tedesche sarebbero saliti a circa tre miliardi di euro all'anno.

Se si guardano tutte le banche dell'eurozona, lo sgravio netto secondo i dati BdB è di circa 2,2 miliardi di euro all'anno. Piu' di recente gli istituti europei hanno dovuto pagare tassi negativi sui depositi per 7,2 miliardi di euro all'anno. La riduzione del tasso di interesse a - 0,5% da solo farebbe passare questa cifra a nove miliardi di euro. Considerando lo scaglionamento, tuttavia, alla fine si ottiene un risultato di quasi cinque miliardi di euro, sempre secondo i calcoli della BdB.
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venerdì 13 settembre 2019

Divergenze insanabili fra BCE e governo tedesco

Negli ambienti governativi di Berlino è sempre piu' forte lo sconcerto per le politiche monetarie della BCE. Da un lato il governo tedesco è consapevole che l'euro nella sua forma attuale puo' sopravvivere solo con i tassi a zero, dall'altro fra i risparmiatori e gli elettori cresce la rabbia nei confronti di una banca centrale responsabile della distruzione dei risparmi di milioni di tedeschi, almeno secondo la narrazione che ne fa la stampa popolare. Per i populisti di AfD si aprono ampi spazi politici sui quali costruire un vasto consenso elettorale. Ne scrive Handelsblatt


(...) Questa volta la direzione presa dalla politica monetaria potrebbe avere delle conseguenze particolarmente serie, sia politiche che economiche. Ad esempio, secondo le informazioni in possesso di Handelsblatt, negli ambienti governativi di Berlino ci sarebbe una grande preoccupazione per il rischio che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump possa considerare un ulteriore allentamento della politica monetaria europea come una deliberata manipolazione del tasso di cambio - e che ciò possa riaccendere il conflitto commerciale. 

Se la BCE dovesse spingere ancora verso il basso i tassi di interesse, molti politici inizierebbero a temere una rivolta degli elettori. La maggior parte dei tedeschi (53 per cento), infatti,  ritiene che la propria pensione integrativa sia a rischio a causa della politica dei bassi tassi di interesse. Questo è il risultato di un sondaggio condotto dall'istituto di ricerca d'opinione Yougov per conto di Handelsblatt.

"La BCE non potrà essere in eterno un freno ai tassi di interesse", ha dichiarato il vice capogruppo dell'Unione, Andreas Jung (CDU). I risparmiatori e le persone che fanno previdenza integrativa per la vecchiaia dovrebbero essere aiutati, non puniti. "Il libretto del risparmio non deve essere una contravvenzione", ha detto sempre Jung. E l'esperto di politica finanziaria della CSU, Hans Michelbach, ha detto: "abbiamo bisogno di un cambio di rotta, dobbiamo andare verso una politica dei tassi di interesse in grado di riflettere i rischi e quindi guidata dal mercato".

Alla BCE, al contrario, c'è poca comprensione per le critiche tedesche espresse nei confronti della banca centrale. Soprattutto negli ambienti vicini alla banca centrale europea c'è la consapevolezza della necessità di prendere delle contromisure in quanto l'economia tedesca sta entrando in una fase di recessione, ma il governo di Berlino non la sta contrastando e preferisce invece restare ancorato allo "Schwarze Null".

Il fossato tra la BCE e la capitale tedesca non era mai stato così profondo come in questi ultimi giorni. Già nel mese di giugno Draghi aveva annunciato l'intenzione di allentare ulteriormente la politica monetaria a partire dall'autunno. Poco dopo, diversamente dalle speranze di molti in Germania, ad essere designato come il successore di Draghi alla guida della BCE, non era stato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, ma il capo del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. È molto probabile che la francese, dopo aver assunto l'incarico a novembre, continuerà ad applicare la politica del denaro a buon mercato di Draghi, senza alcuna soluzione di continuità.

Entrambi in Germania hanno riacceso il dibattito sulla politica monetaria della BCE. Così il presidente della CDU Annegret Kramp-Karrenbauer a luglio aveva dichiarato che per "il futuro si dovrà verificare se è necessario chiudere la fase dei bassi tassi di interesse". Tali osservazioni politiche nei confronti di una banca centrale indipendente in precedenza sarebbero state un no-go, ora invece si possono ascoltare regolarmente e stanno diventando sempre piu' dirette.

A metà agosto, la "Bild" aveva pubblicato una lettera di protesta del presidente dell'associazione delle Casse di risparmio tedesche Helmut Schleweis. "Avete abolito i tassi di interesse. La previdenza integrativa di milioni di persone si sta sciogliendo come neve al sole", aveva scritto Schleweis. Rivolgendosi a Draghi aveva poi scritto: "in questo modo lei sta modificando l'Europa, la Germania e la vita di milioni di persone - non in meglio, ma in peggio e nel lungo periodo." La campagna sui tassi di interesse ha poi riscosso un certo successo. Il primo ministro bavarese Markus Söder (CSU), ad esempio, ha proposto di vietare i tassi di interesse negativi sui conti correnti. Il ministro delle finanze Olaf Scholz ha annunciato che avrebbe esaminato la proposta - con grande stupore dei suoi funzionari, che considerano l'iniziativa del loro ministro un'iniziativa a carattere populista.

Con le critiche alla BCE, la politica non si sta rivolgendo solo ai piccoli risparmiatori, ma anche alle sofferenti istituzioni finanziarie tedesche. Il proseguimento della stagione dei bassi tassi di interesse "nel lungo termine rischia di distruggere il sistema finanziario" ha avvertito il politico della CSU Michel Bach. La politica del denaro a basso costo aumenta i loro problemi, motivo per cui i dirigenti delle banche stanno sempre piu' prendendo di mira la BCE. "Nel lungo periodo, i bassi tassi di interesse rovinano il sistema finanziario", ha detto Christian Sewing, CEO di Deutsche Bank. Il presidente del gruppo assicurativo cooperativo R+V, Norbert Rollinger, avverte: "c'è il rischio di una distruzione del sistema bancario nella sua forma attuale". Le conseguenze per i suoi diversi settori sarebbero sempre piu' gravi, ha detto Rollinger in un'intervista ad Handelsblatt .

A Francoforte, il gran rullar di tamburi tedesco, tuttavia, genera un certo senso di impotenza e incomprensione. Draghi è stato a Berlino poco più di una settimana fa e lì ha incontrato la cancelliera Angela Merkel. Per il resto ha rinunciato ad ogni ulteriore tentativo di convincere i tedeschi in merito alla bontà della sua politica monetaria. Il fatto che il presidente della BCE ignori lo stato d'animo della più grande economia della zona euro, anche all'interno della BCE, da molti viene vissuto come un errore. Lagarde sicuramente proverà a riannodare i fili con Berlino. Ma anche la donna francese, che a differenza del silenzioso Draghi riuscirà ad impacchettare i messaggi difficili con un certo charme, rischia di andare a sbattere abbastanza alla svelta contro i suoi limiti.

Colpa reciproca

A Francoforte tuttavia prevale una visione dei fatti completamente diversa rispetto a quella predominante a Berlino. "È frustrante il fatto che la Germania sia una parte del problema e che a Berlino nessuno riesca a capirlo", si dice nel giro dei banchieri centrali. Non vi è dubbio che l'industria tedesca negli ultimi mesi si è fermata. E ciò minaccia di far scivolare l'intera area dell'euro in recessione. La Germania potrebbe contrastare la situazione aumentando la sua spesa pubblica. "Anche se si trattasse di qualche miliardo, il solo annuncio di voler rinunciare allo Schwarze Null, avrebbe un forte effetto simbolico", si dice nei circoli vicini alla banca centrale. "Ma nessuno a Berlino è pronto a farlo".

La BCE non è la sola ad aver fatto una simile richiesta. Persino l'economista statunitense Larry Summers afferma che le banche centrali con i loro mezzi ormai possono fare ben poco. Per questo c'è una richiesta molto forte di politica fiscale: "ad essere responsabile per gli effetti negativi dei bassi tassi di interesse sui risparmiatori e sulle banche non è la BCE, ma è la politica", afferma Marcel Fratzscher, a capo dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW). "La Germania, in quanto maggiore economia del continente, ha un ruolo speciale nella politica finanziaria e monetaria in Europa", afferma Sven-Christian Kindler, capogruppo per i Verdi in commissione bilancio. "Merkel e Scholz ora devono scendere dallo Schwarze Nulle ed eliminare il freno agli investimenti."

Ma anche su questo punto molti economisti della BCE non sono d'accordo: le critiche a Draghi crescono anche fra le sue fila. Ad esempio, il presidente della Bundesbank Weidmann, la direttrice della BCE Sabine Lautenschläger, come anche Klaas Knot e Robert Holzmann, i banchieri centrali dei Paesi Bassi e dell'Austria, hanno espresso scetticismo nei confronti di una politica monetaria più espansiva. Tutti la pensano piu' o meno come Summers: ulteriori allentamenti non serviranno a molto.

Molti esperti la vedono più o meno in questo modo: "Non è credibile pensare che le aziende investano di più a causa degli interessi negativi oppure che scelgano di finanziarsi in maniera diversa", afferma Hans Redeker, esperto di cambi per la banca americana Morgan Stanley. "Se non accade nulla di tutto ciò e la politica va avanti comunque, è chiaro che ci saranno degli effetti sulla valuta."

Prima che i bassi tassi di interesse abbiano effetti sugli investimenti c'è bisogno di tempo. Il tasso di cambio al contrario reagisce immediatamente. Quando nell'agosto 2014 Draghi ha annunciato che la BCE avrebbe acquistato obbligazioni, l'euro si è deprezzato di circa il 20% rispetto al dollaro prima ancora che la BCE iniziasse ad acquistare una singola obbligazione. Anche dopo l'annuncio di Draghi di giugno, l'euro ha ceduto immediatamente. E questo è positivo per gli esportatori europei perché abbassa il prezzo dei loro beni all'estero. Allo stesso tempo rende le esportazioni delle aziende statunitensi piu' costose. E a qualcuno ciò non piace: Donald Trump.

"Draghi sottovaluta completamente le conseguenze piu' importanti della sua politica", si dice negli ambiti governativi di Berlino: "Quali vantaggi possiamo trarre da una politica monetaria che semmai ci dà un po' una mano, ma poi allo stesso tempo Trump ci ricopre di dazi?" Che potrebbe essere incline a farlo, lo mostra il Tweet di Trump di mercoledì: "Gli Stati Uniti dovrebbero essere il paese con i tassi di interesse più bassi!"

Draghi presterà a questo messaggio solo un minimo di attenzione, come del resto recentemente ha fatto anche il capo della Fed Jerome Powell. Per questa ragione è stato definito da Trump uno "sciocco".

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martedì 10 settembre 2019

E' tutta colpa dell'italiano...ma anche no!

I populisti non esistono solo nell'Europa del sud, ma anche nel civilissimo nord, e a quanto pare hanno già un ruolo di primo piano nelle istituzioni finanziarie. Helmut Schleweis è il presidente delle casse di risparmio tedesche e da un po' di tempo sui giornali non perde occasione per criticare la BCE a guida italiana accusandola di aver causato gravi danni al sistema bancario tedesco. Intervistato da Handelsblatt, Schleweis ci spiega nel dettaglio quanto sia dannosa per le casse di risparmio tedesche la BCE a guida italiana, ma non riesce a pronunciare nemmeno mezza parola di critica nei confronti della politica di Berlino. Da Handelsblatt


HB: Herr Schleweis, CSU e SPD, in vista di una politica monetaria della BCE probabilmente ancora piu' espansiva, stanno pensando di vietare l'applicazione dei tassi negativi ai normali clienti privati. Una buona idea? 

Schleweis: se il divieto di applicare tassi di interesse negativi fosse esteso anche alla BCE, sarebbe un'ottima idea.

HB: ma la banca centrale è indipendente e a quanto pare Mario Draghi e i suoi colleghi aumenteranno ancora gli interessi applicati sul denaro che le banche parcheggiano temporaneamente presso la BCE. 

Schleweis: le casse di risparmio stanno dalla parte dei loro clienti. Ecco perché hanno protetto i risparmiatori dagli effetti della politica dei tassi di interesse negativi della BCE. La BCE tuttavia sta sospendendo le regole economiche ritenute valide fino ad oggi. Da tempo sottolineiamo che gli effetti un giorno avrebbero raggiunto il grande pubblico. La soluzione non può essere quella di uno stato che fissa i prezzi. Ciò non è compatibile con il nostro sistema economico e giuridico.

HB: quanto può essere seria questa discussione? Esistono già diversi pareri legali secondo i quali i tassi di interesse negativi per i clienti privati ​​sono difficili da applicare dal punto di vista giuridico, anche senza un divieto legale esplicito.

Schleweis: la politica monetaria della BCE di fatto sta abolendo tutte le norme esistenti. Un tasso di interesse negativo sui depositi e uno positivo sui prestiti fino ad ora erano inimmaginabili - e per buoni motivi. Per questa ragione il nostro  sistema legale attuale non è pronto per questa situazione. Il problema è che il mercato ora ce lo sta chiedendo. Pertanto bisogna essere molto prudenti nell'individuare ciò che è possibile e ciò che è permesso.

HB: e quale forma dovrebbe avere questa prudenza?

Schleweis: i tassi di interesse negativi sui depositi contraddicono le convinzioni fondamentali di ogni cassa di risparmio. Ma la BCE ha posto delle condizioni economiche che vanno contro i nostri consigli e le nostre critiche. Temiamo che la zona euro non uscirà da queste condizioni patologiche per molto tempo. Siamo già in grado di osservarne i risultati in Giappone, che in questo ambito ha avuto molti anni di esperienza negativa: le conseguenze sono una stagnazione economica duratura, cambiamenti strutturali nel settore finanziario e costi significativamente più elevati per i clienti delle banche. Temo che lo vedremo anche in Germania.

HB: lei ha criticato la BCE in una lettera aperta. Alla luce delle ripercussioni della politica monetaria sulla società, vorrebbe un maggiore controllo politico sulla banca centrale? 

Schleweis: una banca centrale deve essere indipendente - punto. Tuttavia, ciò riguarda solo il mandato relativo alla stabilità monetaria. Una banca centrale indipendente non deve pertanto impegnarsi in finanziamenti agli stati, intervenire in maniera significativa sul mercato dei capitali e cambiare completamente le strutture economiche. „Whatever it takes“ in questo senso è un'affermazione molto problematica. Temo che la BCE stessa con il suo interminabile flusso di denaro susciterà un dibattito sulla sua indipendenza. Perché in una democrazia il potere politico deve essere limitato e controllato.

HB: la legge sulle casse di risparmio stabilisce che il suo gruppo finanziario si impegna a tutelare il risparmio. Il tasso di interesse negativo per i clienti privati ​​di fatto non dovrebbe essere escluso? 

Schleweis: bisogna dirlo onestamente: dal punto di vista legale molte cose non sono chiare. Ma una cosa non la si puo' negare: se nel lungo periodo accettare i depositi ha un costo e se allo stesso tempo devi pagare un interesse ai mutuatari, allora qualcuno alla fine dovrà pagare il conto. In un tale quadro economico non puoi nasconderti dietro considerazioni legali. 

HB: alcune casse di risparmio chiedono già interessi sui depositi ai clienti facoltosi. Dove pensa che si possa collocare la soglia giusta per tali modelli, a un milione di euro, 500.000 euro, 100.000 euro? 

Schleweis: non posso dare alcuna raccomandazione sui prezzi delle casse di risparmio, spetta ad ogni singolo istituto deciderlo. E non vorrei motivare nessuno ad agire contro i nostri principi di fondo. Tuttavia, se le casse di risparmio alla fine saranno costrette a farlo a causa della propria responsabilità economica, dovranno fare delle considerazioni socio-politiche sulla base del loro mandato fondativo.

HB: un altro modo per compensare la politica dei tassi di interesse della BCE sarebbe la possibilità di applicare commissioni più elevate. Nel confronto europeo, i servizi bancari tedeschi sono ancora economici. Cambierà? 

Schleweis: se si analizza in modo onesto ciò che i conti correnti possono offrire oggi, si arriva effettivamente alla conclusione che in Germania i prezzi, se confrontati con il resto d'Europa, sono ancora molto moderati.

HB: questo significa che i clienti delle casse di risparmio devono adeguarsi a delle commissioni più elevate? 

Schleweis: ancora una volta, sarà ogni singola Sparkasse a dover decidere da sola, ma non si può rifuggire dal concetto di fondo: la politica della BCE sta provocando degli immensi costi economici ed aziendali. Qualcuno alla fine dovrà pagarli. Le capacità delle casse di risparmio di assorbire tali costi sono limitate.

HB: pensa che lo stato dovrà contribuire a compensare gli effetti collaterali negativi della politica monetaria nei confronti del risparmio e delle pensioni private?

Schleweis: l'attuale discussione politica, per quanto ho capito, riguarda il modo in cui si possono aiutare i redditi bassi e i piccoli patrimoni. Ne siamo convinti anche noi. Il settore pubblico finora grazie ai bassi tassi di interessi ha risparmiato circa 360 miliardi di euro. I risparmiatori privati ​​hanno perso circa 300 miliardi di euro. Sarebbe una buona idea restituire alcuni di questi fondi ai cittadini grazie a degli incentivi finanziari per la creazione del patrimonio.

HB: qual'è il vero peso dei tassi di interesse negativi sulle casse di risparmio? 

Schleweis: lo percepiamo molto chiaramente - e sempre più. Ad essere interessate sono proprio le banche che si concentrano su di un'ampia base di clienti e quindi sulle tradizionali attività di deposito e prestito. Ci è venuta a mancare una parte significativa del nostro margine di interesse e ogni anno paghiamo alla BCE una somma milionaria a tre cifre sotto forma di tasso di interesse negativo. Al momento, gli accantonamenti per le perdite sui crediti sono bassi a causa delle buone condizioni dell'economia. Ma non resterà per sempre così. Tutte le casse di risparmio devono risparmiare in maniera significativa.
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domenica 8 settembre 2019

Sostiene Scholz

Secondo la stampa italiana il Ministro delle Finanze tedesco sarebbe pronto ad aprire i cordoni della borsa e a fare piu' deficit pubblico. Le parole di Scholz riportate dalla stampa tedesca, tuttavia, descrivono uno scenario alquanto diverso. Da Handelsblatt


(...)"Facendo debiti, non si guadagna mai"

A chi chiede al governo federale, in considerazione dei tassi di interesse negativi e del rallentamento economico, di investire di piu' e di fare piu' debito, Scholz risponde molto tiepidamente: "facendo debiti, non si guadagna mai, anche se ci troviamo in uno scenario di tassi di interesse negativi", ha detto il Ministro delle finanze. "In ogni caso i debiti restano e aspettano che qualcuno li ripaghi."

In linea di principio vorrebbe continuare a perseguire una "solida politica di bilancio" e a guardare con attenzione a quali settori abbiano maggiormente bisogno di investimenti pubblici, ha affermato Scholz. A suo avviso sarebbe appropriato un aiuto per quei comuni fortemente indebitati. In linea di principio, il governo federale sta già investendo molto di più rispetto agli anni precedenti, ha affermato Scholz.


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giovedì 20 giugno 2019

Jörg Krämer: perché una procedura di infrazione contro l'Italia sarebbe controproducente

Jörg Krämer, il capo-economista di Commerzbank, su Handelsblatt ci spiega perché invece di avviare una procedura di infrazione contro l'Italia, bisognerebbe tornare alle origini dell'unione monetaria quando i singoli stati erano pienamente responsabili per il proprio debito. Per Krämer la disciplina imposta dai mercati finanziari, infatti, sarebbe piu' efficace delle procedure di infrazione della commissione. Ma cosa sarebbe accaduto a Commerzbank se il principio della responsabilità fosse stato applicato anche in passato? Ah saperlo... Da Handelsblatt


Che a prevalere nella disputa sul bilancio sia la commissione europea o il governo populista italiano, alla fine non avrà molta importanza. L'Italia continuerà a rifiutarsi di fare le riforme mettendo a repentaglio l'esistenza stessa dell'unione monetaria, almeno fino a quando non sarà essa stessa a dover sostenere direttamente il costo della sua errata politica di bilancio. Invece di imporre la sua politica di bilancio agli stati membri, l'UE dovrebbe accrescere la loro responsabilità.

E' fuori questione: il governo italiano dei populisti di sinistra e di destra persegue una politica economica irresponsabile. Sebbene il debito pubblico sia già più del doppio rispetto a quello consentito dal trattato di Maastricht, il governo intende ridurre in maniera massiccia le imposte sul reddito e annullare un aumento dell'IVA concordato con l'UE.

Minaccia inoltre di pagare le fatture ancora aperte con dei titoli di debito di piccolo taglio. Questi cosiddetti mini-bot potrebbero essere il nucleo di una valuta parallela che viola le leggi europee, dato che l'euro è l'unico mezzo di pagamento legale dell'unione monetaria.

Nel conflitto con l'UE, almeno a prima vista, i ruoli sono già chiaramente assegnati. Da buoni europei bisognerebbe schierarsi senza indugio dalla parte della Commissione europea, che nei confronti dell'Italia vuole avviare una procedura di infrazione per eccesso di deficit.

Ma la Commissione Europea, se pensa di poter forzare l'Italia ad andare contro il suo desiderio di felicità, cioè spingerla verso una politica fiscale sana, è sulla strada sbagliata. E ciò diventa ancora piu' evidente quando si osservano i due possibili risultati della disputa sul bilancio.

Lo scenario più probabile è che la Commissione europea stia facendo il viso duro, ma poi, come è già accaduto verso la fine dello scorso anno, alla fine si riesca a trovare un accordo con il governo italiano sulla base di un compromesso modesto che porta alla chiusura della procedura di infrazione. Ciò equivarrebbe ad un trionfo per il capo della Lega Matteo Salvini.

Dopo nuove possibili elezioni, la Lega potrebbe formare insieme a Forza Italia di Berlusconi e agli altri partiti minori di destra un nuovo governo senza il movimento populista di sinistra dei Cinque Stelle. La politica di bilancio irresponsabile potrebbe solo proseguire.

L'alternativa alla ritirata della Commissione europea sarebbe una  applicazione coerente della procedura di infrazione nei confronti dell'Italia - non influenzata dalle possibili turbolenze del mercato. Ma anche se la Commissione Europea fosse disposta a farlo, nel migliore dei casi riporterebbe a una vittoria di Pirro.

L'UE perderebbe anche l'ultimo spiraglio di simpatia fra gli elettori italiani, i quali non vogliono che le politiche economiche del loro paese vengano messe fuorilegge in maniera non democratica. I populisti allora soffierebbero sul fuoco del risentimento nei confronti dell'UE. In un clima così avvelenato e irrazionale, l'idea di fare le riforme necessarie all'economia di mercato non troverebbe alcun spazio. 

L'Italia mette in pericolo l'unione monetaria

Se nella disputa sul bilancio a prevalere dovesse essere la Commissione europea o se alla fine la Commissione deciderà di cedere, non è poi così importante. In entrambi gli scenari, l'Italia continuerà a rifiutarsi di fare le riforme, mettendo a repentaglio l'esistenza stessa dell'unione monetaria.

Il comportamento dell'Italia è dovuto al fatto che l'unione monetaria non tiene conto del principio di responsabilità proprio dell'economia di mercato. Non è solo l'Italia ad essere responsabile delle conseguenze della sua pessima politica economica e di bilancio. Piuttosto, se lo stato italiano diventasse troppo indebitato e quindi insolvente, porterebbe  con sé verso il fondo il resto dell'unione monetaria.

Il patrimonio netto delle banche è insufficiente per far fronte al default sui titoli di stato in loro possesso. Ma se nella terza economia della zona euro le banche dovessero crollare, verrebbe messa a repentaglio la stabilità dell'intero sistema finanziario, anche nel resto dell'area dell'euro.

I politici italiani sono consapevoli di questi effetti di contagio e ipotizzano che nel caso peggiore sarebbero espulsi dalla comunità internazionale, e in particolare dalla BCE. Questo problema di incentivi errati non può essere risolto con la tutela della politica economica dell'UE, ma solo ripristinando il principio di responsabilità.

Se gli italiani dovessero sostenere da soli i costi degli errori di politica economica, non continuerebbero a dare la loro fiducia e ad affidare il governo al populismo di destra e di sinistra. Una misura radicalmente positiva per riaffermare il principio di responsabilità sarebbe una nuova regolamentazione per la gestione del fallimento degli stati, come era già stata discussa alcuni anni fà.

Nelle condizioni delle obbligazioni verrebbe irrevocabilmente indicato che i creditori potrebbero perdere una parte dei loro soldi nel caso in cui il rapporto debito/Pil dovesse superare un determinato livello. Gli investitori verrebbero così a sapere in tempo utile se la situazione dovesse farsi pericolosa.

I rendimenti obbligazionari salirebbero sin da subito, tanto da permettere allo stato di prendere delle adeguate contromisure. Se il principio dell'auto-responsabilità dovesse sostituire la garanzia illimitata dell'UE, l'unione monetaria allora potrebbe sopravvivere anche nel lungo periodo.



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giovedì 21 marzo 2019

Handelsblatt - Con la fusione bancaria la Germania si gioca la sua credibilità

"La fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita dello stato, allora si tratterà di capitalismo di stato". Se ne sono accorti anche sulla cosiddetta stampa di qualità. Ne scrive Frank Wiebe su Handelsblatt


Il ministro delle finanze tedesco assume un alto banchiere di Goldman Sachs come sotto-segretario. Poi spinge Deutsche Bank e Commerzbank a sondare la possibilità di una fusione. Anche i fautori di questo accordo riconoscono che la riduzione dei costi di finanziamento, grazie al sostegno del governo, sarebbe uno dei principali vantaggi aziendali derivanti dalla fusione.

Se il governo tedesco, il principale azionista di Commerzbank, si fa carico di portare avanti il ​​progetto, non sarà certo il governo a piantare in asso la "Deutsche Commerzbank" - o come si chiamerà. A cosa somiglia? All'economia di mercato? Alla politica di regolamentazione? Ricorda forse la promessa di non scaricare più sul contribuente i rischi del settore bancario?

La risposta è in ogni caso: no. E cosi' la Germania sta mettendo in gioco la sua credibilità. In futuro in Europa non potremo più recitare il ruolo del professore. Cinicamente ci si potrebbe chiedere se questo sia un vantaggio o uno svantaggio. Non sono proprio i politici tedeschi che da sempre chiedono agli altri paesi dell'area dell'euro di rispettare le regole?

Non c'erano forse critiche nei confronti dell'Italia quando il governo italiano aiutava le banche piccole e medie? Non nutriamo il sospetto che in Francia il capitalismo di stato alla Colbert o alla Mitterrand sia ancora molto popolare? I richiami tedeschi suonavano sempre un po' vuoti. Un'ampia quota di mercato gestita dalle banche di diritto pubblico non puo' certo essere un modello di politica di regolamentazione.

Non solo durante la crisi finanziaria c'è stata una forte volontà di spendere denaro pubblico per salvare modelli di business falliti. Ma ancora oggi, come mostra l'esempio attuale di NordLB. Ma la fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita, allora si tratterà di capitalismo di stato. Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze sotto Luigi XIV, e il presidente socialista François Mitterrand non avrebbero potuto fare di meglio.




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domenica 10 marzo 2019

H. W. Sinn: perché la Germania non è il vero euro-vincitore

H. W. Sinn su Handelsblatt mette in discussione il risultato del famoso studio del CEP di Friburgo secondo il quale la Germania sarebbe il vero vincitore nella guerra dell'euro. Per il professore il discorso è un po' piu' complesso e lo studio del CEP sarebbe piu' che altro il tentativo di portare acqua al mulino dell'unione di trasferimento. Ne scrive H. W. Sinn su Handelsblatt


La Germania, secondo uno studio condotto da Matthias Kulla e Alessandro Gasparotti del Centro per la politica europea (CEP), sarebbe il grande euro-vincitore. Dal 1999 al 2017 l'euro avrebbe garantito alla Germania un profitto cumulato di poco meno di 1,9 trilioni di euro rispetto a un gruppo di controllo di paesi che dal 1980 al 1996 avrebbero goduto di una crescita economica simile. E' opportuno avere dei dubbi sulla portata di questi risultati.

Per la Germania, come gruppo di controllo, lo studio prende in considerazione paesi come il Bahrein, il Giappone, la Svizzera e il Regno Unito, poiché negli anni fra il 1980 e il 1996 in quei paesi è stata osservata in media una crescita pro-capite simile. Ma questo confronto non può funzionare perché i dati tedeschi a causa della riunificazione, nel bel mezzo di questo periodo, presentano una frattura strutturale.

Il fatto che il nostro paese dopo aver superato i problemi dell'unificazione sia cresciuto più rapidamente del Bahrain non ha nulla a che fare con l'euro. La gamma delle possibili spiegazioni spazia dalle riforme di Schröder, alla crescita dell'outsourcing e dell'innovazione industriale fino al boom delle costruzioni.

Naturalmente anche la svalutazione reale che la Germania ha vissuto all'interno dell'eurozona a causa dell'inflazione negli altri paesi ha permesso al PIL reale di crescere grazie alle esportazioni. Ma questa svalutazione allo stesso tempo ha reso la Germania relativamente più povera. 

Fra i paesi che oggi hanno l'euro, il PIL nominale pro-capite tedesco nel 1996 era il secondo dopo quello del Lussemburgo. Poi nella difficile fase iniziale dell'euro è sceso fino al settimo posto del 2005. Dopo la crisi finanziaria, la Germania ha fatto meglio degli altri paesi e il PIL pro capito tedesco è risalito al sesto posto, dove si trova ancora oggi. I dati di un euro-vincitore dovrebbero essere diversi.

Il problema è che le esportazioni nel calcolo del PIL sono considerate come un indice di prosperità, anche se in realtà lo diventano solo nel momento in cui sarà certo che immediatamente o successivamente potranno essere convertite in importazioni per una somma di pari valore. In effetti le eccedenze commerciali tedesche non sono sempre state investite in maniera ragionevole, e spesso sono state utilizzate per acquistare titoli di debito esteri alquanto problematici. Una parte di questi titoli consisteva in obbligazioni di dubbia utilità, in gran parte di provenienza americana, il cui mancato rimborso ha contribuito al fatto che la Germania abbia dovuto cancellare centinaia di miliardi di euro di crediti esteri dal suo bilancio delle attività nette sull'estero. 

Un'altra parte è rappresentata dai crediti contabili della Bundesbank all'interno del sistema Target, che a fine 2017 superavano i 900 miliardi di euro. Ciò rappresentava circa la metà delle attività estere tedesche residue, dopo le svalutazioni, generate grazie alle eccedenze nell'export.

I crediti Target sono crediti senza scadenza che la Bundesbank non potrà mai esigere e che vengono remunerati al tasso di rifinanziamento principale. E presto potrebbero finire nel fuoco se la Lega in Italia dovesse trasformare in realtà la sua minaccia di voler uscire dalla moneta unica. Ma anche se non dovesse accadere nulla di drammatico, restano privi di valore in quanto il loro tasso di interesse attualmente è pari a zero e probabilmente resterà a zero ancora per molto tempo. Per una società privata un credito senza scadenza, che non genera interessi e il cui tasso di interesse in seguito potrà crescere solo con l'accordo dei debitori, sarebbe un credito senza valore da svalutare completamente.

In questo contesto bisogna notare che la Germania sul suo enorme patrimonio estero netto in generale ha ottenuto solo degli interessi molto bassi. Se la Germania nel periodo che va dal dal 2008 al 2017 su queste attività estere nette avesse ottenuto lo stesso tasso di rendimento che aveva prima della crisi Lehmann, in questi anni ci sarebbero stati 600 miliardi di euro in più disponibili per il consumo di beni stranieri.

Per gli autori dello studio questi aspetti non sono rilevanti, perché il reddito proveniente dagli investimenti esteri non è nemmeno parte del prodotto interno lordo. Gli autori vedono il prodotto interno lordo tedesco come una misura di prosperità, anche se questo viene definito come i redditi dei tedeschi e degli stranieri realizzati in Germania più i deprezzamenti. Se per il loro confronto avessero usato il reddito nazionale, avrebbero potuto individuare le perdite.

Alla luce di questi deficit, lo studio del CEP dovrebbe essere considerato inutilizzabile. Ma sarà utilizzato lo stesso perché è l'acqua che serve al mulino di coloro che ora chiedono una ridistribuzione fiscale nella zona euro, per poter chiedere al presunto euro-profittatore tedesco di passare dalla cassa.


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giovedì 8 novembre 2018

El-Erian su Handelsblatt: perché il governo italiano non ha torto

Mohamed El-Erian, consigliere economico capo di Allianz, il gigante tedesco delle assicurazioni, su Handelsblatt ci spiega perché nella interminabile disputa con la Commissione Europea probabilmente il governo di Roma non ha torto. La politica economica del governo italiano incassa un'altra apertura di peso dal dirigente di un gigante finanziario. Da Handelsblatt


I mercati, i decision-maker politici e i risk-manager stanno monitorando con attenzione la disputa sulla legge di bilancio tra il governo italiano e la Commissione europea. L'episodio evidenzia una tendenza sempre piu' forte a mettere in discussione l'ortodossia economica nelle economie sviluppate e in quelle emergenti.

Il governo italiano ha ricevuto dagli elettori un mandato per promuovere una crescita più sostenuta e piu' inclusiva e ora intende mettere in pratica una politica fiscale più espansiva. Il suo progetto di bilancio tuttavia è stato "respinto" dalla Commissione europea in quanto non rispetterebbe le norme UE sul deficit. Di conseguenza Moody's ha declassato il rating sul debito italiano portandolo di poco sopra al livello spazzatura. Moody's giustifica il declassamento con i timori relativi alla situazione debitoria del paese e alle proiezioni di crescita eccessivamente ottimistiche del governo.

Data l'insistenza del governo italiano nel sostenere che non ci sarebbe "alcun piano B", i premi al rischio sui titoli di Stato italiani sono drasticamente aumentati. Contemporaneamente stanno aumentando anche le preoccupazioni in merito al sistema finanziario italiano. Alcuni arrivano addirittura a sostenere che l'Italia è una minaccia esistenziale per l'Eurozona.

Altri, invece, la considerano una pericolosa esagerazione: l'Italia beneficia di un profilo di servizio del debito di breve periodo, ha un avanzo di bilancio primario e un'eccedenza delle partite correnti nonché un potenziale economico considerevole.

Il vecchio problema della scarsa crescita italiana viene ora aggravato dal recente rallentamento dell'andamento economico europeo, dalle  frammentazioni regionali e dalla graduale riduzione delle iniezioni di liquidità da parte della Banca centrale europea. Per compensare questi fattori, l'Italia fa ricorso alla politica fiscale. In altre parole: il governo intende fare un deficit di bilancio più ampio per generare una maggiore crescita economica reale e potenziale.

Guardando al futuro, molto dipenderà dal fatto che la grande scommessa politica italiana resti in linea con le regole e le prescrizioni della Commissione europea. Non è la prima volta che nel mondo un governo da poco eletto mette in discussione l'ortodossia economica.

Entrato in carica nel gennaio 2015, il governo Syriza in Grecia ha immediatamente segnalato la sua volontà di abbandonare l'approccio convenzionale seguito dai suoi predecessori cercando perfino una conferma elettorale in un referendum nazionale.

Alla fine, tuttavia, a causa del rischio incombente di dover uscire dalla zona euro è stato costretto a tornare nell'ortodossia politica. Negli Stati Uniti, il governo Trump e i Repubblicani al Congresso nella fase finale del ciclo economico hanno imposto uno stimolo fiscale tramite una riduzione delle tasse.

Allo stesso modo la Turchia ha riscritto le regole relative alla gestione delle crisi. Fino ad ora, almeno, il governo è riuscito a superare una crisi valutaria senza aumentare in modo aggressivo i tassi di interesse o senza dover ricorrere ai finanziamenti del FMI.

Queste politiche non ortodosse mettono in discussione in maniera fondamentale le opinioni convenzionali su quale dovrebbe essere la sequenza delle misure di politica economica. Così sia l'Italia che la Turchia hanno respinto la credenza secondo la quale la stabilità macroeconomica deve venire prima dello stimolo fiscale e monetario.

Oppure detto in maniera piu' elegante: la stabilità macroeconomica non è tutto, ma senza di essa, tutto è nulla. La crescente attrattività degli approcci politici non ortodossi è la conseguenza immediata causata da anni di crescita lenta, insieme ai crescenti timori dovuti alla triade della disuguaglianza (reddito, ricchezza e opportunità).

Invece di rigettare semplicemente ogni forma di reazione, gli esperti dovrebbero essere più aperti nel loro approccio con gli elementi che stanno alla base dell'etica non ortodossa. In particolare, i compromessi insiti negli approcci convenzionali dovrebbero essere attentamente quantificati e chiaramente comunicati. Inoltre, tali approcci dovrebbero essere aggiornati per un mondo in cui la crescita esangue sembra essere ormai diventata la caratteristica strutturale di un numero sempre maggiore di economie.

In un mondo di aspettative auto-rinforzanti e di stati di equilibrio molteplici, alcuni sforzi prudenti fatti per rilanciare l'economia potrebbero facilitare il successo delle riforme strutturali di lungo periodo. Nel caso dell'Italia, l'UE dovrebbe pertanto restare flessibile.

Allo stesso tempo, tuttavia, il governo italiano dovrà dimostrare di fare molto più sul serio quando si tratterà di attuare i cambiamenti sul lato dell'offerta necessari per garantire una maggiore crescita di lungo periodo.


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sabato 3 novembre 2018

Handelsblatt: la manovra italiana potrebbe essere la scelta giusta

Sulla stampa tedesca "di qualità" non è facile trovare una piccola apertura politica nei confronti della legge di bilancio italiana. Su Handelsblatt ci prova il prof. Bert Rürup, capo-economista nonché commentatore di punta del quotidiano economico-finanziario di Düsseldorf: cari amici tedeschi, la manovra italiana di per sé non è sbagliata, molto dipenderà dai provvedimenti con cui sarà attuata, l'Europa puo' fare passi avanti solo se il culto delle regole fini a se stesse, tipico dei nord-europei, viene affiancato dal sano pragmatismo dei popoli latini. Da Handelsblatt 


La protesta di Roma contro le regole di bilancio dell'UE è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È senz'altro vero che il governo italiano sta mettendo in discussione le norme fiscali esistenti. Ma proprio questa battaglia potrebbe aiutare a rilanciare la tanto attesa modernizzazione dei limiti all'indebitamento, ormai decisamente antiquati.

Quando nel febbraio 1992 il ministro delle Finanze Theo Waigel e Hans-Dietrich Genscher e le loro undici controparti dell'UE firmarono il trattato di Maastricht, i membri dell'Unione monetaria si impegnarono a non far aumentare il livello del debito pubblico oltre il 60% del PIL nazionale. Inoltre, il deficit di bilancio annuale non doveva superare il 3% del PIL delle loro economie.

Ma queste regole sin dall'inizio sono state solo una stampella, una sostituzione incompleta per un accordo impossibile su una vera unione fiscale. E da quella siamo ancora molto lontani.

La soglia del 60% era approssimativamente uguale alla media ponderata del debito pubblico effettivo nei paesi dell'UE di allora. Allo stesso modo il criterio del deficit al tre percento non aveva alcuna giustificazione analitica.

Questo limite al deficit si basa su una semplice "regola del tre". A quel tempo, infatti, si presumeva che i paesi della zona euro avrebbero potuto registrare una crescita economica nominale del cinque percento.

Il tasso di crescita nominale è la somma della crescita reale più l'inflazione. Combinando questa crescita economica nominale con un rapporto annuale del disavanzo del 3%, dal punto di vista aritmetico il livello di indebitamento converge inevitabilmente verso il 60 %.

A parte il Belgio, con il suo rapporto debito/PIL che allora era circa al 130% e l'Italia a circa il 100%, nessun politico ragionevole all'epoca pensava che il rispetto del limite del 60% potesse diventare un problema serio.

Nel 2012, tredici anni dopo l'introduzione dell'euro, tutti i membri dell'UE, ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, hanno siglato il Fiskalpakt. Questo prevede che il disavanzo strutturale  a medio termine delle amministrazioni pubbliche, escluse quindi le componenti congiunturali, non superi lo 0,5% del PIL, almeno fino a quando il rapporto debito/PIL non abbia raggiunto il 60%. Se il rapporto debito/PIL di un paese supera il limite del 60%, la parte eccedente dovrebbe essere generalmente ridotta di un ventesimo all'anno.

A tale riguardo, dal punto di vista giuridico, è corretto che la Commissione europea accusi il governo italiano di violare i trattati. Perché il rapporto debito/PIL italiano è attualmente al 131 %. E il progetto di bilancio per il 2019, che l'Italia ha presentato all'UE, prevede che il deficit strutturale non scenda di 0,8 punti come promesso dal precedente governo, ma aumenti di 0,8 punti. La conseguenza: è molto improbabile che il rapporto debito/PIL dell'Italia, secondo ogni previsione, possa scendere.

Ma ciò che viola le leggi in vigore non è detto che sia economicamente e politicamente irragionevole. In realtà, il punto è che finora non è stato possibile stabilire un limite al di sopra del quale il debito pubblico diventa insostenibile dal punto di vista macroeconomico.

Il debito pubblico non è né buono né cattivo

Il debito pubblico è un mezzo legittimo di finanziamento dello stato e a priori non è né buono né cattivo. Per questo il consolidamento delle finanze non può avere come obiettivo quello di rimborsare quanto più debito possibile, ma dovrebbe sempre cercare di fare in modo che le "finanze pubbliche restino sostenibili", come affermato nell'articolo 121, paragrafo 1 dei trattati UE. Allo stesso tempo un indebitamento temporaneo non è necessariamente in conflitto con la sostenibilità del bilancio, a condizione che le fluttuazioni economiche di breve periodo siano attenuate.

Nel lungo periodo i programmi congiunturali finanziati a debito restano malvisti e considerati solo un "fuoco di paglia". Questo atteggiamento critico, anche grazie al lavoro di ricerca di Philippe Aghion ad Harvard, è stato sostituito da una posizione piu' moderata. Aghion ha dimostrato che un contenimento delle fluttuazioni cicliche, e quindi una stabilizzazione ad un livello elevato di utilizzo del prodotto potenziale è collegato ad effetti positivi sulla crescita tendenziale.

Una buona politica congiunturale migliora quindi le opportunità di crescita nel lungo periodo, ma solo se la politica nella fase di ripresa economica trova la forza per ridurre il debito fatto per finanziare gli stimoli congiunturali.

Ora è alquanto improbabile che in Italia la strana coalizione fra una "Lega" di destra e un "Movimento Cinque Stelle" di sinistra si lasci impressionare da tali fatti e da tali relazioni economiche, specialmente se con l'indebitamento aggiuntivo bisogna rispettare le promesse elettorali fatte, tutte orientate al consumo. Tuttavia il conflitto con la Commissione Europea alla fine potrebbe rivelarsi vantaggioso per questo governo: perché ora tutta l'Italia, con "quelli là a Bruxelles", finalmente ha trovato un nemico comune odiato da gran parte della popolazione - e questo notoriamente aiuta a saldare la popolazione.

In definitiva c'è solo una cosa che potrà costringere il governo in carica a Roma a cedere: un aumento significativo dei premi al rischio sui titoli di Stato italiani. Il governo è ben consapevole del fatto che sono stati questi premi al rischio che nel 2011 hanno costretto Silvio Berlusconi a dimettersi, portando al potere un governo tecnocratico fondato sull'austerità guidato da Mario Monti. L'Italia per poter rifinanziare il debito in scadenza deve chiedere circa 250 miliardi di euro all'anno ai mercati finanziari.

D'altra parte, se i prezzi diminuiscono, le banche italiane, che detengono gran parte del debito pubblico, dovrebbero svalutare una parte di questi titoli nei loro bilanci. E ogni svalutazione consumerebbe la già sottile capitalizzazione di molte istituzioni.

Se le agenzie di rating dovessero portare i titoli a livello di junk, le grandi società di fondi dovrebbero eliminare i titoli dai loro portafogli, il che potrebbe ulteriormente deprimere i prezzi e portare a fallimenti bancari e, nel caso improbabile, persino alla bancarotta.

Tuttavia, la disputa sul deficit "giusto" ci sta distraendo dai veri problemi economici della terza economia della zona euro, nonché ottava più grande al mondo. Perché l'Italia non soffre di una recessione economica di breve periodo, ma di una combinazione fra una disoccupazione di massa strutturale e una stagnazione macroeconomica decennale.

E non puoi combattere un cancro economico dando ai pensionati e ai disoccupati più soldi per i consumi. Ad alcuni l'Italia di oggi potrebbe addirittura ricordare la Germania di inizio secolo, a quel tempo era il "malato d'Europa".

La politica di crescita non si limita a chiudere un divario negativo di prodotto potenziale, ma piuttosto mira ad aumentare il potenziale produttivo di un'economia.

Risparmiare non è una panacea per tutti i mali

Pertanto la questione del deficit "giusto" è molto meno importante rispetto a quella di quale sia la politica economica "giusta". Dopo le esperienze fatte con la Grecia, la politica della svalutazione interna fatta mediante tagli massicci e risparmi deve essere considerata, in ogni caso, un fallimento. Nel frattempo lo ha riconosciuto anche il FMI, a differenza di quanto hanno fatto un certo numero di economisti tedeschi.

Naturalmente sono altrettanto sbagliati anche i piani del governo in carica a Roma per aumentare i consumi privati attraverso il deficit. In particolare, servirebbero più investimenti privati. E questi dipendono soprattutto dall'occupazione e dalle condizioni favorevoli alla crescita.

A tale riguardo, tuttavia, l'Italia ha un forte bisogno di agire: perché il mercato del lavoro non è flessibile, il carico fiscale è troppo elevato, la tassazione delle imprese è poco favorevole agli investimenti, il sistema legale è imprevedibile e la forza lavoro potenziale per ragioni demografiche continuerà a diminuire. Tutti questi problemi non possono essere superati da un programma di consumi finanziati a debito.

Un aumento sostenibile e duraturo del prodotto economico complessivo dell'Italia richiede riforme strutturali che creino condizioni quadro favorevoli alla crescita e consentano l'attuazione di idee imprenditoriali. L'implementazione di tali idee, tuttavia, richiede fiducia nelle politiche economiche e finanziarie nazionali - e quindi anche nella solidità della gestione finanziaria.

In breve: l'aumento del deficit pubblico in Italia potrà essere utile per ottenere una crescita tendenziale più elevata. Ma solo se questo aumento sarà affiancato da riforme strutturali nel mercato del lavoro, da un aumento della partecipazione della forza lavoro, dalla ristrutturazione del sistema fiscale e da riforme dei sistemi di sicurezza sociale, ad esempio una "Agenda 2020" intelligente.

Se nelle trattative in corso Roma mettesse insieme un pacchetto di crescita di questo tipo, in cambio l'UE potrebbe abbandonare la sua rigida posizione di veto.

Bruxelles potrebbe quindi ridiscutere regole superate, fondate su dati economici e ipotesi vecchie di 30 anni. Perché alla base di ogni passo fatto verso l'approfondimento dell'UE e quindi verso la stabilizzazione dell'euro c'è sempre stato un compromesso tra l'orientamento al rispetto delle regole dei paesi nordici e il pragmatismo dei latini. E ciò è sempre stato positivo nell'interesse della coesione europea.

Che la Commissione Europea ora insista nel voler far rispettare le regole di bilancio dominate dal pensiero ordoliberale tedesco, non solo non farà fare passi in avanti all'Europa, ma favorirà ulteriori divergenze.

Lo stesso vale naturalmente per le ripetute, ma non per questo sempre errate e tuttavia sempre sottovalutate richieste formulate dall'Europa "latina" in merito alla necessità che la Germania e altri stati del nord usino il loro spazio fiscale per stimolare la crescita.

Si può solo sperare che insistere sui criteri di stabilità non porti a una nuova crisi dell'euro. Perché queste regole, alla fine stupide, non ne valgono davvero la pena. Il più saggio cederà il passo all'altro - almeno si spera.




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