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martedì 11 giugno 2019

Wirtschaftswoche - Perchè la procedura d'infrazione contro l'Italia è una farsa

Su Wirtschaftswoche, il piu' importante settimanale economico tedesco, mai tenero con l'Italia, l'ottimo Ferdinand Knauß ci spiega in maniera semplice, ma non banale, perché la procedura di infrazione per eccesso di debito contro l'Italia è solo l'ennesima farsa. Da Wirtschaftswoche


La Commissione Europea la scorsa settimana ha raccomandato l'apertura di una procedura per eccesso di debito nei confronti dell'Italia. I governanti a Roma stanno già tremando al solo pensiero? Non esattamente. In Italia, a Bruxelles e in tutto il resto del mondo, è ben noto che le sanzioni previste dai trattati, vale a dire una multa dello 0,2% del prodotto interno lordo e il taglio dei fondi UE, non si trasformeranno mai in realtà.

Non solo lo si può dedurre dalla recente esperienza fatta con il deficit pubblico francese, tedesco e greco, ma anche perché l'intero costrutto della procedura per eccesso di deficit non era stato pensato con questo obiettivo. Non viene utilizzato perché fin dall'inizio era chiaro che si trattava di un'assurdità fuori dalla realtà. Tutte le parti coinvolte lo sanno: la procedura può trasformarsi solo in una farsa - specialmente se sarà portata avanti in maniera coerente.

Le sanzioni previste dalla procedura sono il vero punto debole dell'unione monetaria. Al più tardi quando saranno effettivamente applicate, la loro assurdità sarà evidente: uno stato che si indebita sempre di piu' perché spende troppi soldi sarebbe quindi condannato a dover spendere ancora di più - questa volta non a favore dei cittadini del paese e degli elettori dei governanti in carica, ma per le casse di Bruxelles.

E l'Italia dove dovrebbe andare a prendere i soldi per queste sanzioni? Dove, se non prendendo a prestito altro denaro? La multa non avrebbe altro effetto se non il rafforzamento delle conseguenze dell'infrazione. Dopo il procedimento per eccesso di debito, l'Italia si troverebbe ad avere un debito ancora più alto - e il resto dell'Eurozona un problema ancora più grande. O qualcuno può seriamente credere che un governo possa condannare i suoi cittadini a tirare la cinghia solo per fare un favore a Bruxelles? Una cosa del genere non potrebbe aspettarsela nemmeno un ipotetico cancelliere Robert Habeck (Verdi) dai suoi elettori post-materialisti ed eurofili a Berlino, Stoccarda e Hannover. Un Salvini non arriverebbe mai ad avere un'idea simile.

Nei fatti la Commissione europea non dispone di uno strumento di pressione che vada oltre la condanna morale. Questa condanna tuttavia verrà inscenata nel modo più evidente possibile. Certo a Bruxelles per molti è fin troppo facile accusare il governo italiano di essere un peccatore del debito, dato che l'Italia attualmente è governata da populisti. Soprattutto in Germania sarebbero poche le mani pronte ad agitarsi per difendere il governo Conte (che di fatto sembra sempre più un governo Salvini). A Roma alla fine governano gli alleati di AFD. Al di là di ciò per il momento non accadrà nulla - perché diversamente si tratterebbe solo di una farsa per l'intera unione (monetaria).

Le sanzioni non funzionano a meno che non vadano a colpire direttamente e personalmente gli agenti coinvolti. L'UE tuttavia non è un impero europeo e la Commissione non è un potere centrale sovrano che può entrare in azione per punire i vassalli. I fondatori dell'unione monetaria, evidentemente, si erano arresi a questa illusione. 

I governanti dipendono dal consenso dei propri elettori. Se condannare moralmente Salvini e i suoi seguaci accusandoli di essere dei delinquenti del debito possa avere un ruolo decisivo, è discutibile. Egli sa bene che a Bruxelles, Berlino e Parigi non lo amano. Per quale motivo dovrebbe essere preoccupato da una procedura di disavanzo più di quanto abbiano fatto all'epoca i governanti in Francia o in Grecia oppure in Germania ai tempi di Gerhard Schroeder?

In ogni caso Salvini, data l'esperienza fatta con la Grecia a partire dal 2010, evidentemente ritiene che nessuno possa avere la volontà e la forza politica per tenere fede ai principi, almeno fino a quando sarà possibile chiudere tutti e due gli occhi con la pia speranza di cavarsela rimandando tutto al giorno di poi nell'anno di mai. Cosa potrà diventare l'unione monetaria nel medio-lungo termine in tali circostanze? Nessuna idea.


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martedì 18 dicembre 2018

Taz: saranno anche populisti, ma hanno una certa competenza economica

"Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica..." scrive la Taz, ma soprattutto: "l'Italia non puo' essere trattata come se fosse la famiglia Mayer di Dinslaken". Non capita spesso di trovare sulla stampa tedesca un commento positivo nei confronti dell'attuale governo italiano. Ne scrive Ulrike Herrmann sulla Taz



Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica. Gli italiani senza usare mezzi termini hanno fatto sapere che la Commissione europea ha trattato il loro paese molto peggio di quanto non abbia fatto con altri stati europei. L'ultimo caso: il presidente francese Macron per il 2019 sta pianificando  un deficit di bilancio di oltre il 3%, ma a Bruxelles nessuno sembra esserne turbato. L'Italia, invece, è stata minacciata con miliardi di euro di sanzioni per un obiettivo di deficit al 2,4% del PIL. Come può essere? 

Gli italiani giustamente sono sorpresi, soprattutto perché la Francia non è il solo paese a interpretare in maniera alquanto generosa le regole sul deficit. Il budget del Belgio, ad esempio, sin dalla crisi finanziaria del 2008, ha sempre registrato un elevato livello di deficit. Ma nei confronti dei belgi non c'è mai stata una procedura per eccesso di disavanzo. 

La Commissione Europea resta però inflessibile: per gli italiani valgono altre regole, perché il loro debito è già troppo alto! Roma deve risparmiare per ridurne il peso. Bruxelles sta trattando l'Italia come se fosse paragonabile alla famiglia Mayer di Dinslaken. I Mayer certamente non possono indebitarsi senza poi dover rimborsare il debito. 

Ma è un equivoco sostenere che gli stati possano risparmiare per ridurre i loro debiti come fanno le famiglie. Gli italiani da decenni ormai stanno risparmiando invano. Lo stato italiano a partire dal 1991 di fatto non ha aumentato la spesa pro-capite, come illustrato dall'economista Antonella Stirati in un'intervista alla Taz. 

Un circolo vizioso 

Nel 1991, infatti, la spesa pubblica italiana - prestazioni sociali, stipendi dei dipendenti pubblici, investimenti, spesa per interessi - era di 12.500 euro pro capite. Oggi è di 13.000 euro. In Germania, invece, negli stessi anni la spesa pubblica pro capite è passata da € 11.800 a € 15.000 e in Francia da € 12.600 a € 18.000. 

L'Italia ha risparmiato per quasi trent'anni, ma il debito pubblico non si è ridotto. Qualsiasi profano a questo punto capirebbe immediatamente che in una situazione come questa fare austerità non aiuta. Solo la Commissione europea non si scoraggia e continua a ripetere il suo mantra neoliberista secondo il quale il bilancio deve essere "consolidato". L'Italia non ha problemi sul lato della spesa pubblica – ma su quello delle entrate. L'economia italiana è rimasta ferma per vent'anni. Sin dall'introduzione dell'euro l'economia italiana nel suo complesso non è cresciuta, mentre quella tedesca nello stesso periodo di tempo cresceva di circa il 30 per cento. 

Se gli italiani avessero beneficiato di una crescita come quella tedesca, oggi il loro debito non sarebbe al 130 % del PIL, ma solo al 100 %. L'Italia si troverebbe nella stessa categoria insieme al Belgio e alla Francia e potrebbe stare molto piu' tranquilla. Invece si trova in un circolo vizioso: perché il debito pubblico è alto, e per questo deve risparmiare. Ma poiché risparmia, l'economia non riparte e il debito pubblico continua a salire. 

La responsabilità non è degli italiani 

Gli altri paesi dell’eurozona non sembrano avere molta comprensione. C'è l'impressone diffusa che sia l'Italia ad essere responsabile per i suoi problemi. Ma si tratta di un pregiudizio. Gli italiani non sono i colpevoli, sono piuttosto le vittime della crisi dell'euro. Il primo contraccolpo ha anche una data esatta: era il 21 luglio 2011 quando i tassi di interesse sui titoli di stato italiani improvvisamente raggiungevano dei livelli insostenibili, in quei giorni infatti era in discussione un possibile taglio del debito greco. 

L'Italia notoriamente non è la Grecia, ma gli investitori non sembravano essere più di tanto interessati a questa differenza. La BCE ha dovuto aspettare un anno prima di interrompere definitivamente il panico finanziario. Per l'Italia è stato un periodo troppo lungo, il paese è scivolato in una grave recessione, dalla quale fino ad oggi non si è ancora ripreso. 

Ora la Commissione europea fra le righe minaccia ancora una volta di sguinzagliare i mercati finanziari e di far salire i tassi di interesse sul debito pubblico. Immediatamente, gli italiani si sono piegati e hanno tagliato il loro budget. Ma la crisi dell'euro in questo modo non è risolta, si è solo ulteriormente aggravata.
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giovedì 8 novembre 2018

El-Erian su Handelsblatt: perché il governo italiano non ha torto

Mohamed El-Erian, consigliere economico capo di Allianz, il gigante tedesco delle assicurazioni, su Handelsblatt ci spiega perché nella interminabile disputa con la Commissione Europea probabilmente il governo di Roma non ha torto. La politica economica del governo italiano incassa un'altra apertura di peso dal dirigente di un gigante finanziario. Da Handelsblatt


I mercati, i decision-maker politici e i risk-manager stanno monitorando con attenzione la disputa sulla legge di bilancio tra il governo italiano e la Commissione europea. L'episodio evidenzia una tendenza sempre piu' forte a mettere in discussione l'ortodossia economica nelle economie sviluppate e in quelle emergenti.

Il governo italiano ha ricevuto dagli elettori un mandato per promuovere una crescita più sostenuta e piu' inclusiva e ora intende mettere in pratica una politica fiscale più espansiva. Il suo progetto di bilancio tuttavia è stato "respinto" dalla Commissione europea in quanto non rispetterebbe le norme UE sul deficit. Di conseguenza Moody's ha declassato il rating sul debito italiano portandolo di poco sopra al livello spazzatura. Moody's giustifica il declassamento con i timori relativi alla situazione debitoria del paese e alle proiezioni di crescita eccessivamente ottimistiche del governo.

Data l'insistenza del governo italiano nel sostenere che non ci sarebbe "alcun piano B", i premi al rischio sui titoli di Stato italiani sono drasticamente aumentati. Contemporaneamente stanno aumentando anche le preoccupazioni in merito al sistema finanziario italiano. Alcuni arrivano addirittura a sostenere che l'Italia è una minaccia esistenziale per l'Eurozona.

Altri, invece, la considerano una pericolosa esagerazione: l'Italia beneficia di un profilo di servizio del debito di breve periodo, ha un avanzo di bilancio primario e un'eccedenza delle partite correnti nonché un potenziale economico considerevole.

Il vecchio problema della scarsa crescita italiana viene ora aggravato dal recente rallentamento dell'andamento economico europeo, dalle  frammentazioni regionali e dalla graduale riduzione delle iniezioni di liquidità da parte della Banca centrale europea. Per compensare questi fattori, l'Italia fa ricorso alla politica fiscale. In altre parole: il governo intende fare un deficit di bilancio più ampio per generare una maggiore crescita economica reale e potenziale.

Guardando al futuro, molto dipenderà dal fatto che la grande scommessa politica italiana resti in linea con le regole e le prescrizioni della Commissione europea. Non è la prima volta che nel mondo un governo da poco eletto mette in discussione l'ortodossia economica.

Entrato in carica nel gennaio 2015, il governo Syriza in Grecia ha immediatamente segnalato la sua volontà di abbandonare l'approccio convenzionale seguito dai suoi predecessori cercando perfino una conferma elettorale in un referendum nazionale.

Alla fine, tuttavia, a causa del rischio incombente di dover uscire dalla zona euro è stato costretto a tornare nell'ortodossia politica. Negli Stati Uniti, il governo Trump e i Repubblicani al Congresso nella fase finale del ciclo economico hanno imposto uno stimolo fiscale tramite una riduzione delle tasse.

Allo stesso modo la Turchia ha riscritto le regole relative alla gestione delle crisi. Fino ad ora, almeno, il governo è riuscito a superare una crisi valutaria senza aumentare in modo aggressivo i tassi di interesse o senza dover ricorrere ai finanziamenti del FMI.

Queste politiche non ortodosse mettono in discussione in maniera fondamentale le opinioni convenzionali su quale dovrebbe essere la sequenza delle misure di politica economica. Così sia l'Italia che la Turchia hanno respinto la credenza secondo la quale la stabilità macroeconomica deve venire prima dello stimolo fiscale e monetario.

Oppure detto in maniera piu' elegante: la stabilità macroeconomica non è tutto, ma senza di essa, tutto è nulla. La crescente attrattività degli approcci politici non ortodossi è la conseguenza immediata causata da anni di crescita lenta, insieme ai crescenti timori dovuti alla triade della disuguaglianza (reddito, ricchezza e opportunità).

Invece di rigettare semplicemente ogni forma di reazione, gli esperti dovrebbero essere più aperti nel loro approccio con gli elementi che stanno alla base dell'etica non ortodossa. In particolare, i compromessi insiti negli approcci convenzionali dovrebbero essere attentamente quantificati e chiaramente comunicati. Inoltre, tali approcci dovrebbero essere aggiornati per un mondo in cui la crescita esangue sembra essere ormai diventata la caratteristica strutturale di un numero sempre maggiore di economie.

In un mondo di aspettative auto-rinforzanti e di stati di equilibrio molteplici, alcuni sforzi prudenti fatti per rilanciare l'economia potrebbero facilitare il successo delle riforme strutturali di lungo periodo. Nel caso dell'Italia, l'UE dovrebbe pertanto restare flessibile.

Allo stesso tempo, tuttavia, il governo italiano dovrà dimostrare di fare molto più sul serio quando si tratterà di attuare i cambiamenti sul lato dell'offerta necessari per garantire una maggiore crescita di lungo periodo.


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mercoledì 7 novembre 2018

Gustav Horn su die Zeit: cosa si deve fare per disinnescare il ricatto italiano

Sulla stampa tedesca è arrivato il tempo delle colombe, dopo quello dei soliti avvoltoi, e Gustav Horn su Die Zeit prova a spiegare ai tedeschi un modo semplice per fermare il "ricatto italiano": autorizzare la BCE ad acquistare titoli di stato italiani quando lo spread supera una soglia di allarme, a patto che le partite correnti italiane restino in territorio positivo. In questo modo il debito pubblico sarebbe una questione tutta italiana e il governo di Roma non avrebbe piu' a disposizioni le solite armi per ricattare Bruxelles e Berlino. Gustav Horn su Die Zeit


Gustav A. Horn dirige l'Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung della Fondazione Hans Böckler, fondazione vicina al sindacato. È membro della SPD e membro consultivo della Commissione di base del partito.

La miccia sta bruciando, ma quale sarà il suo percorso verso la polveriera non è ancora chiaro. Per questo spegnerla è ancora piu' difficile. Il rischio più grande è che presto ci si possa trovare davanti alle macerie dell'edificio europeo perché si è cercato di salvarlo agendo sui punti sbagliati.

Il punto sbagliato è proprio il tanto discusso bilancio pubblico italiano. Il deficit al 2,4% del prodotto interno lordo (PIL) previsto dal governo italiano è una violazione delle promesse fatte dai precedenti governi e rappresenta quindi un'erosione della fiducia. Di per sé questo valore tuttavia non è un disastro economico. In uno scenario realistico caratterizzato da uno sviluppo economico ragionevolmente immutato e da un lento aumento del tasso di inflazione, il rapporto debito/PIL italiano, anche con questo valore, continuerebbe a scendere. A ciò si aggiunge che l'Italia ha un surplus commerciale con l'estero. Non si tratta quindi di una combinazione esplosiva fra un rapporto debito/PIL in crescita e un aumento del debito estero, che fra l'altro sui mercati finanziari internazionali ha spinto la Grecia verso l'abisso. L'Italia, al contrario, si è indebitata con i propri cittadini e le proprie imprese, e sono proprio loro che alla fine dovranno convivere con le conseguenze.

Al momento non è nemmeno chiaro se questo maggior deficit in futuro non finirà per restringere significativamente il margine di manovra fiscale. L'introduzione di un reddito di base, data la totale inadeguatezza del sistema di protezione sociale italiano, potrebbe rivelarsi una benedizione. A beneficiare dell'aumento di spesa e del relativo aumento dei consumi sarebbe l'andamento della congiuntura economica generale e ciò potrebbe contribuire a far rientrare molte più persone nel mercato del lavoro. Il resto delle spese aggiuntive, tuttavia, è alquanto discutibile e piu' che altro sembrerebbe orientato a servire la propria clientela elettorale. Dal lato dei tagli fiscali non ci sono benefici economici significativi che ci si possano attendere. In ogni caso contribuiranno ad aumentare ulteriormente l'onere debitorio, già estremamente elevato a causa dell'eredità del passato.

Tutto sommato questo approccio del governo italiano, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe causare un po' di rabbia a livello europeo, ma non dovrebbe essere sufficiente per far scattare scenari catastrofici. I mercati finanziari possono restare tranquilli. Ma non lo sono - a ragione.

La ragione non risiede tanto nella discutibile logica economica delle proposte, ma nella loro controversa intenzione politica. Alla fine la coalizione di governo italiana, alla luce degli orientamenti politici totalmente diversi, è unita da un solo elemento: dalla lotta a un presunto establishment a Roma, Berlino, Bruxelles e altrove ostile ai veri interessi del popolo. Questa è la sostanza di cui sono fatti i governi populisti di questo periodo. La loro forza motrice arriva dalla paura dell'immigrazione sulla quale vengono proiettate tutte le preoccupazioni culturali ed economiche di questa società globalizzata, e dalla convinzione che i populisti sono gli unici che possono rappresentare il popolo di fronte a questo progetto di globalizzazione guidato dalle élite. Tutto ciò è una mezza verità o forse è completamente falso, in ogni caso ipocrita, ma politicamente efficace.

Questa miscela non promette nulla di buono per l'Europa. Perché è lecito aspettarsi che il governo italiano non farà nulla per calmare i mercati. Al contrario, è nel loro interesse farli andare nel panico con delle provocazioni retoriche sempre più violente. Solo allora gli altri membri dell'unione monetaria, o per l'aumento dei tassi di interesse o per l'incertezza dilagante sulla coesione dell'unione monetaria, saranno colpiti dalla politica di deficit del governo italiano e quindi saranno obbligati a confrontarsi con il governo di Roma e con le sue richieste radicali, ad esempio, in materia di immigrazione.

Si sta presentando la vendetta per non aver voluto introdurre nell'unione monetaria dei cosiddetti "safe assets". Ogni area valutaria funzionante dispone di simili forme di investimento sicure, di solito titoli di stato, che vengono difesi dalla rispettiva banca centrale con tutti i mezzi a disposizione. Un investimento sicuro all'interno dell'area dell'euro renderebbe impossibile ogni forma di ricatto attraverso i mercati finanziari.

Nell'area dell'euro attualmente non vi sono investimenti sicuri, per questo gli italiani possono mettere in campo la loro strategia. Il governo tedesco e gli altri stati membri si trovano di fronte ad una spiacevole scelta: fare delle concessioni di vasta portata all'Italia su molte questioni politiche, oppure rischiare il collasso dell'unione monetaria.

Ma c'è un altro modo per aggirare questo dilemma. I ministri delle finanze potrebbero, almeno temporaneamente, autorizzare la Banca centrale europea (BCE) ad orientare il suo programma di acquisto titoli sui singoli paesi, e cioè sulla base dello spread dei tassi di interesse. In altre parole, la BCE acquisterebbe sul mercato soprattutto titoli di stato per i quali il premio al rischio è elevato, e che quindi vengono considerati rischiosi dai mercati finanziari. Questo tipo di acquisti tuttavia dovrebbe essere subordinato al fatto che la bilancia commerciale esterna del paese non sia in deficit. Con questo approccio, o semplicemente con il suo annuncio, sarebbe possibile evitare un aumento dei tassi d'interesse in grado di mettere a repentaglio l'intera unione monetaria. L'obiezione attesa, e cioè che in questo modo stiamo dando all'Italia una licenza per fare piu' debito, è giusta solo a metà. Certo, l'Italia ora potrà continuare a indebitarsi senza dover temere i mercati finanziari. Ma a causa della condizionalità relativa al saldo commerciale estero, l'indebitamento potrebbe avvenire solo a livello nazionale, quindi all'interno del paese. Le conseguenze del maggiore indebitamento verrebbero infatti sopportate solo dagli italiani, e il ricatto verso gli altri paesi sarebbe inefficace.

Questo passo richiederebbe indubbiamente molto coraggio politico ed economico. Ma sarebbe un passo con il quale forse faremmo ancora in tempo a staccare la miccia dalla polveriera europea.

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