venerdì 21 ottobre 2016

Perché in Germania è necessario rilanciare gli investimenti

Marcel Fratzscher, presidente del prestigioso Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW Berlin), istituto di ricerca vicino agli interessi degli industriali, su Makronom.de lancia un appello al governo tedesco: il FMI ha ragione, in Germania è necessario rilanciare gli investimenti pubblici e privati. Da Makronom.de

Jobwunder, boom economico, consumi in crescita: la Germania oggi si sente la superstar europea. Tuttavia un po' piu' di modestia non farebbe male - perché i dati positivi riflettono solo una fase di recupero rispetto al passato. La politica dovrebbe piuttosto riflettere sui regali elettorali e fare di piu' per rafforzare gli investimenti pubblici  e privati. Un commento di Marcel Fratzscher.

Il FMI pochi giorni fà ha criticato il governo federale per la sua politica finanziaria sbagliata. Il Fondo chiede al governo tedesco di utilizzare lo spazio fiscale - il cosiddetto "fiscal space" - per rilanciare gli investimenti pubblici e privati e in questo modo rafforzare la crescita in Germania e in Europa. Questo appello in Germania è caduto nel vuoto, molti lo rifiutano. Otmar Issing, - uno dei precedenti capo-economisti della BCE e uno dei piu' importanti economisti tedeschi - ha risposto sulla FAZ a queste critiche.

Issing giustamente mette in guardia dalla debolezza degli investimenti in Germania e chiede al governo di aumentarli in maniera significativa. Questi investimenti secondo Issing non dovrebbero essere finanziati facendo nuovo debito, ma con una riorganizzazione del bilancio pubblico: una spesa piu' elevata dovrebbe essere bilanciata da una riduzione dei consumi pubblici.

In un contesto di solido sviluppo economico al Ministro delle Finanze non mancano certo le entrate fiscali. Una larga parte dello spazio fiscale disponibile il governo lo ha utilizzato per regali elettorali economicamente non molto sensati, come ad esempio la riforma delle pensioni. Costo: 10 miliardi di Euro all'anno.

Otmar Issing ha ragione anche quando sottolinea che una maggiore spesa pubblica in Germania non basterebbe a rilanciare la crescita in Italia e negli altri paesi in crisi.

Ci sono tuttavia diversi buoni motivi per ripensare la politica fiscale in Germania. L'argomento secondo il quale la Germania ha già raggiunto il potenziale produttivo massimo e quindi non ha bisogno di una maggiore spesa pubblica non è corretto. Perché il problema principale dell'economia tedesca è che la crescita potenziale negli ultimi 20 anni è stata troppo bassa ed è ancora troppo bassa.

La Germania oggi si sente la superstar europea: c'è un miracolo occupazionale, l'economia è in piena espansione, i consumi crescono. Tuttavia in molti ignorano che l'andamento dell'economia del paese è, ed è stato, tutt'altro che impressionante. Due fatti lo mostrano chiaramente. L'economia tedesca da inizio 2008 è cresciuta dell'8%, solo l'% all'anno. E' molto poco, ed è chiaramente sotto l'attuale crescita potenziale, cioè fra l'1.25% e l'1.50%.

Ancora piu' deprimente è la performance economica degli ultimi 2 decenni. Dall'inizio dell'unione monetaria nel 1999 l'economia tedesca è cresciuta del 3% in meno rispetto all'economia francese e del 10% in meno rispetto a quella spagnola. Ci dimentichiamo volentieri che ancora 10 anni fà la Germania era il malato d'Europa che suscitava nei suoi vicini la stessa compassione con la quale oggi i tedeschi guardano agli altri paesi in crisi. Per questa ragione alla Germania farebbe bene un po' piu' di modestia. I buoni tassi di crescita attuali riflettono una fase di recupero rispetto agli anni perduti di inizio 2000.

Queste cifre mostrano che la piu' grande debolezza economica della Germania è un livello troppo basso di investimenti, che in ultima analisi è la causa della bassa crescita della produttività e dell'economia negli ultimi 20 anni. Gli investimenti non solo creano un aumento della domanda di breve termine - ma hanno effetti ancora piu' importanti sul lato dell'offerta con un aumento della produttività e del potenziale di crescita.

La Germania ha bisogno di una svolta nella politica fiscale. Il "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse) è giusto e necessario ed ha contribuito alla riduzione del debito pubblico, purtroppo anche a scapito degli investimenti pubblici. Il governo federale dovrebbe ripensare i suoi regali elettorali e al loro posto rafforzare gli investimenti pubblici. In questo contesto assisto con una certa ansia  alle sempre piu' grandi promesse di riduzione delle tasse che i partiti politici attualmente stanno facendo agli elettori.

Piu' investimenti, partendo da quelli pubblici, rafforzerebbero la produttività e la crescita potenziale dell'economia tedesca, aiuterebbero a mantenere i posti di lavoro buoni nel paese, e assicurerebbero un futuro sicuro alle aziende e ai lavoratori tedeschi. 

Sfruttamento alla tedesca

La Germania è leader mondiale nell'export di carne, un risultato ottenuto anche grazie allo sfruttamento dei lavoratori stranieri nei macelli dei grandi gruppi industriali. Huffingtonpost.de intervista Peter Kossen, monsignore, da tempo impegnato in prima linea nella lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori nei grandi macelli del nord. Da Huffingtonpost.de


Il lavoro nell'industria della carne è uno dei più difficili. Spesso si tratta di lavoratori assunti con un contratto d'opera oppure di lavoratori interinali non sottoposti alle leggi sulla tutela dei lavoratori. Sei giorni alla settimana e quindici ore al giorno di lavoro non sono infrequenti. Si tratta di "sfruttamento" e di "schiavitù moderna".

HP: Prälat Kossen, lei ha parlato, riferendosi all'industria della carne tedesca, di "sfruttamento" e "schiavitù moderna". Ci puo' spiegare concretamente che cosa intende?

Kossen: Molte persone vivono e lavorano nell'industria della carne in Germania in condizioni estremamente difficili. Si tratta principalmente di lavoratori assunti con un contratto d'opera oppure di lavoratori interinali che spesso non sono coperti dalle leggi sulla tutela dei lavoratori. Abbiamo situazioni in cui i lavoratori sono impiegati per 6 giorni alla settimana, per 12 oppure 15 ore al giorno e alla fine prendono 1.000 Euro al mese. Mio fratello è medico e regolarmente si deve confrontare con lavoratori migranti afflitti da gravi problemi di salute causati dal troppo lavoro. Invecchiano rapidamente e soffrono per problemi di salute - per paura del licenziamento non si lasciano curare, un fenomeno diffuso.

HP: Sono storie che ricordano i primi anni dell'industrializzazione in Europa

Kossen: Esattamente. Spesso il datore di lavoro è allo stesso tempo anche il proprietario dell'appartamento; sono condizioni di vita che avevamo conosciuto solo nei libri di storia. I lavoratori sono alloggiati in stanze fatiscenti e condividono un letto in un sistema a 3 turni. E per questo pagano anche un affitto elevato sottratto dal loro già basso salario, che ad esempio a causa delle ore di straordinario non pagate è ampiamente sotto il salario minimo consentito dalla legge. Non da ultimo, i lavoratori, date le condizioni in cui vivono, spesso si trovano in una situazione di dipendenza dal loro datore di lavoro. Ci sono casi in cui hanno dovuto consegnare il passaporto al datore di lavoro. I lavoratori sono sfruttatati su larga scala da individui senza scrupoli. Si tratta di una zona grigia all'interno della nostra società.

HP: Questo sistema viene tenuto in piedi volutamente?

Kossen: Si' è cosi', intere aree della catena del valore sono esternalizzate. I subappaltatori intenzionalmente scelgono di ricorrere ai contratti d'opera, evitano i contratti di lavoro regolari e cercano di assumere lavoratori migranti dalla Romania, dalla Bulgaria, dall'Ungheria, dalla Repubblica Ceca e dalla Polonia. Spesso i lavoratori sono alloggiati in baracche separate, in modo che possano essere notati solo quando vanno a fare acquisti. E' un mondo parallelo, ed è propriamente voluto.

HP: Ci sono concentrazioni regionali oppure si tratta di un fenomeno regionale?

Kossen: Si tratta di un fenomeno a livello nazionale. E' iniziato nelle grandi aziende nel settore della macellazione della carne, ma nel frattempo si è esteso anche ad altri settori. Ha fatto scuola in senso negativo.

HP: E' diffuso anche in altre branche?

Kossen: Sì, ed è questo il pericolo. Nella logistica fra i camionisti, nelle costruzioni, fra i lavoratori addetti al riempimento degli scaffali nei discount, nel settore alberghiero, nell'industria metalmeccanica, nell'industria delle bevande. Questo modello è usato per aumentare i guadagni senza avere troppi problemi con la legge

HP: Perchè le autorità responsabili non intervengono?

Kossen: Ci provano a fare qualcosa. Ma sono le autorità competenti stesse a dire che in termini di personale e di mezzi finanziari disponibili non sono nelle condizioni di controllare. Il risultato è un pantano in cui imperversa il crimine.

HP: Quando lei parla di "palude criminale" - è un'esagerazione retorica oppure parla di reati?

Kossen: Questa palude si trova nel giro dei subappaltatori, che lavorano come "prestatori di servizi" per le grandi aziende operanti nel settore della carne. In questi settori spesso abbiamo a che fare con il traffico di esseri umani, anche la scena rock internazionale è coinvolta. Nei nostri tempi si possono fare piu' soldi con il traffico di uomini che con il traffico di droga. 

HP: Come si è arrivati a un tale sistema?

Kossen: E' stato reso possibile con l'apertura economica dell'est Europa. Da allora si importano lavoratori dai paesi dell'est con l'obiettivo deliberato di farli lavorare con il salario piu' basso possibile.

HP: Secondo lei è un dovere della politica fare qualcosa?

Kossen: Si', ci sono stati progressi come l'introduzione del salario minimo - ma una legge è valida solo nella misura in cui poi viene applicata nella realtà. Le leggi devono essere prima di tutto applicate. Senza dubbio le autorità competenti deveono anche avere le risorse necessarie per controllare le aziende e garantire il rispetto delle norme di legge. Non mi pare che le cose in questo momento stiano esattamente cosi'.

HP: Qualcuno potrebbe dire: "questi lavoratori, sono persone adulte. Se consapevolmente iniziano a fare un lavoro come questo, sono essi stessi colpevoli". Che ne pensa?

Kossen: Conosco le biografie di alcune di queste persone. Vivono in condizioni precarie nei loro paesi di origine e sperano in una vita migliore qui. Vedono questi lavori come la loro unica possibilità e percio' accettano. La mancanza di prospettive di queste persone viene sfruttata in maniera brutale nella nostra società del benessere. E' la situazione di emergenza che le porta a fare questa scelta. Molte di queste persone non hanno familiarità con gli aspetti giuridici e finanziariamente non hanno la possibilità di procurarsi un avvocato. Partecipano a questo triste gioco perché sperano che le cose prima o poi andranno meglio. Ma non andrà cosi'.

HP: Sono in molti a vedere la situazione in maniera diversa. Che cosa risponde a queste persone?

Kossen: Come ho già detto, il prodotto finale non sarebbe necessariamente piu' costoso, come spiegato in maniera credibile dalla NGG (sindacato degli alimentari, bevande e catering). In realtà, anche se poco visibili, sono in molti a guadagnare qualcosa da questa situazione di sfruttamento. Grazie a questo sistema stiamo creando in ogni caso un mare di persone che si ammalano a causa del lavoro, che dovranno essere curate, che si troveranno in una situazione di povertà in età avanzata e che nonostante il duro lavoro dovranno percepire per tutta la loro vita un sussidio sociale per poter sopravvivere.

HP: Lo Schnitzel è a buon mercato, ma la fattura piu' grande arriverà in seguito.

Kossen: Si', i trasferimenti sociali che saranno necessari li dovremo pagare noi contribuenti. Si tratta di sovvenzioni trasversali che non sono legittimate. Il sistema non danneggia solo le vittime, ma l'intera società.

mercoledì 19 ottobre 2016

Hans Werner Sinn: il difficile giugno tedesco

H. W. Sinn anticipa su Focus.de i contenuti del suo nuovo libro: giugno 2016 un mese decisivo per il futuro della Germania e dell'Europa. 

Brexit, ondata di profughi, Euro-disastro - il progetto europeo sta fallendo? Considerando il sempre maggiore numero di crisi non lo si puo' escludere.

E' accaduto intorno al solstizio del 2016. Dovrebbero essere i giorni piu' luminosi dell'anno, ma in realtà sono stati i piu' bui. Il 23 giugno la Gran Bretagna ha espresso il suo voto di sfiducia nei confronti dell'UE e ha deciso di uscirne. Invece del tanto temuto Grexit - che per il bene della Grecia e dell'Europa sarebbe stato meglio ci fosse stato - ora si sta preparando il Brexit. E questo è accaduto anche perché i britannici, in considerazione della grande ondata di profughi che ha invaso l'Europa, sono giunti alla conclusione che l'Europa ha perso il controllo della situazione.

Difficile da credere: la Cancelliera ha combattuto per tenere la Grecia nell'Euro e ha dovuto perfino fermare il suo Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, che invece era per la Grexit. L'uscita della Gran Bretagna, che in termini economici equivale all'uscita dei 20 membri piu' piccoli dell'UE, invece viene vissuta come se in fondo non riguardasse la Germania. Ora la Cancelliera è in difficoltà sui migranti e aspetta invano che gli altri paesi se ne prendano almeno una parte. La sua fortuna è stata che la recinzione macedone, almeno per ora, ha fermato l'ondata.

E solo 2 giorni prima del voto sul Brexit, il 21 di giugno, è successo qualcosa che per il futuro della Germania sarà molto problematico: la Corte Costituzionale tedesca con il suo cosiddetto "giudizio OMT" si è sottomessa alle politiche di salvataggio della BCE e al pieno sostegno che queste hanno ricevuto dalla Corte di Giustizia europea.

Anche su questo voto la politica tedesca ha preferito non commentare. Sembra che preferiscano mantenere il silenzio sul tema. I giudici di Karlsruhe con la loro sentenza hanno di fatto dato il via libera ad una politica di messa in comune delle garanzie sui debiti, perché è proprio questo il significato del "whatever it takes" che la BCE sotto la guida di Mario Draghi nel 2012 ha annunciato con il nome tecnico di Outright Monetary Transaction (OMT). I beneficiari di questa politica sono prima di tutto i paesi del sud in crisi e la Francia,  gli ufficiali pagatori sono i paesi del nord ancora economicamente in salute, prima fra tutti la Germania. 

La Corte Costituzionale tedesca, 2 anni dopo la decisione sull'OMT, aveva accusato le autorità monetarie europee di aver oltrepassato il loro mandato e in questo contesto aveva parlato di "usurpazione di potere". In una svolta senza precedenti tuttavia ora la Corte Costituzionale scrive nel suo giudizio che è possibile accettare la sentenza della Corte di Giustizia secondo la quale il programma OMT della BCE è compatibile con il diritto europeo.

Entrambe le decisioni di mezza estate sono di importanza epocale per il futuro d'Europa e della Germania. Rappresentano una svolta. Soprattutto dal punto di vista tedesco hanno trasformato giugno in un mese molto buio.

La Brexit imminente significa che la Germania perderà nell'UE il suo principale alleato da sempre orientato verso una politica commerciale aperta e fondata sul libero scambio, senza la quale l'economia dell'export tedesca non sarebbe piu' in grado di funzionare. Molto piu' concretamente la Germania perderà, come gli altri paesi orientati al libero scambio, la minoranza di blocco sulle decisioni del Consiglio Europeo.

Insieme alla Gran Bretagna e agli altri paesi della cosiddetta area del Marco, Olanda, Austria e Finlandia, aveva potuto difendere i suoi interessi ed imporre una politica commerciale europea aperta al mondo e al libero scambio. Ora invece è finita. I paesi del Mediterraneo, prima fra tutti la Francia, seguono una politica commerciale protezionista, credono piu nell'intervento dello stato che nel libero gioco delle forze di mercato e faranno di tutto affinché l'Europa cambi direzione sui temi dell'economia e del commercio internazionale. Se i protezionisti riusciranno ad imporsi, il modello di sviluppo tedesco basato sull'export subirà gravi danni.

Inoltre, l'Eurozona, senza il contrappeso britannico, si trasformerà ancora piu' rapidamente in una unione fiscale, come vorrebbero i paesi del sud-Europa e la Francia che in questo modo potrebbero compensare la loro perdita di competitività con i trasferimenti dal Nord. Una unione fiscale non significa solamente che ci sarà un budget europeo comune ed eventualmente un ministro delle finanze unico. Significa anche che dovranno essere definiti dei meccanismi di redistribuzione - da un'assicurazione sui depositi bancari per le banche in difficoltà fino ad un'assicurazione contro la disoccupazione a livello europeo - e cioe' istituzionalizzare, sotto forma di diritto garantito, un meccanismo di compensazione dei redditi e di aiuti per i paesi del sud-Europa che hanno perso la loro competitività.

Trasformare l'Eurozona in una unione fiscale per la Germania non sarà solo costoso. Questo passo è anche problematico perché implicitamente significa che sarà sempre piu' improbabile che i paesi dell'Est, oppure la Svezia, decidano di adottare l'Euro come valuta.

In questo contesto la decisione sull'OMT della Corte Europea e della Corte Costituzionale tedesca è disastrosa, perché una volta per tutte fa chiarezza su quello che la BCE non era riuscita ad ottenere con mezzi legali. La BCE di fatto potrà d'ora in poi acquistare senza limiti i titoli di stato dei paesi in crisi e in questo modo proteggere i loro creditori, come se ci si fosse indebitati con una garanzia comune attraverso gli Eurobond. Gli acquisti spingono verso il basso i tassi di interesse e privano i risparmiatori dei loro guadagni, sebbene gli stessi risparmiatori in qualità di contribuenti e proprietari impliciti della BCE continuino a garantire per le perdite. Cosi' molti paesi della zona Euro sprofonderanno sempre di piu' nel pantano del debito, senza che sia possibile offrire giuridicamente un limite al loro indebitamento.

Senza dubbio l'Europa si trova nella sua piu' grande crisi dalla seconda guerra mondiale. Le sfide che deve affrontare sono enormi, soprattutto l'Euro-disastro, l'ondata di profughi e la Brexit. Il disagio, il risentimento, l'aggressività e la paura crescono in tutta Europa. E naturalmente non sono buoni consiglieri. La rapida crescita dei partiti estremisti con i loro programmi massimalisti fanno intuire ovunque sul continente, con quale velocità cose normali a cui ci siamo abituati come il benessere e la pace possano scomparire rapidamente. La rifondazione dell'Europa deve avere successo. Non abbiamo altra scelta.

lunedì 17 ottobre 2016

Il patto segreto tra Francia e Commissione UE

L'importanza di essere francesi, ovvero, un "accordo segreto" fra Francia e Commissione UE per far finta di ridurre il deficit, e non far perdere la faccia alle parti. Da Frankfurter Allgemeine Zeitung  
La Commissione UE è da tempo indulgente con il deficit di bilancio francese. Secondo il libro appena uscito, alla base ci sarebbe un accordo segreto.

Era la promessa numero 9 del suo programma elettorale, fra i 60 "Engagements": "il rapporto debito/PIL nel 2013 sarà al 3%", scriveva François Hollande nel programma con cui nel 2012 ha vinto le elezioni. Al termine del suo mandato il bilancio pubblico avrebbe dovuto essere addirittura in pareggio, per farlo intendeva tagliare i regali fiscali che "da 10 anni erano stati concessi alle famiglie più' ricche e alle imprese più' grandi". Cosi' prometteva l'Hollande battagliero della campagna elettorale.

Che il presidente Hollande abbia ridotto il deficit molto piu' lentamente di quanto promesso allora, era noto. Prima nel 2013 e poi nel 2015 il governo francese ha dovuto chiedere alla Commissione uno slittamento di 2 anni dei termini per il raggiungimento della soglia del 3%. E fino ad oggi la Francia non è mai scesa al di sotto del 3%.

La novità è che il presidente francese ha evidentemente trovato nella Commissione Europea un complice. Cosi' scrivono i giornalisti di "Le Monde"  Gérard Davet e Fabrice Lhomme, che dal 2012 in 61 interviste hanno collezionato oltre 100 ore di conversazione con Hollande, raccolte in un libro appena uscito. In esso il Presidente racconta di un accordo segreto con la Commissione UE raggiunto nel 2013 quando la Francia ha ottenuto un prolungamento di 2 anni per il superamento del limite del 3%: "la verità è che noi abbiamo un deficit più' alto, e loro sanno molto bene che non raggiungeremo il 3% nel 2015", ha detto il Presidente in un'intervista. La Commissione ha quindi fatto ad Hollande una promessa: "noi preferiamo che voi continuiate a perseguire pubblicamente l'obiettivo del 3%, perché in questo modo potremo gestire meglio la situazione con gli altri paesi...vi veniamo incontro concedendovi piu' tempo e un ritmo piu' blando, compatibile con i vostri obiettivi di bilancio pubblico. E se il 3% non sara raggiunto, comunque non ve ne daremo la colpa".

I privilegi dei grandi paesi

E' Hollande stesso a parlare di un "accordo segreto" che la Francia avrebbe concluso con la Commissione: "diciamo così, facciamo un accordo segreto, noi accettiamo il 3% come obiettivo, ma voi sapete molto bene che noi non lo raggiungeremo. E ci siamo messi d'accordo". Leggendo le 661 pagine del libro si è stupidi dalla schiettezza delle parole di Hollande. I giornalisti dicono che le citazioni non sono state rilette e confermate. Per Hollande, nonostante le promesse di riduzione del deficit fatte in campagna elettorale, era chiaro che la Francia non avrebbe raggiunto gli obiettivi di deficit: "sapevamo che non avremmo raggiunto il 3%. Ma se lo avessimo detto fin dall'inizio, non saremmo stati considerati affidabili". E ha aggiunto: "tutti lo sapevano fin dall'inizio".

Il loquace presidente fornisce anche una spiegazione per l'indulgenza della Commissione con la Francia: "è il privilegio dei grandi paesi". "Noi siamo la Francia, vi proteggiamo, abbiamo un esercito, una capacità di deterrenza, una diplomazia". Gli europei lo sanno "che hanno bisogno di noi. E questo ha un prezzo, che deve essere pagato".

Schäuble: sarà l'ESM a controllare i bilanci pubblici nazionali

Intervista della stuttgarter-nachrichten.de a Wolfgang Schäuble sui temi europei. Secondo il ministro tedesco in futuro i bilanci pubblici nazionali dovranno essere controllati e approvati dal Fondo ESM. Dalle stuttgarter-nachrichten.de


SN: Il FMI ha appena detto che la sua partecipazione al programma di aiuti per la Grecia non è certa, poiché la sostenibilità del debito è dubbia.

Schäuble: Questo è un equivoco

SN: Non sta andando verso un nuovo conflitto con il FMI?

Schäuble: Niente affatto. Il FMI dubita - ma non è una novità - che la Grecia riuscirà a mettere in pratica quello che ha promesso per far tornare il paese alla crescita. I greci al contrario hanno sempre detto: ce la faremo. In primavera abbiamo pertanto concordato che Atene dovrà adottare ulteriori misure se il FMI con il suo pessimismo dovesse avere ragione. Di questo ho parlato con i miei colleghi greci nella seduta dell'euro-gruppo di lunedì' - e anche il FMI lo ha confermato.

SN: Quindi nessun taglio del debito?

Schäuble: Il terzo programma durerà fino alla fine del 2018 e poi decideremo che cosa sarà ancora necessario. Se ora iniziamo a parlare di riduzione del debito, si ridurrà anche la determinazione a fare le riforme. Il problema della Grecia non è il debito, piuttosto la debolezza della sua amministrazione e la mancanza di competitività.

SN: Negli ultimi anni ha investito una quantità di lavoro simile a quella necessaria per la crisi greca nell'unione bancaria. Che cosa è andato storto, se ancora una volta ci troviamo a discutere se è giusto o meno che ad intervenire sia il contribuente?

Schäuble: Alcuni istituti portano con sé il peso del passato. E questo non ha niente a che fare con l'unione bancaria. E' sulla buona strada: le regole dicono che in caso di difficoltà dovranno intervenire prima gli azionisti e poi determinati tipi di creditori. Le nostre banche sono dotate di più' capitale - non ci si troverà mai d'accordo sul fatto che sia sufficiente o meno, poiché non sappiamo quali saranno gli sviluppi. Il rischio contagio oggi è molto più' basso. Tutti i partecipanti hanno imparato la lezione, quindi tutti siamo meglio attrezzati per affrontare le sfide future.

SN: Lei ha  appena detto, si applicano le regole. Non è un problema il fatto che siano approvate piu' leggi di quante ne vengano poi rispettate? La nuova Europa non dovrebbe avere bisogno di regole più' vincolanti?

Schäuble: Ho già sottolineato una volta, che le funzioni della Commissione dovrebbero essere separate nettamente. E' una conseguenza logica del fatto che il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker cerca di ottenere dal trattato di Lisbona e dalle elezioni europee un ruolo di guida politica. Questo stride con il ruolo di guardiano neutrale dei trattati che la Commissione dovrebbe avere. Per questo io penso che il fondo salva-stati ESM dovrebbe muoversi in questa direzione - almeno per i paesi dell'unione monetaria. Il Fondo ESM non valuterebbe i bilanci pubblici in chiave politica, piuttosto li valuterebbe rigorosamente secondo le regole.

SN: Questo sarebbe possibile solo con la modifica dei trattati UE

Schäuble: No, non dovremmo modificare il diritto di base. Potremmo ottenere questo risultato per la zona Euro anche solo con la modifica del trattato sull'ESM.

SN: Lei è sempre stato a favore di una maggiore unione politica, necessaria per difendere l'unione monetaria. Dopo il voto sul Brexit lei pero' si è speso per soluzioni pragmatiche. Non ha più' una visione per l'Europa?

Schäuble: Io ho molte idee su come poter migliorare i trattati europei. Mi manca pero' ogni idea sul modo in cui in un tempo ragionevole si possa arrivare ad una modifica dei trattati - con le votazioni e i referendum che sarebbero necessari. Dobbiamo quindi rendere l'Europa piu' efficace tenendola al di sotto della soglia di modifica dei trattati UE. Le visioni servono ad essere trasformate in realtà quando si presenterà un'opportunità. Questa non è la situazione attuale.

SN: Nel lungo periodo ritiene necessarie modifiche piu' ampie?

Schäuble: Naturalmente

SN: Come convive con il fatto di essere considerato da un lato un pensatore europeo, dall'altro di essere elemento di polarizzazione, soprattutto nel sud-Europa?

Schäuble: Non credo di essere causa di polarizzazione. Io voglio che si vada avanti e che i risultati siano raggiunti. E io sono uno che sta cercando di portare avanti l'Europa tutta insieme. Questo è il compito piu' urgente per i tedeschi. Non è sempre facile, e non posso essere sempre "everybody's darling". Si' a volte sono anche un po' scontroso. Cio' è dovuto al mio lavoro di Ministro del Bilancio: se non fosse cosi' tutti mi porterebbero la loro lista dei desideri, che io non potrei soddisfare.


venerdì 14 ottobre 2016

Non è tutta colpa dei sindacati tedeschi

Gustav Horn, direttore del prestigioso Instituts für Makroökonomie und Konjunkturforschung (IMK) presso la Hans-Böckler-Stiftung, ci spiega perché i sindacati tedeschi non possono essere il capro espiatorio della crisi Euro. Da Makronom.de

I sindacati sono stati accusati spesso di eccessiva moderazione salariale. Di fatto, la formazione dei salari in Germania, e soprattutto in Europa, non è ottimale. Purtroppo i critici ignorano la realtà della contrattazione collettiva. Un commento di Gustav Horn.

Da un po' di tempo alcuni economisti considerano poco ragionevoli le contrattazioni collettive condotte dai sindacati, criticandone i risultati raggiunti perché giudicati insufficienti. Poiché i salari in Germania, per un lungo periodo di tempo, sia in una prospettiva storica che in un confronto internazionale sono cresciuti molto poco, questa critica non puo' essere respinta a priori. Considerando i giganteschi avanzi commerciali con l'estero, è necessario domandarsi se questi non siano stati raggiunti con il dumping salariale e se non siano alla radice della crisi dell'Eurozona.

Accordi salariali moderati

La critica avanzata può' essere illustrata in maniera esemplare dalla recente negoziazione salariale nell'industria meccanica. L'accordo raggiunto prevede che i salari crescano questo e il prossimo anno del 2.5%. Questi accordi vengono criticati in quanto sarebbero un esempio concreto di moderazione salariale da parte del sindacato tedesco. Considerare un accordo "troppo basso" significa avere uno standard di riferimento, secondo il quale gli aumenti salariali dovrebbero essere più' o meno giusti.

La critica si basa su di una misura che può' essere descritta come il contributo della politica salariale alla stabilità dell'economia in generale, e quindi come una politica salariale macroeconomica.  L'ipotesi di fondo è che la tendenza nominale complessiva dei salari debba seguire il trend degli aumenti di produttività piu' l'obiettivo di inflazione della BCE (intorno al 2%).

Una politica salariale orientata all'economia in generale

In primo luogo assicura che la dinamica salariale sia orientata all'aumento dell'efficienza dell'economia senza che le condizioni sul lato dell'offerta si deteriorino. Inoltre, la partecipazione alla crescita della produttività assicura che la produttività aggiuntiva si trasformi in un aumento del potere di acquisto, e che quindi la domanda ne esca rafforzata. Un tale approccio permette di mantenere un equilibrio fra domanda e offerta. Gli aumenti contrattuali dovrebbero orientarsi al trend degli aumenti di produttività, al fine di evitare le fluttuazioni cicliche nella tendenza dei salari.

Sempre secondo questo concetto i salari dovrebbero allinearsi all'obiettivo di inflazione della BCE. In questo modo si evita che la dinamica salariale possa mettere in pericolo la stabilità dei prezzi nell'economia.

Con l'introduzione dell'Euro, l'importanza di questo requisito è diventata ancora maggiore. All'interno dell'area Euro non esiste né un tasso di cambio nominale né un'autorità fiscale europea in grado di compensare le disparità economiche tra le diverse economie. Cosi' la stabilità del tasso di cambio reale, vale a dire i prezzi relativi fra i diversi paesi, è determinante.

Se il tasso di cambio reale fra le diverse economie si disallinea in maniera strutturale, e cioè se i prezzi crescono in un paese molto piu' rapidamente di quanto accade in un altro paese, si crea uno squilibrio esterno con un accumulo di asset nel paese che ha svalutato e un indebitamento nel paese sopravvalutato. Che una tale situazione non sia sostenibile, la crisi del 2009 lo ha mostrato in maniera drammatica.

Se misurati su questo criterio, i recenti accordi salariali sono di fatto troppo bassi. Dal punto di vista dell'economia nazionale, invece, la politica salariale è molto vicina al suo obiettivo macroeconomico


Alla base c'è anche il fatto che il trend degli aumenti di produttività in Germania ha rallentato sensibilmente - di conseguenza resta poco spazio per aumenti salariali nominali. Da questo punto di vista la critica mossa nei confronti dei sindacati non è giustificata.

Le cose stanno diversamente se osserviamo la politica salariale tedesca dal punto di vista europeo. In questo caso non è sufficiente prendere gli sviluppi recenti come metro di giudizio. E' necessario prendere in considerazione anche gli anni passati per poter correggere la lunga fase di svalutazione e riportare il tasso di cambio reale ai requisiti di stabilità europei.


In questa immagine si vede chiaramente che l'evoluzione dei salari in Germania, i cui effetti si riversano sul costo del lavoro per unità di prodotto, da molto tempo non è piu' in linea con l'obiettivo di stabilità dei prezzi della BCE. Affinché il riallineamento possa avvenire, i salari dovrebbero crescere con forza ancora per molti anni. Su questo punto la critica appare giustificata. La politica salariale in Germania non ha fatto nulla per stabilizzare l'Eurozona.

La politica salariale oberata

Sulla base di questa constatazione è opportuno sollevare una questione fondamentale: una politica salariale con cosi' tanti compiti macroeconomici, non è oberata?

Da un punto di vista puramente interno è cosi'. I critici spesso sembrano dimenticare che alla politica salariale appartengono due lati: sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro. Queste ultime, per difendere i loro interessi economici, si oppongono ad ogni richiesta di aumento salariale - le considerazioni macroeconomiche per loro non hanno alcuna importanza. Scaricare solo sui sindacati la responsabilità di un risultato contrattuale insoddisfacente, è un approccio asimmetrico.

A cio' si aggiungono ulteriori elementi economici. In periodi di alta disoccupazione la posizione contrattuale dei sindacati è debole. Anche se la disoccupazione -  come nei decenni passati - è il risultato di una mancanza di domanda e da un punto di vista macroeconomico sarebbe auspicabile una forte crescita dei salari, è tuttavia impossibile raggiungerla in queste condizioni. Qui è necessario l'intervento della politica fiscale - il settore privato non puo' risolvere da solo una tale crisi.

Non dobbiamo tuttavia trascurare che anche i sindacati hanno dei legittimi interessi economici. Cosi' nelle contrattazioni sindacali non si parla solo di aumenti salariali, ma spesso anche di miglioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti di un settore. Questi successi negoziali dei sindacati non possono pero' essere convertiti in un determintato livello di salario. I datori di lavoro, invece, per ogni concessione qualitativa si rifanno sui lavoratori con un minore aumento. Considerare questo scambio solo come una moderazione salariale significa avere una visione incompleta.

Ancora piu' importanti sono le tendenze strutturali che si scontrano con le riflessioni macroeconomiche, in particolare la sempre minore copertura dei contratti collettivi: solo il 50% dei dipendenti ha un contratto collettivo di categoria. La differenza fra gli aumenti salariali previsti dai contratti collettivi e gli aumenti salariali complessivi (lohndrift) in passato è stata considerevole. Ma su questo punto i sindacati non hanno alcuna responsabilità.

Dietro la decrescente applicazione dei contratti collettivi si nasconde, dal punto di vista dei sindacati, una grave tendenza - e cioè la crescente eterogeneità all'interno dei diversi settori. Ad esempio nell'industria automobilistica ci sono imprese molto redditizie che senza problemi potrebbero pagare un salario decisamente piu' elevato rispetto agli aumenti salariali contrattuali. Lungo la catena del valore ci sono pero' a volte delle differenze significative.

Cosi' alcuni fornitori subiscono la pressione dei grandi produttori finali, i quali riescono a spingere verso il basso i prezzi dei loro fornitori, fatto che ne peggiora la loro redditività. Gli aumenti salariali complessivi metterebbero perciò' in difficoltà i fornitori, perché hanno una debole posizione di mercato nei confronti dei loro clienti finali - e non perché, ad esempio, dispongono di una limitata capacità innovativa. La loro uscita dal mercato non porterebbe alcun vantaggio macroeconomico - al contrario.

Molto piu' difficile invece è il trasferimento a livello europeo del concetto di salario macroeconomico. Mentre in Germania i presuppostoti istituzionali per la definizione di un salario che tenga conto delle condizioni generali dell'economia ci sono già, questa struttura è quasi completamente assente nell'unione monetaria. 

In queste circostanze riuscire a definire una regola comune per la definizione dei salari è teoricamente possibile nel lungo periodo, ma sicuramente impossibile nelle condizioni attuali. La critica secondo cui alle politiche salariali tedesche manca un orientamento europeo puo' essere giustificata in considerazione di quanto sarebbe necessario fare, ma è ipocrita. Per arrivare a risultati sostenibili serve un lungo lavoro  di costruzione delle strutture di negoziazione salariale a livello europeo.

La politica salariale attuale

Senza dubbio la formazione dei salari in Germania, e ancora di piu' in Europa, non puo' essere considerata ottimale. Gli accordi istituzionali e le condizioni politiche del mercato del lavoro non lasciano sperare in un miglioramento. Non ha molto senso, in questo contesto, accusare i sindacati di eccessiva moderazione salariale. Da un lato, come mostrato sopra, gli attuali accordi salariali dal punto di vista delle necessità dell'economia interna non possono essere considerati troppo bassi. Dall'altro, i problemi a livello europeo sono troppo gravi per poter essere risolti solo dai sindacati. Qui sono responsabili prima di tutto i governi.

Anche i criteri macroeconomici utilizzati dai critici sono assolutamente ragionevoli - solo che il mancato rispetto di questi criteri non è esclusivamente responsabilità dei sindacati, come i critici invece amano ripetere.

martedì 11 ottobre 2016

Flassbeck: il FMI e l'ignoranza tedesca

Heiner Flassbeck su Makroskop.eu parla del livello di ignoranza e omologazione raggiunto dai commentatori tedeschi: è ormai impossibile criticare gli avanzi commerciali con l'estero. Da Makroskop.eu
La sessione autunnale del Fondo Monetario Internazionale è stata dedicata all'assurdità del risparmio tedesco. Ma in Germania nessuno vuole ammetterlo. La gente non ha piu' fiducia nei media, perché i mezzi di informazione sono allineati sulle posizioni del governo. 

Der Spiegel lo sapeva già prima che il meeting di Washington iniziasse: la Germania sarà il bersaglio di tutte le critiche per il suo doppio surplus (bilancio pubblico e partite correnti con l'estero), tuttavia avrà a sua disposizione argomenti preparati con cura. In particolare, la Germania intende sottolineare che anche secondo John Maynard Keynes lo stato nei periodi buoni deve fare degli avanzi e ridurre il debito. Addirittura il settimanale riferisce che Schäuble lo avrebbe detto con un certo compiacimento, sempre leggendo gli articoli del ben informato scribacchino nella capitale americana.

Questo tipo di obbedienza preventiva nel giornalismo di guerra viene definito giornalismo "embedded". Il giornalista scrive, anche prima che qualcosa sia successo, quello che i suoi "committenti" vogliono ascoltare e ottiene come ricompensa un paio di informazioni privilegiate. Ma anche negli altri media "di qualità" le cose non vanno molto meglio. Si legge che ci sono stati conflitti, ma secondo Handelsblatt si tratta di una "relazione in crisi" fra il FMI e la Germania, mentre secondo Focus Schäuble lascia che Christine Lagarde vada ad "incagliarsi". Sulla FAZ Otmar Issing difende le politiche tedesche dagli attacchi del FMI , sebbene l'ex capo-economista di Bundesbank e BCE mostra soprattutto che anche dopo lunghi anni di studi, non ne ha capito o non ne ha voluto capire l'interdipendenza.

A Washington è successo qualcosa di sensazionale, ma il pubblico tedesco non lo deve sapere. Che il capo del FMI sul palco, davanti a tutti e in anticipo rispetto al vero meeting, abbia esortato la Germania (insieme a Canada e Corea) a fare di più' per la congiuntura interna, è estremamente insolito. Che in seguito abbia commentato l'annuncio di Schäuble, useremo  6 miliardi per la riduzione delle tasse (meno del 2 per mille del PIL tedesco), con un sarcastico "fantastico", non mostra una "relazione in crisi", piuttosto una profonda frustrazione per la testardaggine tedesca.

Ed è anche abbastanza chiaro che dietro questo atteggiamento sorprendentemente poco diplomatico del FMI ci sono sicuramente i paesi piu' importanti, prima di tutto gli Stati Uniti, ma probabilmente anche alcuni europei. La Francia critica con sempre maggior forza l'atteggiamento tedesco, e l'Italia è sul punto di esplodere. A mio avviso in molti paesi si inizia a capire che in considerazione degli avanzi crescenti delle partite correnti tedesche e della continua debolezza della congiuntura interna nel paese "modello", l'atteggiamento tedesco puo' essere modificato, se ancora possibile, solo esercitando una forte pressione dall'esterno. Che il ministro delle finanze tedesco, nonostante il doppio avanzo, a Washington abbia avuto il coraggio di dire che la Germania tiene insieme l'Europa, a Roma e Parigi sarà sembrato uno scherzo di cattivo gusto.

Schäuble almeno su di un punto ha ragione. Lo dice nella stessa discussione: le persone non hanno piu' fiducia nei media, e lo dice come se fosse indignato. Dovrebbe fare almeno un po' di autocritica, allora scoprirebbe che le sue decisioni politiche sono trattate dai media tedeschi con la massima cura e attenzione. La maggior parte dei corrispondenti da Washington non sono disponibili ad affrontare il tema degli avanzi commerciali con l'estero, per non parlare del fatto che non sono disposti a trarne le necessarie conseguenze. Perché la gente dovrebbe fidarsi dei media, che su di un punto cosi' decisivo non sono stati all'altezza?

Alle usuali affermazioni difensive della politica e dei media tedeschi appartiene quella secondo cui la congiuntura interna sta prendendo velocità, perché nel frattempo gli stipendi in Germania stanno crescendo con forza. Purtroppo non vi è niente di vero. Analizzando lo sviluppo dei salari nominali negli ultimi anni e per l'anno prossimo, si ottengono i dati qui sotto. Poiché alcuni contratti collettivi saranno validi per tutto il 2017, la stima per il prossimo anno è abbastanza credibile. Quella per il 2018 è al contrario pura fantasia.

Contrariamente a quanto viene fatto credere pubblicamente, in Germania (in piena occupazione, come spesso amano aggiungere) la crescita dei salari non sale di anno in anno, ma al contrario scende. La retribuzione contrattuale oraria è la misura più' importante. La crescita è passata dal 3% del 2014 al 2.4% dello scorso anno e al 2.1% di quest'anno. Anche per il 2017 gli istituti di ricerca ipotizzano un aumento del 2.2%.
Da dove possa arrivare, in un tale scenario, la spinta alla domanda interna, è difficile da capire. I salari reali quest'anno sono cresciuti più' dello scorso anno, perché i prezzi sono aumentati meno o addirittura sono diminuiti. Per il prossimo anno nessuno si aspetta che accada lo stesso. Anche i vicini europei, ormai senza alcuna ombra di dubbio, devono riconoscere che in Germania non si fa nulla per portare il cambiamento che darebbe loro l'aria per respirare.

Perché è cosi', fuori dalla Germania ormai lo hanno capito quasi tutti. Dal passato spunta Otmar Issing e dice:

"...possiamo dire che una correlazione diretta fra il saldo del bilancio pubblico e le partite correnti è tutt'altro che chiara."

Un tempo una tale dichiarazione poteva essere anche accettabile. Oggi il rapporto è molto chiaro. In un paese come la Germania, dove i privati (famiglie e imprese) risparmiano sistematicamente (sono risparmiatori netti), lo stato può fare un avanzo oppure ridurre i suoi deficit, nella misura in cui scarica sull'estero le necessarie contropartite sotto forma di indebitamento netto.

Poiché in Germania nessuno pensa seriamente di spingere le famiglie oppure le imprese in una posizione debitoria, la relazione fra il saldo dello stato e il saldo delle partite correnti è assolutamente chiara: ogni consolidamento del bilancio pubblico oppure ogni avanzo di bilancio pubblico possono essere realizzati solo se l'estero è disposto ad accettare un maggiore indebitamento. Per questo, l'ho detto chiaramente poco fa, sono finiti i bei tempi a cui si riferiscono tutti quelli che vogliono difendere gli avanzi dello stato.

Chi insiste sulla posizione tedesca divide l'Europa, perché gli altri paesi non possono seguire i diktat tedeschi ed europei sul consolidamento dei bilanci pubblici senza causare un deterioramento della loro situazione economica ed un aumento della loro disoccupazione. Anche loro non sono infatti in condizione di spingere le famiglie e le imprese in una posizione debitoria. Chi difende la posizione tedesca, che capisca o meno le relazioni, vuole solo dividere e non pacificare, anche se sostiene il contrario.