domenica 10 settembre 2017

Il tramonto del sindacato tedesco

Come si puo' spiegare l'avanzata dei minijob, del lavoro interinale, dei contratti d'opera e il trionfo di Hartz IV in un clima di relativa pace sociale? Un rivoluzionario del passato scriveva che se si chiedesse ai tedeschi di assaltare una stazione questi correrebbero a comprare il biglietto per poter accedere ai binari. Probabilmente non aveva torto. Der Spiegel analizza i dati.

Copertura della contrattazione collettiva
I contratti collettivi di lavoro si applicano ormai solo alla metà dei lavoratori dipendenti - includendo i contratti nazionali e quelli aziendali. Si tratta tuttavia di un fenomeno alquanto recente. Nei decenni scorsi infatti la regola prevedeva che gli accordi negoziati fra i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro fossero validi per un'ampia maggioranza di lavoratori - quasi sempre si applicavano in maniera uniforme ad un intero settore. Da diversi anni tuttavia l'area di copertura dei contratti collettivi continua a restringersi.

Una delle ragioni probabilmente è il fatto che molti dei nuovi posti di lavoro vengono creati in settori in cui i sindacati sono tradizionalmente deboli: commercio, gastronomia, salute, assistenza e altre prestazioni di servizi. La copertura dei contratti collettivi in Germania è ampiamente al di sotto della media UE. Una percentuale inferiore la si puo' trovare solo nei paesi a forte orientamento liberista nell'Europa dell'est oppure in Gran Bretagna e Irlanda.


Molti lavoratori continuano tuttavia a beneficiare della contrattazione collettiva sebbene in senso stretto questa non dovrebbe valere per tutti i lavoratori - gli accordi salariali negoziati dal sindacato in teoria dovrebbero valere solo per i suoi membri. Il fatto che i contratti collettivi siano applicati anche ai lavoratori non iscritti al sindacato ha molto a che fare con la volontà degli imprenditori di non dare ai sindacati una spinta per far aumentare il numero dei loro iscritti. Da diversi anni anche la quota dei lavoratori iscritti al sindacato resta particolarmente bassa. Il cosiddetto livello di organizzazione è sceso dal 27% del 1994 al 20% verso la metà del decennio scorso, è rimasto per un periodo stabile e oggi ha raggiunto un nuovo minimo al 17%.

Mentre i sindacati rappresentano soprattutto gli interessi dei dipendenti al di là dei confini aziendali - cioè per un intero settore oppure per interi gruppi professionali, i Betriebsrat (consigli di fabbrica) rappresentano i dipendenti all'interno di una determinata azienda. I loro diritti sono definiti dalla legge sul lavoro. Già da molti anni ormai solo una minoranza dei lavoratori tedeschi viene rappresentata da un Betriebsrat. Se nel 2000 erano ancora il 50% nella Germania dell'ovest e il 41% nella Germania dell'est, nel 2016 la quota è scesa al 43% nell'ovest e al 34% nell'est. In linea di principio è sempre valido: quanto piu' grande è l'azienda, tanto piu' probabile è che ci sia un Betriebsrat. In molte piccole aziende tuttavia non vi è alcun Betriebsrat. Calcolato sul numero complessivo delle aziende in Germania, il Betriebsrat è presente solo nel 10% di queste.

Per quanto riguarda gli scioperi, come è noto i tedeschi restano estremamente ostili al conflitto sociale - il che spiega perché nel 2015 la lotta sindacale dei piloti, dei ferrovieri e degli insegnanti di scuola ha fatto cosi' tanto scalpore: solo cio' che è insolito puo' fare notizia. I giorni lavorativi persi a causa di uno sciopero quell'anno hanno raggiunto una media insolitamente elevata pari a 31 ogni mille lavoratori. 

La media degli ultimi decenni è di circa 5 giorni di sciopero all'anno ogni 1000 lavoratori - il che significa nient'altro che il lavoratore medio in Germania perde un giorno di lavoro per scioperare ogni 200 anni. Se si assume una vita lavorativa media di 40 anni, statisticamente solo un dipendente su cinque nella propria vita ha perso una giornata di lavoro per fare uno sciopero. Perché cio' accada  il lavoratore non deve necessariamente scioperare personalmente - se ad esempio i piloti d'aereo scioperano, il resto dell'equipaggio non puo' lavorare.

sabato 9 settembre 2017

Le libertà del junior partner

I tedeschi osservano con molta attenzione l'attivismo di Macron in Europa e in Grecia dove il presidente francese si è recato questa settimana per rilanciare il suo progetto europeo e per contrastare l'espansionismo economico tedesco e cinese. Da German Foreign Policy una riflessione molto interessante sulla strategia politica francese in Europa. 


La trasformazione dell'Eurozona

Al centro dell'offensiva politica europea recentemente avviata dal Presidente francese Macron c'è il piano, da tempo annunciato, per la trasformazione dell'Eurozona. Il piano francese sostanzialmente non sarebbe una completa retromarcia nei confronti della politica dell'austerità tedesca. Tuttavia con la proposta francese gli spazi di manovra, soprattutto per i paesi in crisi del sud-Europa, dovrebbero ampliarsi. L'obiettivo è quello di sviluppare misure di sostegno permanenti necessarie ad evitare il crollo dei singoli paesi europei, come la Grecia o l'Italia, stabilizzando in questo modo l'Euro nel lungo periodo. Per questa ragione Macron vorrebbe creare un budget specifico per la zona Euro. L'assegnazione delle risorse non dovrebbe quindi piu' dipendere dai soliti diktat di austerità di Berlino, ma essere gestita attraverso decisioni politiche. A tal fine dovrebbe essere istituito un Ministro delle Finanze dell'area Euro e un Parlamento dell'Eurozona. Per poter portare avanti il dibattito in maniera piu' decisa, Parigi pretende la guida dell'Eurogruppo che il Ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire dovrebbe assumere dal prossimo gennaio; nella prospettiva della riforma, il capo dell'Eurogruppo dovrebbe quindi corrispondere con il ruolo di Ministro delle Finanze Europeo. Parigi sarebbe quindi disposta ad appoggiare la candidatura alla presidenza della BCE dell'attuale Presidente della Bundesbank Jens Weidmann.[1] Macron tuttavia deve fare i conti con una forte opposizione, proveniente dalla Germania, contraria ad ogni ulteriore forma di redistribuzione attraverso un budget comune dell'Eurozona. L'opposizione è ancora piu' forte nella misura in cui Macron per questo budget chiederebbe un contributo pari a diversi punti di PIL dell'Eurozona. Un punto percentuale corrisponde a 107 miliardi di Euro; l'intero bilancio dell'UE è attualmente di circa 150 miliardi di euro all'anno.

A porte chiuse

Lo scorso fine settimana Parigi ha dato un primo schiaffo verbale alla politica di gestione della crisi dettata da Berlino: il Commissario agli Affari Monetari dell'UE Pierre Moscovici l'ha apertamente criticata definendola "non democratica". I suoi sforzi politici sono dettati dal tentativo di aprire una breccia per le riforme dell'Eurozona proposte da Macron, che in questo quadro vengono quindi rivendute come una presunta reintroduzione della democrazia nell'UE; le dichiarazioni di Moscovici sulla materia, insolitamente taglienti, sembrano aver colpito il centro del problema. Come dichiarato dal Commissario francese, nell'UE ci sarebbe "uno scandaloso deficit democratico". Cio' riguarda soprattutto le misure che Bruxelles nel corso della crisi ha imposto alla Grecia: si tratta "di misure decise a porte chiuse, prese da tecnocrati, senza alcun controllo da parte del Parlamento". Provvedimenti che "hanno coinvolto anche il piu' piccolo dettaglio nella vita del paese colpito, decisioni fondamentali sulle pensioni, oppure sul mercato del lavoro". Non c'è stato "alcun critierio costante", nemmeno "una linea guida comune"; anche i media non hanno mai saputo quello che realmente stava accadendo. [2]  Un tale stato di cose non puo' andare avanti, è necessario un vero cambiamento.

La ricostruzione della democrazia

Il presidente Macron sta cercando di ottenere il sostegno dei paesi dell'Europa del sud nei confronti della sua iniziativa politica. Nel fare questo puo' sicuramente riallacciarsi al lavoro preliminare del suo predecessore François Hollande che in qualità di leader aveva partecipato a tre "vertici dei paesi del sud-Europa" nel settembre 2016 e nel gennaio e aprile 2017. Al vertice erano presenti i leader di Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta. [3] Macron questa settimana si recherà ad Atene per promuovere pubblicamente la sua iniziativa. E' annunciato un discorso con cui il presidente francese - coerentemente con gli argomenti enunciati dal Commissario UE - intende promuovere "la ricostruzione di una Europa democratica". Con cio' intende essenzialmente la trasformazione dell'Eurozona secondo le proposte di Parigi. Macron per annunciare il suo progetto ha scelto la capitale greca dato il suo alto valore simbolico in quanto luogo di origine della democrazia europea nonché sito di esecuzione dei piu' estremi diktat di austerità ordinati da Berlino. [4]

La Francia contro la Cina

Accanto a cio' il presidente francese intende lanciare una prima offensiva economica contro la Cina. Macron viaggia ad Atene accompagnato da una delegazione economica di circa 40 rappresentanti di grandi aziende francesi, fra questi i dirigenti esecutivi di grandi aziende come Total, Engie, Vinci, Sanofi e L'Oreal. I dirigenti francesi arrivano in un paese che da decenni si trova sotto una notevole influenza economica tedesca. Un paese che pero' ha perso rilevanza dopo essere entrato in una profonda crisi economica: molte aziende tedesche si sono ritirate dal paese, altre si sono concentrate sui pochi pezzi buoni rimasti, ad esempio nell'industria del turismo [5]. Macron non solo spera di poter utilizzare  a vantaggio delle aziende francesi gli spazi lasciati vuoti dai tedeschi, ma si schiera di fatto anche contro la crescente influenza cinese. La compagnia marittima cinese COSCO ha recentemente assunto la maggioranza del porto del Pireo che vorrebbe trasformare in una stazione fondamentale sulla "Nuova via della seta".[6] Non possiamo incassare l'espansionismo economico cinese senza difenderci, si dice a Parigi in preparazione al viaggio di Macron verso Atene: è necessario rafforzare le posizioni europee in Grecia. Recentemente un consorzio franco-tedesco ha acquisito la maggioranza del porto di Salonicco [7]: Macron per impostare la sua strategia vorrebbe ripartire da questa acquisizione. Se dovesse riuscire a trasformare il suo piano in realtà, allora si potrebbe delineare una forte rivalità fra Berlino e Parigi, da un lato, e sull'altro lato della contesa, Pechino.

Meno professorale, piu' amico

Cio' presuppone che Berlino lasci la strada libera a Macron senza pregiudicare i suoi piani per la zona Euro. I consiglieri governativi di Berlino suggeriscono caldamente di non far andare via a mani vuote ancora una volta un presidente francese - diversamente da quanto accaduto con i suoi due predecessori [8]. Macron in Francia ha avviato una riforma del mercato del lavoro che fondamentalmente si basa sul modello dell'Agenda 2010 tedesca: la sua euro-iniziatva è la necessaria contropartita a queste riforme. Se le riforme del lavoro avranno successo, Macron continuerà a trasformare la Francia secondo il modello tedesco. In realtà il suo successo è tutt'altro che scontato: già la prossima settimana sono annunciate le prime proteste di massa, il 68% della popolazione non ha alcuna fiducia nelle riforme, mentre il consenso verso la presidenza di Macron è drasticamente diminuito. Il capo dell'Istituto demoscopico Ifop dice: "l'umore generale è quello della vigilia di una grande battaglia".[9] In una situazione cosi' difficile per Macron, Berlino "dovrebbe allentare le briglie" e lasciare strada libera al suo tentativo di trasformare l'Eurozona, in modo da poterlo rafforzare internamente. Cosi' è scritto in una recente presa di posizione della Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP); diversamente ci sarebbe il rischio di vederlo cadere. L'UE nel lungo periodo puo' funzionare solo "se Parigi non sarà piu' considerato come un un junior partner dei tedeschi", sempre secondo la DGAP. Berlino deve cambiare il suo approccio: "meno professorale, e piu' amico fedele". [10]

Il consiglio della DGAP di non spingere al massimo l'egemonia tedesca all'interno dell'UE e di lasciare che altri paesi possano almeno in parte essere coinvolti nella gestione del potere, al fine di evitare la disintegrazione dell'UE, sicuramente non è una novità. Sarebbe certamente una novità se questa volta Berlino dovesse ascoltare il consiglio. 


[1] S. dazu Vom deutschen Euro zur deutschen EZB.
[2] Moscovici: "L'Italia contenga il debito. Sì al ministro delle Finanze Ue". www.corriere.it 02.09.2017.
[3] S. dazu Spalte und herrsche.
[4] Grèce: Macron veut reconstruire une Europe démocratique. www.lepoint.fr 06.09.2017.
[5] S. dazu Die letzte Boombranche.
[6] S. dazu Die Grenzen der Diktate.
[7] S. dazu Wer hat, dem wird gegeben.
[8] S. dazu Sarkozy, der Deutsche und Le modèle Gerhard Schröder.
[9] Martina Meister: "Eine Stimmung wie am Vorabend einer großen Schlacht". www.welt.de 31.08.2017.
[10] Claire Demesmay, Jana Puglierin: What Germany Needs To Do Next... On France and the EU. berlinpolicyjournal.com 05.09.2017.

giovedì 7 settembre 2017

Roland Berger: "meglio la fine dell'euro che l'unione di trasferimento"

Roland Berger, grande consulente d'impresa nonché storico consigliere politico per diversi governi tedeschi, intervistato dalla Süddeutsche Zeitung in occasione dei suoi 80 anni non le manda a dire: l'euro è stato un fallimento, meglio la fine della moneta unica che una unione di trasferimento a spese dei tedeschi. Dalla Süddeutsche Zeitung


SZ: se Frau Merkel le chiedesse un consiglio, cosa le direbbe?

Berger: in primo luogo le direi di affrontare una fondamentale riforma dell'istruzione. E' intollerabile che nel nostro paese ancora oggi i figli dei laureati abbiano il triplo delle possibilità di andare all'università rispetto ai figli dei non laureati. Cio' è moralmente ingiustificabile e implica una enorme perdita di talenti per la nostra società. Inoltre, ogni studente dovrebbe essere in grado di programmare e conoscere almeno un linguaggio di programmazione, in modo da essere pronto per il mondo digitale.

SZ: si parla da anni di una riforma dell'istruzione ma nulla è cambiato

Berger: e' vero. Ma io spero che il prossimo governo prenda sul serio la questione. Il problema è che i successi di una riforma dell'istruzione saranno visibili solo fra 15 o 20 anni - molto dopo la fine di una legislatura, che è decisiva per la rielezione dei politici. In secondo luogo cercherei di stabilizzare l'Unione Europea.

SZ: secondo lei come dovrebbe essere stabilizzata l'UE?

Berger: la crisi dell'euro deve essere risolta. O con una unione di trasferimento accompagnata da massicce riforme nei paesi in crisi, oppure con la dissoluzione dell'euro.

SZ: rinunciare all'euro?

Berger: l'euro è evidentemente un fallimento e divide l'Europa. Nei paesi latini la disoccupazione giovanile è fra il 30 e il 50%. Non è accettabile. Poiché i tassi di cambio fra i diversi paesi dell'area euro non possono essere aggiustati secondo la loro competitività, fra i diversi stati ci sono ormai dei disallineamenti intollerabili, che dividono l'Europa.

SZ: non sarebbe l'intera UE ad essere in pericolo se l'euro dovesse essere sciolto?

Berger: io non credo. Vedere Frau Merkel rappresentata in uniforme nazista in Grecia e in Italia ci mostra il livello di divisione raggiunto. L'Europa è divisa. Non è possibile mantenere l'euro. Come alternativa resta l'unione di trasferimento, che corrisponde al concetto del presidente Macron. Chi sarà pero' alla fine a dover pagare per l'unione di trasferimento lo sappiamo: saranno i tedeschi.

SZ: temporaneamente pero' potrebbe anche essere ragionevole

Berger: ma i tedeschi non sono pronti per fare questo passo. La scelta piu' semplice e probabilmente la piu' ragionevole anche dal punto di vista economico è lo scioglimento dell'euro. L'asset piu' importante di tutta l'integrazione europea è l'UE, vale a dire prima di tutto il mercato comune con le 4 libertà fondamentali, e cioè la libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali. A cio' si aggiunge Schengen, una politica comune di sicurezza e di difesa, una politica di innovazione europea con una infrastruttura digitale ed un ruolo attivo dell'UE nella globalizzazione. Sui grandi temi possiamo raggiungere dei risultati importanti, soprattutto se l'Europa lavora insieme. Come coronamento, ma solo dopo aver approfondito l'integrazione, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di reintrodurre l'euro. Invece della "teoria della coronazione" all'epoca si è scelta la "teoria del locomotore": l'euro come motore per un governo europeo, che è visibilmente fallita.

SZ: cosa è migliorato oggi nell'economia tedesca rispetto a 40 anni fa, che cosa è peggiorato?

Berger: nulla è peggiorato. Dalla riunificazione il nostro prodotto interno lordo pro-capite è piu' che raddoppiato. La nostra reputazione internazionale non è mai stata cosi' positiva. La gestione delle imprese nel nostro paese è eccellente. La nostra economia è molto competitiva. Il numero degli occupati in Germania non è mai stato cosi' alto.

martedì 5 settembre 2017

The dark side of the boom

L'economia va bene, il mercato del lavoro ancora meglio, difficile che Merkel e la CDU possano subire un tracollo di voti alle prossime elezioni, anche se i sondaggi dicono che i tedeschi iniziano ad essere stanchi della Cancelliera. La conservatrice e liberista Die Welt timidamente prova a mostrare i punti deboli del Jobwunder tedesco, molte luci, qualche ombra. Da Die Welt


A fine estate 2017 nelle mense aziendali tedesche non si parla d’altro: il personale disponibile non basta a coprire i fabbisogni. La lamentela è tipica e ci mostra dove risiede veramente il problema: se il collega o la collega dovessero assentarsi la situazione potrebbe farsi difficile. Nel breve periodo non si riesce a trovare personale sufficiente per coprire il fabbisogno di lavoratori. La ragione di questa mancanza di personale un po' in tutto il paese è la seguente: il mercato del lavoro tedesco è in tensione. Molte aziende, ma anche le amministrazioni pubbliche, hanno difficoltà a reperire un numero sufficiente di dipendenti qualificati. Il numero dei posti di lavoro non coperti è salito al livello piu' alto di tutti i tempi: nel complesso ad agosto c'erano circa 741.000 posizioni segnalate come aperte, e non si trattava solo dei proverbiali specialisti IT.

Nemmeno due decenni dopo che The Economist aveva definito la Germania "il malato d'Europa", la piu' grande economia europea si trova nel pieno di un vero e proprio Jobwunder. Il mercato del lavoro tedesco sta vivendo una delle piu' lunghe fasi di boom della sua storia. I tempi dei tassi di disoccupazione a doppia cifra, diventati la normalità in molti paesi industrializzati ma anche in quelli emergenti, qui da noi fanno ormai parte del passato. Angela Merkel in campagna elettorale puo' rivendere la ripresa del mercato del lavoro come uno dei suoi piu' grandi successi sul campo. Negli uffici della Cancelleria tuttavia sanno bene che sotto la superficie brillante dei dati restano alcuni problemi irrisolti. Il boom dell'occupazione ha i suoi lati oscuri: non tutti i cittadini ne stanno beneficiando in egual maniera.


"Nel complesso ci sono piu' luci che ombre", dice Enzo Weber, Professore di Ricerca economica empirica presso l'Università di Regensburg. Ma non dovremmo dimenticare i molti lati oscuri. I dati di per sé sono imponenti, quasi epici. Quando il 18 settembre del 2005 l'Unione ha vinto le elezioni e poco dopo si è capito che Merkel sarebbe stata la nuova Cancelliera, in Germania c'erano 4.8 milioni di disoccupati: quasi il 12% della popolazione attiva. La situazione era particolarmente drammatica nell'est, un quinto della popolazione attiva era disoccupata. Quello che è successo da allora sembra quasi una favola. In dodici anni di governo Merkel la disoccupazione si è quasi dimezzata. Secondo l'Agenzia Federale per il Lavoro attualmente ci sarebbero solo 2.5 milioni di persone in cerca di occupazione.

Il tasso di partecipazione al lavoro è salito al 75%

Il governo non puo’ prendere per buona l'accusa secondo la quale le statistiche sarebbero abbellite dal fatto che molte persone scoraggiate semplicemente non si presentano piu’ ai centri per l’impiego. Diversamente da quanto è accaduto negli Stati Uniti, il tasso di partecipazione durante l'era Merkel in Germania è aumentato notevolmente: è passato da due terzi all’attuale 75%. In America nello stesso periodo è sceso dal 66 al 63 %. La Repubblica Federale, con circa il 75%, ora ha uno dei tassi più alti di partecipazione al lavoro del mondo sviluppato. Dal punto di vista economico il "mercato del lavoro" per le persone effettivamente in cerca di occupazione si è quasi completamente esaurito.

E c'è ancora un altro indizio che ci mostra la genuinità della ripresa: nel 2005 un lavoratore su sette in Germania era sottoutilizzato. Quasi il 14% della popolazione avrebbe lavorato volentieri piu' di quanto le condizioni del loro impiego gli permettevano. Nell'estate del 2017 questa quota è inferiore all'8%.

Nel complesso il numero delle persone occupate è salito notevolmente: da quanto Merkel è alla Cancelleria, la popolazione attiva è cresciuta di quasi cinque milioni (anche il PIL è cresciuto), mentre la popolazione complessiva è cresciuta solo leggermente. Neanche la Cancelliera probabilmente vorrebbe assumersene interamente il merito. Gli economisti tuttavia attestano che i tre governi da lei guidati ( grande coalizione I, nero-giallo, grande coalizione II) hanno gestito lo sviluppo con una mano leggera senza far deragliare il treno della ripresa.



"Il settore a basso salario è ancora molto grande"

Le riforme del lavoro e le politiche di moderazione salariale tuttavia hanno avuto un loro prezzo. La Germania oggi ha uno dei piu' grandi “settori a basso salario” del mondo, circa 4.7 milioni di lavoratori sono esclusivamente “dipendenti minori”, vale a dire minijobber. In diversi settori anche i redditi dei lavoratori a tempo pieno restano bassi. Accanto al loro lavoro principale, molte persone sono oggi costrette ad avere un secondo lavoro. Secondo l'Agenzia per il lavoro, nel 2016 quasi 2.7 milioni di lavoratori avevano un secondo impiego. "Per una parte di questi lavoratori il secondo lavoro è un extra reddito, per un'altra parte invece il reddito del primo lavoro semplicemente non basta", dice il ricercatore Weber.

Anche Brzeski osserva: "anche dopo diversi anni di forte crescita economica il settore a basso salario in Germania è ancora molto grande". Nei primi anni di applicazione delle riforme Hartz un “settore a basso salario” dinamico poteva essere un segnale del fatto che le riforme stavano funzionando e che le persone stavano tornando a lavorare, nel frattempo pero' le riforme hanno mostrato anche il loro lato oscuro. L'andamento dei salari non è negativo, ma non è stato certo esaltante. Nei dieci anni conclusi nel 2016 gli stipendi e i salari sono aumentati del 23%, depurato dall'inflazione ai lavoratori è rimasto un 10% di aumento reale, si tratta soprattutto di un aumento diffuso in maniera irregolare fra le diverse regioni e le varie occupazioni.


Piu’ sostegno per i disoccupati di lungo periodo

Mentre per gli stipendi dei dipendenti specializzati le cose non vanno troppo male, per i lavoratori meno qualificati e part-time spesso non è facile riuscire a sbarcare il lunario. Secondo l'ufficio federale di statistica il 7.7% di tutti i lavoratori è a rischio povertà. Calcolato sui 44 milioni di occupati della piu' grande economia del continente si tratta di circa 3.4 milioni di persone. Lo slogan di "povero con un lavoro" è diventato popolare. Ma c'è anche un altro gruppo di persone che dalla “favola del miracolo del lavoro” non ha ottenuto molto: i disoccupati di lungo periodo. Il loro numero è sicuramente diminuito, attualmente sono 900.000, restano tuttavia ad un livello molto elevato. "Per riuscire ad integrare nel mercato del lavoro il gruppo dei disoccupati di lungo periodo servirebbero maggiori sforzi", dice Weber. La chiave per farlo è un aiuto individuale ai disoccupati, combinato con un  sostegno personale nei Jobcenter.

Una critica di rilievo arriva da Gunther Schnabl, professore di Politica economica all'Università di Lipsia. Il boom nel mercato del lavoro secondo l'economista non sarebbe cosi' sostenibile come sembra. Secondo la valutazione di Schnabl il boom degli ultimi anni in gran parte è dovuto alla politica finanziaria e monetaria europea. "Con la crisi la banca centrale europea ha ridotto i tassi di interesse e ha iniziato ad acquistare titoli su larga scala", dice l'economista. I bassi tassi di interesse stanno surriscaldando il boom delle costruzioni, che nel breve periodo crea nuova occupazione. Inoltre l'euro debole ha creato una congiuntura particolarmente favorevole per i beni da esportazione, il che a sua volta ha stimolato l'occupazione nelle industrie orientate verso l'export. "Non appena la bolla immobiliare tedesca scoppierà, la disoccupazione in Germania tornerà a salire", teme Schnabl. E allora probabilmente nelle mense aziendali tedesche il tema principale di discussione sarà completamente diverso.

venerdì 1 settembre 2017

La fine della contrattazione collettiva

Il governo risponde ad un'interrogazione parlamentare della Linke sul tema della contrattazione collettiva. Emerge un altro tassello nella strategia di riduzione del costo del lavoro: meno della metà dei lavoratori tedeschi è inquadrata secondo un contratto di categoria, con l'avanzata dei minijob, dei contratti d'opera e del lavoro interinale si restringe l'aria di applicazione dei contratti di categoria. Un trend non secondario, visto che i contratti di categoria garantiscono retribuzioni e adeguamenti salariali molto piu' alti della media. Dalla Frankfurter Rundschau 



Lavorare senza la copertura di un contratto collettivo ormai è la nuova normalità. Mentre solo 20 anni fa in Germania piu' di due terzi degli occupati erano inquadrati secondo un contratto collettivo, lo scorso anno nei Laender dell'ovest lo erano solo il 51% dei lavoratori, nei Laender dell'est solo il 36%. Sono i dati che emergono da una risposta del governo federale ad una interrogazione parlamentare della Linke. 

Notevole riduzione della copertura dei contratti collettivi 

Il confronto di lungo periodo chiarisce le dimensioni della riduzione della copertura dei contratti collettivi negli ultimi 2 decenni. Secondo i dati dello IAB di Norinberga (Institut für Arbeitsmarkt-und Berufsforschung) nel 1995 il 72 % dei lavoratori dell'ovest era ancora impiegato e retribuito secondo un contratto collettivo di categoria. Nel 2009 secondo il governo questa percentuale era scesa al 56%. Con il 51% degli occupati il 2016 segna un nuovo valore minimo. Nell'est la quota degli occupati coperti da un contratto collettivo di categoria è scesa ancora piu' in basso: verso la metà degli anni '90 erano circa due terzi, lo scorso anno poco piu' di un terzo (36%). 

Particolarmente colpito dalla non applicazione di un contratto collettivo è il settore dei servizi: nel commercio (ovest) solo il 25% delle aziende e il 36% degli occupati sono coperti da un contratto di categoria. Nell'est sono rispettivamente il 15% e il 23%. Situazione simile nel settore dell'ospitalità. In questi, come in molti altri settori, dal 2009 continua a calare il livello di copertura dei contratti collettivi. 

I contratti aziendali tuttavia non riescono a compensare questo sviluppo. Al contrario: anche l'aria di applicazione dei contratti aziendali si riduce. Nell'ovest il numero degli occupati impiegati secondo un contratto aziendale dal 2009 allo scorso anno è sceso di un quinto ed ha raggiunto l'8%. Nell'est è stata registrata una diminuzione simile, la copertura è passata dal 14 all'11%. "Il nucleo tariffario ben regolato è sempre piu' piccolo mentre le zone libere oppure debolmente regolate sono sempre piu' ampie", cosi' ha commentato Jutta Krellmann, portavoce del gruppo parlamentare della Linke al Bundestag sui temi di politica sindacale. 

Le conseguenze di questa tendenza: sempre piu' occupati ricevono un salario piu' basso di quanto spetterebbe loro se fossero impiegati secondo un contratto collettivo. Tra i redditi da lavoro legati ad un contratto collettivo e quelli non coperti dalla contrattazione collettiva vi è un notevole divario. Mentre il potere di acquisto reale dei salari coperti da un contratto collettivo fra il 2000 e il 2016 è cresciuto di quasi il 16%, i salari lordi reali complessivi sono aumentati solo del 6%. E questa è solo una parte della differenza, visto che nella media dei salari lordi complessivi confluiscono anche i salari regolati dai contratti collettivi e in questo modo contribuiscono ad alzare il livello medio. Se si prendessero in considerazione solo i salari non legati ad un contratto collettivo, la differenza sarebbe ancora maggiore. Mancano tuttavia i dati necessari per una tale statistica. 

Interrogazione della Linke al Bundestag 

Il governo federale tuttavia, alla luce di questo sviluppo, non vede alcun motivo di preoccupazione: "non è possibile individuare una erosione del sistema della contrattazione di categoria", è scritto nella risposta del governo all'interrograzione. L'atteggiamento del governo potrebbe anche essere dovuto al tentativo di distogliere l'attenzione dai propri errori legislativi. La "legge per il rafforzamento dell'autonomia tariffaria" del 2014 era stata approvata proprio con l'obiettivo esplicito di estendere l'ambito di applicazione dei contratti di categoria. Per questa ragione era stata semplificata la proceduara con la quale gli accordi contrattuali possono essere dichiarati universalmente vincolanti. 

La legge tuttavia non ha funzionato: una ricerca sugli effetti della riforma condotta dal ricercatore Thorsten Schulte e pubblicata lo scorso marzo dalla Hans-Böckler-Stiftung evidenzia un drastico arretramento delle dichiarazioni con le quali gli accordi di categoria vengono resi vincolanti per le parti (AVE). Secondo lo studio, nei sei anni dopo il 1999 c'erano state in Germania 376 dichiarazioni AVE, negli ultimi 6 anni solo 166 nuovi AVE.




martedì 29 agosto 2017

Jobwunder e Hartz IV, qualcuno crede ancora ai miracoli?

Sulle riforme Hartz ci sono da sempre pareri discordanti, ma qual'è stato il loro effetto sul mercato del lavoro? Il Jobwunder, il miracolo del lavoro, è davvero merito delle leggi Hartz e dell'Agenda 2010? Osservando i dati con più attenzione sono in molti ad avere qualche dubbio sui veri effetti delle riforme introdotte dai governi rosso-verdi. Da Monitor sulla WDR, emittente pubblica di Colonia, una riflessione sul rapporto fra Hartz IV e Jobwunder.



Nonostante le molte differenze fra Angela Merkel e Martin Schulz, c'è almeno un tema su cui i due candidati sono sorprendentemente d'accordo: il giudizio sulla cosiddetta politica dell'Agenda dell'ex Cancelliere Gerhard Schröder. Un grande successo, sostengono entrambi, anche se qua e là ogni tanto affiorano delle critiche. E comunque non si stancano di ripetere che grazie alle riforme Hartz il numero dei disoccupati in Germania è stato dimezzato. Bellissima storia - con un piccolo errore pero': le cose non stanno esattamente cosi'. Almeno volendo fare i conti in maniera un po' piu' precisa.

Bochum, sono le 6 del mattino. Siamo da Birgit Runge. La 62enne in realtà avrebbe anche una qualifica.

Impiegata nel commercio all'ingrosso. Ma sin dai tempi delle riforme Hartz riesce solo a passare da un lavoro all'altro

Birgit Runge: "Il bilancio personale è che le cose possono solo andare peggio. E questo ha un effetto molto forte sulla psiche, perché hai sempre un pensiero fisso: il prossimo mese riuscirò' ad avere un lavoro oppure no?"

Da giugno Birgit Runge ha di nuovo un lavoro. Solo negli ultimi 11 anni ha avuto 10 datori di lavoro diversi. Call center, bassi salari, principalmente lavoro interinale. E fra un lavoro e l'altro, sempre disoccupata. 

Runge: "Ti fanno sempre contratti da uno o due mesi, che eventualmente possono anche essere prolungati. E poi altri contratti a termine. Nel migliore dei casi fino a due anni. Ora ho un contratto a tempo determinato per 3 mesi, e questo è tutto".

Birgit Runge è per cosi' dire un esempio perfetto del nuovo miracolo del lavoro tedesco. Ogni volta riesce a trovare un lavoro prima di scivolare in Hartz IV. Un miracolo che la politica rivende come una conseguenza delle riforme Hartz introdotte dall'ex Cancelliere Schröder. Il suo successore alla Cancelleria non ha mancato di celebrarlo anche nell'attuale campagna elettorale.

Angela Merkel, 25.02.2017: "E' il concetto che ha permesso alle persone di accedere con maggiore facilità al mercato del lavoro, che ha dato la possibilità a molte persone di trovare un lavoro. E il risultato di questa politica è ben conosciuto: la disoccupazione è stata dimezzata"

Dimezzamento della disoccupazione? Si', nel 2005 in Germania c'era una disoccupazione record di 4.9 milioni di disoccupati, oggi ufficialmente sono circa 2 milioni e mezzo. Ma questo ha davvero a che fare con l'Agenda 2010 e le riforme Hartz? 

Peter Bofinger è uno fra i piu' importanti economisti tedeschi. E' anche uno dei 5 "saggi economici" che consigliano il governo tedesco. Ha svolto delle ricerche sugli effetti delle riforme Hartz nel mercato del lavoro ed è arrivato ad una conclusione: il risultato è decisamente inferiore rispetto a quanto generalmente viene ipotizzato.

Prof. Peter Bofinger, Università di Würzburg: "Nel complesso si tratta di un grande mito. Mi ricorda la storia dei nove vestiti del Kaiser, dove tutti si convincono fra loro che sono molto belli. Ad un'analisi piu' accurata dei dati si puo' dedurre che naturalmente anche nella intermediazione del lavoro ci sono stati degli effetti positivi, ma nel complesso questo grande risultato di cui tanto si parla non è individuabile".

L'accusa di Bofinger: la politica confronta le mele con le pere, oppure detto diversamente, gli anni sbagliati. Come base per il confronto la politica prende sempre in considerazione l'anno di crisi 2005, l'anno delle ultime riforme Hartz. Si tratta tuttavia di una sciocchezza. Perchè nel 2005 la Germania si trovava in una crisi profonda.

Bofinger: "Si tratta di ignoranza economica, quando si confronta un anno di recessione come il 2005 con un anno di boom come il 2016".

Per questa ragione Bofinger preferisce confrontare i dati attuali con quelli del 2001 - prima delle riforme Hartz. Nel 2001 l'andamento della congiuntura era ugualmente buono - eravamo in una fase di boom. Il risultato è sorprendente: nella Germania dell'ovest la riduzione del numero dei disoccupati invece di essere di 1.3 milioni come quella registrata fra il 2005 e il 2016, è stata di 340.000, se si prende il 2001 come anno di confronto. E nella Germania dell'est c'è un esercito di disoccupati che nel frattempo è andato in pensione. 

Bofinger: "Nella Germania dell'est il calo della disoccupazione è stato molto forte, e questo non ha a che fare con le leggi Hartz, ma semplicemente con il fatto che le conseguenze negative della riconversione dell'economia dell'est stanno gradualmente scomparendo. Chi negli anni '90 nella Germania dell'est ha perso il proprio lavoro, gradualmente è uscito dalla vita lavorativa". 

Un risultato magro per una riforma con un enorme potenziale esplosivo dal punto di vista sociale. La pensa allo stesso modo anche l'economista Klaus Wälde, che sulle conseguenze delle riforme Hartz nel mercato del lavoro ha fatto diverse ricerche.

Prof. Klaus Wälde, Universität Mainz: "Se ci si chiede dove sono finiti tutti i disoccupati, allora ci si accorge che sono in pochi quelli impiegati con un regolare rapporto di lavoro. Ci accorgiamo invece che sono molti di piu' quelli finiti in misure per la creazione di lavoro sovvenzionate dallo stato e che molti altri hanno un'occupazione marginale, un mini-job oppure un midi-job. Nel complesso le riforme Hartz, si potrebbe argomentare, hanno contribuito ad una ulteriore polarizzazione della società e alla creazione di povertà".

Birgit Runge conosce molto bene questa situazione. Nel 2006 ha perso il suo impiego di lunga data in un negozio all'ingrosso di elettronica e da allora non ha piu' ritrovato un lavoro fisso. E' rimasta bloccata nella trappola dei bassi salari e dell'occupazione precaria.

Birgit Runge: "Non ho grandi speranze. Le cose andranno piu' o meno cosi': alla fine di agosto sarò di nuovo disoccupata, e poi dovrò di nuovo tornare a lottare per trovare un lavoro. Probabilmente finirò ancora una volta nel lavoro interinale".

La politica ha voluto che fosse cosi'. Chi è disoccupato deve uscire quanto prima dalla statistica e trovarsi un nuovo lavoro. Per questo i soldi e i sussidi vengono concessi solo in cambio di pressione. "Aiutare e pretendere", come si dice da allora. Ad una persona come Birgit Runge non c'era alcun bisogno di chiedere un maggiore impegno nella ricerca di un lavoro, si è sempre occupata da sola della ricerca, anche se in realtà non ha mai avuto un lavoro che le permettesse di vivere bene. Negli ultimi anni ha sempre lavorato per 1.100 o 1.200 euro netti al mese, nel 2003 ha fatto la sua ultima vacanza, una settimana sull'Ostsee. Come Birgit Runde ce ne sono tanti altri. Il numero delle persone occupate ma a rischio povertà dall'avvio delle riforme Hartz è cresciuto del 100%. Come in nessun'altro paese dell'UE.

Prof. Georg Vobruba, Universität Leipzig: "si tratta di lavori che implicano il rischio di trovarsi in una situazione di povertà: si tratta dei cosiddetti "working poor". Dall' altro c'è il rischio che non si riescano a maturare gli anni di lavoro necessari per avere diritto ad una pensione dignitosa, e cioè una povertà in vecchiaia programmata". 

Birgit Runge ha cresciuto due figli, si è presa cura di suo marito malato, fino alla sua morte, e si è sempre occupata di se stessa. Fra 3 anni andrà in pensione, per lei saranno 850 euro lordi al mese. Sempre che riesca a trovarsi un altro lavoro.

lunedì 28 agosto 2017

La strada di Weidmann verso la BCE è lastricata di Eurobond

Merkel e Schäuble in segreto lavorano per portare Jens Weidmann alla presidenza della BCE, ma i loro sforzi potrebbero non bastare: per avere finalmente una BCE a guida tedesca e vincere le resistenze dei francesi e dei sud-europei potrebbe essere necessaria qualche concessione sul terreno dei tanto odiati Eurobond. German Foreign Policy racconta il dibattito in corso.
 
 
Berlino rivendica la presidenza della Banca Centrale Europea (BCE), vacante dal 2019, per poter massimizzare l'influenza tedesca sulla politica monetaria nell'Eurozona. Già in maggio Der Spiegel riferiva che la Cancelliera Angela Merkel e il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble stavano prendendo in considerazione la candidatura di Jens Weidmann per la successione dell'attuale presidente italiano della BCE Mario Draghi. Le chance di Weidmann di ottenere la posizione di vertice "non sarebbero poi cosi' cattive", scriveva Der Spiegel. [1] La Frankfurter Allgemeine Zeitung giustificava invece la richiesta di Berlino sottolineando che "Weidmann sarebbe stato il primo tedesco al vertice della banca centrale dalla sua fondazione nel 1998"; la "piu' grande economia dell'Eurozona", fino ad ora "non è stata presa in considerazione per questa posizione cosi' importante". [2] Il Ministro Schäuble rivendica questa posizione per la Germania nel contesto di un piu' ampio ricambio di personale ai vertici dell'UE. Della discussione farebbero parte anche il ruolo di presidente dell'Eurogruppo, attualmente ricoperto dall'olandese Jeroen Dijsselbloem, da sempre un sodale di Schäuble, e la posizione di Vicepresidente della BCE, attualmente ricoperta dal portoghese Vítor Constâncio. Il Ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, come nuovo capo dell'Eurogruppo "sarebbe compatibile con Weidmann nell'ambito di un pacchetto franco-tedesco", era scritto sulla FAZ, mentre la Spagna chiederebbe l'attuale posizione di Constancio. 

Controversie sulla politica monetaria

Nella situazione attuale, tuttavia, l'ampio ricambio ai vertici potrebbe non bastare per superare la massiccia resistenza nei confronti di una presidenza Weidmann. Sin dall'inizio dell'Eurocrisi il corso monetario della BCE è stato criticato da piu' parti, sebbene la Germania con la sua richiesta di porre fine alla politica monetaria espansiva fino ad ora non sia riuscita ad imporsi. Weidmann è considerato come uno dei piu' convinti oppositori della attuale linea monetaria della BCE, che con i bassi tassi di interesse e l'acquisto massiccio di titoli di stato ha cercato di alleviare nell'Europa del sud i disastrosi effetti dei diktat tedeschi. I critici dell'austerità tedesca temono che con Weidmann al vertice della BCE, oltre ad una forte influenza sulla politica economica e finanziaria, Berlino potrà finalmente dominare anche la politica monetaria dei paesi della zona Euro.

Rivolta nella banca centrale

La prospettiva di una presidenza Weidmann "fa paura a molti funzionari della BCE", cosi' il Financial Times ad inizio luglio commentava le crescenti divergenze politiche dietro le quinte. [3] Il problema principale è rappresentato dal suo costante tentativo di affondare pubblicamente il corso politico della BCE, chiarisce un insider: "Der Jens", è sicuramente un "ragazzo simpatico", tuttavia "non ha mai difeso la BCE davanti all'opinione pubblica tedesca". Deve ancora dimostrare "di essere in grado di parlare per tutti", e questa è una "grande debolezza se si vuole diventare il presidente di una istituzione multilaterale". Molti responsabili politici nell'UE temono soprattutto che Weidmann presidente della BCE "non saprà agire in maniera tempestiva e decisa" nel caso in cui "in futuro una escalation della crisi dovesse rendere l'Eurozona vulnerabile". Per questo alla banca centrale si "sentirebbero piu' sicuri" se l'UE rafforzasse l'unione bancaria oppure introducesse gli eurobond "prima di mettere nelle mani di un tedesco la responsabilità della banca centrale". Già nel 2012 era stato piu' volte riferito che Weidmann avrebbe "preso in considerazione la possibilità di dare le dimissioni" come segno di protesta nei confronti della politica imposta dalla maggioranza nel consiglio della BCE. [4]

Concessioni inevitabili

Per superare le resistenze dei paesi dell'Europa del sud nei confronti di un mandato a Weidmann, secondo i commentatori economici tedeschi, saranno inevitabili delle concessioni da parte della Germania. Prima di tutto l'attuale vice-presidente della vigilanza bancaria europea, la tedesca Sabine Lautenschläger, potrebbe rinunciare alla sua candidatura per la posizione di vertice alla vigilanza in modo da segnalare che "la Germania non intende dominare la banca centrale", cosi' scriveva Handelsblatt. [4] Lautenschläger dopo l'elezione di Weidmann potrebbe ritirarsi dalla BCE e prendere il posto di Weidmann al vertice della Bundesbank. Il governo federale, tuttavia, probabilmente non sarà in grado di evitare l'introduzione degli Eurobond - "uno strumento da sempre osteggiato da parte del governo tedesco". [6] Recentemente sono stati soprattutto i politici francesi a chiederli - e fino ad ora sono sempre stati rifiutato da Berlino in quanto ritenuti "una messa in comune del debito" . [7]

Il prezzo per l'euro

Con la scelta di Weidmann sembra che Berlino abbia finalmente formulato il prezzo necessario per il mantenimento dell'euro e per una parziale presa in considerazione degli interessi francesi: vale a dire il controllo della BCE. Il riavvicinamento fra Francia e Germania, di cui si parla con molta enfasi dall'elezione di Macron, potrebbe finalmente compiersi dopo le elezioni federali tedesche, nella misura in cui sarà possibile ridurre i grandi squilibri all'interno dell'Eurozona.

Fino alla prossima crisi

Il Ministro delle Finanze Schäuble si rifiuta da sempre di tentare di ridurre le conseguenze dell'offensiva dell'export tedesca attraverso qualsiasi forma di trasferimento. In questo modo Berlino ha ampliato la distanza economica fra la Repubblica Federale e il resto dell'UE, destabilizzando l'unione monetaria. Con l'introduzione degli Eurobond, di cui a Berlino si discute internamente, pare ci sia la volontà da parte della Germania di andare incontro alle richieste di Parigi arginando gli effetti centrifughi derivanti dalla sua politica socio-economica e quindi mantenere in vita la zona Euro, almeno nel medio periodo - se il prezzo da pagare si rivelerà adeguato. Gli Eurobond permetterebbero alle economie del sud-Europa, fiaccate dopo molti anni di crisi, di beneficiare dei bassi tassi di interesse di cui gode la Repubblica Federale. Si tratterebbe di un modo per ridurre almeno parzialmente gli squilibri nella zona Euro, sempre nella prospettiva di una egemonia tedesca un po' piu' stabile, prolungando l'esistenza della moneta unica - almeno fino alla prossima crisi.


[1] An der Reihe. Der Spiegel 2017/21.
[2] Bald erstmals ein Deutscher an der Spitze der EZB? faz.net, 19.05.2017.
[3] Prospect of Weidmann in top job raises hackles at ECB. ft.com 03.07.2017.
[4] Bundesbank chief Jens Weidmann 'considered resigning over ECB bond buying'. telegraph.co.uk 31.08.2012.
[5], [6] Merkel's ECB Candidate. handelsblatt.com 21.05.2017.
[7] Große Koalition lehnt Macrons Ideen geschlossen ab. faz.net 09.05.2017.