martedì 4 settembre 2018

Come il neoliberismo di Bruxelles ha distrutto il modello di welfare svedese

Su Makroskop, il sito web di Heiner Flassbeck, è da poco uscita un'analisi molto interessante di Steffen Stierle, economista e giornalista tedesco, in merito al ruolo svolto dalle politiche europee nell'indebolimento del welfare e nella redistribuzione della ricchezza dopo l'ingresso nell'UE della Svezia avvenuto nel 1995. Per Stierle il risultato dello studio è chiaro: negli ultimi venti-trent'anni in Europa le cose sono andate decisamente meglio al di fuori dell'UE che non all'interno. Ne parla RT Deutsch.


La Svezia ha aderito all'UE nel 1995. La Norvegia ne è rimasta fuori. Un recente studio comparato mostra che da allora le economie di entrambi i paesi sono cresciute in egual misura, ma in Norvegia alla gente comune, con il "no" all'UE, è andata decisamente meglio.

(...) Negli stati membri i principi cardine del neoliberismo europeo permeano tutti gli ambiti della vita: dalle massicce privatizzazioni, fino ai servizi pubblici, agli ospedali, alle scuole e alle università; gli stati sono venuti meno alla loro responsabilità sociale; i disoccupati sono considerati responsabili per la loro condizione; ognuno deve prendersi cura di se stesso, se necessario, a spese degli altri; i vincitori, i piu' forti, le banche e le aziende prendono tutto; la redistribuzione nel frattempo è diventata una brutta cosa, etc. etc.

Ma torniamo alla Svezia: come risultato della sua adesione all'UE lo sviluppo nella distribuzione della ricchezza è andato chiaramente a svantaggio di quelle che spesso e volentieri vengono definite le persone "normali" o anche il "popolo" - diversamente da quanto è accaduto in Norvegia. In altre parole, la Svezia sarebbe stata travolta dall'orientamento anti-sociale dell'UE, stretta nella camicia di forza neo-liberista, mentre la situazione in Norvegia sarebbe rimasta relativamente stabile e sostanzialmente immutata. Lo afferma  nel suo paper appena pubblicato su Makroskop l'autore dello studio comparato, Steffen Stierle, economista e giornalista specializzato in "Economia politica dell'integrazione europea".

Fino all'ingresso nell'UE, secondo l'autore, la Svezia era considerata il paese modello del welfare scandinavo: distribuzione del reddito elevata e regolare, ampio settore pubblico, forte redistribuzione operata attraverso politiche fiscali e sociali, ecc. Ma da allora l'UE ha avuto più influenza sulla Svezia di quanta non ne abbia avuta la Svezia sull'UE, ad esempio con le regole europee in materia di politica economica e fiscale. Queste direttive UE sono le cosiddette "hard laws", vale a dire quei regolamenti rigidi o leggi che devono essere applicati da tutti i membri e la cui mancata applicazione viene sanzionata con multe significative, cosi' secondo Stierle.

"Dall'altra parte invece", prosegue il critico dell'UE Stierle, "a causa delle dure regole sull'indebitamento, in Svezia è aumentata la pressione per tagliare la spesa sociale e far arretrare il perimetro del settore pubblico". Inoltre, "le norme relative al mercato interno dell'UE e al diritto della concorrenza hanno portato a una liberalizzazione sempre crescente nel mercato delle merci e del lavoro". Gli effetti negativi sono stati percepiti anche in materia di sicurezza sul lavoro.

Vi è inoltre un problema molto svedese legato all'afflusso incontrollato di stranieri. Secondo l'analisi di Stierle "la competizione diretta, tra le altre cose anche con i lavoratori tedeschi altamente qualificati e a basso salario, ha di fatto scardinato il modello ad alto salario della Svezia". Sfortunatamente il massiccio afflusso di migranti e richiedenti asilo provenienti dai paesi extraeuropei e sostenuto dall'UE non viene menzionato. Tuttavia, è probabile che l'afflusso massiccio di migranti eserciti una pressione considerevole sulla spesa pubblica già drasticamente ridimensionata nella sua componente sociale.

Inoltre, la forte concorrenza fra i paesi ha fortemente ridotto le imposte sui profitti, i redditi finanziari e i patrimoni, comprimendo le entrate statali. Per il modello sociale scandinavo, fondato su alte entrate dello stato, questa è stata la campana a morto.

Inoltre, sulla base di ampie statistiche UE disponibili e di altre fonti, Stierle nota ad esempio che la quota dei salari sul Pil della Svezia è passata dal 54,8% del 2000 al 46,9% del 2016, fatto che segnala una forte redistribuzione della torta dai lavoratori a favore dei detentori di capitale. In Norvegia, invece la tendenza si è invertita e la quota dei salari nella torta complessiva è aumentata dalla fine del secolo di 4,5 punti percentuali e ora è superiore a quella svedese.

Un quadro simile emerge dalla distribuzione del reddito: il rapporto fra il 20 % degli svedesi con il reddito più alto e il 20 % con il reddito più basso alla fine del millennio era di 3,3. Vale a dire che il 20 % più ricco guadagnava 3,3 volte il 20 % più basso. Nel 2016 - l'ultimo anno per il quale sono disponibili statistiche - questo rapporto è salito a 4.3. "Un enorme aumento della disuguaglianza", afferma l'autore Stierle.

Anche in Norvegia, il divario di reddito fra il 20% più alto e quello più basso nello stesso periodo ha continuato ad aumentare, tuttavia in maniera molto piu' debole, passando da 3,4 a solo 3,7. "Anche qui i norvegesi sono riusciti a superare i loro vicini svedesi dopo che questi ultimi sono entrati nell'UE", scrive Stierle.

Ma queste differenze non hanno forse a che fare con le divergenze nello sviluppo dei livelli salariali generali dei due paesi? L'autore ha risposto anche a questa domanda e ha rilevato che i lavoratori norvegesi hanno goduto di un forte aumento delle retribuzioni medie passate dai  35.800 dollari di fine millennio ai 46.400 dollari del 2016, con un aumento del 31%. In Svezia, invece, l'aumento delle retribuzioni è stato molto più modesto, nello stesso periodo sono passate da 29.800 dollari a 31.600 dollari, un aumento solo del 6%.

"È probabile che l'andamento salariale e redistribuivo in Svezia, relativamente piu' modesto, abbia a che fare con il fatto che dopo l'adesione all'UE il livello di sindacalizzazione svedese è passato da oltre l'80% della forza lavoro al 66,8% del 2015. Sebbene questa cifra in Norvegia a causa di un diverso sistema di contrattazione collettiva sia intorno al 55% e quindi  significativamente piu' bassa, negli ultimi due decenni è rimasta costante. Ciò suggerisce che i lavoratori di quel paese non abbiano subito una perdita di potere contrattuale degna di nota, mentre in Svezia c'è stata una certa frammentazione", prosegue lo studio comparativo.

Le statistiche fornite come esempio dallo studio mostrano che "la forza lavoro norvegese è riuscita a garantirsi una fetta della torta molto più ampia rispetto alla controparte svedese", in quanto la dimensione della torta per entrambi i paesi a partire dall'ingresso della Svezia nell'UE è cresciuta all'incirca allo stesso modo. Ma questo significa anche - secondo l'autore - che "i detentori di capitali e i redditi più alti in Svezia sono diventati relativamente piu' forti e possono quindi rivendicare per sé una parte sempre maggiore della ricchezza creata".

In altre parole, questa analisi dimostra che fondamentalmente l'adesione all'UE è stata la causa per la quale la Svezia è caduta dal suo decennale piedistallo di paese modello in materia di welfare scandinavo e che invece la Norvegia, paese non membro dell'UE, ha preso il suo posto. "Potrebbero essere citati anche altri indicatori relativi ad esempio alla protezione dei dipendenti, alla diffusione dei contratti collettivi, alla distribuzione dei patrimoni o al grado di controllo e indirizzo dello stato nell'economia. Si potrebbero includere nell'analisi anche altri paesi simili come l'Islanda e la Finlandia. Ma il quadro generale non cambierebbe", cosi' secondo Stierle.

"Per le "persone normali", per coloro che non dispongono di un patrimonio significativo e devono guadagnarsi un reddito con il lavoro e/o l'aiuto del governo, negli ultimi venti-trent'anni in Europa le cose sono andate meglio al di fuori dell'UE che non all'interno".

E questo dovrebbe essere un insegnamento per i sostenitori della Brexit.

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7 commenti:

  1. Ennesima prova di come € e UE facciano male, l Italia ha 10.000 miliardi € di ricchezza privata fonte Linkiesta di cui il 25% fonte IlSole24Ore 2500 miliardi € nell'1% della popolazione in media 4 milioni € a testa andrebbe fatta una patrimoniale del 50% che porterebbe allo stato 1250 miliardi € da redistribuire per resuscitare il mercato interno; e non credete ai PDdini perdenti e frustrati come Cocucci che dicono che l Ue e € facciano bene quando i fatti e l elettorato dicono il contrario !!!!!
    Luca il KAKAKATSO PATRIOTA

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  2. Tu dai i numeri...e nemmeno quelli del lotto, almeno quelli si potrebbero giocare!
    Invece di stare a casa dietro un PC a scrivere scemenze, recati presso una facoltà di economia e frequenta un corso di economia aziendale così ti spiegheranno la differenza tra capitale (nominale) e reddito.
    PS.Le lezioni presso le università pubbliche sono aperte a tutti, iscritti e non, la differenza è che solo i primi possono sostenere gli esami. Approfittane!

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  3. Sull'assurditá del commento scritto dell'Anonimo siamo d'accordo. Ma scemenze analoghe sono uscite dalla bocca di docenti universitari di economia. Un certo Mario Monti non aveva proclamato di aver trovato la chiave per ridurre il debito sovrano italiano ? Venne accolto a Strasburgo con "standing ovation" dagli sprovveduti parlamentari che evidentemente non avevano capito che con quel programma avrebbe rovinato ancor più l'economia italiana, ed infatti aumetò sia il debito che la disoccupazione e diminuí il PIL. Dunque non credo che sia un buon consiglio quello di seguire corsi universitari di economia: in quasi tutte l euniversità europee, salvo poche lodevoli eccezioni, le teorie neoliberiste sono le uniche trasmesse ai poveri studenti che le assorbono in modo acritico non avendo confronti con altre teorie. Se l'economia venisse insegnata nelle università con spirito realistico e critico non ci troveremmo in tutta Europa (Germania compresa, sono cittadino tedesco) nella penosa situazione economica attuale, con poche speranze per il futuro. Del resto del mondo ed in particolare degli USA meglio nemmeno parlarne.

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    1. Non sono d´accordo. Nelle nostre università l´economia viene ben insegnata....il problema è che sono le classi dirigenti dei paesi leader ad aver sempre veicolato certi messaggi anche per il tramite di media e istituzioni -nazionali e internazionali- compiacenti a veicolare certi messaggi. Lo dimostrano tanti professori universitari che, invece, hanno veicolato corretti messaggi e teorie...

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    2. Su Mario Monti non so che filmati hai visto, né ho mai letto che lui abbia mai dichiarato di aver trovato la magica formula per abbassare il debito, formula che comunque è talmente semplice da poter essere compresa anche da chi come te non ha mai messo piede in una aula universitaria, quantomeno di facoltà di economia. Pensate che l'econommia sia quelle poche e sterili frasi che leggete su blog o social. In un corso di storia economica le teorie ti vengono illustrate tutte e non è una facoltà ma proprio un obbligo che ti piacciano o meno, quindi dal socialismo al liberismo classico e diverse correnti. Ne devi leggere talmente tante che ne hai la nausea. Alla fine sei libero di scegliere quale dottrina ritieni più convincente. Non c'è nessun lavaggio del cervello.
      Parlate di neoliberismo senza conoscerne il significato. E' un termine dentro il quale mettete tutto quello che reputate essere causa delle vostre frustrazioni. Un termine che ripetete come pappagalli e che contraddistingue una tipologia di politica economica che in Europa, nella UE, non è adottata di sicuro.
      PS.In Germania, dove dici di risiedere, di sicuro non si può parlare di politiche economiche di carattere neoliberista. Te lo scrive chi la tesi l'ha data proprio sull'Economia Sociale di Mercato quale ragione della ripresa e successo economico della Germania nel periodo postbellico, con ricerca effettuata anche presso l'Università di Friburgo.

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  4. Esempio http://www.letteradeglieconomisti.it
    Era il 2010...

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