"Se l'economia tedesca provasse un'altra volta a spiazzare i suoi partner commerciali europei con dei tagli salariali, questo tentativo si trasformerebbe in un suicidio. Non solo causerebbe un danno enorme alla domanda interna tedesca, ma soffocherebbe per sempre anche i partner europei, che invece stanno disperatamente lottando per la loro sopravvivenza economica", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Una riflessione molto interessante sulle grandi sfide che il governo tedesco dovrà affrontare nei prossimi mesi; la speranza è che a differenza del 2008 abbiano imparato la lezione e questa volta non operino esclusivamente nell'interesse tedesco. Un ottimo Heiner Flassbeck da Makroskop.de
Tutti vorrebbero tornare alla normalità - anche economica. La maggior parte delle persone tuttavia non vuole ancora ammetterlo: la normalità pre-crisi non tornerà più. L'economia del dopo-crisi non sarà più l'economia che conoscevamo prima. La situazione si è sviluppata in maniera molto diversa da come i politici e probabilmente anche i virologi e gli epidemiologi se l'erano immaginata. L'operazione "Grandi Feste", dopo la quale in tre o quattro mesi il mondo sarebbe semplicemente dovuto tornare alla vecchia vita, è fallita drammaticamente.
Non vogliamo parlare ancora una volta delle ragioni del fallimento. Ciò che conta ora è non commettere dei nuovi gravi errori che nei decenni a venire potrebbero danneggiare lo sviluppo economico, sia in Germania che in Europa .
Si profila già un modello che ci porta verso decisioni completamente sbagliate. Proprio come accadde dopo la crisi finanziaria del 2008/2009, i partner della coalizione a Berlino sono sopraffatti dal panico e dalla paura. Dopo che all'epoca grazie all'indebitamento pubblico erano riusciti a combattere con successo la crisi finanziaria, subito dopo scelsero invece di inserire a rotta di collo il pareggio di bilancio in Costituzione e cosi' per anni si è perseguito l'obiettivo dello Schwarze Null - a scapito non solo dell'economia tedesca, ma anche dei partner dell'unione monetaria.
Il meccanismo di rientro dal debito istituito all'epoca sta già gettando la sua ombra sull'attuale gestione della crisi. E anche la seconda grande questione, che sarà altrettanto decisiva nel determinare i danni economici di lungo termine che la crisi causata dal Coronavirus produrrà in Germania e in Europa - ovvero gli accordi salariali dei prossimi 12-24 mesi - sembra già muoversi in una direzione fatale.
Ripagare rapidamente il debito pubblico?
Dalla CDU, infatti, si stanno già alzando le prime voci che chiedono tempi stretti per il rientro del debito pubblico. Paul Ziemiak, segretario generale della CDU, parla già di massimo dieci anni in cui tutti i debiti pubblici, che nel frattempo si sono aggiunti, dovranno essere completamente rimborsati. Giustifica questa richiesta sostenendo che la politica dello Schwarze Null starebbe dando i suoi frutti durante la crisi attuale, visto che la Germania in questa fase si sarebbe "guadagnata" un margine di manovra "per il quale gli altri Stati oggi ci invidiano".
L'insensatezza macroeconomica che si evince da queste parole, senza dubbio si adatta perfettamente alle aspettative dei potenziali elettori della CDU, il che rende questa posizione comprensibile dal punto di vista politico e partitico. Purtroppo ciò non cambia affatto la totale mancanza di una logica macroeconomica. In tutta la coalizione di governo, infatti, si parla di ridurre il debito come se il riuscire o meno a farlo, fosse solo una questione di volontà politica.
Ma questo non è affatto il caso. È semplicemente impossibile che lo stato si possa aspettare un'economia in crescita, indispensabile per portare a zero il deficit di bilancio e rimborsare il debito pubblico, in una fase in cui il settore industriale è molto parsimonioso. E' ora di prendere atto della situazione: non c'è più un settore aziendale che investa così tanto da doversi indebitare.
In Europa, nel suo complesso, sarà molto difficile ridurre i disavanzi dei bilanci pubblici o addirittura rimborsare i vecchi debiti. Le famiglie e i privati tradizionalmente hanno sempre risparmiato, e il settore delle imprese fa lo stesso da circa 20 anni. Il risparmio, tuttavia, deve essere accompagnato dall'indebitamento, se vogliamo che l'economia contemporaneamente non decresca. Chiunque ignori questa semplice logica macroeconomica e cerchi di adottare misure di politica economica che violano esplicitamente questa logica, otterrà il contrario di quanto auspicato: provocherà un aggravamento e un prolungamento della crisi a scapito di ampie fasce della popolazione europea.
Quali sono i settori in Europa che ancora possono indebitarsi per ribilanciare la volontà di risparmio del settore privato? Ci sono solo i bilanci pubblici nazionali e i paesi extraeuropei. Ma questi ultimi non permetteranno mai all'Europa di avere degli avanzi di conto corrente così elevati con il resto del mondo tali da permettere, da un lato, ai bilanci pubblici nazionali dei paesi europei di non dover piu' registrare disavanzi paralleli alla volontà di risparmio dei privati e, dall'altro, non permetteranno mai agli europei di fare degli avanzi così ampi da poter ridurre i vecchi debiti pubblici fatti ai tempi del coronavirus. Prima che ciò accada, avremmo una guerra commerciale tra l'Europa e il resto del mondo o una corsa alla svalutazione tra l'euro e le valute extraeuropee (che è praticamente la stessa cosa). Entrambi gli scenari condurrebbero il mondo ancora più a fondo in una grave crisi economica.
Se vogliamo evitare che ciò accada, i bilanci pubblici nazionali in Europa, nel bene o nel male, dovranno continuare a svolgere il ruolo del debitore - che ciò piaccia o meno ai difensori dei trattati di Maastricht. Anche se i responsabili politici consapevolmente cercassero di fare resistenza nei confronti di ogni ulteriore indebitamento del settore pubblico in Europa, non farebbero altro che prolungare la crisi economica e quindi accrescere involontariamente la posizione debitoria dei bilanci nazionali. Poiché l'Europa non avrà mai l'opportunità di spostare il peso del suo debito verso l'esterno, cioè di risanarsi attraverso l'avanzo delle partite correnti, è assurdo voler trasformare questa strategia, che va contro ogni logica, nel principio guida della politica economica dei prossimi dieci anni.
E questo vale non solo per l'Europa nel suo complesso, ma anche e soprattutto per la Germania, in quanto paese singolo. In maniera completamente diversa da quanto suggerisce la citazione di Paul Ziemiak all'inizio dell'articolo, un paese ha solo un modo per far risparmiare tutti e tre i settori interni senza che l'economia crolli: spingere i Paesi esteri nel ruolo di debitori. E lo può fare solo attraverso una sistematica riduzione dei prezzi sui mercati internazionali, che non può essere in alcun modo compensata dall'apprezzamento delle valute.
In altre parole: la Germania dovrebbe ripetere la sua strategia di avanzo delle partite correnti degli ultimi vent'anni a spese dei suoi partner nell'unione monetaria. Ma non riuscirà più a farlo, perché le economie dei partner dell'unione monetaria ormai sono in ginocchio. La prima previsione professionale e realistica disponibile sul primo semestre 2020, presentata la settimana scorsa dal DIW, ipotizza che l'avanzo di conto corrente tedesco quest'anno scenderà a 80 miliardi di euro (dopo gli oltre 200 miliardi del 2019).
A meno di non volere una totale distruzione dell'Europa, la Germania non avrà alcuna possibilità di tornare alla vecchia situazione caratterizzata da un elevato surplus di conto corrente. Se l'economia tedesca provasse un'altra volta a spiazzare i suoi partner commerciali europei con dei tagli salariali, questo tentativo si trasformerebbe in un suicidio. Non solo ciò causerebbe un danno enorme alla domanda interna tedesca, ma soffocherebbe per sempre anche i partner commerciali europei, che invece stanno disperatamente lottando per la loro sopravvivenza economica.
La moderazione salariale è un suicidio
Ma proprio questa variante suicida si sta già manifestando - in aggiunta al desiderio dei politici di ridurre immediatamente il deficit pubblico e di volerlo trasformare persino in un avanzo da utilizzare per ridurre il debito. Non solo da parte dei sindacati tedeschi non si sente nulla, a parte la richiesta di garantire i livelli occupazionali. Piuttosto, ci sono già dei settori in cui si parla apertamente di lavoratori che rinunciano ad una parte del loro salario in cambio di garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali da parte dei datori di lavoro. Il caso di Lufthansa naturalmente è esemplare: i piloti hanno proposto di rinunciare temporaneamente al 45 % del loro stipendio per aiutare la compagnia aerea a superare la crisi.
Non c'è dubbio che i piloti della Lufthansa siano un caso particolare: incassano stipendi molto elevati (il che rende piu' facile una rinuncia parziale), hanno seguito una formazione molto costosa (che si riflette nel loro livello salariale), sono altamente specializzati e quindi hanno poche possibilità di trovare in Germania un'alternativa equivalente alla loro attuale professione. In questa situazione la rinuncia ad una parte dello stipendio è ragionevole perché dal punto di vista della razionalità microeconomica è l'unica possibilità che hanno di salvare il loro posto di lavoro e di evitare un collasso sociale.
Questo vale in misura decisamente minore per il personale di cabina di Lufthansa. Ricevono stipendi più bassi, non sono così altamente specializzati ed è quindi piu' facile reimpiegarli altrove. Per loro, anche se vengono licenziati, ma l'economia nel suo complesso si rimette in piedi, il crollo è molto meno drammatico perché hanno maggiori possibilità di poter cambiare settore senza subire enormi perdite di reddito.
Ma anche l'enorme rinuncia dei piloti non potrà salvare tutti i loro posti di lavoro se i voli commerciali dovessero essere sostituiti su larga scala dalle videoconferenze e da altre possibilità di comunicazione virtuale e di cooperazione.
Forse lo shock causato dal coronavirus non è stata la vera causa della crisi del settore aereo, ma potrebbe trasformarsi nell'innesco e nell'acceleratore di un profondo cambiamento strutturale dell'economia globalizzata, che non potrà essere fermato dal sacrificio di una parte dello stipendio.
Ma una cosa deve essere assolutamente chiara: per i lavoratori dipendenti nel loro insieme, la riduzione dello stipendio non è un gioco temporaneo come nel caso dei piloti, ma un suicidio a rate. L'eloquente silenzio dei sindacati, tuttavia, fa nascere il sospetto che questo è esattamente ciò che accadrà. La rinuncia salariale, cioè la rinuncia da parte dei lavoratori ad un aumento di circa il 3% del salario per i prossimi 3 anni, porterà nel breve e medio periodo a un indebolimento della crescita economica e quindi alla distruzione di molti posti di lavoro, e nel lungo periodo alla deflazione.
Dove vogliono arrivare i sindacati tedeschi? Il grafico mostra che i contratti collettivi degli ultimi dieci anni sono arrivati ad essere molto vicini all'obiettivo di inflazione dell'1,9 %, vale a dire che i salari reali effettivi sono aumentati solo leggermente o non sono aumentati affatto. Chiunque intenda scendere al di sotto di tale livello o non voglia aumentare affatto i salari crea una pressione competitiva su tutta l'Europa, pressione che finirà inevitabilmente per trasformarsi in una deflazione a livello europeo.
Quello che a livello aziendale sembrerebbe uno scambio fra "concessioni salariali in cambio di una sicurezza sul livello occupazionale", in realtà a livello macroeconomico è un programma per la distruzione di posti di lavoro. E ciò significa che, nonostante la crisi e la debolezza generale dell'economia, si dovrà fare ogni sforzo possibile per mantenere gli aumenti salariali collettivi ad un minimo del 3%.
Per chiarirlo ancora una volta: non si tratta di una svolta politica di sinistra o di destra, non c'è una lista dei desideri normativi su ciò che potrebbe essere migliorato in termini di politica sociale. No, qui si tratta della nuda economia, cioè della macroeconomia, che, per riuscire a proteggere tutti - dai meno abbienti ai benestanti - deve essere difesa dal rischio di finire schiacciata sul muro della follia ideologica
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Cosa deve fare uno Stato?
E' lo Stato ad essere direttamente responsabile del fatto che la sicurezza dei livelli occupazionali, per i sindacati oggi è diventata la cosa più importante. A causa della legislazione Hartz, introdotta dalla coalizione Rosso-Verde all'inizio di questo secolo, infatti, il declino economico, e quindi anche in termini di status sociale, di un normale lavoratore che diventa disoccupato è enorme. Dopo un solo anno di disoccupazione, infatti, finisce al livello dei più poveri della società, vale a dire in Hartz IV.
Se questo non è (ancora) il caso, perché in precedenza magari ha accumulato un po' di ricchezza grazie agli sforzi fatti per risparmiare, o ad esempio se è riuscito a ripagare in parte o la totalità del mutuo sul suo immobile, dovrà utilizzare una po' di questa ricchezza (sui limiti patrimoniali per le prestazioni Hartz IV, vedere qui) prima che lo Stato possa aiutarlo con la sicurezza di base. E questo è sempre stato discutibile dal punto di vista della giustizia sociale. Considerando che il superamento della crisi causata dal coronavirus, dovrebbe invece riguardare la stabilizzazione delle aspettative, il calcolo del patrimonio disponibile nel caso dei beneficiari di Hartz IV sarà un ostacolo di primo ordine.
Tra l'altro, questo vale anche e soprattutto per i lavoratori autonomi e i freelance colpiti dalla crisi, i quali non hanno alcuni diritto di percepire il sussidio di disoccupazione e quindi dipendono completamente da Hartz IV per il loro sostentamento diretto (a parte alcuni programmi regionali che hanno cercato di aiutarli con dei sussidi). Sebbene il test sulla consistenza del patrimonio sia stato sospeso fino al 30 giugno 2020, le probabilità che i lavoratori autonomi colpiti dalla crisi, già nella seconda metà dell'anno, si trovino anche solo parzialmente in condizioni simili a quelle di prima del lockdown, sono molto basse. Ciò significa che, prima di poter continuare a ricevere l'assistenza di base, a partire dal mese di luglio, dovranno utilizzare i pochi risparmi che hanno accumulato. Le attese per il futuro di questo gruppo di persone dovrebbero essere quindi tutt'altro che positive.
Il crollo di status sociale dei disoccupati di lunga durata, previsto dallo Stato attraverso la legislazione Hartz, ha portato ad un notevole calo nella disponibilità dei sindacati a scioperare in favore di accordi salariali ragionevoli. Il rischio di perdere il proprio status sociale quando si perde il lavoro è così grande che qualsiasi minaccia da parte dei datori di lavoro di chiudere gli impianti di produzione e di spostare la produzione viene preso sul serio, spingendo quindi i sindacati a fare delle concessioni nelle trattative salariali. Questa legislazione, che si basa esplicitamente sull'idea che i disoccupati dovrebbero essere incoraggiati a fare di piu' per trovare un lavoro già esistente, era già molto piu' che discutibile quando è stata introdotta. Oggi è estremamente piu' pericolosa.
Chi ora sta perdendo il lavoro diventa disoccupato perché lo Stato gli ha vietato di continuare a lavorare o almeno ha reso più difficile la produzione nell'azienda in cui era impiegato. Minacciare queste persone con Hartz IV è antisociale, ingiusto e macro-economicamente destabilizzante. Lo Stato, che è direttamente responsabile della perdita di posti di lavoro, ha l'obbligo - per ragioni morali oltre che razionali dal punto di vista macroeconomico - di garantire immediatamente l'introduzione di regole generose in caso di perdita del posto di lavoro. Una garanzia del 70-80% dell'ultimo reddito per almeno due anni, indipendentemente dall'età, sarebbe una misura che tranquillizzerebbe molte menti e permetterebbe ai sindacati di fare ciò che ora è economicamente necessario.
Non saremo comunque in grado di evitare un cambiamento strutturale di vasta portata nell'economia, volenti o nolenti. Possiamo, tuttavia decidere se molte persone, e soprattutto quelle economicamente e socialmente più deboli, saranno messe da parte o se tutti avranno la possibilità di superare rapidamente la crisi. Se lo Stato accompagna il cambiamento strutturale con una assicurazione contro la disoccupazione forte (e una protezione equa per coloro che non hanno accesso all'indennità di disoccupazione), allora tutti coloro che diventeranno disoccupati e quindi dovranno cambiare lavoro e riqualificarsi, potranno essere coinvolti senza alcun timore di cambiare.
Se invece lo Stato lascia immutato l'attuale quadro normativo relativo all'assicurazione contro la disoccupazione e alla sicurezza di base e si concentra solo sulla conservazione delle vecchie strutture sul lato del capitale (ad esempio Lufthansa), o sulla promozione degli investimenti in nuove strutture piu' ecologiche, non sarà possibile sfuggire all'accusa di voler mettere gli interessi degli investitori al di sopra di quelli dei lavoratori. La convinzione che tutta la ricchezza nel lungo termine derivi principalmente dalle imprese era già discutibile ai tempi in cui il settore delle imprese si stava ancora indebitando, e quindi si assumeva il compito macroeconomico che ci si aspetterebbe da questo settore. Oggi è chiaramente sbagliato.
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