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giovedì 3 maggio 2018

Stipendi in Germania: 3,7 milioni guadagnano meno di 2.000 euro lordi

Al di là degli stipendi mirabolanti dei leggendari operai della Porsche e della Mercedes, in Germania dati alla mano 3.7 milioni di occupati a tempo pieno, vale a dire il 17.7% di tutti i dipendenti a tempo pieno, guadagnano meno di 2.000 euro lordi al mese. Per chi è in Steuerklasse I, sono al massimo 1.350 euro netti al mese, senza tredicesima, senza quattordicesima e senza TFR. Ne parla Der Spiegel su dati forniti direttamente dal governo federale.


Circa 3.7 milioni di occupati a tempo pieno guadagnano meno di 2.000 euro lordi al mese. E' quanto emerge da una risposta del governo federale ad una interrogazione presentata dalla Linke al Bundestag.


Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi alla fine del 2016 - cifre piu' recenti non sono disponibili - si tratta del 17.7 % di tutti i dipendenti a tempo pieno coperti da un'assicurazione sociale. Nei Laender occidentali la percentuale era del 14.7%, in quelli orientali addirittura del 31.2%.

Per quanto riguarda i singoli Laender, la proporzione dei dipendenti a tempo pieno che guadagnava meno di 2.000 euro lordi al mese calcolata sul totale dei dipendenti a tempo pieno coperti da un'assicurazione sociale era la seguente:

Mecklenburg-Vorpommern 36,7 Prozent,
Thüringen 34,1 Prozent,
Sachsen 34,3 Prozent,
Sachsen-Anhalt 33,7 Prozent,
Brandenburg 33,6 Prozent,
Berlin 20,8 Prozent,
Schleswig-Holstein 19,2 Prozent,
Niedersachsen 18,1 Prozent,
Rheinland-Pfalz 16,5 Prozent,
Bremen 15,6 Prozent,
Saarland 15,5 Prozent,
Nordrhein-Westfalen 15,0 Prozent,
Bayern 14,0 Prozent,
Hessen 13,7 Prozent,
Hamburg 12,8 Prozent,
Baden-Württemberg 12,4 Prozent

L'esperto di politiche sociali della Linke, Sabine Zimmermann, che ha preparato l'interrogazione parlamentare nei giorni precedenti il Primo Maggio, ha esortato il governo federale a fare di piu' per allineare ulteriormente i salari, soprattutto fra la Germania dell'est e quella dell'ovest. A causa dell'inflazione e dell'aumento degli affitti che in molte città stanno esplodendo, non è piu' possibile andare avanti con meno di 2.000 euro lordi al mese. Zimmermann fra le altre cose ha chiesto un aumento del salario minimo dagli attuali 8.84 euro fino a 12 euro.

Anche la Hans-Böckler-Stiftung in un recente studio pubblicato qualche giorno fa aveva sottolineato che non ci sono solo Monaco e Colonia fra le città in cui il salario minimo non è piu' sufficiente per andare avanti senza aiuti pubblici. Anche a Duisburg o Wuppertal, secondo lo studio, la vita per chi percepisce un salario minimo è ormai troppo costosa per poter sopravvivere senza dover ricorrere ai sussidi pubblici.

lunedì 23 ottobre 2017

Perché i minijob non possono essere la soluzione

I grandi quotidiani nazionali italiani ci ricordano quanto siano utili e belli i minijob alla tedesca e che sarebbe arrivato il momento di introdurli anche nella nostra penisola. Le cose non stanno esattamente cosi'. Una ricerca del prestigioso Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) riportata da Die Welt evidenzia che al boom dei minijob corrisponde un boom del doppio lavoro. Il motivo: le esenzioni fiscali garantite dai minijob (fino a 450 € al mese) spingono i lavoratori ad iniziare un secondo lavoro. Invece della crescita professionale nell'impiego principale, i minijob di fatto incentivano la creazione continua di milioni nuovi lavoretti che molto spesso sono dei veri e propri "dead-end job". Da Die Welt


Il mercato del lavoro tedesco passa da un record all'altro: mai fino ad ora la disoccupazione era stata cosi' bassa, mai nella Repubblica Federale c'erano state cosi' tante persone occupate - e il loro numero dovrebbe continuare a crescere anche questo e il prossimo anno.

Le cifre ufficiali tuttavia non riflettono le vere dimensioni della crescita occupazionale perché la parte piu' ampia del boom occupazionale da alcuni anni ha luogo in un'area del mercato del lavoro che non compare nelle statistiche ufficiali: e cioè nel doppio lavoro.

Un recente studio dell'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) illustra la crescita quasi esplosiva dei secondi lavori: nel primo trimestre di quest'anno c‘erano 3.07 milioni di lavoratori dipendenti, autonomi o pubblici con un secondo lavoro. Il numero di coloro che hanno piu' di un lavoro dal 2003 è piu' che raddoppiato.



Nessuna tassa

Due sono i fattori che piu‘ di tutti stanno alimentando questo sviluppo; accanto al buon andamento del mercato del lavoro c'è stata soprattutto una modifica della normativa: dal primo aprile 2003 infatti sono cambiate le leggi che regolano i minijobs. Il limite massimo di guadagno è passato prima da 325 a 400 euro e in seguito ha raggiunto i 450 euro mensili; i minijobs di fatto sono stati esentati dalle tasse e dai contributi.

Chi lavora con uno o piu' minijob e guadagna fino a 450 euro, infatti, non deve pagare né le imposte sul reddito né i contributi previdenziali. La maggior parte dei lavoratori si fa esentare anche dal versamento dei contributi previdenziali. Solo il datore di lavoro versa alla Minijob-Zentrale una somma forfettaria per coprire i contributi sociali e le tasse.

Questa nuova normativa ha reso i minijob improvvisamente molto attraenti per tutte le persone che al di fuori degli orari del lavoro principale intendono guadagnare qualcosa. Nei mesi successivi all'entrata in vigore della legge infatti è cresciuto radicalmente il numero di coloro che svolgono 2 o piu' lavori.



Ci sono piu' offerte di lavoro

Da allora il numero di persone con doppia occupazione continua a crescere. I due ricercatori dello IAB, Sabine Klinger e Enzo Weber, sostengono che l’andamento sia da ricondurre allo sviluppo storicamente buono del mercato del lavoro. Chi ha un secondo lavoro beneficia del fatto che nel complesso c'è una maggiore offerta di posti di lavoro. "La crescita relativa del doppio lavoro è stata sicuramente piu' pronunciata rispetto a quella dei dipendenti con una sola occupazione", scrivono gli autori.

Cio' è confermato anche da una ulteriore analisi statistica: soprattutto nelle regioni in cui c'è piena occupazione, come il Baden-Württemberg o la Baviera, negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero di minijob svolti come un secondo lavoro.

Un altro fattore importante secondo gli autori potrebbe essere il fatto che fino al 2010 i salari reali sono cresciuti solo per i lavoratori piu' qualificati. Molti lavoratori hanno percio' avvertito la pressione e la necessità finanziaria di migliorare il reddito derivante dall'attività principale.

In un'analisi separata, gli autori dello studio Klinger e Weber, utilizzando i dati della Bundesagentur für Arbeit, hanno cercato di capire chi sono coloro che svolgono un secondo lavoro. Non c'è da sorprendersi nello scoprire che sono soprattutto gli occupati che guadagnano molto poco ad avere un secondo lavoro. Di conseguenza la probabilità di svolgere un secondo lavoro è sicuramente piu' alta nelle fasce di reddito piu' basse.

Molte donne hanno due posti di lavoro

Nell'ambito di questa indagine, fatta sui dati del ministero, non erano considerati i lavoratori autonomi. "Se lo studio dovesse prendere in considerazione anche i lavoratori autonomi che hanno un secondo lavoro, nelle statistiche probabilmente comparirebbero anche persone con una buona situazione finanziaria", dice l'autore Enzo Weber. "Spesso si tratta  di persone che cercano di guadagnare autonomamente un po' di soldi sfruttando le loro elevate competenze".

Attualmente gli esperti del mercato del lavoro distinguono tra due gruppi di secondi lavori: nel primo ci sono persone che svolgono un secondo lavoro perché con la loro attività principale guadagnano troppo poco e quindi dipendono dal reddito percepito con il secondo lavoro. Nel secondo gruppo ci sono invece coloro che hanno solo un part-time e che vorrebbero lavorare di piu'

In questo secondo gruppo ci sono soprattutto donne; sono infatti le donne ad essere sovrarappresentate fra coloro che esercitano un secondo lavoro, cosi' come fra i lavoratori a basso reddito. Ad un altro  gruppo appartengono invece gli scienziati o i ricercatori che per ragioni di prestigio svolgono un secondo lavoro oppure coloro che semplicemente provano piacere nello svolgere una seconda attività; è il caso ad esempio dei manager che insegnano all'università, o degli impiegati che dopo il lavoro vanno a suonare con una band musicale.

I vantaggi dovrebbero essere eliminati

Gli autori  fondamentalmente criticano il fatto che lo stato sovvenziona i minijobs attraverso l'esenzione delle tasse e dei contributi. "Questo beneficio statale nei confronti dei minijobs non è necessario e dovrebbe essere annullato", afferma Weber, direttore della ricerca IAB. Utlizzare le esenzioni fiscali dei minijobs per spingere le persone ad avere piu' di un lavoro è una scelta miope.

"Al momento il sostegno fiscale del governo incentiva le persone ad intraprendere un minijob come secondo lavoro, un lavoro che di fatto non porta nulla se non un po' piu' di soldi. Sarebbe invece necessario migliorare le opportunità di reddito nel lavoro principale, ad esempio attraverso una riduzione dei contributi e delle tasse per i redditi piu' bassi", sostiene Weber.

"Le persone dovrebbero essere incentivate a lavorare nella loro attività principale, impegnandosi in quello che fanno, eventualmente ampliando l'orario di lavoro, in modo da svilupparsi professionalmente ed essere in grado di versare contributi per avere poi una pensione in vecchiaia. Aver ridotto le tasse e i contributi sociali per i minijob è servito solamente a mettere le persone sulla strada sbagliata".

venerdì 20 ottobre 2017

Perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma il risultato di una precisa scelta politica



Uno studio molto interessante pubblicato dalla Hans-Böckler-Stiftung e realizzato da due ricercatori del prestigioso Institut Arbeit und Qualifikation (IAQ) di Duisburg (disponibile qui per intero) ci spiega perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma è il risultato di precise scelte politiche adottate negli ultimi decenni. Una breve presentazione dell'analisi dal sito della Hans-Böckler-Stiftung




Poiché il mondo del lavoro è sempre piu' complesso le aziende si farebbero la guerra fra di loro per accaparrarsi i dipendenti piu’ qualificati. I lavoratori con una scarsa preparazione sarebbero esclusi da questo mercato e di conseguenza le differenze in termini di reddito continuerebbero ad aumentare. La maggior parte degli economisti tenta di spiegare in questo modo l'aumento della disuguaglianza sociale. Ma per Gerhard Bosch e Thorsten Kalina dell'
Institut Arbeit und Qualifikation
 (IAQ) non si tratta di una spiegazione convincente. Secondo l’analisi condotta dai 2 studiosi, il declino in termini quantitativi del lavoro meno qualificato, iniziato negli anni '70, non puo' spiegare il crollo dei salari orari medi avvenuto due decenni dopo. Soprattutto perché la teoria economica standard ignora l'influenza delle mutate relazioni di potere e i cambiamenti nelle istituzioni di mercato. Bosch e Kalina sostengono che l'aumento della disuguaglianza sociale sia da ricondurre in primo luogo all'indebolimento della contrattazione collettiva. Nel loro studio identificano 6 fattori che nel corso degli anni hanno indebolito il ruolo di equilibrio in precedenza svolto dai contratti collettivi:

- Dopo il 1990 non si è riusciti ad estendere ai nuovi Laender il sistema della contrattazione collettiva in vigore nella Germania occidentale

- La possibilità data alle imprese dell'est di sottrarsi temporaneamente alla contrattazione collettiva, nel corso degli anni si è trasformata in una regola valida per tutta la Germania. Le piccole e medie imprese nel settore dei servizi nel giro di pochi anni sono uscite dal sistema dei contratti di categoria.

- Le aziende hanno esternalizzato una parte sempre maggiore delle loro attività per risparmiare sul costo del lavoro

- La deregolamentazione avviata dall'UE ha aperto la strada alla concorrenza low cost che ha messo sotto pressione molte aree economiche regolamentate dalla contrattazione collettiva, è avvenuto ad esempio nelle telecomunicazioni, nel trasporto pubblico locale oppure nella raccolta dei rifiuti

- La corsa al ribasso nelle retribuzioni è stata facilitata dalle liberalizzazioni dell'UE nell'ambito della fornitura di servizi, soprattutto nel settore nelle costruzioni.

- A causa della forte pressione politica i sindacati hanno siglato accordi di categoria con clausole aperte che permettevano alle imprese economicamente piu' deboli di ridurre temporaneamente gli standard retributivi. Nella pratica cio' ha portato ad una riduzione permanente dei salari in molti settori.


Cio' è potuto accadere, secondo Bosch e Kalina, perché le imprese dopo la vittoria del capitalismo “nello scontro fra i sistemi economici", nell’ambito del conflitto redistributivo hanno avuto "poco rispetto nei confronti della stabilità del sistema politico". Una parte delle "élite, soprattutto nelle grandi aziende, ha iniziato a rifiutare i compromessi raggiunti dallo stato sociale nel dopoguerra".

Secondo i ricercatori anche le “riforme Hartz” avrebbero contribuito a consolidare la crescente diseguaglianza sociale. E' sicuramente vero che l'ampliamento della forbice dei redditi è iniziato prima del 2005. Ma l'aumento della pressione esercitata sui disoccupati affinché accettassero qualsiasi lavoro, anche i piu’ precari, ha fatto si' che i salari nella parte piu’ bassa della scala abbiano continuato a scendere anche durante le fasi di buona congiuntura. A cio' si deve aggiungere che il ruolo redistributivo dello stato si è ridotto: mentre la tassazione per gli imprenditori e per i redditi piu' alti scendeva, l'aumento della tassazione indiretta e la riduzione delle pensioni e delle indennità di disoccupazione gravava sulle famiglie a basso reddito in maniera piu’ che proporzionale.

Il fatto che le disuguaglianze sociali non aumentino in maniera automatica e che lo sviluppo della redistribuzione sia fortemente influenzato da fattori politici, per i 2 ricercatori deve essere considerato un elemento incoraggiante. Significa soprattutto che la disuguaglianza sociale "puo' essere ancora frenata". Con il salario minimo per legge si è fatto un primo passo in questa direzione.

venerdì 1 settembre 2017

La fine della contrattazione collettiva

Il governo risponde ad un'interrogazione parlamentare della Linke sul tema della contrattazione collettiva. Emerge un altro tassello nella strategia di riduzione del costo del lavoro: meno della metà dei lavoratori tedeschi è inquadrata secondo un contratto di categoria, con l'avanzata dei minijob, dei contratti d'opera e del lavoro interinale si restringe l'aria di applicazione dei contratti di categoria. Un trend non secondario, visto che i contratti di categoria garantiscono retribuzioni e adeguamenti salariali molto piu' alti della media. Dalla Frankfurter Rundschau 



Lavorare senza la copertura di un contratto collettivo ormai è la nuova normalità. Mentre solo 20 anni fa in Germania piu' di due terzi degli occupati erano inquadrati secondo un contratto collettivo, lo scorso anno nei Laender dell'ovest lo erano solo il 51% dei lavoratori, nei Laender dell'est solo il 36%. Sono i dati che emergono da una risposta del governo federale ad una interrogazione parlamentare della Linke. 

Notevole riduzione della copertura dei contratti collettivi 

Il confronto di lungo periodo chiarisce le dimensioni della riduzione della copertura dei contratti collettivi negli ultimi 2 decenni. Secondo i dati dello IAB di Norinberga (Institut für Arbeitsmarkt-und Berufsforschung) nel 1995 il 72 % dei lavoratori dell'ovest era ancora impiegato e retribuito secondo un contratto collettivo di categoria. Nel 2009 secondo il governo questa percentuale era scesa al 56%. Con il 51% degli occupati il 2016 segna un nuovo valore minimo. Nell'est la quota degli occupati coperti da un contratto collettivo di categoria è scesa ancora piu' in basso: verso la metà degli anni '90 erano circa due terzi, lo scorso anno poco piu' di un terzo (36%). 

Particolarmente colpito dalla non applicazione di un contratto collettivo è il settore dei servizi: nel commercio (ovest) solo il 25% delle aziende e il 36% degli occupati sono coperti da un contratto di categoria. Nell'est sono rispettivamente il 15% e il 23%. Situazione simile nel settore dell'ospitalità. In questi, come in molti altri settori, dal 2009 continua a calare il livello di copertura dei contratti collettivi. 

I contratti aziendali tuttavia non riescono a compensare questo sviluppo. Al contrario: anche l'aria di applicazione dei contratti aziendali si riduce. Nell'ovest il numero degli occupati impiegati secondo un contratto aziendale dal 2009 allo scorso anno è sceso di un quinto ed ha raggiunto l'8%. Nell'est è stata registrata una diminuzione simile, la copertura è passata dal 14 all'11%. "Il nucleo tariffario ben regolato è sempre piu' piccolo mentre le zone libere oppure debolmente regolate sono sempre piu' ampie", cosi' ha commentato Jutta Krellmann, portavoce del gruppo parlamentare della Linke al Bundestag sui temi di politica sindacale. 

Le conseguenze di questa tendenza: sempre piu' occupati ricevono un salario piu' basso di quanto spetterebbe loro se fossero impiegati secondo un contratto collettivo. Tra i redditi da lavoro legati ad un contratto collettivo e quelli non coperti dalla contrattazione collettiva vi è un notevole divario. Mentre il potere di acquisto reale dei salari coperti da un contratto collettivo fra il 2000 e il 2016 è cresciuto di quasi il 16%, i salari lordi reali complessivi sono aumentati solo del 6%. E questa è solo una parte della differenza, visto che nella media dei salari lordi complessivi confluiscono anche i salari regolati dai contratti collettivi e in questo modo contribuiscono ad alzare il livello medio. Se si prendessero in considerazione solo i salari non legati ad un contratto collettivo, la differenza sarebbe ancora maggiore. Mancano tuttavia i dati necessari per una tale statistica. 

Interrogazione della Linke al Bundestag 

Il governo federale tuttavia, alla luce di questo sviluppo, non vede alcun motivo di preoccupazione: "non è possibile individuare una erosione del sistema della contrattazione di categoria", è scritto nella risposta del governo all'interrograzione. L'atteggiamento del governo potrebbe anche essere dovuto al tentativo di distogliere l'attenzione dai propri errori legislativi. La "legge per il rafforzamento dell'autonomia tariffaria" del 2014 era stata approvata proprio con l'obiettivo esplicito di estendere l'ambito di applicazione dei contratti di categoria. Per questa ragione era stata semplificata la proceduara con la quale gli accordi contrattuali possono essere dichiarati universalmente vincolanti. 

La legge tuttavia non ha funzionato: una ricerca sugli effetti della riforma condotta dal ricercatore Thorsten Schulte e pubblicata lo scorso marzo dalla Hans-Böckler-Stiftung evidenzia un drastico arretramento delle dichiarazioni con le quali gli accordi di categoria vengono resi vincolanti per le parti (AVE). Secondo lo studio, nei sei anni dopo il 1999 c'erano state in Germania 376 dichiarazioni AVE, negli ultimi 6 anni solo 166 nuovi AVE.