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sabato 8 febbraio 2020

Perché mini-job significa mini-pensione

Un anno di lavoro da minijobber a 450 € al mese equivale a 4.40 euro lordi  di pensione mensile futura, e se il lavoratore sceglie l'esenzione sono solo 3.55 euro lordi al mese di pensione maturata. In Germania c'è molta preoccupazione per il futuro pensionistico di quei 4.5 milioni di occupati che hanno solo un mini-job. Ne scrive la DGB, la confederazione sindacale tedesca.


Lavorare un anno per avere in futuro una pensione di 4.40 euro lordi al mese? Con i mini-job è realtà. La situazione è ancora piu' incerta quando si lavora per una famiglia privata. Qui la pensione accumulata spesso ammonta a soli 1,18 euro all'anno. La situazione deve cambiare, e alla svelta.

Mini pensioni

Un anno con un lavoro da 450 euro mensili pagando i contributi all'assicurazione pensionistica farà aumentare il livello della pensione futura di circa 4,40 euro lordi al mese. E' davvero poco. L'81 percento dei mini-jobber nel settore commerciale e industriale si fa esentare dall'assicurazione pensionistica. In questo caso, alla pensione mensile vengono aggiunti solo 3,55 euro lordi per ogni anno lavorato. Fra coloro che lavorano per le famiglie, quasi l'87% si fa esentare dai contributi pensionistici. [2] Di conseguenza, riceveranno una pensione lorda di 1,18 euro per ogni anno contributivo.

Ancora peggio: con l'esenzione perderanno anni di contributi e rinunceranno alla pensione di invalidità o di reversibilità come alle misure di riabilitazione medica. Allo stesso tempo, ne escono fortemente indebolite anche le casse sociali. Altri dipendenti, soprattutto quelli con dei redditi bassi o medi, dovranno pagare per loro.


Mini-diritti dei lavoratori

Dal punto di vista del diritto del lavoro, i mini-job dovrebbero essere equiparati ai lavori soggetti a contributi previdenziali. Sfortunatamente però, spesso vale solo in teoria. Nella pratica non è prevista una retribuzione in caso di malattia, in caso di straordinario e non ci sono ferie retribuite. I salari, inoltre, vengono ridotti grazie all'inserimento nel foglio delle presenze di un numero di ore inferiore rispetto a quello effettivamente lavorato. Il lavoro spesso è a chiamata e non può essere pianificato. 

Opportunità Mini

Tutti parlano di una carenza di lavoratori qualificati e di una mancanza di forza lavoro. Mentre la maggior parte dei mini-jobber ha una qualificazione professionale oppure accademica, e spesso sono costretti a svolgere mansioni da aiutante. Di solito nei mini-job non ci sono opportunità di formazione e perfezionamento professionale, di avanzamento di carriera e di una maggiore stabilità del reddito.

Mini-Jobs

Per gli occupati, i mini-job sono un finto sgravio fiscale che viene pagato caro dai lavoratori con minori diritti, minori opportunità e in seguito con  basse pensioni. Di conseguenza viene meno la possibilità di garantire e tutelare i lavoratori. I sistemi fiscali e della previdenza sociale ne escono indeboliti. Eppure la politica continua a puntare sui mini-jobs. Secondo gli ultimi dati dell'Agenzia federale per l'impiego, attualmente in Germania ci sono ancora oltre 7,5 milioni di lavoretti - la maggior parte dei quali (4,5 milioni) ha solo un mini-job. [3]

Molti di loro volentieri lavorerebbero piu' ore. Il 45% delle donne e il 56% degli uomini che hanno solo un mini-job vorrebbero estendere l'orario lavorativo. [4]

Ecco perché la DGB sostiene una strategia di uscita dalla trappola dei mini-job: i mini lavoretti dovranno essere gradualmente convertiti in lavoro part-time soggetto ai contributi previdenziali. Allo stesso tempo, i lavoratori a basso reddito dovranno ottenere una riduzione delle tasse attraverso uno sgravio per i dipendenti.

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[1] Durchschnittswert alte Bundesländer, 1. HJ 2020, eigene Berechnungen anhand eines 450-Euro Einkommens. Für die neuen Bundesländer ist der Wert ca. 4,54 Euro.
[2] Quartalsbericht III 2019, Minijobzentrale
[3] Bundesagentur für Arbeit, Auswertemonat Oktober 2019.
[4] SOEP long, 1985-2016, Weber, Enzo; Zimmert, Franziska: Der große Trend zur Freizeit?, 2018.




lunedì 23 ottobre 2017

Perché i minijob non possono essere la soluzione

I grandi quotidiani nazionali italiani ci ricordano quanto siano utili e belli i minijob alla tedesca e che sarebbe arrivato il momento di introdurli anche nella nostra penisola. Le cose non stanno esattamente cosi'. Una ricerca del prestigioso Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) riportata da Die Welt evidenzia che al boom dei minijob corrisponde un boom del doppio lavoro. Il motivo: le esenzioni fiscali garantite dai minijob (fino a 450 € al mese) spingono i lavoratori ad iniziare un secondo lavoro. Invece della crescita professionale nell'impiego principale, i minijob di fatto incentivano la creazione continua di milioni nuovi lavoretti che molto spesso sono dei veri e propri "dead-end job". Da Die Welt


Il mercato del lavoro tedesco passa da un record all'altro: mai fino ad ora la disoccupazione era stata cosi' bassa, mai nella Repubblica Federale c'erano state cosi' tante persone occupate - e il loro numero dovrebbe continuare a crescere anche questo e il prossimo anno.

Le cifre ufficiali tuttavia non riflettono le vere dimensioni della crescita occupazionale perché la parte piu' ampia del boom occupazionale da alcuni anni ha luogo in un'area del mercato del lavoro che non compare nelle statistiche ufficiali: e cioè nel doppio lavoro.

Un recente studio dell'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) illustra la crescita quasi esplosiva dei secondi lavori: nel primo trimestre di quest'anno c‘erano 3.07 milioni di lavoratori dipendenti, autonomi o pubblici con un secondo lavoro. Il numero di coloro che hanno piu' di un lavoro dal 2003 è piu' che raddoppiato.



Nessuna tassa

Due sono i fattori che piu‘ di tutti stanno alimentando questo sviluppo; accanto al buon andamento del mercato del lavoro c'è stata soprattutto una modifica della normativa: dal primo aprile 2003 infatti sono cambiate le leggi che regolano i minijobs. Il limite massimo di guadagno è passato prima da 325 a 400 euro e in seguito ha raggiunto i 450 euro mensili; i minijobs di fatto sono stati esentati dalle tasse e dai contributi.

Chi lavora con uno o piu' minijob e guadagna fino a 450 euro, infatti, non deve pagare né le imposte sul reddito né i contributi previdenziali. La maggior parte dei lavoratori si fa esentare anche dal versamento dei contributi previdenziali. Solo il datore di lavoro versa alla Minijob-Zentrale una somma forfettaria per coprire i contributi sociali e le tasse.

Questa nuova normativa ha reso i minijob improvvisamente molto attraenti per tutte le persone che al di fuori degli orari del lavoro principale intendono guadagnare qualcosa. Nei mesi successivi all'entrata in vigore della legge infatti è cresciuto radicalmente il numero di coloro che svolgono 2 o piu' lavori.



Ci sono piu' offerte di lavoro

Da allora il numero di persone con doppia occupazione continua a crescere. I due ricercatori dello IAB, Sabine Klinger e Enzo Weber, sostengono che l’andamento sia da ricondurre allo sviluppo storicamente buono del mercato del lavoro. Chi ha un secondo lavoro beneficia del fatto che nel complesso c'è una maggiore offerta di posti di lavoro. "La crescita relativa del doppio lavoro è stata sicuramente piu' pronunciata rispetto a quella dei dipendenti con una sola occupazione", scrivono gli autori.

Cio' è confermato anche da una ulteriore analisi statistica: soprattutto nelle regioni in cui c'è piena occupazione, come il Baden-Württemberg o la Baviera, negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero di minijob svolti come un secondo lavoro.

Un altro fattore importante secondo gli autori potrebbe essere il fatto che fino al 2010 i salari reali sono cresciuti solo per i lavoratori piu' qualificati. Molti lavoratori hanno percio' avvertito la pressione e la necessità finanziaria di migliorare il reddito derivante dall'attività principale.

In un'analisi separata, gli autori dello studio Klinger e Weber, utilizzando i dati della Bundesagentur für Arbeit, hanno cercato di capire chi sono coloro che svolgono un secondo lavoro. Non c'è da sorprendersi nello scoprire che sono soprattutto gli occupati che guadagnano molto poco ad avere un secondo lavoro. Di conseguenza la probabilità di svolgere un secondo lavoro è sicuramente piu' alta nelle fasce di reddito piu' basse.

Molte donne hanno due posti di lavoro

Nell'ambito di questa indagine, fatta sui dati del ministero, non erano considerati i lavoratori autonomi. "Se lo studio dovesse prendere in considerazione anche i lavoratori autonomi che hanno un secondo lavoro, nelle statistiche probabilmente comparirebbero anche persone con una buona situazione finanziaria", dice l'autore Enzo Weber. "Spesso si tratta  di persone che cercano di guadagnare autonomamente un po' di soldi sfruttando le loro elevate competenze".

Attualmente gli esperti del mercato del lavoro distinguono tra due gruppi di secondi lavori: nel primo ci sono persone che svolgono un secondo lavoro perché con la loro attività principale guadagnano troppo poco e quindi dipendono dal reddito percepito con il secondo lavoro. Nel secondo gruppo ci sono invece coloro che hanno solo un part-time e che vorrebbero lavorare di piu'

In questo secondo gruppo ci sono soprattutto donne; sono infatti le donne ad essere sovrarappresentate fra coloro che esercitano un secondo lavoro, cosi' come fra i lavoratori a basso reddito. Ad un altro  gruppo appartengono invece gli scienziati o i ricercatori che per ragioni di prestigio svolgono un secondo lavoro oppure coloro che semplicemente provano piacere nello svolgere una seconda attività; è il caso ad esempio dei manager che insegnano all'università, o degli impiegati che dopo il lavoro vanno a suonare con una band musicale.

I vantaggi dovrebbero essere eliminati

Gli autori  fondamentalmente criticano il fatto che lo stato sovvenziona i minijobs attraverso l'esenzione delle tasse e dei contributi. "Questo beneficio statale nei confronti dei minijobs non è necessario e dovrebbe essere annullato", afferma Weber, direttore della ricerca IAB. Utlizzare le esenzioni fiscali dei minijobs per spingere le persone ad avere piu' di un lavoro è una scelta miope.

"Al momento il sostegno fiscale del governo incentiva le persone ad intraprendere un minijob come secondo lavoro, un lavoro che di fatto non porta nulla se non un po' piu' di soldi. Sarebbe invece necessario migliorare le opportunità di reddito nel lavoro principale, ad esempio attraverso una riduzione dei contributi e delle tasse per i redditi piu' bassi", sostiene Weber.

"Le persone dovrebbero essere incentivate a lavorare nella loro attività principale, impegnandosi in quello che fanno, eventualmente ampliando l'orario di lavoro, in modo da svilupparsi professionalmente ed essere in grado di versare contributi per avere poi una pensione in vecchiaia. Aver ridotto le tasse e i contributi sociali per i minijob è servito solamente a mettere le persone sulla strada sbagliata".

venerdì 20 ottobre 2017

Perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma il risultato di una precisa scelta politica



Uno studio molto interessante pubblicato dalla Hans-Böckler-Stiftung e realizzato da due ricercatori del prestigioso Institut Arbeit und Qualifikation (IAQ) di Duisburg (disponibile qui per intero) ci spiega perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma è il risultato di precise scelte politiche adottate negli ultimi decenni. Una breve presentazione dell'analisi dal sito della Hans-Böckler-Stiftung




Poiché il mondo del lavoro è sempre piu' complesso le aziende si farebbero la guerra fra di loro per accaparrarsi i dipendenti piu’ qualificati. I lavoratori con una scarsa preparazione sarebbero esclusi da questo mercato e di conseguenza le differenze in termini di reddito continuerebbero ad aumentare. La maggior parte degli economisti tenta di spiegare in questo modo l'aumento della disuguaglianza sociale. Ma per Gerhard Bosch e Thorsten Kalina dell'
Institut Arbeit und Qualifikation
 (IAQ) non si tratta di una spiegazione convincente. Secondo l’analisi condotta dai 2 studiosi, il declino in termini quantitativi del lavoro meno qualificato, iniziato negli anni '70, non puo' spiegare il crollo dei salari orari medi avvenuto due decenni dopo. Soprattutto perché la teoria economica standard ignora l'influenza delle mutate relazioni di potere e i cambiamenti nelle istituzioni di mercato. Bosch e Kalina sostengono che l'aumento della disuguaglianza sociale sia da ricondurre in primo luogo all'indebolimento della contrattazione collettiva. Nel loro studio identificano 6 fattori che nel corso degli anni hanno indebolito il ruolo di equilibrio in precedenza svolto dai contratti collettivi:

- Dopo il 1990 non si è riusciti ad estendere ai nuovi Laender il sistema della contrattazione collettiva in vigore nella Germania occidentale

- La possibilità data alle imprese dell'est di sottrarsi temporaneamente alla contrattazione collettiva, nel corso degli anni si è trasformata in una regola valida per tutta la Germania. Le piccole e medie imprese nel settore dei servizi nel giro di pochi anni sono uscite dal sistema dei contratti di categoria.

- Le aziende hanno esternalizzato una parte sempre maggiore delle loro attività per risparmiare sul costo del lavoro

- La deregolamentazione avviata dall'UE ha aperto la strada alla concorrenza low cost che ha messo sotto pressione molte aree economiche regolamentate dalla contrattazione collettiva, è avvenuto ad esempio nelle telecomunicazioni, nel trasporto pubblico locale oppure nella raccolta dei rifiuti

- La corsa al ribasso nelle retribuzioni è stata facilitata dalle liberalizzazioni dell'UE nell'ambito della fornitura di servizi, soprattutto nel settore nelle costruzioni.

- A causa della forte pressione politica i sindacati hanno siglato accordi di categoria con clausole aperte che permettevano alle imprese economicamente piu' deboli di ridurre temporaneamente gli standard retributivi. Nella pratica cio' ha portato ad una riduzione permanente dei salari in molti settori.


Cio' è potuto accadere, secondo Bosch e Kalina, perché le imprese dopo la vittoria del capitalismo “nello scontro fra i sistemi economici", nell’ambito del conflitto redistributivo hanno avuto "poco rispetto nei confronti della stabilità del sistema politico". Una parte delle "élite, soprattutto nelle grandi aziende, ha iniziato a rifiutare i compromessi raggiunti dallo stato sociale nel dopoguerra".

Secondo i ricercatori anche le “riforme Hartz” avrebbero contribuito a consolidare la crescente diseguaglianza sociale. E' sicuramente vero che l'ampliamento della forbice dei redditi è iniziato prima del 2005. Ma l'aumento della pressione esercitata sui disoccupati affinché accettassero qualsiasi lavoro, anche i piu’ precari, ha fatto si' che i salari nella parte piu’ bassa della scala abbiano continuato a scendere anche durante le fasi di buona congiuntura. A cio' si deve aggiungere che il ruolo redistributivo dello stato si è ridotto: mentre la tassazione per gli imprenditori e per i redditi piu' alti scendeva, l'aumento della tassazione indiretta e la riduzione delle pensioni e delle indennità di disoccupazione gravava sulle famiglie a basso reddito in maniera piu’ che proporzionale.

Il fatto che le disuguaglianze sociali non aumentino in maniera automatica e che lo sviluppo della redistribuzione sia fortemente influenzato da fattori politici, per i 2 ricercatori deve essere considerato un elemento incoraggiante. Significa soprattutto che la disuguaglianza sociale "puo' essere ancora frenata". Con il salario minimo per legge si è fatto un primo passo in questa direzione.

mercoledì 9 agosto 2017

7.6 milioni di mini-job: un lavoratore dipendente su 5 è un minijobber

Il governo risponde ad una interrogazione parlamentare della Linke sul tema dei mini-job e fornisce dati sorprendenti: dopo una lieve flessione nel 2015, i mini-job sono tornati a crescere e i mini-jobber sono ormai pari al 23% di tutti i lavoratori dipendenti con assicurazione sociale, sempre di piu' le donne e gli anziani. Impressionante il numero di mini-jobber ultra 65enni, piu' di un milione. Dalla Rheinische Post.


Nonostante l'introduzione del salario minimo per legge nel gennaio 2015, il numero dei mini-jobber in Germania è tornato a crescere. Nel dicembre 2016 era del 2.2% piu' alto rispetto al marzo 2015. Circa 7.63 milioni di persone alla fine dello scorso anno avevano un "rapporto di lavoro minore" (mini-job). Vale a dire il 23% di tutti i lavoratori dipendenti (con assicurazione sociale). Il dato emerge da una risposta del governo federale ad una richiesta del gruppo parlamentare della Linke.

I mini-job sono esentasse fino al limite previsto dalla legge di 450 € al mese. Per questa ragione per molti lavoratori restano un'opportunità attraente. Per circa un terzo dei mini-jobber si tratta di un secondo lavoro. I lavoratori dipendenti che hanno solo un mini-job - e quindi senza altri lavori che prevedano il pagamento dei contributi sociali - sono circa 4.8 milioni. Molti, ma non tutti, lo fanno per integrare la pensione o magari per pagarsi gli studi - oppure si tratta ad esempio di casalinghe che vogliono migliorare il reddito familiare.


Chi è inquadrato secondo un "rapporto di lavoro minore" non è necessariamente coperto dal mini-job per quanto riguarda la cassa malattia e la previdenza sociale (non è prevista l'assicurazione contro la disoccupazione). Dal 2013 il mini-job prevede il versamento dei contributi pensionistici, ma su domanda del lavoratore è possibile richiedere l'esenzione dall'obbligo assicurativo, opzione a cui molti dipendenti fanno ricorso. Per il datore di lavoro è previsto il pagamento di un contributo forfettario tra il 25 e il 30% della retribuzione lorda per l'assicurazione pensionistica, la cassa malattia e le imposte sul reddito.

Molti mini-jobber sono donne e hanno piu' di 60 anni

Le critiche nei confronti dei numeri raggiunti dai mini-job, oltre 7 milioni, sono sempre piu' forti: sarebbero uno strumento per comprimere i salari nonché una delle principali cause di povertà in vecchiaia, visto che i contributi versati daranno diritto ad una pensione estremamente bassa.

Secondo i dati forniti dal governo, oltre 3 milioni di mini-jobber, quasi il 60%, nel 2016 erano donne. Per molte di loro, a causa dei contributi pensionistici troppo bassi, la povertà in vecchiaia è già un problema estremamente attuale.

Il 22% dei mini-jobber nel 2016 aveva piu' di 60 anni. La percentuale di anziani con un'occupazione minore è cresciuta del 48% rispetto al livello di dieci anni fa. Anche il numero dei mini-jobber in età pensionabile con oltre 65 anni è cresciuto del 35% rispetto al 2006, e oggi sono piu' di un milione.

Secondo il documento del governo, i mini-jobber lavorano in media 11.8 ore per settimana. Il loro salario medio nel 2014 era di 9.4 € lordi l'ora. Nell'ovest un mini-jobber guadagnava in media 9.58 € l'ora, nell'est solo 7.86 € l'ora. La retribuzione media di un mini-jobber era del 55% inferiore rispetto alla retribuzione lorda media complessiva di tutti i dipendenti, pari a 16.57 € lordi l'ora. Dai dati forniti dal governo emerge che con l'introduzione del salario minimo di 8.5 € lordi l'ora, all'inizio del 2015, il numero dei mini-job è sceso di 93.000 unità. Nei mesi successivi tuttavia sono tornati a crescere fino alla fine del 2016.

"E' una trappola soprattutto per le donne"

Secondo i dati del governo la maggior parte dei mini-jobber lo scorso anno lavorava nella vendita al dettaglio. 895.000 mini-jobber lavoravano nel commercio, seguivano la gastronomia con 780.000 occupati, la pulizia degli edifici (circa 600.000) e la sanità (433.000). I lavoratori senza una qualifica fra i mini-jobber sono il 21.5% e sono quindi sovrarappresentati rispetto al totale degli occupati. Sorprendentemente alte sono le attività da aiutante generico con una quota del 45 % sul totale, sempre secondo i dati del governo.

"I mini-job sono una forma di occupazione precaria, a bassa retribuzione e portano dritti ad una mini-pensione. Sono una trappola soprattutto per le donne", scrive Jutta Krellmann della Linke. 4.3 milioni di mini-jobber, secondo i dati del governo, avrebbero almeno una qualifica professionale. E' un indizio del fatto che per queste persone probabilmente sarebbe possibile trovare qualcosa di meglio rispetto ad una semplice attività da aiutante. "E' davvero uno scandalo se oltre un milione di persone con piu' di 65 anni ha bisogno di un mini-job per assicurarsi il sostentamento", ha dichiarato sempre la Krellmann. I mini-job non stanno creando nuovo lavoro, lo stanno solo redistribuendo fra piu' lavoratori.


giovedì 10 ottobre 2013

Quasi un lavoratore su quattro ha un "basso salario"

Una recente analisi dell'Institut Arbeit und Qualifikation ci ricorda ancora una volta le dimensioni del cosiddetto settore a "basso salario": quasi un occupato su quattro ne fa parte e la sola via di uscita resta il salario minimo fissato per legge. Dalla Hans-Böckler-Stiftung
Percentuale di occupati che riceve un "basso salario"
Anche se il mercato del lavoro negli ultimi mesi ha avuto uno sviluppo positivo, quasi un occupato su quattro continua a lavorare per un "basso salario". Lo mostra un'analisi del panel socio-economico realizzata da Thorsten Kalina e Claudia Weinkopf dell'Institut Arbeit und Qualifikation (IAQ). Nel 2011, secondo gli ultimi dati disponibili, 8.1 milioni di lavoratori guadagnavano meno dei due terzi del salario orario mediano, cioè meno di 9.14 € lordi l'ora, vale a dire il 23.9% degli occupati. Rispetto al 2010 la quota è leggermente diminuita - dello 0.7%. Dal 1995 il numero dei lavoratori coinvolti è invece cresciuto di 2.6 milioni.

La paga oraria media degli occupati nel settore a "basso salario" è ancora inferiore: nel 2011 la media era di 6.46 € lordi l'ora nella Germania dell'ovest e 6.21 € nell'est. In tutta la Germania circa 1.8 milioni di occupati si sono dovuti accontentare di un salario orario inferiore ai 5 € lordi l'ora, 2.9 milioni guadagnavano meno di 6 € lordi e 4.4 milioni meno di 7 € lordi. A ricevere una bassa paga molto spesso sono i minijobber: nel 2011 oltre la metà di loro lavorava per meno di 7 €  lordi l'ora, un terzo per meno di 5 € lordi. Con l'introduzione di un salario minimo per legge di almeno 8,5 € lordi l'ora, circa un quinto della forza lavoro complessiva vedrebbe salire la propria busta paga. Secondo i ricercatori dello IAQ sarebbero quasi 7 milioni i lavoratori ad avere diritto ad un aumento salariale. 


Percentuale fra tutti gli occupati che nel 2011 lavorava per un salario orario lordo inferiore alla soglia indicata

Oltre ai minijobber, fra gli occupati a rischio di ricevere un basso salario ci sono i lavoratori senza formazione professionale, nel 2011 4 su 10 guadagnavano meno di 9.14 € lordi l'ora, Anche i giovani, i lavoratori a tempo determinato e gli stranieri sono sovrarappresentati in questo gruppo.

Il 71.2% dei minijobber nel 2011 riceveva un "basso salario"

Aumentano rispetto a 10 anni fa i lavoratori qualificati che ricevono un "basso salario": il rischio è cresciuto del 16.8 % dal 2001 al 2011. Nel complesso il 69.8% di tutti i lavoratori a "basso salario" ha completato una formazione professionale, l'8.7 % perfino uno studio di livello universitario.

Tra i lavoratori full time la crescita fra il 2001 e il 2011 è stata del 13.9 %. Fra le donne la quota è leggermente scesa - dal 29.9 al 29.6 %. Tuttavia in ogni forma lavorativa e ad ogni livello di qualificazione le donne rispetto agli uomini hanno maggiori probabilità di ricevere una bassa paga oraria: anche dopo aver concluso una formazione professionale il rischio resta doppio.

Le conseguenze per Kalina e Weinkopf sono molto chiare: i salari minimi settoriali non sono evidentemente sufficienti a bloccare il fenomeno dei "bassi salari" in Germania. "Con l'introduzione di un salario minimo per legge, ci sarebbe una soglia minima non superabile e valida per tutti gli occupati", scrivono i ricercatori dello IAQ. Inoltre, l'altissima percentuale di bassi salari fra i minijobbber metterebbe alla prova lo status speciale di questa forma di occupazione: "per limitare in maniera efficace le dimensioni del settore a basso salario, un contributo ulteriore potrebbe essere infatti dato dall'abolizione dei minijob".


mercoledì 11 settembre 2013

Le leggi Hartz, la svalutazione interna e il boom dell'export: ovvero, quando una diagnosi sbagliata diventa l'opinione dominante

Che ruolo hanno avuto le leggi Hartz nella svalutazione interna degli ultimi 15 anni? Risponde Gerhard Bosch, direttore dell'Institut Arbeit und Qualifikation dell'Università di Duisburg. La lunga fase di moderazione salariale è il risultato di un'analisi sbagliata, diventata poi opinione dominante. Da NachDenkSeiten.de, rivista on-line di analisi politica ed economica.


Quando una diagnosi sbagliata diventa l'opinione dominante

La Germania sin dagli anni '50, anno dopo anno e con pochissime eccezioni, ha registrato degli avanzi commerciali con l'estero. Prima dell'introduzione dell'Euro, gli squilibri commerciali venivano regolarmente corretti con la rivalutazione del Marco. Ma la moneta unica corrisponde, di fatto, all'impossibilità di utilizzare l'aggiustamento dei tassi di cambio come misura correttiva. L'industria dell'export tedesca in questo modo trae profitto dalla mancanza di una pressione verso una rivalutazione dell'Euro, conseguenza del consistente numero di paesi Euro in disavanzo con l'estero.

Protetta all'interno dell'Eurozona da ogni forma di rivalutazione, la posizione competitiva tedesca è migliorata ulteriormente a partire dalla seconda metà degli anni '90. E stato il risultato di una crescita salariale inferiore a quella media dell'Eurozona, equivalente ad una svalutazione interna. Cio' ha portato ad un aumento dell'avanzo con l'estero, nel 2012 pari al 6.5 % del PIL tedesco. In altre parole, in un periodo di 3 anni, la Germania deve reinvestire circa il 20% del proprio PIL all'estero. I surplus tedeschi sono lo specchio dei deficit negli altri paesi dell'Eurozona. E l'economia tedesca, per le dimensioni e l'importanza delle sue relazioni commerciali con l'estero, ha un ruolo unico all'interno dell'Europa. L'apertura dell'economia (export + import come percentuale del PIL) in Germania, Francia, Spagna e Italia nel 1995 era di circa il 50%. Ma nel 2008 il dato tedesco raggiunge il 90%, mentre negli altri paesi si ferma al 60%.


Uno dei paradossi nel dibattito economico tedesco è che le carenze piu' gravi sono percepite proprio in quelle aree in cui la Germania è particolarmente forte, mentre il rafforzamento della domanda interna è scomparso dall'agenda politica. Da 20 anni ormai la politica economica tedesca si  concentra unicamente sull'export e sul miglioramento della competitività. La potente ed influente associazione degli imprenditori è dominata dai rappresentanti dell'industria manifatturiera, il cui obiettivo è incrementare le quote di mercato tenendo bassi i salari. Una campagna mediatica su larga scala centrata sulla "Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft" (Nuova economia sociale di mercato) - finanziata sin dal 2000 dall'organizzazione dei datori di lavoro nella meccanica ed elettronica - ha diffuso con successo l'immagine di una Germania che soffre per un elevato costo del lavoro, e per un mercato eccessivamente regolamentato, e che di conseguenza non è competitiva.

La lista di coloro che hanno abbracciato questa visione comprende anche il primo governo rosso-verde. Le leggi Hartz del 2004 avevano infatti l'obiettivo di introdurre in Germania un settore a basso salario. Riducendo i sussidi di disoccupazione per i disoccupati di lungo periodo e ridefinendone i criteri di accesso, le leggi Hartz di fatto hanno aumentato la pressione sui disoccupati spingendoli ad accettare lavori con un salario inferiore del 30% rispetto alla media della zona. La deregolamentazione delle agenzie temporanee e i cosiddetti mini-job hanno permesso di sostituire i lavoratori dipendenti a tempo pieno mediante nuove assunzioni precarie. Nel caso delle agenzie interinali, ai contratti sono stati eliminati i vincoli temporali, e grazie ai nuovi accordi contrattuali i datori di lavoro hanno potuto eludere il principio dell'eguaglianza di trattamento economico fra interinali e dipendenti. Quanto ai mini-job, la soglia minima di reddito è stata aumentata, e ora i mini-job possono essere considerati un secondo lavoro, inoltre, il limite massimo di ore settimanali è stato aumentato, consentendo una riduzione del costo del lavoro. L'accettabilità politica di questi provvedimenti si basava sull'assunto secondo cui i lavoratori poco qualificati e a bassa produttività si sarebbero avvantaggiati dall'ampliamento del settore a basso salario. 

Il settore a basso salario in Germania

Sin dalla fine degli anni '90 i salari tedeschi sono cresciuti piu' lentamente rispetto al resto dell'unione monetaria. La ragione principale è stata la rapida espansione del settore a basso salario, già in corso prima delle riforme Hartz. La quota di lavoratori con un basso salario (meno di 2/3 del salario mediano orario) è passata dal 17.7% nel 1995 al 23.1% nel 2010, passando dai 5.6 milioni del 1995 ai 7.9 milioni del 2010. Una particolarità del settore a basso salario tedesco è la sua dispersione verso il basso, dato che non sono previsti minimi salariali. Nel 2010, 6.8 milioni di tedeschi erano pagati meno di 8.5 € lordi, vale a dire il minimo salariale richiesto dalla federazione dei sindacati tedeschi, mentre 2.5 milioni guadagnavano meno di 6.00 € lordi l'ora.

La maggior parte della crescita in termini assoluti è stata nella Germania dell'ovest, in aree tradizionalmente protette da un'elevata adesione ai contratti collettivi. L'esame della distribuzione dell'evoluzione dei salari adeguati all'inflazione mostra come fin dal 1995 la concentrazione al centro tende a sgretolarsi, mentre molte attività in precedenza ben retribuite si muovono verso il basso. Il lavoro a basso salario non è distribuito ugualmente fra tutti i lavoratori dipendenti: nel 2010 ad essere particolarmente colpiti dai bassi salari erano i giovani sotto i 25 anni (50.8%), i lavoratori con contratto a tempo determinato (45.7%), chi è senza una formazione professionale (39.3%), le donne (30.0%), gli stranieri (31.9%). Nel 2010 il 30% di tutte le donne occupate riceveva un basso salario, ma rappresentavano quasi i due terzi di tutti i lavoratori a basso salario. Un'altra particolarità del settore a basso salario tedesco, rispetto a quello americano, è la bassa quota di lavoratori senza una qualifica professionale: circa l'80%  ha una formazione professionale o un'istruzione superiore. L'obiettivo che le riforme Hartz si ponevano, migliorare le opportunità di impiego per i lavoratori con basse competenze, non è stato raggiunto. 

Fattori che hanno causato l'espansione del settore a basso salario.

L'espansione del settore a basso salario è iniziata 10 anni prima delle riforme Hartz. La causa è stata la diversa politica dei datori di lavoro: da un lato i datori di lavoro hanno approfittato degli alti tassi di disoccupazione per uscire  dalle associazioni datoriali e non essere quindi piu' vincolati dai contratti collettivi. Dall'altro la liberalizzazione di molti servizi pubblici (poste, ferrovie, trasporto locale) ha portato sul mercato molti fornitori privati, non vincolati dai contratti collettivi, che hanno iniziato a fare concorrenza con pratiche di dumping salariale. 

Le riforme Hartz non sono state la causa di questo processo, ma hanno impedito una riduzione del numero di lavoratori a basso salario a partire dalla fase di ripresa del 2005. Le due forme di lavoro deregolamentate, interinale e mini-jobs, nel frattempo sono diventate sempre piu' diffuse: i lavoratori interinali sono cresciuti dai 300.000 del 2003 fino ai 900.000 del 2011,  nello stesso periodo il numero di persone impiegate con un mini-job è cresciuto da 5.5 milioni fino a 7.5 milioni. Fra gli occupati con un mini-job, la quota di lavoratori a basso salario nel 2010 era dell'86%, fra gli interinali era pari a due terzi. La quota elevata di lavoratori a basso salario fra i minijobber puo' essere spiegata dal fatto che in generale, chi lavora con questi contratti, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva europea sull'uguaglianza di trattamento economico dei lavoratori a tempo determinato, viene pagato meno rispetto agli altri part-timer. Per i lavoratori interinali, invece, il principio della parità di retribuzione previsto dalla direttiva europea sul lavoro temporaneo, è stato abrogato dagli accordi collettivi, equiparabili a dumping salariale, sottoscritti dal Sindacato Cristiano, vicino alle imprese e praticamente senza iscritti.

Si pensava che la diffusione del lavoro a basso salario potesse rendere piu' facile l'ingresso nel mercato del lavoro ai disoccupati, ed accrescere le possibilità di impiego dei lavoratori meno qualificati. Alle metà degli anni '90, l'OCSE ancora lodava il mercato del lavoro tedesco per le buone opportunità di avanzamento che offriva ai lavoratori con basso salario. Analisi piu' recenti mostrano invece come il lavoro a basso salario sia sempre piu' una trappola. Kalina (2012) mostra come le possibilità di avanzamanto, nel periodo fra il 1975-76 e il 2005-06, siano scese. Mosthaf et al. (2011) mostrano come ogni sette lavoratori a basso salario nel 1998-9, solo uno era stato in grado di uscire da questo settore prima del 2007.

La deregolamentazione del mercato del lavoro non ha avuto effetto sui livelli occupazionali.

La copertura garantita dai contratti collettivi raggiungeva l'80% prima del 1990, ma nel 2010 era scesa al 60% nella Germania dell'ovest, e al 48 % nell'est. Di fatto la contrattazione salariale fra le parti sociali non funziona piu'. In molte piccole e medie imprese e nei servizi, i salari sono determinati unilateralmente dai datori di lavoro, visto che i contratti collettivi non si applicano e i comitati di fabbrica non sono stati istituiti.

Come risultato, i sindacati hanno riconsiderato il loro rifiuto di un intervento dello stato nel processo di contrattazione dei salari, e sin dalle leggi Hartz hanno sostenuto l'introduzione di un minimo salariale. Al momento i minimi salariali sono stati concordati con 12 associazioni datoriali in 12 settori e sono stati dichiarati vincolanti dal governo federale. Gli effetti dell'introduzione del salario minimo sono stati analizzati in otto settori: non sono stati riscontrati effetti negativi sull'occupazione Bosch/Weinkopf (2012). Tuttavia, un cambiamento di tendenza verso una riduzione del numero di lavoratori a basso salario ancora non c'è stato, ed i principali settori che vi fanno ricorso, il commercio al dettaglio, gli alberghi e la ristorazione, non hanno ancora un minimo contrattuale. I tentativi di introdurre un salario minimo nazionale e di riformare le leggi sulla contrattazione collettiva, al fine di rendere gli accordi vincolanti per l'intera categoria, sono falliti a causa dell'opposizione esercitata dal governo federale.

Gli effetti piu' controversi delle leggi Hartz sono quelli sui livelli occupazionali. Gli effetti positivi sull'occupazione sono spiegati dall'aumento del flusso in uscita dalla disoccupazione a partire dal 2005. Tuttavia, poiché  il flusso in entrata verso la disoccupazione nello stesso periodo è aumentato, nonostante la fase di crescita economica, possiamo dire che il flusso tra occupazione e disoccupazione sia aumentato. La ragione per questa crescita del flusso, durante una fase di ripresa economica, è il ricorso a contratti a tempo determinato e interinale, che spesso conducono solo ad un breve periodo di lavoro.

La normativa Hartz è entrata in vigore mentre la Germania stava uscendo da una profonda recessione. Nella successiva fase di ripresa c'è stato un aumento congiunturale dell'occupazione. La domanda centrale è se le leggi Hartz abbiano effettivamente influenzato in maniera positiva la dinamica occupazionale. Horn/Herzog-Stein (2012) hanno confrontato l'intensità occupazionale in tre cicli economici (1999/Q1 – 2001/Q1, 2005/Q2 – 2008/Q1 e 2009/Q2 fino al 2012). Nella prima ripresa, l'intensità occupazionale (la percentuale di aumento dell'occupazione quando il pil aumenta dell'1%) era dello 0.43%, nelle due riprese successive è stata dello 0.35 % e dello 0.39%. Di fatto dopo l'introduzione delle leggi Hartz l'intensità occupazionale è diminuita. I due periodi di ripresa dopo la loro entrata in vigore sono stati quasi interamente trainati dall'export. Le leggi Hartz hanno avuto un effetto di dumping sull'evoluzione dei salari, soprattutto nel settore dei servizi, affondando la domanda interna e l'import, ma hanno avuto un effetto minimo sull'economia orientata all'export. La domanda interna è stata inoltre frenata dal taglio degli investimenti pubblici: gli investimenti pubblici netti in Germania per molti anni sono stati negativi. Il conseguente deterioramento delle infrastrutture avrà un effetto negativo sulla crescita futura.

La Germania condivide la responsabilità di stimolare la crescita economica europea.

Le ragioni della favorevole evoluzione dell'occupazione in Germania non possono essere ricondotte alle leggi Hartz. Sono il risultato della specializzazione del manifatturiero tedesco, nel corso di molti anni, in prodotti di alta qualità, con un tasso di innovazione elevato, investimenti in ricerca e sviluppo superiori alla media ed un buon sistema di formazione professionale. Inoltre, il portafoglio prodotti tedesco, con la sua enfasi sui beni strumentali e le auto, si abbinava alla domanda proveniente dai BRICS e dagli altri paesi in via di sviluppo, e cio' significa che l'economia tedesca non era del tutto dipendente dal mercato europeo. Le leggi Hartz hanno permesso al paese, anche durante la fase di crescita dal 2005 al 2008, di continuare la sua politica di svalutazione interna all'Eurozona, fatta di aumenti salariali e costi unitari inferiori alla media dei paesi Euro Stein/ Stephan/ Zwiener (2012). Poiché la domanda domestica, e di conseguenza l'import, non hanno tenuto il passo dell'export, gli squilibri commerciali nell'Eurozona sono aumentati, creando le condizioni per la crisi Euro. Cosi' l'impatto delle leggi Hartz ha finito per avere una dimensione europea.

La politica economica tedesca continua ad essere caratterizzata dalla sua eccessiva focalizzazione sull'export. Come mezzo per affrontare la crisi Euro, il governo federale ha chiesto agli altri paesi europei di introdurre riforme del mercato del lavoro simili alle leggi Hartz. Questa politica, tuttavia, non può e non sarà applicata a tutti gli altri paesi, poiché solo abolendo le leggi della matematica è possibile che tutti i paesi abbiano dei surplus commerciali. Senza dubbio i paesi del sud hanno bisogno di aumentare la loro competitività. Ma la crisi che inghiotte l'Eurozona potrà essere superata solo se la Germania, l'economia piu' forte in Europa, si assume la responsabilità di creare crescita. E ci sono già dei buoni suggerimenti per fare cio': il primo è la riforma del sistema retributivo con l'introduzione dei minimi salariali e con il rafforzamento degli accordi di categoria esistenti. Un altro è l'aumento degli investimenti pubblici in Germania, preferibilmente sotto l'egida di un programma di investimenti europei.


Further reading
  • Bosch, G. / Weinkopf, C. (eds.) (2008), Low-wage work in Germany, New York: Russell Sage Foundation.
  • Bosch, G. / Weinkopf, C. (2012), Wirkungen der Mindestlohnregelungen in acht Branchen, Expertise im Auftrag der FES, Bonn (Effects of minimum-wage regulations in eight sectors. Expert report commissioned by FES, Bonn)
  • Horn, G. A. / Herzog-Stein, A. (2012), “Erwerbstätigenrekord dank guter Konjunktur und hoher interner Flexibilität“ (Record employment figures owed to upswing and high internal flexibility), Wirtschaftsdienst, no. 3, pp. 151 -155
  • Joebges, H. / Logeay, C. / Stephan, S. / Zwiener, R. (2010), “Deutschlands Exportüberschüsse gehen zu Lasten der Beschäftigten“ (Germany’s export surpluses are being paid for by the workforce), WISO Diskurs, pp. 1-35.
  • Kalina, T. (2012), Niedriglohnbeschäftigte in der Sackgasse ? – Was die Segmentationstheorie zum Verständnis des Niedriglohnsektors in Deutschland beitragen kann (Low-wage workers at a dead-end? How segmentation theory can contribute to understanding the low-wage sector in Germany). Diss. Duisburg, Univ. DU-E.
  • Mosthaf, A. / Schnabel, C. / Stephani, J. (2010), Low-wage careers: are there dead-end firms and dead-end jobs? (Universität Erlangen, Nürnberg, Lehrstuhl für Arbeitsmarkt- und Regionalpolitik. Diskussionspapiere, 66), Nürnberg.
  • OECD (1996), Employment outlook, Paris.
  • Stein, U. / Stephan, S. / Zwiener, R. (2012), Zu schwache deutsche Arbeitskostenentwicklung belastet Europäische Währungsunion und soziale Sicherung, Arbeits- und Lohnstückkosten in 2011 und im 1. Halbjahr 2012 (Weak German labour costs development is putting strain on European Monetary Union and social security. Labour and unit wage costs in 2011 and first half 2012). Reihe IMK Report, Nr. 77.

martedì 3 settembre 2013

I minijobber votano la Linke (e sperano nel salario minimo)

Un altro interessante articolo sulle dimensioni del precariato in Germania, se ancora ce ne fosse bisogno, questa volta arriva dal The Guardian. I minijobber dopo una lunga stagione di moderazione salariale chiedono un salario minimo. Da theguardian.com
Senza un salario minimo e con un quinto dei lavoratori occupati con un minijob, i critici sostengono che la prosperità tedesca sia stata costruita sullo sfruttamento degli oppressi.

Andare al cinema oppure nuotare nella locale piscina all'aperto sono piccoli lussi che Christa Rein si puo' permettere solo raramente: "Non posso nemmeno comprare cose semplici come il salmone o una bottiglia di spumante", ci dice la 55enne. "Il frigorifero non si deve rompere, perché non potrei permettermene un altro".

Sembra una delle tante storie dalla desolata Europa del sud, spremuta da 3 anni di austerità e recessione. Potrebbe essere una sorpresa sapere che invece questa storia, fatta di difficoltà finanziarie, arriva dal centro della potenza economica d'Europa - e sicuramente non è la sola.

Mentre Angela Merkel guida il suo partito di centro-destra verso le elezioni promettendo una ripresa economica, una sana gestione finanziaria e un'occupazione a livelli record, cresce il dissenso nella parte che fino ad ora non ha partecipato alla distribuzione della tanto decantata ricchezza tedesca. Le riforme radicali del mercato del lavoro lanciate un decennio fa hanno spinto un quarto della forza lavoro in impieghi a bassa retribuzione, part-time e precari. Il presunto miracolo economico e la storia di successo nel mercato del lavoro, nel frattempo divenuti l'invidia di tutto il mondo, sono stati smascherati.

La paga di Rein, lavora 8 ore al giorno per un'impresa di pulizie, è di 1.079 € al mese. "Ho fatto questo lavoro per 30 anni, e anno dopo anno abbiamo visto il carico di lavoro aumentare, mentre la paga diminuiva", ci dice. "Siamo sempre di meno, e pretendono da noi che si riesca a pulire sempre piu' metri quadrati in un tempo sempre inferiore. Abbiamo tra i 15 e i 20 secondi per pulire un gabinetto – e non è proprio un gabinetto su cui vorrei sedermi".

Nel frattempo, il suo datore di lavoro ha aumentato i suoi profitti, ci dice, "ma i guadagni non vengono trasferiti a noi lavoratori".

Rein, che vive a Braunschweig in Bassa Sassonia, è convinta che la sua situazione rifletta quella piu' generale dell'economia e influirà sul modo in cui voterà alle elezioni del 22 settembre: "per i lavoratori tedeschi è arrivato il momento di partecipare ai successi dell'economia".

Una ricerca della BCE in aprile ha mostrato che la ricchezza mediana delle famiglie tedesche era inferiore a quella delle famiglie greche. In termini di PIL pro-capite, la Germania va abbastanza bene. Ma contrariamente alla credenza popolare, è solo di poco superiore alla media europea. Secondo l'Istituto per la Ricerca sul Lavoro, il braccio di ricerca dell'agenzia federale per l'impiego, il 25% di tutti i lavoratori tedeschi guadagna meno di 9.45 € lordi l’ora. In Europa solo la Lituania ha una percentuale piu' alta di bassi salari – chi guadagna meno dei due terzi del salario medio nazionale.

La situazione ha alimentato il divario fra ricchi e poveri e un risentimento crescente fra coloro che considerano la prosperità tedesca costruita sullo sfruttamento degli oppressi. 

Daniel Kerekes, uno studente 26enne di storia all'Università della Ruhr di Bochum, fa parte di quel 20% di lavoratori impiegati con un minijob. "Lavoro al supermarket per circa 16 ore alla settimana per 7.5 € lordi l'ora con un contratto molto svantaggioso. I turni non sono garantiti, e se non faccio tutto cio' che il mio capo mi chiede di fare, puo' cancellarmi i turni oppure darmi quelli peggiori".

Con quel che guadagna - oltre ad un piccolo lavoro nel giornalismo digitale - fa fatica a pagare i suoi conti, incluso l'affitto mensile da 280 € per l’appartamento da 36 mq, piu' l'assicurazione sanitaria obbligatoria e un'assicurazione per la responsabilità civile.

Chiamati anche McJobs, i minijobs sono una forma marginale di impiego che permette ai lavoratori di guadagnare fino a 450 € al mese esentasse. Introdotti nel 2003 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, come parte di una piu' vasta riforma del mercato del lavoro, all’epoca in cui la Germania si era guadagnata il titolo di "malato d’Europa", hanno mantenuto basso il costo della manodopera, offrendo una grande flessibilità ai datori di lavoro.

Ma i critici sostengono che abbiano allargato la disparità fra ricchi e poveri e minato molti dei valori su cui l'economia sociale di mercato tedesca si era fondata. Non solo non forniscono al datore di lavoro nessuna ragione per trasformare questi contratti in veri e propri lavori a tempo pieno, ma anche il lavoratore non ha alcun incentivo a lavorare di piu', poiché in quel caso dovrebbe pagare le tasse sullo stipendio. Il risultato: sono in molti a restare intrappolati in lavori marginali e distaccati dal tanto acclamato "jobwunder" tedesco.

Bochum, una città in declino nella valle della Ruhr, un tempo cuore industriale tedesco, brulica di minijobs, secondo Kerekes. "La signora che abita sotto di me ha un minijob in un discount, la mia fidanzata lavora come cameriera con un minijob. I datori di lavoro sono soddisfatti, perché sanno che possono impiegarti per soli 450 € al mese".

Secondo il governo i minijob sarebbero in declino - lo scorso anno sono scesi dello 0.6% - ed il merito sarebbe delle politiche del lavoro di Merkel. Ma l'opposizione non è affatto d'accordo: "Sono numeri discutibili", sostiene Anette Krame, esperta di mercato del lavoro della SPD. "Non credo una riduzione dello 0.6% sia una ragione per festeggiare, e nemmeno riesco ad individuare un trend verso il basso". E cita la palese omissione nelle statistiche di alcune forme contrattuali piu' recenti, responsabili del dumping salariale in vari settori, specialmente nell'industria alimentare.

Kerekes spera che il nuovo governo abolisca i minijob e introduca al loro posto un salario minimo. "I minijob stanno distruggendo i posti di lavoro regolari, e garantiscono salari da fame. Perfino negli Stati Uniti la maggior parte degli stati ha un salario minimo, mentre la Germania, uno dei paesi piu' ricchi al mondo, non ce l'ha".

E' incoraggiato dal fatto che la SPD abbia promesso di voler introdurre un salario minimo - 8.5 € lordi l’ora - ma crede non stiano osando abbastanza, e comunque, sono stati loro per primi ad introdurre i minijob.

Le statistiche dell'agenzia federale del lavoro mostrano che i salari dei lavoratori con i redditi piu' alti, tra il 1999 e il 2010, sono cresciuti del 25%, mentre per il 20% dei lavoratori con i redditi piu’ bassi, la paga è cresciuta solamente del 7.5%, nel frattempo l’inflazione era del 18%. Il risultato è stato cio’ che gli economisti considerano una svalutazione interna, con una significativa riduzione del potere d'acquisto e un danno per l'economia tedesca.

Kerekes ci dice che il suo voto il prossimo mese andrà al partito che secondo lui sta facendo di piu' per affrontare il fenomeno dei McJob. "Votero' per la Linke", ci dice, riferendosi al raggruppamento di ex-comunisti della Germania dell'est e ribelli della SPD. "Sono gli unici a proporre un salario minimo di almento 10 € l'ora, il minimo con cui sia possibile vivere".

mercoledì 5 giugno 2013

The dark side of the boom

Un interessante articolo sul boom dei mini-job in Germania arriva dal Wall Street Journal. Flessibilità necessaria oppure lavoro nero legalizzato? Il dibattito prosegue. Da Wall Street Journal
Il mercato del lavoro tedesco è invidiato dai paesi europei in difficoltà. Molti tedeschi pero', nonostante il Jobwunder, si sentono esclusi dal successo economico del loro paese.

Il tasso di disoccupazione tedesco anche a maggio è rimasto invariato al 6.9 %, per il settimo mese consecutivo. Ma quasi un lavoratore tedesco su cinque, circa 7.4 milioni, è impiegato con un cosiddetto "minijob", una forma di occupazione marginale che permette di guadagnare fino a 450 €  mensili esenti da tasse.

Nei diversi settori industriali, dalla distribuzione alla sanità, i minijob sono stati una manna che ha permesso agli imprenditori di tenere basso il costo del lavoro. I minijob di solito hanno una paga oraria molto bassa, e non hanno gli stessi benefit previsti dai normali contratti di lavoro.

Mentre l'Europa guarda alla potenza economica continentale per cercare di capire come rilanciare il moribondo mercato del lavoro, in Germania la diffusione di questi lavori a basso salario ha scatenato un acceso dibattito: i lavoratori tedeschi stanno beneficiando dei frutti della crescita economica?

I fautori sostengono che i minijob offrono ai genitori, ai pensionati e agli studenti una possibilità legale di guadagnare soldi esentasse, e danno alle imprese la flessibilità per regolare la forza lavoro in base alle necessità del momento. "I Minijob sono ideali per chi vuole lavorare solo per un numero ridotto di ore alla settimana o al mese", dice Oliver Stettes, esperto di mercato del lavoro del Cologne Institute for Economic Research. Sono molto attraenti anche per i ristoratori e i commercianti che devono far fronte ai periodi di picco, ci dice: "All'ora di pranzo, quando i locali sono pieni, c'è bisogno di piu' forza lavoro. Ed è quando i minijobber arrivano e danno una mano, anche per poche ore".

I critici sostengono invece che il ricorso ai minijob non faccia altro che ampliare il divario fra ricchi e poveri, una tendenza che minaccia il contratto sociale alla base dell'economia sociale di mercato.

Mentre i redditi piu' alti dei lavoratori a tempo pieno che contribuiscono al sistema di sicurezza sociale sono cresciuti del 25% tra il 1999 e il 2010, i salari nel quintile piu' basso sono cresciuti di circa il 7.5%, secondo i dati della Arbeitsagentur. Considerando nello stesso periodo un'inflazione pari al 18%, i redditi piu' bassi hanno perso decisamente terreno.

L'economia tedesca nello stesso periodo è cresciuta del 13.5%, lasciando a molti tedeschi la sensazione di non aver beneficiato della crescita.

I partiti di opposizione hanno rilanciato il tema in vista delle elezioni di settembre. I social-democratici vorrebbero migliorare le garanzie e aumentare il potere di contrattazione collettiva dei minijobber. I Verdi vorrebbero introdurre un limite massimo di 100 € al mese esentasse, al fine di creare piu' posti di lavoro regolari. I politici di governo criticano la proposta dei Verdi bollandola come populista. Questo piano eliminerebbe per molte persone "la porta di ingresso verso il mercato del lavoro", cosi' Pascal Kober, membro dei liberali (FDP), in una recente dichiarazione alla stampa tedesca. 

"I minijob non hanno centrato l'obiettivo", dice Werner Eichhorst, il vice direttore dell'istitutuo indipendente IZA. "Sono strutturati in modo da non fornire al datore di lavoro alcun incentivo per la trasformazione di questi contratti in un  regolare lavoro full-time, anche i dipendenti non hanno alcun incentivo a lavorare di piu'. E' un 'dead-end-job'".

I minijob erano stati pensati come un trampolino per qualcosa di meglio, ma molti esperti sostengono che troppi lavoratori restano a lungo bloccati in impieghi marginali con il solo obiettivo di rimpiazzare posti di lavoro regolari e full-time. La retribuzione oraria dei minijob di solito è fra i 5 e i 10 € lordi. Circa due terzi dei minijobber non hanno nessun'altra forma di impiego.

Il numero dei minijob è cresciuto molto rapidamente durante lo scorso decennio, a seguito delle riforme varate per rendere la Germania piu' competitiva. Ma il trend sembra essersi stabilizzato. Anche altre forme di lavoro atipico nello stesso periodo hanno vissuto un boom, come gli interinali e i contratti part-time.

I minijob sono molto comuni nella ex Germania occidentale, dove erano stati pensati per dare ai genitori che stanno a casa - principalmente madri - un accesso al mondo del lavoro. Uno studio recente pubblicato dal Ministero per la Famiglia mostra come in particolare siano le donne a rischiare di restare intrappolate nei minijob. Il documento definisce il minijob come "un programma per la creazione di marginalità e permanente dipendenza economica delle donne".

A Brema, nel nord-ovest della Germania,  Angela Chevrollier, intorno ai 50, lavora part-time  in una clinica per pazienti in coma. Ci dice che il lavoro non le garantisce abbastanza denaro per far quadrare il bilancio, visto che deve sostenere due figli all'università. Cosi' lavora con un mini-job, per tre notti al mese, in un centro psichiatrico. La sig.ra Chevrollier ha chiesto al suo datore di lavoro principale di passare dalle 30 ore settimanali ad un impiego full-time, ma le è stato negato: "C'è qualcosa di profondamente sbagliato in Germania, se non esiste la possibilità di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro". Il suo minijob tuttavia le piace, sebbene lo faccia essenzialmente per ragioni finanziarie.

L'agenzia di lavoro che la impiega con un minijob, MED KONTOR Personalservice GmbH, sostiene di pagare i minijobber, in base alle loro qualificazioni, quanto tutti gli altri lavoratori. Il vantaggio dei minijobber starebbe nella flessibilità, non nei risparmi dovuti ad una paga piu' bassa.

Vicino Brema, nella piccola e sbiadita città industriale di Delmenhorst, dove il centro città è pieno di negozi ormai vuoti, circa il 35% degli impieghi sono minijob. E' la percentuale piu' alta di tutta la Germania, secondo i dati compilati nel 2011 dalla  Hans Böckler Stiftung.

Qui, Kemalettin Tunç, un immigrato turco di 40 anni, ci dice che ha recentemente perso il suo lavoro nella fabbrica Mercedes di Brema. Per il momento ha trovato un minijob come conducente di taxi, con una paga di 5 € l'ora. Ma è fiducioso che la sua esperienza lavorativa gli permetterà  di trovare rapidamente un altro lavoro. "Il mercato del lavoro è kaputt" dice, perché "si guadagna troppo poco".

La vita in Germania era decisamente piu' prospera due decenni fa, aggiunge. Quando è arrivato, un lavoratore come lui poteva guadagnare abbastanza da comprarsi una bella macchina, una Mercedes o una BMW. "Ora non è piu' cosi'".




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