Visualizzazione dei post in ordine di data per la query Hartz IV. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di data per la query Hartz IV. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post

mercoledì 19 ottobre 2022

Situazione difficile per le Tafel tedesche a causa dei troppi utenti

A causa dell'inflazione e dell'economia di guerra un numero sempre piu' elevato di persone bisognose si rivolga alle Tafel tedesche (banchi alimentari): ormai si parla di oltre 2 milioni di utenti, non ci sono solo profughi ed emarginati ma anche molte persone con un lavoro. Ne scrive Die Welt


Secondo una recende indagine, in Germania più di un milione di persone è costretta a rifornirsi di generi alimentari presso le Tafel. L'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) nei giorni scorsi ha indicato un numero di utenti pari a circa 1,1 milioni, facendo però riferimento a un'indagine del 2020.

I banchi alimentari stessi, tuttavia, ipotizzano numeri significativamente più alti. "La situazione è estremamente tesa in tutte le Tafel", ha dichiarato una portavoce dell'organizzazione nazionale Tafel Deutschland. L'organizzazione infatti ritiene di avere ormai ben più di due milioni di utenti, un numero mai visto prima. Sullo sfondo ci sono la guerra in Ucraina e l'aumento dei prezzi. "Arrivano anche molte persone con un lavoro".

I circa 960 banchi alimentari presenti sul territorio nazionale distribuiscono ai bisognosi alimenti che non possono più essere messi in commercio. Le associazioni locali hanno ripetutamente lanciato l'allarme: i rifornimenti stanno diventando difficili perché i negozi di alimentari sprecano meno cibo che altrimenti sarebbe andato alle Tafel. Ne sono un esempio le offerte di "cibo in scadenza" sugli scaffali dei negozi. Di recente si è discusso anche di acquisti provenienti da donazioni per sostenere i piu' bisognosi.

Il DIW ha chiesto ai partecipanti alla serie di indagini del Socio-Economic Panel 2020 se qualcuno della loro famiglia nell'anno precedente si fosse rivolto a un banco alimentare. Sono arrivati cosi' a stimare poco meno di 1,1 milioni di persone che hanno usufruito dei servizi.

"Naturalmente, l'attuale situazione di alta inflazione sta avendo un impatto anche sugli utenti dei banchi alimentari", ha spiegato Markus Grabka, ricercatore del DIW, a proposito della situazione attuale. I costi elevati per l'energia portano anche persone con un reddito non proprio basso ad accedere alle strutture. Ci sono inoltre molti rifugiati arrivati dall'Ucraina.



Il mito del disoccupato pigro

Secondo le Tafel dall'inizio dell'anno a livello nazionale il numero di visitatori è aumentato di circa la metà. A Berlino, dove sono arrivati molti rifugiati ucraini, il numero è ancora più alto. All'inizio dell'anno, circa 40.000 persone al mese si rivolgeva ad uno dei 47 banchi alimentari di Berlino, mentre ora sono ben più di 70.000, come ha dichiarato la direttrice Antje Trölsch. Molti di questi sono fuggiti dalla guerra in Ucraina. Ci sono poi molti tedeschi che non riescono più a far fronte al forte aumento dei prezzi. "Anche le persone che in qualche modo prima ce la facevano, ora vengono da noi".

Tre quarti delle persone che hanno utilizzato le Tafel nel 2019 vivevano con un'assistenza sociale di base (Hartz IV), ha rilevato il DIW. Molti erano a rischio povertà e avevano problemi di salute. Anche i genitori single e le coppie con figli ricorrono sempre piu' spesso alle Tafel. Un quarto delle persone che beneficiano dei banchi alimentari sono bambini.

"Ogni settimana dobbiamo mandare a casa delle persone"

Secondo il DIW, gli utenti dei banchi alimentari spendono circa 210 euro al mese pro capite per l'alimentazione - 30 euro in meno rispetto a chi non ne usufruisce. In termini di reddito netto, invece, è  quasi il doppio. I ricercatori concludono che i banchi alimentari vengono utilizzati principalmente per compensare un reddito insufficiente.

La sofferenza invisibile dei pensionati vicini alla soglia di povertà

A causa dell'aumento dei prezzi, per un numero sempre maggiore di persone il reddito disponibile è diventato insufficiente, dicono dalle Tafel. "Mandiamo a casa persone ogni settimana", ha riferito recentemente la struttura di Potsdam, considerando l'aumento delle richieste. Secondo l'organizzazione nazionale, infatti, in Germania un banco alimentare su tre entro la fine dell'estate ha smesso di accogliere persone nuove per mancanza di cibo o di personale.

Finora Berlino è riuscita a impedire il blocco delle Tafel. Sono stati aperti invece nuovi punti di distribuzione dove i bisognosi possono ritirare i sacchetti del cibo.

Servono tuttavia dei volontari. "Siamo sempre alla ricerca di persone che ci supportino: che guidino per fare le consegne, che preparino le borse e che le distribuiscano", ha detto Trölsch.

Secondo il ricercatore del DIW Jürgen Schupp, i banchi alimentari non possono sostituire la lotta dello Stato contro la povertà. "Il fatto che le famiglie in particolare debbano ricorrere ai banchi alimentari non mette in buona luce le condizioni di sicurezza sociale per i bambini", ha detto Schupp. "La Ampel Koalition dovrà far decollare in maniera rapida lo schema di base degli assegni familiari".



mercoledì 8 dicembre 2021

Da Hartz IV verso un nuovo reddito di cittadinanza: con la Ampelkoalition arriva il Buergergeld

Nelle città tedesche l'inflazione viaggia al 6% mentre i sussidi per i disoccupati di lungo periodo (ALG II) a partire da gennaio aumenteranno di appena 3 euro. Per questo i percettori di un sussidio Hartz sperano nella Ampelkoaltion e nella promessa fatta dai socialdemocratici in campagna elettorale di introdurre un Buergergeld, vale a dire un nuovo redditto di cittadinanza privo di sanzioni e con meno obblighi e meno burocrazia. Ne scrive T-Online


Un nuovo "Buergergeld" in futuro dovrà sostituire Hartz IV. T-online chiarisce che cosa nel dettaglio dovrà cambiare secondo il piano della Ampelkoalition e quali sono le principali differenze con il sistema attuale.

Nemmeno una parola, e questo la dice lunga. I leader della SPD, dei Verdi e della FDP mercoledì scorso alla presentazione dell'accordo di coalizione hanno parlato per circa 40 minuti - e non hanno nemmeno menzionato un argomento che invece non sarebbe mai potuto mancare in nessun dibattito da campagna elettorale: il cosiddetto reddito di cittadinanza o Buergergeld, il candidato alla successione dell'attuale Hartz IV.

Cosa era successo?

Prima delle elezioni, infatti, era stata soprattutto la SPD a preparare il terreno per superare Hartz IV. Per anni, infatti, il partito aveva lottato con se stesso. Durante la campagna elettorale, la leader della SPD Saskia Esken aveva annunciato in un'intervista alla "Taz" che il nuovo "Buergergeld" doveva essere "adeguato" e ricalcolato. I Verdi avevano anche fatto intendere di volere un aumento del sussidio previsto dall'Arbeitslosengeld II - e durante la campagna elettorale avevano anche indicato una cifra concreta: 50 euro in più.

Dopo le elezioni, tuttavia, sembrava ovvio che un aumento del sussidio per i disoccupati di lungo periodo sarebbe stato imminente. La domanda era piuttosto un'altra: a partire da quale importo le parti potranno rivendere un aumento come un successo?

Ma ora che l'accordo di coalizione è pronto, nessuno sembra esserne piu' cosi' convinto, come ad esempio sostiene Holger Schäfer, economista presso lo Institut der Deutschen Wirtschaft (IW), vicino ai datori di lavoro: "Prima di tutto, Burgergeld è solo il nuovo nome dato ad Hartz IV", ha dichiarato a t-online.

Wohlfartsverband sulle tariffe standard: "Eccezionalmente deluso".

Se date un'occhiata all'accordo di coalizione fra i tre partiti, noterete ciò che non viene affatto menzionato - vale a dire un aumento delle tariffe standard.

Anche Ulrich Schneider lo ha notato immediatamente. In un'intervista a t-online, l'amministratore delegato della Paritätischer Wohlfahrtverband ha detto: "Il Buergergeld non è ancora la soluzione promessa per il superamento di Hartz IV. La sua associazione, infatti, riunisce organizzazioni come il Kinderhilfswerk, il Sozialverband o le Tafeln locali, tra le altre. "Siamo estremamente delusi dal fatto che non ci sia stato alcun movimento verso l'alto delle tariffe standard", ha continuato Schneider.


Ma non è solo questo. In considerazione delle promesse fatte in campagna elettorale, molti disoccupati di lunga durata si auguravano un aumento dei sussidi. E le critiche, sempre piu' forti, ora arrivano anche dal mondo accademico. Martin Seeleib-Kaiser, professore di politica sociale all'Università di Tubinga, ad esempio, ha detto a t-online: "Il fatto che le tariffe standard non vengano aumentate dalla Ampelkoalition è alquanto deludente, perché a quanto pare non sarà possibile superare la soglia di povertà generalmente considerata - i beneficiari resteranno così in una situazione di povertà". E questa situazione sembrerebbe essere fatale alla luce del tasso di inflazione attuale, che si riflette anche sui prodotti alimentari di base, "e che quindi va a colpire in maniera massiccia proprio questi gruppi".

Attualmente i singoli beneficiari del sussidio sociale ricevono 446 euro al mese, nel gennaio 2022 l'importo sarà aumentato di tre euro secondo quanto previsto dalle tariffe. Il presidente dell'associazione delle Wohlfahrtsverband, Ulrich Schneider, chiede un "adeguamento delle tariffe standard, secondo le necessità, ad almeno 600 euro".

La SPD ha cercato di prendere le distanze dalle riforme Hartz

Tutte queste dichiarazioni probabilmente nei prossimi giorni faranno sentire la loro eco tra i partner della Ampelkoalition, soprattutto tra i socialdemocratici. Erano stati proprio loro, infatti, sotto l'allora cancelliere Gerhard Schröder, a introdurre le riforme Hartz.

Da allora Hartz IV è sempre stato collegato alla freddezza sociale e alla paura del declino sociale. Anche se i Verdi all'epoca erano al governo - e anche se la CDU/CSU ha sostenuto queste riforme - esse generalmente vengono attribuite solo alla SPD. E i risultati deludenti dei socialdemocratici ottenuti nel corso degli anni vengono spesso spiegati da questa politica. Ecco perché al partito sembrava così importante segnalare una vera e propria rottura con Hartz IV.

La riforma che ora viene presa in considerazione dalla SPD, dai Verdi e dalla FDP, tuttavia, sembra più che altro essere una ridenominazione - che, tuttavia, trova anche qualche approvazione. L'economista dello IW Holger Schäfer, ad esempio, trova la parola "Buergergeld", sulla quale i partner della coalizione si sono accordati sin dall'inizio, molto meglio del termine "Hartz IV", ormai carico di connotazioni negative.




Le opportunità per guadagnare un reddito aggiuntivo dovranno essere migliorate

Ci sono tuttavia dei cambiamenti positivi su piccola scala, come ci spiega lo scienziato sociale Seeleib-Kaiser. La Ampelkoalition ad esempio promette di migliorare le opportunità di reddito aggiuntive, anche se non è ancora chiaro in che modo ciò sarà possibile.

Anche il fatto che nei primi due anni la dimensione degli appartamenti dei destinatari di un sussidio non venga presa in esame (come era già avvenuto durante la pandemia) è positivo: "A seconda del Jobcenter, infatti, sembra che in passato ci sia stata una gestione molto rigida di questo aspetto - con conseguenze fatali per le persone colpite", dice Seeleib-Kaiser. Ad esempio, c'è stato chi dopo essere diventato disoccupato ha dovuto abbandonare il proprio appartamento perché misurava qualche metro quadrato in più del consentito.

Anche l'economista dello IW Schäfer elogia alcuni dei cambiamenti. Con le maggiori opportunità di poter guadagnare un reddito aggiuntivo e un miglioramento del sostegno, le richieste centrali della comunità imprenditoriale sembrano essere state soddisfatte. Considera anche ragionevole, inoltre, l'annunciata riduzione della burocrazia attraverso l'erogazione di prestazioni forfettarie - cioè il pagamento di somme forfettarie invece dei calcoli sui casi individuali.

Al contrario l'economista resta critico nei confronti di altri cambiamenti, come ad esempio l'abolizione della priorità nel collocamento. L'obiettivo primario deve rimanere quello di reintegrare le persone nel mercato del lavoro, ha detto Schäfer. Considera quindi opportuno mantenere l'obbligo di cooperare.

Se la logica del nuovo Buergerld sarà effettivamente diversa dal precedente Hartz IV resta tutto da vedere, dice Seeleib-Kaiser, professore di politica sociale. Questo perché si tratta di una riforma che dovrà coordinare le varie prestazioni sociali - compreso il Buergergeld - e deve essere ancora elaborata da una commissione. "Questo significa che ancora non sappiamo esattamente come sarà il nuovo Buergergeld", dice Seeleib-Kaiser.

Moratoria sulle sanzioni: "Un passo nella giusta direzione".

E questo sembra essere particolarmente vero per quanto riguarda le sanzioni: più volte, infatti, è stato criticato il fatto che le prestazioni, in determinate circostanze, possono essere ridotte. Dopo tutto, il sostegno al reddito di base è già per definizione il minimo sociale, quindi pagare ancora di meno non sembra appropriato. Anche la Corte costituzionale federale la vede allo stesso modo e ha stabilito che questa pratica sanzionatoria in parte è incostituzionale.

Questo è probabilmente uno dei motivi per cui la Ampelkoalition intende sospendere le sanzioni almeno per un anno. "La moratoria sulle sanzioni è un passo nella giusta direzione", dice Schneider. Dopo di che, ci sarà il cosiddetto obbligo di cooperazione.

Ci sono già oggi molti obblighi per i beneficiari di Hartz IV: devono essere disponibili per il centro per l'impiego, devono presenziare agli appuntamenti, devono rivelare la loro situazione finanziaria. L'accordo di coalizione non chiarisce esattamente cosa dovrebbe accadere se questi "doveri di cooperazione" non venissero rispettati. Alla fine forse saranno solo delle sanzioni con un nuovo nome.

A questo punto, però, è probabile che anche le associazioni giovanili della SPD e dei Verdi facciano pressione: la riforma del sistema Hartz IV era una tema molto importante per entrambi i gruppi, anche prima delle elezioni. Per la portavoce della Gioventù Verde, Sarah-Lee Heinrich, "Hartz IV resta un sistema disumano".

"Fino a quando le tariffe standard non saranno aumentate, una vita da Hartz IV resta una vita al di sotto del livello di sussistenza minimo e quindi non vi sarà nessuna sicurezza sociale", ha detto a t-online. Chi veramente intende contrastare la "crisi sociale" deve fare in modo che lo stato sociale riesca veramente ad aiutare le persone - e non è questo il caso. Si sta solo risparmiando deliberatamente "sui più poveri della società", dice Heinrich, lei stessa cresciuta in Hartz IV.




venerdì 19 marzo 2021

Voci dalla Germania in 50 post!



Se vuoi approfondire il dibattito tedesco sull'eurocrisi,

Se vuoi conoscere le nuove ambizioni geopolitiche di Berlino,

Se vuoi andare oltre i soliti stereotipi e le solite banalità sulla Germania ricca ed efficiente rilanciate a reti unificate dai nostri media mainstream,



è di nuovo disponibile una raccolta di 50 imperdibili post direttamente dal blog che dal 2012 racconta in italiano il dibattito tedesco sull'eurocrisi e approfondisce alcuni aspetti poco conosciuti del grande miracolo economico tedesco...





I 50 Post pubblicati dal 2012 sul blog Voci dalla Germania sono raggruppati in 6 sezioni tematiche:

1) Ricchezza e povertà in Germania

2) La profonda insostenibilità politica dell'unione di trasferimento

3) Hartz IV: inferno o paradiso?

4) E' l'inizio della fine dell'euro?

5) Moderazione salariale in Germania

6) 2018-19 - I mesi dello scontro con l'UE e la Germania




Tutte le traduzioni sono state rilette e controllate, presentano un commento di introduzione oltre ad un link all'articolo originale.


Chi fosse interessato al testo può trovarlo a questo link


Ringraziamo in anticipo chi vorrà contribuire al progetto Voci dalla Germania!

mercoledì 3 marzo 2021

Perché l'esportismo tedesco resta un pericolo per la democrazia

Il giornalista e scrittore tedesco Herbert Storn ci spiega i pericoli di un modello di crescita tutto basato sull'export e sull'avanzo commerciale con l'estero, come quello tedesco.  Una riflessione molto interessante sugli effetti della politica del "Germany First" di Herbert Storn, da Makroskop.de



È indiscutibile che il modello fondato sul surplus commerciale con l'estero si basi sull'idea della concorrenza - qualcuno vince a spese di qualcun'altro (beggar-my-neighbour). E qui non sono di nessun aiuto le argomentazioni di teoria economica sul libero scambio come elemento di sviluppo per tutti i "partner" coinvolti e non serve a nulla ripetere a mo' di preghiera la possibilità di un "win-win" reciproco.

Alla base dei valori della democrazia, tuttavia, ci sono la cooperazione, il consenso e la protezione delle minoranze. Il solo esercizio verbale di questi concetti  purtroppo non è sufficiente!

Questa contraddizione fondamentale è aggravata dall'aggressività che accompagna la concorrenza di tipo capitalista con la tipica lotta sui prezzi, il dumping salariale, le acquisizioni, l'outsourcing, i licenziamenti dei dipendenti e la formazione dei monopoli.

Anche il MEMORANDUM ha ripetutamente criticato l'aggressiva politica commerciale portata avanti per molti anni dalla Germania, considerandola responsabile del rafforzamento delle forze e dei partiti antidemocratici in Europa, e in Germania di AfD (Memo 2018): se l'economia interna continua a trasferire reddito dal lavoro al capitale e lo Stato è incatenato da una controproducente politica di freno all'indebitamento, questa situazione contribuirà ad una ulteriore divisione economica e politica.

Queste fondamentali contraddizioni del modello basato sul surplus commerciale mettono continuamente in discussione l'approvazione della popolazione nei confronti di questo tipo di politica. Le contraddizioni devono quindi essere nascoste oppure essere negate attraverso la tipica ideologia di "autodifesa" come ad esempio:

- Il nostro modello di crescita e stile di vita sarà sostenibile solo se restiamo i migliori!

- Se vogliamo mantenere il nostro modello di stato sociale, a livello internazionale dobbiamo essere davanti a tutti!" 

In questo modo non è possibile sviluppare e comunicare alcuna strategia. Le alternative basate sulla solidarietà hanno poche possibilità, a dominare sono la concorrenza e l'ipocrisia. Nel frattempo, però, i lavoratori di interi settori vivono e guadagnano al di sotto del livello che sarebbe loro possibile se solo il modello fondato sul surplus delle esportazioni venisse messo in discussione e sostituito da una strategia equilibrata maggiormente orientata alla domanda interna, in linea con la legge della stabilità.

Ma se la competitività aziendale diventa la misura principale dell'efficacia politica, allora diventa anche chiaro quali dovrebbero essere le priorità dei governi federali e statali. Ed è qui che bisognerebbe utilizzare il ritorno sul capitale come metrica. Il rendimento medio sul patrimonio netto delle aziende tedesche nel periodo dal 2005 al 2016, infatti, è stato del 23,2% prima delle tasse, e del 18,2% dopo le tasse.

In un tale quadro, i rendimenti del 25 % richiesti in maniera magniloquente nel 2009 dall'allora capo della Deutsche Bank, Josef Ackermann, potevano essere addirittura comprensibili. Ma tali rendimenti possono essere raggiunti solo con una politica aziendale corrispondentemente aggressiva a spese della collettività, il che in democrazia può portare rapidamente a dei disordini.

Il danno collaterale di una cosiddetta politica di Germany First è che per essere attuata richiede somme di denaro sostanziali che mancheranno altrove. Tutto ciò si riflette in infrastrutture trascurate, in tagli massicci fra i dipendenti dello stato fino alle sue istituzioni di controllo, in un sistema scolastico trascurato (evidente nella crisi causata dal Coronavirus, non ultimo nelle attrezzature informatiche), in ospedali dove mancano 100.000 infermieri e in una politica fiscale e sociale che coccola le aziende e discrimina i beneficiari di Hartz IV, solo per evidenziare alcuni punti salienti.

In Germania, l'antica fissazione sugli avanzi commerciali è aggravata da una seconda fissazione ideologica, vale a dire l'opinione che il settore privato possa "fare" meglio dello stato, spingendo il governo addirittura a sostenere la massima "il privato prima dello stato". (...)

Nel 2011 nella Costituzione dell'Assia è stato addirittura aggiunto un ulteriore "divieto di indebitamento", vale a dire una ulteriore leva per lo snellimento automatico dello Stato tramite lo strangolamento dei margini di bilancio. E' del fondatore della Fondazione Bertelsmann, Reinhard Mohn, la famosa frase secondo cui sarebbe una benedizione se lo stato finisse i soldi. Cosi', Arvato, la controllata di Bertelsmann potrà prendere il suo posto e persino arrivare a guadagnare dei soldi esercitando alcune funzioni dello stato.

Ma quanto piu' si privatizza, tanto meno saranno gli argomenti su cui è possibile decidere democraticamente!

I principali sostenitori di questa strategia sono la CDU e la FDP. Ma anche i Verdi, sin dalla loro fondazione nel 1980 hanno sempre di più abbandonato le loro rivendicazioni sociali - uno dei loro quattro obiettivi originali (ecologia, sociale, democrazia di base e non violenza) - in favore di uno scetticismo di fondo nei confronti dello stato. Non è una coincidenza che la CDU e i Verdi nel Baden-Württemberg e nell'Assia stiano così bene insieme. Con la SPD, lo stato avrebbe avuto un maggiore peso programmatico, ma questo peso viene impiegato per rafforzare l'economia tedesca.

La Germania in questo modo ha un consenso quadripartititico che individua la sua missione nel rafforzamento della competitività delle imprese tedesche sui mercati mondiali. Gli elettori possono solo scegliere fra accettare questo modello oppure essere ignorati. A fare in modo che ciò accada, ci penseranno i media.


Ma a rendere difficile l'influenza dell'elettorato sulla politica c'è anche qualcos'altro.

Se lo Stato e le grandi aziende sono unite dall'obiettivo condiviso della competitività globale, allora non ci sarà davvero bisogno del classico lobbismo. In questo caso, infatti, l'incastro fra il personale è appropriato e utile. Il veicolo comune per tutto ciò è noto come effetto delle porte girevoli, vale a dire il passaggio di personale da funzioni statali di primo piano al (lobbismo) per le aziende e viceversa. Gli esempi sono leggendari; il più recente e prominente può essere quello di Mario Draghi, passato dalla Banca Mondiale al Ministero delle Finanze italiano, poi a Goldmann Sachs, poi alla Banca Centrale Italiana, alla BCE, e ora alla carica di primo ministro italiano.

Poiché l'effetto delle porte girevoli non è sufficiente per servire nel dettaglio i multiformi interessi delle aziende, i politici eletti hanno bisogno anche di consiglieri. Ma coloro che potrebbero fornire una visione controversa e scelte alternative per il bene comune, si trovano invece di fronte ad un esercito di generalisti e specialisti molto preparati.

Per il ruolo di "consulenti" la maggior parte delle persone tende a immaginarsi degli individui o dei piccoli uffici. In realtà si tratta di grandi multinazionali che massimizzano il profitto e sono anche specializzate in vari campi di attività: le agenzie di rating, gli studi di contabilità, gli studi legali e i consulenti di gestione.

Nel complesso, il loro numero di dipendenti raggiunge probabilmente i due milioni. Il nuovo segretario generale della CDU, Paul Ziemiak, in passato ha lavorato per la società di revisione Pricewaterhouse Coopers. Il senatore alle finanze di Berlino Matthias Kollatz, della SPD, in precedenza ne era stato un consulente senior. L'amministratore delegato Stefanie Frensch dell'azienda statale berlinese per la costruzione di alloggi Howoge è arrivata da Ernst & Young Real Estate GmbH per poi passare a una società immobiliare privata. Il suo successore Ulrich Schiller proviene dalla società di edilizia privata Vonovia, prima della quale era stato amministratore delegato per il predecessore di Vonovia, Deutsche Annington.

Questi sono solo alcuni degli esempi che dimostrano quanto sia naturale cambiare carriera passando da aziende orientate al profitto ad aziende pubbliche che invece dovrebbero esssere maggiormente impegnate nel perseguimento del bene comune, e viceversa. Werner Rügemer ha aggiornato un'altra volta il ruolo di cerniera tra le strategie aziendali e la politica nel suo libro "I capitalisti del XXI secolo". Egli definisce il coordinamento degli interessi dei capitalisti con quelli della politica "l'esercito privato del capitale transatlantico":

"Il loro staff è composto da professionisti laureati e ben retribuiti, provenienti dalle più prestigiose università private e pubbliche e dalle business school, addestrati ad avere un'immagine elitaria di sé. Sono gli attori di uno stato che nelle principali democrazie occidentali capitaliste è ormai ampiamente privatizzato ".

E anche la Corte dei conti federale afferma che il permanente ricorso da parte dello Stato a delle società di consulenza esterna aumenta il rischio legato al controllo delle attività e porta ad una perdita della capacità di controllare la società da parte della politica. Non è la politica a sostenere le aziende, ma sono le aziende stesse che fanno politica e spesso presentano ai politici il fatto compiuto.

Rudolf Hickel del gruppo di lavoro „Alternative Wirtschaftspolitik“ ha descritto i rappresentanti eletti dal popolo come dei "nani del sistema capitalista". Harald Schumann nel 2016 ha parlato di capitolazione della classe politica. Aveva capito che sono proprio i ricchi e i loro fiduciari alla guida delle grandi aziende che possono influenzare l'opinione pubblica in modo molto significativo. Perché non solo hanno gli investimenti, ma anche i mezzi per creare il giusto clima sociale.

Del resto la questione è stata sottolineata anche dal cabaret politico: "La democrazia arriva dal popolo. Ma per andare dove?".

lunedì 8 febbraio 2021

Nella trappola dei minijob

"Se mai fosse stata necessaria una prova ulteriore del fatto che i minijob sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita", scrive il sociologo tedesco Markus Kruesemman. Una riflessione molto interessante sulla trappola dei minijob ai tempi della pandemia, da Makroskop.de



Le misure prese nel corso del 2020 per combattere la pandemia da Coronavirus hanno lasciato il segno sul mercato del lavoro. Per la prima volta dopo anni di costante crescita, l'anno scorso il numero delle persone occupate è sceso. Contemporaneamente, il numero di disoccupati e inoccupati è aumentato. Il fatto che le cose fino ad ora non siano ancora peggiorate, probabilmente è dovuto al regime della cassa integrazione (Kurzarbeitergeld).

Se grazie a questa forma di proseguimento parziale del pagamento dei salari è stato steso un ombrello protettivo sui dipendenti soggetti ai contributi sociali, per molto tempo invece i lavoratori autonomi sono stati lasciati fuori e al freddo ad aspettare. Ma anche i cosiddetti impieghi marginali sono stati colpiti in maniera dura.



Basta un lockdown e i mini-job spariscono

"Gli occupati con un contratto di mini-job sono i veri perdenti della recessione indotta dal coronavirus", è questa la conclusione a cui giunge uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) del novembre 2020. Come mostrano i dati, infatti, nel giugno 2020 c'erano circa 850.000 minijob in meno, vale a dire il 12% in meno rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, l'occupazione soggetta a contributi sociali obbligatori si è ridotta però solo dello 0,2%. Le persone piu' colpite sono state proprio quelle che avevano un mini-job come lavoro principale. Il 45% degli occupati che nel 2019 aveva esclusivamente un minijob, nella primavera del 2020 non aveva più un lavoro. Per i mini-jobber che svolgevano il lavoro come impiego secondario, questa proporzione invece era "solo" del 18%.


E queste sono state le conseguenze solo del primo blocco di marzo/aprile 2020. Si sa ancora poco dell'impatto che avrà il blocco invernale. Ma probabilmente è corretto ipotizzare che la situazione dei mini-jobber, che si era un po' ripresa in autunno, tornerà a peggiorare. Gli ultimi dati estrapolati dall'Agenzia federale del lavoro mostrano già una tendenza negativa in corso nel novembre 2020.

In questo contesto, le dichiarazioni ottimiste su di un mercato del lavoro che in questa fase di crisi sarebbe robusto, e che avrebbe dimostrato di essere a prova di crisi, sembrano alquanto fuori luogo. Mostrano solo che i minijobber non contano. Non vengono nemmeno presi in considerazione dalle statistiche sulla disoccupazione, e si ha l'impressione che vengano ignorati o semplicemente dimenticati anche ora che siamo in crisi.

Male e peggio

Nessun dubbio sul fatto che anche per i lavoratori dipendenti che hanno un lavoro soggetto a contributi sociali, i tagli subiti in molti casi sono stati massicci. Grazie allo schema del Kurzarbeit, tuttavia, in molti almeno sono stati protetti dalla disoccupazione, anche se la riduzione dello stipendio per tanti lavoratori a basso reddito significa dover affrontare gravi problemi finanziari. E quelli che sono diventati disoccupati, nella maggior parte dei casi, almeno hanno diritto al sussidio di disoccupazione (ALG 1), in modo da potersi risparmiare l'umiliante viaggio al centro per l'impiego, sempre che il loro salario sia abbastanza alto da ricevere un sussidio di disoccupazione sopra il livello Hartz IV.

In confronto, i minijob sono "un sottomondo". Indennità di cassa integrazione? Niente del genere. Sussidio di disoccupazione? Neanche per sogno. È proprio qui che l'esenzione dalle assicurazioni sociali obbligatorie si fa sentire. L'equazione apparentemente attraente secondo la quale "il guadagno lordo corrisponde al salario netto", con la quale i datori di lavoro amano pubblicizzare i minijob, in tempi di crisi non funziona più. Chi viene mandato a casa e improvvisamente riceve solo uno zero lordo, non avrà niente di netto in tasca.

E solo come un inciso, per coloro che sono stati in grado di mantenere il loro minijob, ma ora hanno bambini in età scolare seduti a casa: poiché un'occupazione marginale non garantisce la copertura assicurativa sanitaria, i minijobber non hanno diritto all'indennità di malattia per i bambini, che recentemente è stata aumentata a un massimo di 20 giorni per bambino.

Un altro fattore che contribuisce alla crisi dei minijobs, naturalmente, è il fatto che il lavoro svolto dai minijobber non è generalmente adatto ad essere svolto in home-office. Ancora più grave, però, è il fatto che i minijobs si concentrano in quei settori che sono stati particolarmente colpiti dalle misure di lockdown.

I minijob sono una trappola occupazionale

Il ricorso allo strumento della flessibilizzazione del lavoro e dei minijob come strumento per il taglio dei salari nei settori particolarmente colpiti dal Coronavirus è un aspetto che da solo non può spiegare la crisi dei minijob. In realtà, non fa altro che esacerbare un problema fondamentale, la cui causa è strutturale: i minijob sono una forma di occupazione precaria e soggetta alle crisi. Una occupazione marginale non è adatta a garantire il sostentamento, per non parlare di una pensione in vecchiaia, e non è nemmeno un ponte verso un'occupazione regolare. Invece di affrontare la tanto attesa ri-regolamentazione della politica del mercato del lavoro, la coalizione di governo preferisce discutere sull'aumento da 450 a 600 euro della soglia massima di guadagno.

Se mai fosse stata necessaria un'ulteriore giustificazione in merito al fatto che i mini-job sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita.






domenica 31 gennaio 2021

I minijobber come d'autunno sugli alberi le foglie

I minijobber nel settore della gastronomia e dell'ospitalità sono stati fra i primi a perdere il lavoro e soprattutto non hanno diritto né alla cassa integrazione né alla disoccuppazione, in pratica lavoro nero legalizzato, e per questo rischiano di finire subito in Hartz IV. Un articolo della DGB (confederazione sindacale tedesca) ci spiega perchè i minijob non sono la soluzione, anzi sono parte del problema.

La pandemia da Coronavirus è iniziata circa un anno fa. Fino alla sua esplosione la Bassa Sassonia per oltre un decennio aveva assistito ad una forte crescita dell'occupazione. Con il virus e con la conseguente recessione, questa fase, almeno per il momento, è terminata. Rispetto all'anno precedente, infatti, c'è stato un aumento significativo della disoccupazione. Persistono grandi incertezze.

La cassa integrazione ha salvato molti posti di lavoro

In considerazione di questa eccezionale situazione economica, tuttavia, la perdita in termini di posti di lavoro fino ad oggi è stata tutto sommato moderata. La cassa integrazione (Kurzarbeitesgeldes) ha alleggerito il peso che grava sulle aziende e ha salvato molti posti di lavoro.

I minijobber sono stati i veri perdenti sul mercato del lavoro

L'impatto del Coronavirus tuttavia varia molto a seconda della forma di occupazione. Il numero dei dipendenti soggetti ai contributi sociali nel periodo in questione è perfino aumentato, anche se in misura minima. Fra i mini-jobber invece c'è stata una riduzione molto forte. Il loro numero è diminuito di oltre il 7%. In totale, in Bassa Sassonia sono andati perduti più di 55.000 posti di lavoro. La maggior parte di questi posti di lavoro sono stati persi da dipendenti occupati esclusivamente con un contratto di mini-job. I minijobber sono stati quindi i grandi perdenti sul mercato del lavoro!

Questo risultato non è affatto sorprendente. Un promemoria: i mini-jobs, altrimenti detti impieghi marginali, con un limite di guadagno di 450 euro al mese - sono dei lavori precari. Spesso non sono neanche previsti dei contratti di lavoro, oppure sono solo temporanei. Inoltre, dato che per i mini-jobs non vengono versati i contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione, i dipendenti con un mini-job non hanno diritto alla cassa integrazione. E a causa di questi fattori, in una tale situazione di crisi i mini-jobbers possono essere facilmente messi alla porta. E per questa stessa ragione, anche quando si tratta dell'indennità di disoccupazione, restano a mani vuote. Anche questo, infatti, è un beneficio erogato dalla Bundesagentur für Arbeit il cui accesso è precluso ai minijobber.



Ad essere colpite sono soprattutto le donne

C'è un numero particolarmente alto di persone con un'occupazione marginale nei settori attualmente ridimensionati dalla crisi del commercio al dettaglio, della ristorazione e degli eventi. In quei settori, in considerazione dell'ulteriore prolungamento delle chiusure, infatti, c'è il pericolo che la perdita dei mini-jobs continui. E questo potrebbe diventare un problema crescente soprattutto per le donne. Per loro, infatti, i mini-jobs molto spesso sono l'unica fonte di reddito. Molte di loro, infatti, rischiano di finire nella sicurezza sociale di base (Hartz IV).

L'assicurazione sociale obbligatoria deve essere applicata dal primo euro

Ecco perché questo è il momento per impare la giusta lezione. I mini-job hanno bisogno di essere riformati. Chi ha un'occupazione marginale (mini-job) non ha alcuna protezione e finisce senza alcun paracadute direttamente ai margini della società. Per essere garantiti i mini-job dovrebbero essere soggetti ai contributi sociali fin dal primo euro di retribuzione, senza eccezioni. In modo che questo rapporto di lavoro di seconda classe diventi finalmente un ricordo del passato!


giovedì 16 luglio 2020

Ricordi da un'altra unione monetaria

Trenta anni fa, nel luglio del 1990, nella DDR veniva introdotto il D-Mark, una scelta precipitosa che distrusse l'industria della Germania orientale e stravolse la vita di milioni di tedeschi dell'est. Nei decenni successivi lo stesso copione si sarebbe ripetuto nell'Europa del sud, questa volta però con l'euro. Ne scrive Daniela Dahn sulla Berliner Zeitung


Le riflessioni condotte sulla riunificazione tedesca, sempre più di spesso ammettono che lungo il cammino sono stati commessi degli errori, a volte anche gravi. Ma questa ammissione di solito viene relativizzata dalla seguente affermazione: in considerazione della caduta del Muro, dell'emigrazione di massa, del declino economico e del desiderio generale di avere il D-Mark in tasca, non c'erano alternative. E' necessario opporsi a questa narrazione: chi non ha mai sperimentato alternative, difficilmente può risultare credibile quando afferma che  all'epoca non ce ne fossero.

Ciò vale in particolare anche per l'introduzione del D-Mark come mezzo di pagamento nella DDR. Ma cosa successe esattamente in quei giorni?

Dopo l'incontro del 6 febbraio 1990 con il presidente della Banca centrale della DDR, Horst Kaminsky, e il suo ministro dell'economia, Christa Luft, il presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl aveva rilasciato un comunicato stampa nel quale ribadiva che i piani per un'unione monetaria dovevano essere considerati prematuri. Il ministro federale dell'economia Helmut Haussmann aveva aggiunto che la DDR avrebbe gradualmente reso convertibile la sua moneta con un forte sostegno da parte dell'ovest. Anche un'analisi del Consiglio dei saggi economici confermava questo approccio.

Ma solo un giorno dopo, il cancelliere Kohl, dopo aver consultato a quattr'occhi il suo ministro delle Finanze Theo Waigel, senza averci riflettuto piu' di tanto, decise di offrire pubblicamente l'unione monetaria ai tedeschi dell'est. La Bundesbank non era stata consultata, e Pöhl in piu' occasioni in seguito se ne è anche lamentato. Il D-Mark è stata la promessa elettorale più difficile da mantenere. I sondaggi della CDU orientale per le elezioni della Volkskammer del 18 marzo, infatti, erano stati spiacevoli quanto i sondaggi personali sulla popolarità del Cancelliere in Occidente. L'eccellente istinto politico di Kohl per il potere, tuttavia, era stato poi premiato da una vittoria schiacciante ottenuta con il 48% dei voti dall'Alleanza per la Germania da lui creata.



L'ormai imminente introduzione del Marco dell'ovest aveva suscitato da un lato una grande cupidigia, dall'altro un'incertezza di fondo sul ritmo al quale questa riforma monetaria avrebbe potuto essere realizzata con successo. La bozza del trattato era rimasta sotto chiave, ma a metà aprile erano trapelate alcune indiscrezioni. Finalmente era chiaro quale prezzo sarebbe stato richiesto per impedire che la moneta pregiata  fosse usata per scopi riprovevoli: la DDR doveva accettare una restrizione della propria sovranità. I principi costituzionali più importanti della DDR dovevano essere abrogati, in particolare veniva messo in discussione l'ordinamento giuridico socialista, in modo da poter garantire l'acquisizione della proprietà privata di terreni e mezzi di produzione. Per la prima volta veniva introdotto il diritto di licenziare senza preavviso. Chiunque rinunci alla propria sovranità monetaria, del resto, non viene più considerato un partner contrattuale degno di essere preso sul serio.


La gioia dell'attesa era mista alla disillusione e alla paura per la propria esistenza: nelle fabbriche c'erano stati scioperi di avvertimento. La PDS aveva affisso migliaia di manifesti: "se il D-Mark arriva troppo presto, la ragione arriva troppo tardi". Ma le telecamere avevano preferito soffermarsi solo sugli slogan di senso opposto. Le elezioni locali del 6 maggio nella DDR, appena sette settimane dopo le elezioni della Volkskammer, con oltre un milione di elettori che hanno cambiato partito, avevano mostrato una perdita di fiducia dell'elettorato. La CDU aveva perso 800.000 voti, i piccoli partiti come i Verdi, gli attivisti per i diritti civili e gli altri partiti che erano contro la grande Germania, diventata molto in fretta la nuova Patria, insieme erano passati dal 20 al 30 %. Ma questa tendenza era stata comprata con il D-Mark e fermata anche dalla legge sui Treuhand approvata nello stesso periodo, legge che liberava la proprietà pubblica e ne rendeva possibile la privatizzazione.  



L'atto più importante della prima e ultima Volkskammer liberamente eletta, corteggiata dai consiglieri occidentali, è stato proprio quello di espropriare il popolo dell'est. Il politico della SPD Rudolf Dreßler ne ha parlato descrivendola come una "terribile omissione": "perché dopo l'unità dello Stato, c'era stata una chiara e unica opportunità storica di trasformare la ricchezza nazionale in una forma di proprietà del capitale produttivo ampiamente diffusa, in modo da rendere i tedeschi dell'est comproprietari di aziende sane e riorganizzate". Volker Braun aveva riassunto questo "affare poco trasparente" in poche parole: il popolo ha rinunciato alle sue proprietà e si è fatto consegnare la libertà.

La mattina del 1° luglio i cittadini della DDR hanno scambiato le loro monetine di alluminio con il ben piu' resistente D-Mark, e nei loro grandi magazzini hanno poi trovato le merci occidentali in tutto il loro splendore. L'ho sperimentato personalmente nelle abitudini di consumo del nostro villaggio. Non è vero che i beni dell'est non venivano piu' comprati, semplicemente erano completamente scomparsi dai supermercati. Non c'era piu' il solito dentifricio, e niente più pomodori prodotti sul luogo, quelli nuovi erano un po' piu' pallidi, ma almeno  arrivavano dall'Olanda. Anche l'edicola non era riconoscibile - accanto alla Bild e a Die Welt c'erano i tascabili Welt Goldmann. E la prima concessionaria di auto in città! La promessa fatta ai consumatori era stata mantenuta, nell'entusiasmo generale. I punti più importanti del trattato, in realtà, non erano mai stati mantenuti.

"Dentro c'erano davvero tutte queste sciocchezze?" aveva chiesto Karl Otto Pöhl, il presidente della Bundesbank, la cui opinione sulla riforma monetaria non era stata nemmeno ascoltata, due anni dopo mentre gli leggevo alcuni passaggi del Trattato. "All'epoca non l'avevo nemmeno letto, ero così arrabbiato che sapevo già che mi sarei dimesso". E' stata una scelta politica che andava contro l'economia. Se nella Repubblica Federale fosse stato introdotto da un giorno all'altro il dollaro, molto più forte, mi aveva spiegato, anche l'economia tedesca ne sarebbe uscita fortemente danneggiata. L'editorialista economico del Guardian descrisse l'impatto dell'unione monetaria con l'est come quello di una "bomba atomica economica".

Quello che ne seguì invece furono dei paesaggi politici alquanto appassiti. Dopo che il 95 % della proprietà del popolo era passata in mani occidentali, iniziò un periodo di siccità durato 18 anni, dopo il quale si riuscì di nuovo a raggiungere la produzione economica della DDR. Secondo i sondaggi rappresentativi della sociologa Yana Milev, tra il 1990 e il 1994 tre milioni di persone hanno manifestato contro i licenziamenti e contro le disparità di trattamento - il doppio rispetto alla "rivoluzione pacifica" - ma sono state ignorate. Parallelamente alla deindustrializzazione, anche il tasso di natalità è sceso del 70%, un barometro alquanto affidabile sull'andamento dell'opinione pubblica.

Il numero di persone emigrate ad ovest ha continuato a crescere. Ad est, invece le persone venivano spesso inserite in inutili programmi per la creazione di posti di lavoro, e alla fine hanno dovuto fare richiesta di assistenza sociale. Il fatto che la rete di sicurezza sociale esista, bisogna ammetterlo, ha anche a che fare con la ripresa che la riunificazione ha causato in occidente. Il 1990 è stato il miglior anno finanziario nella storia  centenaria della Deutsche Bank. E non solo per questa banca. E' diventato conveniente degradare i tedeschi dell'est facendoli diventare percettori permanenti di elemosine. "Viziare" è un termine accettabile in una economia di mercato, senza nascondere il suo sottofondo umiliante.

L'isolamento economico post-coronavirus, in confronto, è un gioco da ragazzi. Ancora oggi, i nuovi Länder federali dell'est non sono più così lontani dal riuscire a produrre completamente da soli quanto consumano. Tuttavia sono stati riconciliati con il paese grazie all'introduzione del D-Mark e poi con l'euro. Secondo il rapporto annuale del governo federale del 2019, due terzi dei tedeschi dell'est hanno dichiarato che la loro situazione personale è migliorata notevolmente rispetto al 1990. Finalmente sono stati in grado di viaggiare dove volevano e di migliorare le loro condizioni di vita, di creare delle piccole imprese e di consumare quasi quanto i loro compatrioti, che una volta si chiamavano fratelli e sorelle.

Già nel 1994, l'allora ministro degli Affari sociali, Regine Hildebrandt, lamentava che l'est socialmente egualitario si era allineato alla società dei due terzi occidentale. Ed è lì che è rimasto.

Secondo i "Glückatlas", quasi la metà dei tedeschi dell'est è preoccupata per la coesione sociale. La ricca Germania di oggi è un paese che tollera la nuova povertà, che ha una sottoclasse sociale creata grazie ad Hartz IV, che emargina i gruppi sociali, che spende poco per i richiedenti asilo, dove la salute costa tanti soldi e le opportunità educative sono ereditarie. E questi sono anche gli effetti tardivi di questa folle unione monetaria, che alla fine ha portato il costo netto dell'unificazione tedesca ben oltre i due trilioni di euro. Soldi che non sono stati pagati usando gli spiccioli e le monetine, ma in gran parte sono stati finanziati da prestiti ancora oggi lungi dall'essere estinti. Secondo la Corte dei conti tedesca, il debito federale oggi è quattro volte superiore rispetto a quello di 30 anni fa. Questo fardello non solo sarà ereditato dalle prossime generazioni, ma per anni ha imposto, a est come a ovest, lo Schwarze Null, sotto il cui ombrello dimagrante le politiche pubbliche per il clima, la salute, l'istruzione, i trasporti o la digitalizzazione hanno perso spessore.

Dove l'ottimizzazione per il mercato isola le persone e ogni forma di solidarietà ha il suo prezzo, dove la demolizione degli spazi abitativi lascia i giovani emotivamente senza casa, fioriscono la violenza, la xenofobia e l'estremismo di destra. Tutto ciò era senza alternative?

Un'introduzione graduale del D-Mark, anche se non così esitante come era accaduto nella Saarland, davvero non sarebbe stata possibile? I tedeschi dell'ovest non furono  nemmeno interpellati, ma i loro esperti erano pienamente consapevoli degli effetti che la frettolosa introduzione del D-Mark avrebbe causato. Il consulente di direzione Roland Berger aveva preparato una perizia nella quale prevedeva quattro milioni di disoccupati e l'intero disastro qui descritto. Ma lo studio era finito in una cassetta di sicurezza.

Perché questo rapporto è stato tenuto segreto? L'unica spiegazione è che delle persone consapevoli dei rischi alla fine avrebbero deciso diversamente. Se fosse stato pubblicato in tempo, non è affatto certo che i partiti che avevano elogiato questo rullo distruttore come un'offerta allettante, e che lo avevano fatto solo per mantenere il loro potere, alla fine sarebbero stati davvero rieletti. Così, questo accordo, che nelle sue promesse economiche non è mai stato mantenuto, era la continuazione di quella "irresponsabilità organizzata" che Rudolf Bahro una volta attribuiva all'economia della DDR.


domenica 21 giugno 2020

Heiner Flassbeck - L'Europa non può permettersi un'altra stagione di moderazione salariale in Germania

"Se l'economia tedesca provasse un'altra volta a spiazzare i suoi partner commerciali europei con dei tagli salariali, questo tentativo si trasformerebbe in un suicidio. Non solo causerebbe un danno enorme alla domanda interna tedesca, ma soffocherebbe per sempre anche i partner europei, che invece stanno disperatamente lottando per la loro sopravvivenza economica", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Una riflessione molto interessante sulle grandi sfide che il governo tedesco dovrà affrontare nei prossimi mesi; la speranza è che a differenza del 2008 abbiano imparato la lezione e questa volta non operino esclusivamente nell'interesse tedesco. Un ottimo Heiner Flassbeck da Makroskop.de


Tutti vorrebbero tornare alla normalità - anche economica. La maggior parte delle persone tuttavia non vuole ancora ammetterlo: la normalità pre-crisi non tornerà più. L'economia del dopo-crisi non sarà più l'economia che conoscevamo prima. La situazione si è sviluppata in maniera molto diversa da come i politici e probabilmente anche i virologi e gli epidemiologi se l'erano immaginata. L'operazione "Grandi Feste", dopo la quale in tre o quattro mesi il mondo sarebbe semplicemente dovuto tornare alla vecchia vita, è fallita drammaticamente.

Non vogliamo parlare ancora una volta delle ragioni del fallimento. Ciò che conta ora è non commettere dei nuovi gravi errori che nei decenni a venire potrebbero danneggiare lo sviluppo economico, sia in Germania che in Europa .

Si profila già un modello che ci porta verso decisioni completamente sbagliate. Proprio come accadde dopo la crisi finanziaria del 2008/2009, i partner della coalizione a Berlino sono sopraffatti dal panico e dalla paura. Dopo che all'epoca grazie all'indebitamento pubblico erano riusciti a combattere con successo la crisi finanziaria, subito dopo scelsero invece di inserire a rotta di collo il pareggio di bilancio in Costituzione e cosi' per anni si è perseguito l'obiettivo dello Schwarze Null - a scapito non solo dell'economia tedesca, ma anche dei partner dell'unione monetaria.

Il meccanismo di rientro dal debito istituito all'epoca sta già gettando la sua ombra sull'attuale gestione della crisi. E anche la seconda grande questione, che sarà altrettanto decisiva nel determinare i danni economici di lungo termine che la crisi causata dal Coronavirus produrrà in Germania e in Europa - ovvero gli accordi salariali dei prossimi 12-24 mesi - sembra già muoversi in una direzione fatale.

Ripagare rapidamente il debito pubblico?

Dalla CDU, infatti, si stanno già alzando le prime voci che chiedono tempi stretti per il rientro del debito pubblico. Paul Ziemiak, segretario generale della CDU, parla già di massimo dieci anni in cui tutti i debiti pubblici, che nel frattempo si sono aggiunti, dovranno essere completamente rimborsati. Giustifica questa richiesta sostenendo che la politica dello Schwarze Null starebbe dando i suoi frutti durante la crisi attuale, visto che la Germania in questa fase si sarebbe "guadagnata" un margine di manovra "per il quale gli altri Stati oggi ci invidiano".

L'insensatezza macroeconomica che si evince da queste parole, senza dubbio si adatta perfettamente alle aspettative dei potenziali elettori della CDU, il che rende questa posizione comprensibile dal punto di vista politico e partitico. Purtroppo ciò non cambia affatto la totale mancanza di una logica macroeconomica. In tutta la coalizione di governo, infatti, si parla di ridurre il debito come se il riuscire o meno a farlo, fosse solo una questione di volontà politica.

Ma questo non è affatto il caso. È semplicemente impossibile che lo stato si possa aspettare un'economia in crescita, indispensabile per portare a zero il deficit di bilancio e rimborsare il debito pubblico, in una fase in cui il settore industriale è molto parsimonioso. E' ora di prendere atto della situazione: non c'è più un settore aziendale che investa così tanto da doversi indebitare.

In Europa, nel suo complesso, sarà molto difficile ridurre i disavanzi dei bilanci pubblici o addirittura rimborsare i vecchi debiti. Le famiglie e i privati tradizionalmente hanno sempre risparmiato, e il settore delle imprese fa lo stesso da circa 20 anni. Il risparmio, tuttavia, deve essere  accompagnato dall'indebitamento, se vogliamo che l'economia contemporaneamente non decresca. Chiunque ignori questa semplice logica macroeconomica e cerchi di adottare misure di politica economica che violano esplicitamente questa logica, otterrà il contrario di quanto auspicato: provocherà un aggravamento e un prolungamento della crisi a scapito di ampie fasce della popolazione europea.

Quali sono i settori in Europa che ancora possono indebitarsi per ribilanciare la volontà di risparmio del settore privato? Ci sono solo i bilanci pubblici nazionali e i paesi extraeuropei. Ma questi ultimi non permetteranno mai all'Europa di avere degli avanzi di conto corrente così elevati con il resto del mondo tali da permettere, da un lato, ai bilanci pubblici nazionali dei paesi europei di non dover piu' registrare disavanzi paralleli alla volontà di risparmio dei privati e, dall'altro, non permetteranno mai agli europei di fare degli avanzi così ampi da poter ridurre i vecchi debiti pubblici fatti ai tempi del coronavirus. Prima che ciò accada, avremmo una guerra commerciale tra l'Europa e il resto del mondo o una corsa alla svalutazione tra l'euro e le valute extraeuropee (che è praticamente la stessa cosa). Entrambi gli scenari condurrebbero il mondo ancora più a fondo in una grave crisi economica.

Se vogliamo evitare che ciò accada, i bilanci pubblici nazionali in Europa, nel bene o nel male, dovranno continuare a svolgere il ruolo del debitore - che ciò piaccia o meno ai difensori dei trattati di Maastricht. Anche se i responsabili politici consapevolmente cercassero di fare resistenza nei confronti di ogni ulteriore indebitamento del settore pubblico in Europa, non farebbero altro che prolungare la crisi economica e quindi accrescere involontariamente la posizione debitoria dei bilanci nazionali. Poiché l'Europa non avrà mai l'opportunità di spostare il peso del suo debito verso l'esterno, cioè di risanarsi attraverso l'avanzo delle partite correnti, è assurdo voler trasformare questa strategia, che va contro ogni logica, nel principio guida della politica economica dei prossimi dieci anni.



E questo vale non solo per l'Europa nel suo complesso, ma anche e soprattutto per la Germania, in quanto paese singolo. In maniera completamente diversa da quanto suggerisce la citazione di Paul Ziemiak all'inizio dell'articolo, un paese ha solo un modo per far risparmiare tutti e tre i settori interni senza che l'economia crolli: spingere i Paesi esteri nel ruolo di debitori. E lo può fare solo attraverso una sistematica riduzione dei prezzi sui mercati internazionali, che non può essere in alcun modo compensata dall'apprezzamento delle valute.

In altre parole: la Germania dovrebbe ripetere la sua strategia di avanzo delle partite correnti degli ultimi vent'anni a spese dei suoi partner nell'unione monetaria. Ma non riuscirà più a farlo, perché le economie dei partner dell'unione monetaria ormai sono in ginocchio. La prima previsione professionale e realistica disponibile sul primo semestre 2020, presentata la settimana scorsa dal DIW, ipotizza che l'avanzo di conto corrente tedesco quest'anno scenderà a 80 miliardi di euro (dopo gli oltre 200 miliardi del 2019).

A meno di non volere una totale distruzione dell'Europa, la Germania non avrà alcuna possibilità di tornare alla vecchia situazione caratterizzata da un elevato surplus di conto corrente. Se l'economia tedesca provasse un'altra volta a spiazzare i suoi partner commerciali europei con dei tagli salariali, questo tentativo si trasformerebbe in un suicidio. Non solo ciò causerebbe un danno enorme alla domanda interna tedesca, ma soffocherebbe per sempre anche i partner commerciali europei, che invece stanno disperatamente lottando per la loro sopravvivenza economica.

La moderazione salariale è un suicidio

Ma proprio questa variante suicida si sta già manifestando - in aggiunta al desiderio dei politici di ridurre immediatamente il deficit pubblico e di volerlo trasformare persino in un avanzo da utilizzare per ridurre il debito. Non solo da parte dei sindacati tedeschi non si sente nulla, a parte la richiesta di garantire i livelli occupazionali. Piuttosto, ci sono già dei settori in cui si parla apertamente di lavoratori che rinunciano ad una parte del loro salario in cambio di garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali da parte dei datori di lavoro. Il caso di Lufthansa naturalmente è esemplare: i piloti hanno proposto di rinunciare temporaneamente al 45 % del loro stipendio per aiutare la compagnia aerea a superare la crisi.

Non c'è dubbio che i piloti della Lufthansa siano un caso particolare: incassano stipendi molto elevati (il che rende piu' facile una rinuncia parziale), hanno seguito una formazione molto costosa (che si riflette nel loro livello salariale), sono altamente specializzati e quindi hanno poche possibilità di trovare in Germania un'alternativa equivalente alla loro attuale professione. In questa situazione la rinuncia ad una parte dello stipendio è ragionevole perché dal punto di vista della razionalità microeconomica è l'unica possibilità che hanno di salvare il loro posto di lavoro e di evitare un collasso sociale.

Questo vale in misura decisamente minore per il personale di cabina di Lufthansa. Ricevono stipendi più bassi, non sono così altamente specializzati ed è quindi piu' facile reimpiegarli altrove. Per loro, anche se vengono licenziati, ma l'economia nel suo complesso si rimette in piedi, il crollo è molto meno drammatico perché hanno maggiori possibilità di poter cambiare settore senza subire enormi perdite di reddito.

Ma anche l'enorme rinuncia dei piloti non potrà salvare tutti i loro posti di lavoro se i voli commerciali dovessero essere sostituiti su larga scala dalle videoconferenze e da altre possibilità di comunicazione virtuale e di cooperazione.

Forse lo shock causato dal coronavirus non è stata la vera causa della crisi del settore aereo, ma potrebbe trasformarsi nell'innesco e nell'acceleratore di un profondo cambiamento strutturale dell'economia globalizzata, che non potrà essere fermato dal sacrificio di una parte dello stipendio.



Ma una cosa deve essere assolutamente chiara: per i lavoratori dipendenti nel loro insieme, la riduzione dello stipendio non è un gioco temporaneo come nel caso dei piloti, ma un suicidio a rate. L'eloquente silenzio dei sindacati, tuttavia, fa nascere il sospetto che questo è esattamente ciò che accadrà. La rinuncia salariale, cioè la rinuncia da parte dei lavoratori ad un aumento di circa il 3% del salario per i prossimi 3 anni, porterà nel breve e medio periodo a un indebolimento della crescita economica e quindi alla distruzione di molti posti di lavoro, e nel lungo periodo alla deflazione.


Dove vogliono arrivare i sindacati tedeschi? Il grafico mostra che i contratti collettivi degli ultimi dieci anni sono arrivati ad essere molto vicini all'obiettivo di inflazione dell'1,9 %, vale a dire che i salari reali effettivi sono aumentati solo leggermente o non sono aumentati affatto. Chiunque intenda scendere al di sotto di tale livello o non voglia aumentare affatto i salari crea una pressione competitiva su tutta l'Europa, pressione che finirà inevitabilmente per trasformarsi in una deflazione a livello europeo.

Quello che a livello aziendale sembrerebbe uno scambio fra "concessioni salariali in cambio di una sicurezza sul livello occupazionale", in realtà a livello macroeconomico è un programma per la distruzione di posti di lavoro. E ciò significa che, nonostante la crisi e la debolezza generale dell'economia, si dovrà fare ogni sforzo possibile per mantenere gli aumenti salariali collettivi ad un minimo del 3%.

Per chiarirlo ancora una volta: non si tratta di una svolta politica di sinistra o di destra, non c'è una lista dei desideri normativi su ciò che potrebbe essere migliorato in termini di politica sociale. No, qui si tratta della nuda economia, cioè della macroeconomia, che, per riuscire a proteggere tutti - dai meno abbienti ai benestanti - deve essere difesa dal rischio di finire schiacciata sul muro della follia ideologica
.


Cosa deve fare uno Stato?


E' lo Stato ad essere direttamente responsabile del fatto che la sicurezza dei livelli occupazionali, per i sindacati oggi è diventata la cosa più importante. A causa della legislazione Hartz, introdotta dalla coalizione Rosso-Verde all'inizio di questo secolo, infatti, il declino economico, e quindi anche in termini di status sociale, di un normale lavoratore che diventa disoccupato è enorme. Dopo un solo anno di disoccupazione, infatti, finisce al livello dei più poveri della società, vale a dire in Hartz IV.

Se questo non è (ancora) il caso, perché in precedenza magari ha accumulato un po' di ricchezza grazie agli sforzi fatti per risparmiare, o ad esempio se è riuscito a ripagare in parte o la totalità del mutuo sul suo immobile, dovrà utilizzare una po' di questa ricchezza (sui limiti patrimoniali per le prestazioni Hartz IV, vedere qui) prima che lo Stato possa aiutarlo con la sicurezza di base. E questo è sempre stato discutibile dal punto di vista della giustizia sociale. Considerando che il superamento della crisi causata dal coronavirus, dovrebbe invece riguardare la stabilizzazione delle aspettative, il calcolo del patrimonio disponibile nel caso dei beneficiari di Hartz IV sarà un ostacolo di primo ordine.

Tra l'altro, questo vale anche e soprattutto per i lavoratori autonomi e i freelance colpiti dalla crisi, i quali non hanno alcuni diritto di percepire il sussidio di disoccupazione e quindi dipendono completamente da Hartz IV per il loro sostentamento diretto (a parte alcuni programmi regionali che hanno cercato di aiutarli con dei sussidi). Sebbene il test sulla consistenza del patrimonio sia stato sospeso fino al 30 giugno 2020, le probabilità che i lavoratori autonomi colpiti dalla crisi, già nella seconda metà dell'anno, si trovino anche solo parzialmente in condizioni simili a quelle di prima del lockdown, sono molto basse. Ciò significa che, prima di poter continuare a ricevere l'assistenza di base, a partire dal mese di luglio, dovranno utilizzare i pochi risparmi che hanno accumulato. Le attese per il futuro di questo gruppo di persone dovrebbero essere quindi tutt'altro che positive.

Il crollo di status sociale dei disoccupati di lunga durata, previsto dallo Stato attraverso la legislazione Hartz, ha portato ad un notevole calo nella disponibilità dei sindacati a scioperare in favore di accordi salariali ragionevoli. Il rischio di perdere il proprio status sociale quando si perde il lavoro è così grande che qualsiasi minaccia da parte dei datori di lavoro di chiudere gli impianti di produzione e di spostare la produzione viene preso sul serio, spingendo quindi i sindacati a fare delle concessioni nelle trattative salariali. Questa legislazione, che si basa esplicitamente sull'idea che i disoccupati dovrebbero essere incoraggiati a fare di piu' per trovare un lavoro già esistente, era già molto piu' che discutibile quando è stata introdotta. Oggi è estremamente piu' pericolosa.

Chi ora sta perdendo il lavoro diventa disoccupato perché lo Stato gli ha vietato di continuare a lavorare o almeno ha reso più difficile la produzione nell'azienda in cui era impiegato. Minacciare queste persone con Hartz IV è antisociale, ingiusto e macro-economicamente destabilizzante. Lo Stato, che è direttamente responsabile della perdita di posti di lavoro, ha l'obbligo - per ragioni morali oltre che razionali dal punto di vista macroeconomico - di garantire immediatamente l'introduzione di regole generose in caso di perdita del posto di lavoro. Una garanzia del 70-80% dell'ultimo reddito per almeno due anni, indipendentemente dall'età, sarebbe una misura che tranquillizzerebbe molte menti e permetterebbe ai sindacati di fare ciò che ora è economicamente necessario.

Non saremo comunque in grado di evitare un cambiamento strutturale di vasta portata nell'economia, volenti o nolenti. Possiamo, tuttavia decidere se molte persone, e soprattutto quelle economicamente e socialmente più deboli, saranno messe da parte o se tutti avranno la possibilità di superare rapidamente la crisi. Se lo Stato accompagna il cambiamento strutturale con una assicurazione contro la disoccupazione forte (e una protezione equa per coloro che non hanno accesso all'indennità di disoccupazione), allora tutti coloro che diventeranno disoccupati e quindi dovranno cambiare lavoro e riqualificarsi, potranno essere coinvolti senza alcun timore di cambiare.

Se invece lo Stato lascia immutato l'attuale quadro normativo relativo all'assicurazione contro la disoccupazione e alla sicurezza di base e si concentra solo sulla conservazione delle vecchie strutture sul lato del capitale (ad esempio Lufthansa), o sulla promozione degli investimenti in nuove strutture piu' ecologiche, non sarà possibile sfuggire all'accusa di voler mettere gli interessi degli investitori al di sopra di quelli dei lavoratori. La convinzione che tutta la ricchezza nel lungo termine derivi principalmente dalle imprese era già discutibile ai tempi in cui il settore delle imprese si stava ancora indebitando, e quindi si assumeva il compito macroeconomico che ci si aspetterebbe da questo settore. Oggi è chiaramente sbagliato.