lunedì 1 aprile 2019

L'esercito più forte in Europa occidentale

Secondo Henrik Paulitz della Akademie Bergstraße nel giro di pochi anni la Bundeswehr tedesca è destinata a diventare la forza convenzionale piu' forte in Europa, esclusi probabilmente i russi. Date le dimensioni dell'economia tedesca, infatti, anche se il governo confermasse una spesa per la difesa pari solo all'1.5% del PIL, si tratterebbe comunque di una somma considerevole, vicina ai 60 miliari di euro e probabilmente superiore rispetto a quella degli altri paesi europei nella Nato. Ne scrive Henrik Paulitz in un'analisi molto interessante su Akademie Bergstraße



La Bundeswehr è destinata a diventare il più forte esercito europeo 


Il dibattito attuale continua a ruotare intorno alla presunta catastrofe in termini di capacità operativa della Bundeswehr e al fatto che l'esercito avrebbe a disposizione meno denaro rispetto a quanto necessario e a quanto la Germania aveva promesso alla NATO. Questa narrazione tuttavia tace il fatto che la Bundeswehr probabilmente entro pochi anni sarà di gran lunga l'esercito più forte in Europa occidentale. 

A causa delle "aspettative internazionali" nei confronti della Germania da anni ormai il governo tedesco viene messo sotto pressione affinché rimetta in discussione il suo tradizionale corso politico di "moderazione militare" e porti invece avanti un nuovo corso militarista. [1]


Questa forte pressione già molti anni fa aveva portato a sottoscrivere un impegno nei confronti della NATO per un aumento della "spesa militare" da realizzarsi entro il 2024. Secondo tale accordo la spesa per la difesa dovrebbe essere basata su un benchmark del 2% del PIL, di cui almeno il 20 % in armamenti e in "nuove grandi attrezzature, inclusa la ricerca e lo sviluppo correlato". 

Il 2% non è legalmente vincolante e spesso viene considerato come non realistico. Il ministro della Difesa Ursula von der Leyen nel maggio 2018 tuttavia ha annunciato che il governo tedesco avrebbe aumentato la spesa militare tedesca passando dall'1,2% all'1,5% del PIL entro il 2025. Alla luce delle dimensioni dell'economia tedesca, si tratterebbe di una spesa enorme - stando ai dati di oggi - fino a quasi 60 miliardi di euro. [2]

Il più grande esercito in Europa 

Nell'agosto 2017 l'ex candidato alla Cancelleria Martin Schulz facendo riferimento al controverso obiettivo del 2% dichiarò: "Faremmo della Bundeswehr il più grande esercito d'Europa". [3]

La forza convenzionale più forte in Europa 

L'ex Ministro della Difesa Volker Rühe nel febbraio 2019 ha invece dichiarato in un intervista: "Se intendiamo prendere sul serio la futura divisione dei compiti in Europa, allora la Bundeswehr non dovrà restare solo sulla carta la forza convenzionale più forte in Europa, ma anche nella realtà" 

Inoltre, Rühe ha notato che - contrariamente a quanto viene regolarmente riportato da molti media - la capacità operativa dei carri armati, degli elicotteri da combattimento e dei sottomarini della Bundeswehr non è in discussione. Alla domanda se la Bundeswehr sia ancora una forza combattente, ha risposto: 

"Sì. La struttura si focalizza sulle unità destinate ad entrare in azione. In linea di principio siamo sulla strada giusta. Ci sono molti piu‘ soldi ". [4]

Di gran lunga la più forte potenza europea nella NATO 

Queste non sono solo delle vaghe pretese, ma è già una realtà. Second il prof. Gunther Hellmann dell'università di Francoforte (specializzato in politica estera tedesca ed europea), la Bundeswehr entro sei o otto anni sarà l’esercito più potente d’Europa - esclusa la Russia. 

In un contributo del 13 febbraio 2019 realizzato insieme al Prof. Daniel Jacobi, Hellmann scriveva che il dilemma strategico della Germania si sta acuendo: "prendere il comando, senza tuttavia apparire egemonica". 

La richiesta di attuazione dell'accordo del Galles, cioè aumentare entro il 2024 la spesa per la difesa portandola il più vicino possibile al due per cento del PIL, “in definitiva deve essere intesa come una chiamata indiretta alla leadership, perché così facendo la Germania militarmente si trasformerebbe nella piu’ forte potenza NATO in Europa. Anche se restasse solo all'1,5 % del PIL, come riportato questa settimana a Bruxelles, fondamentalmente non cambierebbe nulla". 

A ciò si aggiunge che la Repubblica federale "come paese quadro, in futuro disporrà dell'intero spettro militare, mentre i partner più piccoli saranno costretti a specializzarsi". [5]

Militarizzazione della Germania 

Il pubblico senza dubbio si sta abituando all'idea astratta che vi siano delle aspettative o degli "obblighi" da adempiere (cioè una pressione dall’esterno da non sottovalutare). 

Le allusioni a un presunto "ruolo di leadership tedesco" non devono tuttavia essere interpretate dall'opinione pubblica come un percorso verso la militarizzazione. In particolare, l’opinione pubblica non deve rendersi conto che la Bundeswehr, in considerazione della spesa attuale per gli armamenti, presto diventerà il più forte esercito in Europa occidentale. 

La Cancelliera Angela Merkel durante il congresso della Bundeswehr tenutosi a maggio a Berlino ha ammonito i membri del Bundestag: "Si è sviluppata una discussione sulla quale tutti noi insieme - mi rivolgo a tutti i parlamentari – dobbiamo stare un po' attenti e fare in modo che il passaggio al 2% del PIL non venga interpretato come una militarizzazione della Germania"[6]

Questi elementi devono essere inseriti nel quadro di una Germania che diventa una potenza geo-politica in grado di garantire l'ordine in Europa, Africa e Medio Oriente. [7]

Leadership: attesa e richiesta 

Sullo sfondo di questi eventi è necessaria e urgente una discussione pubblica. 


Questo anche nel quadro di quanto sottolineato dall’esperto di politica estera e della sicurezza Rolf Mützenich, secondo il quale in futuro la Germania condividerà il destino di altri grandi stati e "sarà oggetto di critica sia per la sua leadership che per la sua riluttanza. Perché non solo all'interno dell'UE, ma anche a livello internazionale, dalla Germania sarà sempre più spesso preteso e/o richiesto un ruolo da leader". [8]

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1 Robin Niblett (Royal Institute of International Affairs/Chatham House): Internationale Erwartungen an Deutschland. Vortrag bei der Auftaktveranstaltung des Weißbuchprozesses 2016. Berlin. 17.02.2015.
2 Reuters: Von der Leyen will Wehretat auf 1,5 Prozent des BIP steigern. 14. Mai 2018.
3 FR: Phrasenprüfer. "Wir würden aus der Bundeswehr die größte Armee Europas machen". 26.08.2017.
4 Der Tagesspiegel: Ex-Verteidigungsminister Volker Rühe. „Guttenberg hat die Bundeswehr zerstört“. 10.02.2019.
5 Gunther Hellmann, Daniel Jacobi: Auswege aus Deutschlands wachsenden strategischen Dilemmata. GoetheUniversität Frankfurt am Main. 13. Februar 2019.
6 Angela Merkel: Rede von Bundeskanzlerin Merkel bei der Bundeswehrtagung am 14. Mai 2018 in Berlin.
7 Henrik Paulitz: Kriegsmacht Deutschland? Informationen und Handlungsempfehlungen zu brandgefährlichen ‚Internationalen Erwartungen an Deutschland‘. Akademie Bergstraße. 2018.
8 Rolf Mützenich: Deutschland: Vom Trittbrettfahrer zur Führungsmacht wider Willen? Zeitschrift für Außenund Sicherheitspolitik ZfAS, Sonderheft 6, 2015, S. 275-287.


domenica 31 marzo 2019

Sorry, Mister Trump, non possiamo farci niente!

Suona piu' o meno cosi' la risposta che un consiglio di economisti incaricati dal governo tedesco ha dato alla richiesta americana di ridurre gli avanzi commerciali. Una risposta che ovviamente piacerà molto al committente, il Ministro dell'Economia Peter Altmaier, e un po' meno alla controparte americana. Ne scrive Der Spiegel 


"Benvenuti ad una presentazione su un argomento molto arido": con questo avvertimento Albrecht Ritschl giovedì scorso ha aperto la presentazione dello studio commissionato dal governo sul surplus delle partite correnti tedesche. In realtà, il tema dei flussi di merci e di capitali negli ultimi anni si è fatto decisamente piu' interessante.

Ciò è dovuto principalmente al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Da tempo, infatti, Trump critica con forza il fatto che la Germania esporti molti piu' beni di quanti non ne importi, e sostiene che sia arrivato il momento di cambiare lo stato delle cose con l'aiuto di dazi commerciali punitivi. Anche la Commissione europea, l'Organizzazione dei paesi industrializzati OCSE e il Fondo monetario internazionale sono uniti nel criticare le ampie eccedenze commerciali.


La politica tedesca, che da sempre difende il surplus delle esportazioni considerandolo il risultato di un'economia particolarmente efficiente, si trova ora nella spiacevole situazione di dover dare delle spiegazioni, come del resto accade anche al Ministro federale dell'Economia Peter Altmaier (CDU). Il suo comitato scientifico consultivo ha analizzato, almeno dal punto di vista teorico, se in materia di eccedenze commerciali vi sia spazio per un cambiamento. Il risultato probabilmente piacerà molto più al ministro tedesco che non al presidente degli Stati Uniti. In poche parole: Sorry, signor Trump, non possiamo farci niente!

Detto con parole un po' piu' ufficiali, il gruppo di studiosi è giunto alla conclusione che una "marcata riduzione" delle eccedenze sarebbe "possibile solo con delle forti scosse". Sotto la guida dello storico dell'economia Ritschl, gli economisti hanno esaminato quattro opzioni.

La piu' popolare fra i tedeschi probabilmente è l'opzione di un taglio dell'IVA, che l'economista Carl Christian von Weizsäcker aveva già messo in campo due anni fa in risposta alle prime minacce di Trump. Dato che la riduzione renderebbe anche i beni e i servizi provenienti dall'estero più economici, i tedeschi consumerebbero piu' beni riducendo così il surplus tedesco

Se l'Iva venisse ridotta dall'attuale 19 % al 17 %, secondo lo studio, si avrebbe una "leggera riduzione del saldo di conto corrente", accompagnata tuttavia da un "forte aumento del debito pubblico", sempre secondo l'analisi.

Gli economisti arrivano a questa conclusione anche perché escludono di finanziare la misura attraverso maggiori imposte sul reddito. A ciò si deve aggiungere il fatto che lo stato attualmente può indebitarsi a condizioni favorevoli a causa dei bassi tassi di interesse.

Un membro del gruppo di studiosi tuttavia contraddice questo atteggiamento scettico. Alla luce dei bassi tassi di interesse una riduzione delle imposte finanziata a debito avrebbe "effetti più forti di quelli ipotizzati e il conseguente aumento del debito pubblico sarebbe più lento di quanto indicato nell'analisi".

Una tassa come nel 1968?

Una seconda opzione sarebbe quella di aumentare le imposte sulle vendite generate dall'export. "Una tassa sull'export è qualcosa di fondamentalmente simile a un dazio che viene prelevato non dai paesi stranieri ma dal paese esportatore", afferma Ritschl. In effetti, già nel 1968 per un breve periodo era stata introdotta una tassa simile. Oggi, tuttavia, sarebbe difficile da far rispettare in quanto la politica doganale è una priorità dell'UE.

Gli economisti ritengono inoltre che in questo modo si potrebbe danneggiare l'attività economica interna. Alla fine una tale tassa sull'export, a loro avviso, potrebbe rallentare le esportazioni, ma lasciare il conto corrente invariato: e cioè accadrebbe nel caso in cui gli esportatori tedeschi a causa del loro potere di mercato riuscissero ad imporre dei prezzi più elevati ai loro clienti.

Il giudizio su di un eventuale intervento in materia di politica salariale è ancora più chiaro. Senza dubbio l'aumento dei salari potrebbe aumentare la domanda di beni stranieri, in maniera simile a una riduzione dell'IVA. Ma data l'economia di mercato e l'autonomia della contrattazione collettiva fra le parti, lo stato  al massimo potrebbe esercitare una certa influenza attraverso la contrattazione nel servizio pubblico, così secondo gli economisti. I salari inoltre attualmente stanno continuando ad aumentare. Gli interventi politici in questo contesto sarebbero dannosi. 

Il consiglio consultivo si troverebbe senza dubbio molto piu' a suo agio con dei possibili sgravi fiscali da applicare sugli investimenti in Germania. Perché parte del problema della bilancia dei pagamenti tedesca risiede nel fatto che i tedeschi risparmiano più della media, ma investono gran parte dei loro risparmi all'estero - per questa ragione in patria c'è una mancanza di investimenti.

Lo stato potrebbe neutralizzare questo effetto, riducendo la tassazione sui redditi da capitale derivanti da investimenti interni - ad esempio riducendo significativamente le imposte sulle società o facilitando la svalutazione delle immobilizzazioni. In alternativa potrebbe rendere gli investimenti all'estero meno attraenti, ad esempio se il fisco limitasse l'esenzione dalla doppia imposizione.

Secondo i calcoli, diversamente da quanto accadrebbe con una tassa sulle esportazioni, questa strategia stimolerebbe effettivamente l'economia tedesca, aumenterebbe gli investimenti e le entrate pubbliche e alla fine ridurrebbe le eccedenze. Lo strumento è "in un certo qual modo utile" e non avrebbe "effetti collaterali importanti", afferma Ritschl. Tuttavia, come in tutti gli scenari, gli effetti sulle partite correnti sarebbero "alquanto ridotti".

Un messaggio confortevole per il governo federale

Non c'è da stupirsi che il Ministro dell'Economia Altmaier abbia subito accolto con favore la relazione. Alla fine il documento non fa che dare coraggio al governo nel suo atteggiamento, cioè: fare molto poco per contrastare le eccedenze commerciali. Gli scienziati inoltre sottolineano che la Germania è fortemente legata alle economie degli altri paesi, come invece accade solo ad economie minori, ad esempio la Svizzera o la Danimarca.

"Mentre le loro eccedenze non sono significative a livello internazionale, quelle tedesche sono invece diventate oggetto di un conflitto politico internazionale", dice lo studio. La Repubblica federale ha un'influenza molto limitata sulla sua situazione, soprattutto perché non può più gestire la politica dei tassi di cambio in quanto parte della zona euro.

Questi argomenti sono stati ripetuti più e più volte a Trump e agli altri, ma non hanno modificato la critica mossa alla Germania. "L'insoddisfazione è tangibile, anche io faccio questa esperienza quando sono all'estero", ha detto Ritschl, che insegna alla London School of Economics. Ancora più chiaro è stato quel membro del Consiglio consultivo che sulla riduzione dell'IVA ha dato un voto di minoranza: "Il rapporto sottovaluta la grande urgenza di risolvere il problema".

sabato 30 marzo 2019

Martin Selmayr – L'eminenza grigia di Bruxelles

Chi è Martin Selmayr? Nipote di due generali del terzo Reich, rampollo delle élite, prima lobbista di punta per Bertelsmann a Bruxelles e poi una rapida carriera alla Commissione fino al "colpo di stato" (cit.) del 2018. Oggi è l'uomo piu' potente nei palazzi del potere europeo, l'eminenza grigia accanto a Juncker, con un futuro radioso se Weber (CSU) dovesse diventare il nuovo capo della Commissione. Ne scrive Jens Berger sulle NachDenkSeiten



Jean-Claude Juncker probabilmente è noto a tutti i nostri lettori e anche il suo probabile successore, Manfred Weber, per molti è un nome familiare. Il nome di Martin Selmayr tuttavia dice qualcosa solo a pochi interessati. Selmayr - e su questo sono d'accordo i suoi amici, ma anche i suoi nemici - è l'uomo più potente d'Europa: conservatore, neoliberista, assetato di potere, un vero e proprio rampollo delle élite, che negli ultimi anni ha plasmato l'UE secondo le sue idee. Dopo le elezioni europee Selmayr potrebbe espandere ulteriormente il suo già enorme potere e quindi causare ulteriori gravi danni all'ideale di un'Europa democratica e trasparente. Di Jens Berger .

Chi cresce in un ambiente familiare come quello di Martin Selmayr, nella vita ha un certo vantaggio di partenza. Come nipote di due generali - il nonno Josef Selmayr faceva parte dell'organizzazione Gehlen ed è stato il primo capo del MAD - e figlio di un grande avvocato nonché Rettore dell'Università della Bundeswehr di Monaco di Baviera, Selmayr ha sempre avuto la quantità necessaria di vitamina B (raccomandazioni) nei geni. Dopo aver studiato legge a Ginevra, Passau, Berkeley e al Kings College di Londra, Selmayr è stato assunto dal gruppo editoriale Bertelsmann e lì nel giro di due anni è stato messo a capo della rappresentanza di Bruxelles, vale a dire lobbista capo di Bertelsmann all'UE. Ma è rimasto in questo posto solo per un anno. Nel 2004 il lobbista del gruppo editoriale ha saltato la barricata ed è diventato portavoce della Commissione europea per le telecomunicazioni e la politica dei media. Proprio a causa delle carriere fondate su questo sistema delle porte girevoli, l'UE è giustamente finita nel fuoco incrociato delle critiche.


Ad aprire le "porte girevoli" al conservatorie Selmayr però è stato un uomo per il quale i confini fra la politica e la lobby sono sempre stati molto incerti: Elmar Brok, dal 1980 deputato europeo per la CDU, dal 1992 incaricato per gli affari europei di Bertelsmann, per un periodo a capo della sede di Bruxelles e perfino "Senior Vice President media development" del gruppo - ovviamente sempre accanto "al suo mandato di parlamentare europeo". Su raccomandazione del suo collega Brok, Selmayr nel 2010 è diventato Capo di Gabinetto del Commissario UE lussemburghese Viviane Reding, che in piena coerenza, come secondo lavoro ha ottenuto un posto proprio nel Consiglio della Fondazione Bertelsmann.

Il salto di carriera successivo glielo ha preparato ancora Brok, che lo ha raccomandato al suo amico Jean-Claude Juncker come responsabile per la sua campagna di candidatura alla Presidenza della Commissione Europea.  Selmayr probabilmente è riuscito a tirare le corde giuste e dopo aver vinto le elezioni, Juncker lo ha nominato suo capo di gabinetto. Da quel momento in poi, il potente bavarese è diventato il "braccio destro" di un leader dell'UE segnato da seri problemi di salute e che nel giro dei funzionari di Bruxelles è conosciuto come il "Direttore della prima colazione" (senza potere reale). Selmayr già allora determinava più o meno direttamente ciò che il suo "capo" in seguito avrebbe implementato e simbolicamente guidava la sua mano su ciò che poi avrebbe firmato. Fra le autorità dell'UE Selmayr tuttavia si è fatto pochi amici. Secondo i resoconti basati su testimonianze di insider fatti dai corrispondenti da Bruxelles dei diversi giornali internazionali , Selmayr nei palazzi del potere sarebbe conosciuto come "figura odiosa", "Rasputin", "Mostro di Juncker" o "Mostro di Berlaymont" (palazzo Berlaymont è la sede della Commissione europea), ed è largamente considerato uno dei funzionari dell'UE meno amati della storia. Secondo i resoconti Selmayr guiderebbe l'ufficio del suo "capo" con mano ferrea, e sarebbe pronto a scavalcare i commissari europei responsabili anche su importanti decisioni della Commissione. Così ad esempio avrebbe dato il via libera ad Alexander Dobrindt e al suo "pedaggio autostradale per gli stranieri" - contrariamente a quanto prevedono le leggi europee - senza nemmeno aver consultato il commissario sloveno responsabile in materia di trasporto.

Numerosi giornali, come ad esempio la francese Liberation, hanno parlato del successivo salto di carriera di Selmayr come di un "colpo di stato". Sotto la protezione di Jean-Claude Juncker, il 21 febbraio 2018 Selmayr è stato nominato Vice Segretario Generale della Commissione Europea e solo un'ora dopo la nomina, nella stessa riunione della commissione, l'allora segretario generale ha annunciato le sue dimissioni, dopodiché il vice, che era in carica da nemmeno un'ora, è salito nella posizione piu alta della burocrazia dell'UE. Senza alcun bando, senza una discussione politica e senza la partecipazione del Parlamento, così è stato "nominato" il capo dei 33.000 dipendenti della Commissione europea e dei più importanti funzionari dell'Unione europea, da parte dell'uomo che da quattro anni si fa guidare la mano esattamente dalla stessa persona. Sì, lo si può chiamare  "colpo di stato".

La protesta c'è anche stata. Il Mediatore europeo ha presentato una denuncia, il Parlamento europeo ha votato con 368 voti a favore e 15 contrari una risoluzione che chiedeva le dimissioni di Martin Selmayr. Sfortunatamente il Parlamento europeo sulle questioni veramente importanti a Bruxelles viene ignorato. Il Commissario europeo responsabile per il bilancio e il personale alla fine è proprio Günther Oettinger, il quale è un conservatore neo-liberista della CDU e quindi è parte integrante del problema, non una soluzione. E' stato così che il "golpe" di Martin Selmayr ha avuto successo ed oggi egli è il numero uno indiscusso dell'esecutivo di Bruxelles, che come Segretario generale della Commissione europea ed eminenza grigia tira i fili alle spalle del gravemente malato Jean-Claude Juncker.

Sia che si tratti della militarizzazione dell'UE, della progressiva concentrazione delle competenze sulle direttive all'interno della opaca struttura di potere della Commissione europea, oppure della progressiva perdita di potere dei governi nazionali in materia di politica fiscale - il funzionario dell'UE Martin Selmayr è sempre al centro di queste decisioni. Raramente fino ad ora nell'Europa democratica e post-monarchica il potere era mai stato distribuito in maniera cosi' poco trasparente e anti-democratica. Non è solo il fatto che quasi nessuno conosca Martin Selmayr e lui come funzionario capo non è obbligato a rendere conto del suo operato davanti all'opinione pubblica. Molto peggio è il fatto che Selmayr non sia mai stato votato dal popolo in un'elezione e che i suoi vasti poteri non siano in alcun modo legittimati dalla democrazia classica.

Non è nemmeno così che ci libereremo alla svelta di Martin Selmayr. Perché è proprio il politico della CSU Manfred Weber, attualmente alla guida del gruppo PPE al Parlamento europeo, ad avere le maggiori possibilità di diventare il successore di Juncker. Quando il parlamento di Strasburgo con un'ampia maggioranza ha tentato di sfiduciare Selmayr, sono stati proprio i deputati del PPE gli unici a restare fedeli al Segretario generale. Weber è considerato privo di collegamenti importanti e soprattutto a livello di commissione è considerato come l'ultimo arrivato. Pertanto gli addetti ai lavori ritengono che senza l'Eminenza Grigia al suo fianco, Weber non sarà in grado di gestire l'eredità di Juncker. E politicamente i due ultra-conservatori Weber e Selmayr vanno perfettamente d'accordo: sono entrambi liberisti, entrambi atlantisti ed entrambi bavaresi. Da queste elezioni europee non possiamo aspettarci di avere più democrazia, più trasparenza o anche una politica più progressista. Il potere rimarrà probabilmente intatto - indipendentemente dal fatto che guidi la mano di Juncker o quella di Weber.



giovedì 28 marzo 2019

"La piu' grande e rapida distruzione di valore nella storia del Dax"

"L'acquisizione di Monsanto è una buona idea", diceva solo qualche mese fa il CEO di Bayer, Werner Baumann. Peccato poi le cose siano andate diversamente e l'acquisizione di Monsanto da parte di Bayer si sia trasformata nella piu' grande e rapida distruzione di valore nella storia del Dax. Non ne usciranno bene, almeno secondo la stampa tedesca, perché in America ci sarebbero già diverse migliaia di cause pronte. Ne scrive il ben informato German Foreign Policy


"La più grande distruzione di valore nella storia del Dax" 

Nel quadro generale di una possibile escalation della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e l'UE, i media tedeschi mettono in guardia da una grave crisi, a causa della quale il gruppo industriale Bayer, leader nel settore della Chimica, dopo le recenti controversie legali negli Stati Uniti inizia a vacillare. Con l'acquisizione del gruppo agricolo statunitense Monsanto, il cui pesticida Glifosato è sospettato di causare il cancro, Bayer si è esposta a un "rischio esistenziale", scrivono i commentatori. La caduta del titolo causata dalle recenti sentenze giudiziarie in California potrebbe rendere Bayer il candidato ideale per un'acquisizione da parte di "investitori aggressivi", acquisizione che comporterebbe il rischio concreto di uno spezzatino per la più grande aziende agricola e chimica tedesca, scrive la stampa. Il gruppo nel suo complesso ora vale tanto quanto valeva Bayer prima dell'acquisizione dei suoi concorrenti statunitensi, acquisizione costata circa 63 miliardi di euro. Ciò significa che Monsanto ora "dagli investitori viene valutata con un valore pari a zero". Nel giro di un anno Bayer ha perso quasi la metà del suo valore di borsa, con perdite che dall'ultimo verdetto di San Francisco sono state del 13%; Monsanto è stata la più grande e rapida "distruzione di valore nella storia del Dax", si dice negli ambienti finanziari: in un solo giorno di negoziazione è stato bruciato un valore di mercato pari a otto miliardi di euro. Dalla prima sentenza sul glifosato, nell'agosto del 2018, Bayer ha perso circa 30 miliardi di euro di valore in borsa [5]. 




Processi a valanga per miliardi di dollari 



Nella sentenza menzionata, il 19 marzo la corte di San Francisco è giunta alla conclusione che il glifosato, contenuto nel pesticida "Roundup" della controllata di Bayer, Monsanto, è cancerogeno; Il glifosato secondo la corte sarebbe stato un "fattore significativo" di rischio nell’insorgere del cancro dell’accusatore. La giuria di sei membri si è così allineata alle valutazioni di diversi studi scientifici che hanno trovato una connessione tra il pesticida e un aumento del rischio di cancro. L'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro classifica il glifosato come "probabilmente cancerogeno" - in contrasto con l'Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi, che non individua alcun legame [6]. Un'altra indagine rileva in particolare, che sono proprio gli utilizzatori di glifosato, come gli agricoltori o i lavoratori agricoli a mostrare un aumento del 41% del rischio di contrarre un linfoma. [7] Allo stesso tempo ci sono una serie di studi commissionati da aziende chimiche fra il 2012 e il 2016 che non mostrerebbero alcun legame con il rischio di cancro. I critici, come il Bund Naturschutz, affermano che questi "studi industriali" presenterebbero "molte carenze" ma che tuttavia sarebbero stati usati dalle autorità "per valutare l'approvazione del veleno nell’agricoltura". [8] L'attuale sentenza di San Francisco è un un caso modello che fungerà da guida legale per migliaia di altre azioni legali contro Bayer negli Stati Uniti. In un caso precedente, il malato di cancro aveva ricevuto 78 milioni di dollari di danni. Questa valanga di processi negli Stati Uniti potrebbe costare a Bayer "miliardi di dollari", si lamentano gli osservatori tedeschi [9]. Nel frattempo, negli Stati Uniti ci sarebbero già circa 11.200 cause ad attendere Monsanto (10).



Disastro economico 

A rappresentare un rischio esistenziale per Bayer non ci sono solo i miliardi di dollari dei processi. Il controverso pesticida glifosato è il diserbante chimico più venduto al mondo, sospettato anche di contribuire alla rapida scomparsa degli insetti a livello mondiale. [11] Il glifosato, simbolo di "un’agricoltura guidata dalla chimica", genera gran parte dei profitti della costosa sussidiaria di Bayer in America, la Monsanto; negli ultimi tempi circa il "70 % dei profitti operativi di Monsanto" è stato ottenuto grazie a prodotti associati al "glifosato", così riporta la stampa tedesca [12]. Poiché i processi in corso dovrebbero rafforzare anche nell'UE e in Germania la richiesta di un divieto di utilizzo per il pesticida incriminato, una parte significativa del fatturato e dei profitti di Bayer è considerata a rischio. La città di Los Angeles ha già annunciato che proibirà l’uso del controverso pesticida fino a quando il rischio di provocare il cancro non sarà finalmente chiarito. [13] Nel frattempo, la posizione all'interno del gruppo del CEO di Bayer, Werner Baumann, l'architetto dell'operazione di acquisizione di Monsanto, si fa sempre più difficile. La sorprendente sconfitta legale a San Francisco - Bayer era riuscita a prevalere nella fase iniziale del processo, almeno sui dettagli - per Baumann sarà un problema, dato che molti investitori "stanno perdendo la pazienza", scrive la stampa economico-finanziaria tedesca [14]

La strategia industriale di Altmaier 

Anche per il governo federale il malcontento di Bayer, emerso dopo l'acquisizione di Monsanto, pone un problema serio: rende piu’ difficile la costituzione di aziende dominanti e monopolistiche ("campioni nazionali"), promosse dal ministro dell’economia Altmaier e parte della sua "Strategia industriale nazionale 2030" [15] 



Multe miliardarie per Google 



Le dispute legali sul glifosato tuttavia sembrano essere colpite dalla dinamica delle crescenti controversie commerciali legate alla crisi tra USA e UE. Poche ore dopo l'annuncio della sentenza di San Francisco, l'UE ha imposto una multa da oltre un miliardo di euro al colosso americano Google [16]. Il monopolista dei motori di ricerca su internet avrebbe abusato della sua "posizione dominante" per ostacolare illegalmente i concorrenti del servizio "AdSense per la ricerca". Negli ultimi dieci anni, Google nell'UE ha dovuto pagare multe per un totale di 8,25 miliardi di euro. L’ultima multa imposta dalla Commissione europea ammonta a 1,49 miliardi di euro. 



Escalation asimmetrica 

In precedenza, il governo tedesco si era dato da fare per fermare le iniziative avviate principalmente dalla Francia e finalizzate ad una maggiore tassazione delle società Internet statunitensi, in quanto ciò per Berlino avrebbe implicato il rischio di una rappresaglia contro l'industria dell’export tedesca impegnata in America [17]. Data la minaccia di una escalation nelle controversie commerciali con Washington, Berlino si trova ora a dover fronteggiare il problema della mancanza di opzioni di difesa, situazione dovuta alle grandi eccedenze commerciali: in una guerra commerciale, infatti, ad essere avvantaggiata è la parte in deficit in quanto può ricorrere ad un escalation basata su misure protezionistiche. I paesi orientati all’export difficilmente hanno mezzi di ritorsione efficaci; questi in Europa sembrano concretizzarsi sotto forma di misure punitive nei confronti  dell'industria Internet dominata dagli Stati Uniti. Alla minaccia di Washington di aumentare i dazi sulle auto tedesche, Bruxelles e Berlino vorrebbero rispondere con una corrispondente azione punitiva ancora più dura nei confronti di Google, Facebook e delle altre società Internet americane.





[1] Frank Dohmen, Armin Mahler: Das Vernichtungsmittel. spiegel.de 22.03.2019.
[2] Gabor Steingart: Unternehmenskenner warnt: Bei Bayer wächst die Gefahr der Zerschlagung. focus.de 22.03.2019.
[3] Bayer-Aktie kurz vor Zusammenbruch: Neue Hiobsbotschaft aus den USA. deraktionaer.de 22.03.2019.
[4] Das Bayer-Beben: Monsanto entpuppt sich als "größter und schnellster Wertvernichter der DAX-Geschichte". deraktionaer.de 20.03.2019.
[5] Schwere Schlappe für Bayer in Glyphosat-Prozess. dw.com 20.03.2019.
[6] Faktencheck: Wie gefährlich ist Glyphosat? swr.de 20.03.2019.
[7] Carey Gillam: Weedkiller "raises risk of non-Hodgkin lymphoma by 41%". Theguardian.com 14.02.2019.
[8] Glyphosat und Krebs: Gekaufte Wissenschaft. bund-naturschutz.de.
[9] Antje Höning: Bayers Traumdeal wird zu Bayers Alptraum. rp-online.de 20.03.2019.
[10] S. dazu Bayer vor Gericht.
[11] Tina Baier: Macht Glyphosat die Bienen krank? sueddeutsche.de 25.09.2018.
[12] Jost Maurin: Bayer AG schwer erkrankt. taz.de 20.03.2019.
[13] Bayer-Aktie kurz vor Zusammenbruch: Neue Hiobsbotschaft aus den USA. deraktionaer.de 22.03.2019.
[14] Bert Fröndhoff: Glyphosat-Urteil bringt Bayer-Chef Werner Baumann in Bedrängnis. handelsblatt.com 21.03.2019.
[15] Altmaier mag nationale Champions. badische-zeitung.de 06.02.2019.
[16] EU verhängt weitere Milliardenstrafe gegen Google. spiegel.de 20.03.2019.
[17] S. dazu Streit um die Digitalsteuer.


mercoledì 27 marzo 2019

"Anche Karl Marx era solo un vecchio uomo bianco"

"Persino a Karl Marx, in quanto vecchio uomo bianco, oggi verrebbe negato il diritto di esprimere la propria opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia uno come Marx dell'oppressione?" scrive Michael Bröning della fondazione Friedrich Ebert (vicina alla SPD) su Die Zeit, facendo riferimento alle banalità politiche tipiche della sinistra tedesca di questi anni. Una riflessione molto interessante di Michael Bröning su Die Zeit


Si tratta solo di un fraintendimento? Tutta questa critica alle aberrazioni di politica identitaria in una parte della sinistra che sempre più spesso deve lottare per la sopravvivenza? "Non si può incolpare la politica dell'identità per la crisi", spiegano Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch su DIE ZEIT il 14 marzo 2019. La politica della sinistra era politica dell'identità anche nel diciannovesimo secolo – solo che allora era in nome della classe operaia. Chiunque neghi questo "orientamento di base dato alla domanda di identità", oggi soffre di amnesia storica. A soffrire di percezione selettiva tuttavia non sono gli scettici della politica dell'identità, ma Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch. La loro definizione di politica dell'identità ha poco o nulla a che fare con il suo orientamento liberale attuale. 


Senza dubbio anche il movimento operaio del diciannovesimo secolo faceva riferimento alle questioni dell’identità. I sindacati, i circoli di lettura, i giornali proletari, naturalmente avevano tutti una dimensione identitaria di classe. Alla fine, tutto è personale quando si tratta di persone. E le persone che si uniscono gettano le basi per una coscienza comune. "La costruzione della classe come identità", di cui parlano Mueller-Stahl e Pausch, non è affatto controversa. Ma non può essere la prova di una presunta tradizione del movimento operaio, piuttosto della diffusione dell'approccio politico-identitario.


Se in un modo o nell’altro tutto può essere considerato politica dell’identità, alla fine solo una cosa sarà completa: la confusione. Già oggi i suprematisti bianchi usano la politica dell'identità per affrontare la necessità di proteggere la "cultura bianca". Ma se anche i populisti di destra sono arrivati a chiedere spazi sicuri e luoghi dove non è consentita alcuna discriminazione, qualcosa è andato storto. 





"Reaganomics per la sinistra" 

La forma dominante di politica dell'identità liberale oggi non può essere considerata un legittimo successore, ma esattamente il contrario degli sforzi storici di emancipazione del movimento operaio. La loro grande attenzione per il riconoscimento di identità di gruppo sempre più piccole, costruite sulla base di aspetti etnici, sessuali, sociali o culturali non ha nulla a che fare con la solidarietà e lo spirito pubblico, ma con la soggettività e l'esclusione. Invece di avanzare richieste universalistiche per un accesso senza barriere all’istruzione, alla sanità, al benessere e alla partecipazione, ci si occupa di diritti speciali. Il risultato è una competizione a somma zero per le posizioni più redditizie nella gerarchia sacrificale della società. Alla fine di questa balcanizzazione non c’è l'azione comune, ma solo un risentimento rabbioso compatibile con lo status quo. 



Questo lo si può osservare in alcune parti della sinistra americana e nel milieau accademico di molti progressisti europei. Qui l'ossessione politico-identitaria non equivale all'empowerment, ma all'auto-esautorazione della sinistra. Certo, questo vale ancora di piu’ più se si combina con il disprezzo morale per il loro ambiente elettorale tradizionale popolato da guidatori di automobili, e carnivori che amano festeggiare il carnevale. 

"La politica delle identità", scrive Mark Lilla, professore alla Columbia University è una "Reagonomics per la sinistra". Poiché è compatibile con i dogmi di un neoliberismo polarizzante, l'ingiustizia economica si trasforma in una contraddizione secondaria, parte di una discriminazione presumibilmente più fondamentale, neutralizzata grazie a delle piroette di simbolismo progressista e ad un certo "atteggiamento". Una tale sinistra è molto preoccupata per le offese emotive derivanti dalle micro-aggressioni, ma ha solo un sensore selettivo per la progressiva scomparsa della democrazia all’interno della società, per la crescente disuguaglianza economica e per le ginocchia rotte di un piastrellista nell'anello esterno della S-Bahn. 

Al centro non c’è necessariamente l'ideale di uguaglianza civica, ma quello dell’eccezione. Invece di promuovere la comunità, le persone vengono ordinate in cassetti separati. In questo modo i conflitti economici si trasformano sempre più in lotte culturali. Le discussioni sull'identità del resto non possono essere risolte attraverso dei compromessi – senza considerate che, data la fluidità delle identità, è difficile concepire delle coalizioni durature. 

Nella lotta di sinistra sono necessarie delle ampie alleanze 

In tempi in cui l'assimilazione culturale è considerata una usurpazione, la partecipazione ai dibattiti politici è riservata esclusivamente alle persone coinvolte in maniera diretta. "Io come ..." così iniziano i contributi al dibattito considerati appena ammissibili. Persino a Karl Marx oggi, in quanto vecchio uomo bianco, verrebbe negato il diritto di esprimere la sua opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia Marx dell'oppressione

Poiché l'attenzione si focalizza sulle auto-percezioni, la realtà politica concreta diventa sfocata. Invece di confrontarsi con la disuguaglianza globale, una parte del milieau accademico guarda verso l’interno per esplorare il nucleo delle idee e dei concetti. Ciò è sicuramente legittimo, ma è l'esatto opposto dell'ambizione con cui il movimento operaio si batteva per l'emancipazione delle classi svantaggiate. Karl Marx, Friedrich Engels e l'Associazione Generale dei Lavoratori tedeschi non si occupavano del riconoscimento e della continuazione delle differenze esistenti, ma del loro superamento. L'obiettivo non erano i privilegi, ma l'uguaglianza. 

Martin Luther King nel 1963 formulava un sogno e si augurava che i suoi quattro figli un giorno potessero vivere in un mondo "nel quale non sono giudicati per il colore della loro pelle ma per la natura del loro carattere". In gran parte dei circoli ispirati dal tema dell’identità politica, questo sogno oggi probabilmente verrebbe registrato come una micro-aggressione. Dopotutto l'origine e il colore della pelle non dovrebbero essere superati, ma essere invece enfatizzati come unici punti di riferimento decisivi. Non dovremmo superare la visione universalista di Martin Luther King con tanta facilità. Anche il candidato alla presidenza democratica Bernie Sanders, in occasione dell'annuncio della sua ricandidatura, ha fatto riferimento all’attualità del messaggio di "I have a dream". 

È altrettanto chiaro: nulla sarebbe più sbagliato che riportare la politica ai presumibilmente buoni e vecchi tempi in cui a dominare era l’uomo bianco, eterosessuale. La lotta contro la discriminazione e l'emancipazione deve essere sempre lasciata alla sinistra - e qui sono necessarie ampie alleanze. Ma deve essere guidata da una visione complessiva e senza il paraocchi della divisione. Una sinistra che lo dimentica, fa un assist alla destra radicale. L'ex capo-stratega di Donald Trump, Steve Bannon, ritiene che la politica identitaria di sinistra per lui sia un grande regalo. "Più parlano di politica dell'identità", diceva Bannon, "prima li riacciuffo”. Voglio che parlino di razzismo ogni giorno. “Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità, possiamo schiacciarli". È ora di smetterla di fare a Steve Bannon questo favore.   





martedì 26 marzo 2019

Dove e perché viene eluso il salario minimo fissato dalla legge

Dal 2015 il numero delle infrazioni rilevate è più che quadruplicato e l'elusione del salario minimo è ormai un fenomeno di massa. Lo certificano i dati ufficiali delle dogane. Ne scrive la Thüringer Allgemeine



Berlino. Il salario minimo, introdotto nel 2015, dalla politica spesso viene considerato una storia di successo - ma cosa dicono i camerieri, i parrucchieri, i muratori o i macellai, che nel mondo reale spesso a causa della pressione dei datori di lavoro devono fare delle ore extra non retribuite restando ampiamente al di sotto dalla paga minima prevista dalla legge? Fra gli addetti alla logistica, nell'agricoltura o nelle case di riposo, il pagamento dell'effettivo salario minimo previsto dalla legge e dei salari minimi previsti dai contratti di categoria degli specifici settori industriali vengono controllati troppo di rado, perché lo Zoll (dogane) è sopraffatto dalla mole di lavoro. Molti lavoratori continuano ad essere truffati sul salario, lo stato invece perde le entrate fiscali e i contributi per la sicurezza sociale.

Il fatto che l'elusione del salario minimo in Germania sia un fenomeno molto ampio è provato dai nuovi dati che l'unità speciale per il contrasto al lavoro nero (FKS) delle dogane ha raccolto per il 2018. Dati che il ministro delle finanze Olaf Scholz (SPD) presenterà lunedì in occasione del bilancio annuale delle dogane.


I casi di frode sul salario minimo sono casi individuali?

Assolutamente no. Come mostrano le statistiche dello Zoll, tra le altre cose, il pagamento del salario minimo, la corretta registrazione degli orari di lavoro e la disponibilità dei documenti richiesti dalla legge, in molti settori vengono ampiamente elusi. Ad esempio, ai sensi della legge sul salario minimo, il numero dei reati amministrativi è aumentato dai 1.316 casi del 2015 ai 6.220 casi del 2018, sebbene vi siano stati meno controlli.

Quanto è grande il danno?

Solo le violazioni scoperte in merito alla paga minima o ai contributi previsti dal quadro degli accordi di contrattazione collettiva, nel 2018 hanno causato un danno di circa 32 milioni di euro. La somma degli incassi e delle ammende inflitte ammonta a 20,4 milioni di euro.

Quali industrie sono interessate?

Nel settore delle costruzioni nel 2018 sono state avviate circa 1.150 nuove procedure di infrazione e sono stati conclusi quasi 1.300 procedimenti in corso. L'elusione dei requisiti previsti dal salario minimo ha causato un danno di oltre 16 milioni di euro, le multe sono state di oltre 14,5 milioni di euro. Nella pulizia degli edifici, il danno ha raggiunto i 4,5 milioni di euro, nei confronti delle imprese coinvolte sono state inflitte ammende per quasi un milione di euro.

Ogni quanto tempo le dogane ispezionano i datori di lavoro?

Il rischio per i datori di lavoro di essere scoperti è molto basso. Se lo Zoll nel 2014, vale a dire l'anno prima dell'introduzione del salario minimo legale, ha effettuato 63.000 controlli sui datori di lavoro, nel 2018 sono stati circa 53.500. Ufficialmente si tratterebbe di una nuova strategia delle dogane. Meno controlli, ma più efficaci, maggiore attenzione per le aree problematiche.

Non si tratta di una farsa per mascherare la carenza di personale?

Di recente, su richiesta della Linke, il governo federale ha dovuto ammettere che il numero di società controllate dalla FKS è trascurabile. Nel 2017 è stato controllato solo il 2,4% di tutte le aziende. Nel 2018 nel settore delle costruzioni sono stati controllati ben 13.000 datori di lavoro, con circa due milioni di dipendenti. "I datori di lavoro in Germania devono aspettarsi un controllo ogni 40 anni - un invito aperto a infrangere la legge", dice Susanne Ferschl, vice-capogruppo della Linke al Bundestag. Esperti e sindacati da tempo criticano la mancanza di personale alle dogane. È discutibile anche il fatto che a livello nazionale vengano annunciati dei raid su larga scala. Le dogane sostengono che ciò serva a scoraggiare i datori di lavoro dall'eludere le leggi sul salario minimo per ragioni di profitto.

Quanti lavoratori sono stati truffati sul salario minimo?

Ci sono solo stime. Uno studio del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung ha mostrato che il salario minimo ha portato ad un forte aumento dei salari più bassi, ma non tutti coloro che ne avevano diritto l'hanno poi ottenuto. Nel 2016, circa 1,8 milioni di persone idonee avrebbero guadagnato meno di 8,50 euro lordi, calcolato in base alle ore di lavoro previste dal loro contratto, il livello di salario minimo previsto all'epoca.

Qual è il salario minimo?

Il salario minimo, che nel 2017 era di 8,84 euro, dal 1° gennaio 2019 è salito a 9,19 euro. A partire dal 1 ° gennaio 2020 sarà aumentato a 9,35 euro. Ci sono inoltre molti salari minimi di settore negoziati dai sindacati e dai datori di lavoro all'interno dei contratti di categoria.



domenica 24 marzo 2019

"La Cina per Duisburg è un vero diamante"

A dirlo è il sindaco di Duisburg, la città renana che con il suo porto fluviale è diventata il capolinea della nuova "Via della Seta" su rotaia. Un progetto che sta portando grandi benefici economici alla città ex-industriale della Ruhr. Nel frattempo, sulla cosiddetta stampa di qualità tedesca i corrispondenti alla Piller accusano il governo italiano di aver messo a rischio l'unità dell'Europa (?), mentre ogni settimana a Duisburg arrivano dalla Cina almeno 25 treni da 60 container ciascuno. Ne scrive Deutschlandfunk 


Per decenni Duisburg è stato il simbolo del declino industriale dell'area della Ruhr. Ora però l'importanza della città come hub per le esportazioni cinesi sta crescendo. La Cina spedisce via treno fino al più grande porto fluviale d'Europa, attraverso la nuova "Via della Seta", una quota crescente delle sue merci.

Duisburg-Rheinhausen. Il terminal dei container del porto fluviale diventa rumoroso solo quando le colorate scatole d'acciaio vengono impilate l'una sull'altra. Altrimenti si sente solo il ronzio del ponte per i container alto oltre 40 metri. L'operatore della gru sta scaricando una nave che si trova sul molo.

Fino al 1993 qui c'era solo l'industria pesante. Sul sito, con sbocco diretto al fiume Reno, c'era un'acciaieria della Thyssen-Krupp, verso la fine degli anni '80 diventata nota in tutta la Germania. All'epoca migliaia di lavoratori protestarono contro la sua chiusura. Con catene umane, occupazioni e lanci di uova - ma non riuscirono a impedire la fine della loro acciaieria.

Oggi quel terreno viene nuovamente utilizzato - come porto e hub logistico:

"Se ogni anno vengono caricate e spedite 20.000 navi e 25.000 treni, può facilmente immaginare che nel porto c'è sempre molto da fare. E ciò che vale la pena ricordare, naturalmente, è che il numero dei treni è in costante aumento", afferma il presidente del porto Erich Staake.

Un uomo alto con un sigaro fumante in mano, che gestisce il porto da 20 anni, e dà forma allo sviluppo della città, dall'acciaio alla logistica.

25 treni alla settimana dalla Cina

I treni merci di cui parla Staake arrivano sempre più spesso dalla Cina. Sono venticinque alla settimana, e viaggiano dalla metropoli da 30 milioni di abitanti di Chongqing fino all'area della Ruhr. Fino ad un massimo di 60 container per treno, e dentro c'è tutto quello che l'Occidente chiede: elettronica, tessuti, giocattoli.

Circa la metà delle merci va nella direzione opposta. E almeno a partire dalla visita al porto del capo di stato cinese di quattro anni fa, anche la politica e l'economia di Duisburg hanno iniziato a guardare verso l'Estremo Oriente, afferma orgogliosamente Staake:

"Il presidente cinese Xi Jinping non è arrivato qui per caso. Probabilmente il nostro ex Presidente regionale e il nostro sindaco non l'avrebbero mai incontrato, se non ci fossimo impegnati a diventare il punto di partenza e di arrivo della nuova Via della Seta".

La Via della Seta! La parola chiave che fa brillare gli occhi ai responsabili della logistica e ai politici. Con questo progetto la Cina vorrebbe cambiare il commercio mondiale. Per questa ragione il paese sta costruendo una rete globale di porti, ferrovie e vie di trasporto per creare e garantirsi dei nuovi mercati di vendita.

"L'altro giorno ho ricevuto un'immagine dall'aeroporto di Shanghai. Si vede una mappa - Europa, Asia - e sul lato europeo sono segnate quattro città: Parigi, Londra, Berlino piuttosto piccole. E nel mezzo, bella grande c'è Duisburg".

La città della Ruhr è uno snodo centrale sulla Via della Seta. Ma Duisburg ne sta veramente beneficiando? Una città colpita duramente dai cambiamenti strutturali e ancora alle prese con una disoccupazione del 12%?

Il Sindaco della SPD Sören Link è fiducioso:

"Prima di tutto mi aspetto un crescente interesse per Duisburg come città di residenza per gli impiegati e i dipendenti cinesi, per gli studenti cinesi, e per tutti i cinesi in generale. Prevedo che Duisburg diverrà un interessante luogo di investimento per le società cinesi, così che alla fine per Duisburg ci si possa aspettare una crescita in termini di occupazione e una forte crescita economica".

Markus Taube lo conferma: l'economista dell'università di Duisburg-Essen ha lavorato intensamente sulla strategia della Via della Seta e ne ha studiato le conseguenze per Duisburg.

"Siamo stati in grado di dimostrare che nell'ambito di questa iniziativa della Via della Seta gli investimenti sono stati fatti e che sono stati creati posti di lavoro. Cioè, stiamo parlando di qualcosa di più di semplici container che arrivano qui a Duisburg e che poi da qui vengono spediti in tutto il mondo. Al contrario, intorno è nata una piccola industria che genera entrate fiscali per la città, crea posti di lavoro e, nel complesso, rafforza la reputazione e l'importanza della città".

La cooperazione è ancora agli inizi

Ma il presidente del porto Staake, il sindaco Link e l'esperto Taube sono d'accordo: c'è bisogno di un pensiero di lungo respiro, il progetto "Duisburg e la Via della Seta" è ancora nella sua fase iniziale. Sebbene vi siano investimenti individuali da parte di società cinesi, per ora si tratta di progetti iniziali".

Nel ventoso porto fluviale - un tempo orgoglioso e centenario centro commerciale della città - alcune persone vanno a fare una passeggiata. Molti hanno sentito parlare del progetto Cina. Cosa ne pensano gli abitanti di questo sviluppo?

"Molto interessante e importante, penso, per Duisburg. In generale, Duisburg non ha una buona reputazione".

"Bene, dico, gli scambi commerciali tra città non sono mai sbagliati."

"Siamo basati qui a Duisburg, produciamo lubrificanti e spediamo molta verso la Cina - attualmente si parla quasi sempre di trasporto aereo o marittimo - e ora dico però che la linea ferroviaria è di enorme interesse".

"Posti di lavoro ... Questo è un input importante, sicuramente."

Più commercio porta anche più camion

Circa 40.000 persone lavorano al porto, molte di loro arrivano da Duisburg.

Ma ci sono anche i problemi: i tanti camion che vanno al porto sono rumorosi e intasano le strade, gli ingorghi stradali fanno parte della vita di tutti i giorni, i residenti sono infastiditi. I sindacati si lamentano per i bassi salari della logistica. Tutto ciò resta un tema di discussione. E naturalmente la Cina con la Via della Seta persegue anche interessi geopolitici.

Il sindaco Sören Link lo sa. Ma non vede dipendenze e pericoli, almeno fino a quando si continuerà a comunicare allo stesso livello:

"La Cina per Duisburg è un vero diamante. Vogliamo continuare a lavorarci con verve e grande impegno. "


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