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martedì 4 febbraio 2020

Anche nel 2019 il surplus con l'estero tedesco è il piu' alto al mondo

Anche nel 2019, nonostante la guerra dei dazi e la Brexit, secondo i dati dell'istituto Ifo, i tedeschi hanno registrato un altro record nei conti con l'estero. Cresce l'export (di poco), rallentano le importazioni e soprattutto aumenta il saldo dei redditi primari derivanti da interessi e dividendi sugli investimenti esteri. Ne scrive Sputnik News 


La Germania nel 2019 ha esportato molto più di quanto ha importato: l'avanzo delle partite correnti tedesche è tornato a crescere e resta di gran lunga il piu' grande al mondo. Lo dimostrano gli ultimi dati dell'Institut für Wirtschaftsforschung (Ifo). Gli esperti giudicano in maniera controversa le conseguenze di un tale tendenza. 

Per il quarto anno consecutivo la Germania avrà il piu’ alto surplus con l’estero del mondo. "Prevediamo 293 miliardi di dollari o 262 miliardi di euro, pari al 7,6% del PIL. Nel 2018 era stato solo il 7,3 %", afferma Christian Grimme dell'Istituto Ifo, esperto di congiuntura economica. L'Unione europea ritiene che nel lungo periodo un avanzo con l’estero sia sostenibile fino ad un massimo del 6%. Le elevate eccedenze delle partite correnti tedesche, infatti, superano ampiamente gli obiettivi fissati dall'UE nell'ambito delle procedure di sorveglianza sugli squilibri macroeconomici e provocano pertanto forti critiche a livello internazionale. 


Gli economisti calcolano che il surplus delle partite correnti tedesche sia nettamente superiore a quello del Giappone, che registra un surplus di 194 miliardi di dollari (pari al 3,8 % Pil). La Cina si piazza al terzo posto con circa 183 miliardi di dollari (1,3 % del PIL). 

Al contrario, è probabile che gli Stati Uniti ancora una volta presentino il più grande deficit delle partite correnti del mondo - circa 490 miliardi di dollari. Ma ciò corrisponde solo al 2,3 % del PIL, sempre secondo I dati Ifo. Dietro ci sono il Regno Unito con un deficit di 117 miliardi di dollari (4,2 % del PIL) e il Brasile con $ 51 miliardi (2,9 % del PIL). 

La causa è la recessione? 

Questa volta, tuttavia, gli analisti ipotizzano che la recessione in corso nell'industria tedesca sia stata un importante fattore nel determinare il surplus record delle esportazioni: "l'import di beni è aumentato molto più lentamente", spiega Grimme. Dopo una forte partenza a inizio 2019, le esportazioni nel secondo trimestre non sono cresciute, chiarisce l'esperto economico. 

“Questo sviluppo è stato trainato principalmente da un crollo della domanda da parte del Regno Unito. L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, infatti, era originariamente prevista per la fine di marzo, per questo nel primo trimestre sono state acquistate più merci provenienti dalla Germania per riempire i magazzini in vista dell'introduzione delle imminenti barriere doganali", afferma il rapporto "Ifo". 

Ma già nella seconda metà dell'anno le esportazioni di merci sarebbero ripartite con forza. “L'aumento delle esportazioni verso gli Stati Uniti a causa del continuo deprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro USA, come la crescita delle esportazioni verso il Regno Unito, dove la domanda è tornata in qualche modo a salire, hanno determinato nella seconda metà dell'anno un netto aumento delle esportazioni tedesche. Al contrario nell'estate del 2019 le importazioni sono aumentate molto debolmente e la recessione industriale in corso in Germania ha rallentato le importazioni di beni intermedi" 

Il saldo dei redditi primari, che si basa principalmente sui reddito derivanti dagli investimenti all'estero, anche nel 2019, secondo i ricercatori Ifo, ha proseguito la sua forte crescita. Le eccedenze generate dai redditi primari rappresentano ormai il 37 % del surplus delle partite correnti tedeschie. Tale dato è generato da un reddito netto elevato proveniente da investimenti esteri diretti e investimenti in titoli. Gli economisti tuttavia sono ancora alquanto divisi su quanto possano essere considerati veramente redditizi gli investimenti tedeschi all'estero, osserva Grimme. 

Critica al surplus tedesco 

Non ci sono solo la Commissione europea e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ad essere infastiditi dalle enormi eccedenze tedesche. Anche il Fondo monetario internazionale (FMI) nel 2018 aveva già espresso la sua critica: "la persistenza di squilibri globali e condizioni di scambio sempre più inique alimentano dei sentimenti protezionistici", scriveva Maurice Obstfeld, capo economista del Fondo monetario internazionale (FMI), in un articolo su "Die Welt". Nell’articolo individuava una "minaccia di medio termine per la stabilità finanziaria globale". 

Il governo tedesco non vuole capire che le eccedenze comerciali tedesche violano le regole del commercio equo, critica l'ex sottosegretario Tedesco Heiner Flassbeck in un'intervista a Sputnik: 

"Non può esserci commercio equo se un paese continua ad avere delle enormi eccedenze", afferma Flassbeck. “La Germania ha un enorme surplus delle esportazioni verso il resto del mondo, perché fin dall'inizio dell'Unione monetaria ha praticato il dumping salariale senza aumentare i salari in maniera adeguata,” critica l'economista. “Ciò significa che la Germania si è procurata con l'inganno un vantaggio competitivo nei confronti degli altri partner europei. E ciò ha reso anche l'euro relativamente debole. Il dollaro USA in termini reali fino ad ora ha continuato ad apprezzarsi. Ciò significa che gli americani hanno continuato a perdere competitività. Questo infastidisce Trump e su questo punto ha pienamente ragione", afferma Flassbeck. 

Il noto analista finanziario ed esperto economico Folker Hellmeyer, invece, contraddice con forza questa posizione. Il saldo dell'export tedesco, secondo lui, sarebbe espressione dell'attrattività e della competitività dei prodotti Made in Germany: "perché abbiamo merci che sono richieste a livello internazionale". E ciò rende la Germania un forte paese esportatore. “Non siamo necessariamente più economici degli altri. Stiamo esportando nel segmento di mercato piu' alto. Ci comprano, non solo perché il prodotto è buono, ma anche perché offriamo la garanzia di un servizio anche in seguito", sottolinea l'analista capo di "Solvecon Invest" di Brema. 

Cifre inaffidabili per i saldi bilaterali 

Ultimo, ma non meno importante, gli esperti "Ifo" parlano anche dei saldi bilaterali delle partite correnti, ripetutamente criticati dal governo degli Stati Uniti. Il presente studio non ha deliberatamente affrontato questi aspetti, poiché gli attuali lavori di ricerca fanno emergere dei seri dubbi sull'affidabilità della base dei dati economici. Gli esperti economici Martin Braml (Ifo) e Gabriel Felbermayr (Ifw Kiel) hanno dimostrato che per ogni anno dell'ultimo decennio non è chiaro se l'UE abbia avuto un avanzo bilaterale delle partite correnti o un disavanzo nei confronti degli Stati Uniti. "Nel calcolo del saldo bilaterale delle partite correnti, le statistiche europee e americane mostrano una differenza di 180 miliardi di dollari (2017)", afferma lo studio. Secondo i dati delle partite correnti di Eurostat, invece, l'UE avrebbe un avanzo commerciale di 307 miliardi di euro, vale a dire meno del 2% del PIL europeo del 2018. Si tratta "in realtà di qualcosa impossibile", osservano i ricercatori.

sabato 6 aprile 2019

La scienza economica come ideologia per la legittimazione del mercantilismo

Come sia possibile utilizzare la "scienza economica" per legittimare l'ideologia mercantilista e gli interessi degli esportatori tedeschi, secondo Michael Wendl, lo fornisce il recente esempio del Consiglio consultivo incaricato dal Ministero dell'economia di Berlino. Per Wendl, economista, sindacalista e politico della SPD, l'obiettivo del comitato di studiosi incaricato dal governo tedesco probabilmente era proprio quello di dare un supporto scientifico ai tradizionali argomenti mercantilisti. Ne scrive un ottimo Michael Wendl su Blickpunkt-Wiso


La  legittima critica al surplus commerciale estero tedesco continua a essere sminuita da piu' parti. Un esempio particolarmente discutibile è stato recentemente fornito dal Consiglio Consultivo del Ministero Federale dell'Economia.

A fine marzo è stato pubblicato un rapporto del Consiglio scientifico del Ministero Federale dell'Economia (BMWi), con il quale i membri del Consiglio consultivo si sono espressi in merito alle elevate (e croniche) eccedenze commerciali tedesche. La critica di Donald Trump al surplus commerciale estero tedesco verso gli Stati Uniti è ben nota, ma oltre a Trump anche l'OCSE, il Fondo Monetario Internazionale, i politici degli altri paesi della zona euro, alcuni economisti di fama internazionale e non da ultimo la Commissione europea si sono espressi in maniera critica sui permanenti eccessi di conto corrente tedeschi. L'UE  inoltre ha formulato una norma di stabilità intesa a garantire che le eccedenze delle partite correnti nazionali non superino il 6 % del PIL. Sebbene le eccedenze tedesche negli ultimi anni siano sempre state tra il 7,2 e l'8,6 % del PIL, la Commissione europea non ha osato avviare le misure concordate.

La reazione del governo federale tedesco e della maggior parte degli economisti su questo tema è stata quella di sostenere che la forte domanda di esportazioni tedesche è un segno dell'elevata qualità della produzione tedesca e di un'elevata competitività, e quindi va oltre la responsabilità della politica. I critici ovviamente non sono così ingenui da accontentarsi solo di così poco - e forse questo è proprio il motivo per cui il Comitato di esperti economici ha dovuto ribadire il concetto "dal punto di vista scientifico". A tal fine si è formato un comitato consultivo di economisti che ideologicamente può essere attribuito in maniera prevalente all'ordoliberalismo tedesco.
(...)

Comanda il conto capitale o il saldo commerciale?

Il comitato consultivo, per giustificare le eccedenze di conto corrente tedesche, presenta due argomenti. Il primo è l'argomento secondo il quale una società che invecchia (come quella tedesca) deve accumulare grandi risparmi per potersi fare carico in futuro di un'alta percentuale di persone non occupate. L'esportazione dei risparmi tedeschi sarebbe quindi un'assicurazione per il futuro. La tesi secondo cui una società che invecchia tende a risparmiare e che i risparmi spingono verso l'esportazione di capitali ha due precondizioni. In primo luogo, che il saldo del conto capitale venga prima del conto corrente, e che la bilancia commerciale ne segua i risultati. Questa era la visione dell'economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk (1914), il quale ancora oggi ha molti seguaci. Sotto la condizione che l'oro rappresenti la moneta mondiale, questa tesi potrebbe essere ancora valida. Oggi tuttavia le importazioni sono finanziate dalla creazione di moneta e credito senza alcuna copertura aurea. In questo senso ad essere un problema non è il fatto che i risparmi delle famiglie e delle imprese statunitensi siano relativamente bassi. I risparmi (il conto capitale) equivalgono agli acquisti e agli investimenti (partite correnti) solo nell'ideologia neoclassica, ma non nella realtà economica. La bilancia commerciale è la dimensione piu' rilevante, ed è seguita dal conto capitale. In secondo luogo, la teoria dell'esportazione di capitali presuppone che le banche siano solo intermediari di denaro, che raccolgano risparmi ed erogano dei prestiti. Nella realtà invece creano denaro dal nulla - e i loro prestiti finanziano gli investimenti, che a loro volta generano reddito e risparmi. Questa è stata una scoperta chiave di Keynes nella sua critica alla dottrina classica, la quale ipotizzava che i risparmi servissero semplicemente a finanziare gli investimenti. Entrambi i presupposti della tesi secondo cui, una società che invecchia tende a risparmiare di piu', e che i risparmi spingono all'esportazione di capitali non sono quindi veri.

Il secondo argomento per giustificare l'avanzo delle partite correnti tedesche è quello secondo il quale la liberalizzazione del mercato del lavoro e la conseguente riduzione del costo del lavoro sarebbero state la correzione necessaria dopo un eccessivo apprezzamento del Marco causato dalla riunificazione tedesca e quindi solo un riflesso necessario di un corso errato. Questa tesi è falsa, anche perché nel periodo immediatamente successivo alla riunificazione c'era stato un surplus commerciale significativo e pertanto non vi è alcuna ragione per parlare di una sopravvalutazione del Marco. La fase di moderazione salariale generale in Germania inizia nel 1996. La stessa liberalizzazione del mercato del lavoro è responsabile dell'espansione del settore a basso reddito, ma non per la crescente competitività internazionale delle aziende tedesche. L'avanzo corrente elevato si fonda su una debole domanda interna, in quanto la moderazione salariale e la deflazione hanno funzionato doppiamente: in primo luogo, come un vantaggio competitivo aggiuntivo grazie all'effettiva diminuzione del costo unitario del lavoro, in secondo luogo, come indebolimento della domanda interna. Per questa ragione l'inflazione tedesca è rimasta piu' bassa rispetto a quella dei paesi importatori, fatto che si è tradotto in una vera e propria svalutazione reale dei prodotti tedeschi - che di fatto sono diventati più economici rispetto ai prodotti degli altri paesi.

Il ruolo della tassa sul valore aggiunto

L'importo delle imposte sulle vendite o dell'IVA incide sul saldo della bilancia commerciale, in quanto questa imposta deve essere pagata sulle importazioni verso la Germania, ma non viene pagata sulle esportazioni tedesche. A tale riguardo il Consiglio consultivo esamina l'effetto di una possibile riduzione dell'IVA sulla bilancia commerciale. Attraverso la riduzione dell'IVA dal 19 % al 16 % e alla compensazione delle relativa riduzione delle entrate fiscali mediante un aumento delle imposte sul reddito, le importazioni verso la Germania diverrebbero più convenienti, e in tal modo si ridurrebbe lo squilibrio fra esportazioni e importazioni. Il Consiglio pertanto suggerisce implicitamente che con l'aumento dell'IVA del 2007 e con la contemporanea riduzione dei contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione si è verificata una correzione politica delle ragioni di scambio in favore dell'export tedesco. Il Consiglio tuttavia respinge tali misure in quanto ritiene che maggiori imposte sul reddito limiterebbero l'offerta di manodopera più produttiva e allo stesso tempo smorzerebbero la domanda di lavoro di manodopera poco qualificata. Non è chiaro tuttavia se il governo con l'aumento dell'IVA del 2007 abbia intenzionalmente mirato ad influenzare politicamente un aumento dell'eccedenza delle partite correnti. Se così fosse, allora sarebbe vero il contrario.

Il rifiuto del comitato consultivo non è supportato da argomenti; resta un segreto come possano aver definito la produttività dei singoli lavoratori. La loro tesi si basa sul dogma secondo il quale il livello dei salari equivale alla produttività dei lavoratori. Questa produttività tuttavia non può essere misurata empiricamente in un'economia basata sulla divisione del lavoro. A tale proposito la riflessione del Consiglio consultivo finalizzata alla riduzione dell'IVA e all'aumento della progressività dell'imposta sul reddito è una proposta sensata. Combinare tutto ciò con un aumento dei contributi previdenziali aumenterebbe il costo del lavoro, che a sua volta ridurrebbe il surplus delle partite correnti. Anche qui è chiaro che il Consiglio consultivo in realtà non vuole una riduzione di queste eccedenze. Viene respinto anche il rafforzamento della domanda interna da realizzare attraverso la spesa pubblica espansiva in quanto il moltiplicatore della spesa del governo sarebbe inferiore rispetto al moltiplicatore fiscale, il che significa che i tagli fiscali avrebbero effetti di crescita più elevati rispetto agli aumenti della spesa pubblica. Qui il comitato consultivo fa riferimento alla "letteratura più recente" del 2009 (!), sebbene calcoli più recenti (ad esempio di Olivier Blanchard) sulla effettiva dimensione del moltiplicatore della spesa pubblica e la conseguente discussione che ne è nata abbiano portato a risultati opposti.

Effetti della politica salariale

In merito alla questione della politica salariale il Consiglio consultivo ha discusso gli effetti dell'aumento del livello dei salari nel settore pubblico, il quale verrebbe immediatamente seguito da un aumento dei salari nel settore privato. Ciò è tuttavia irritante in quanto nella politica di contrattazione collettiva tedesca, la gestione delle tariffe, degli stipendi e l'orario di lavoro nel settore delle esportazioni è in mano alla IG Metall. Invertire questo rapporto di forza non è realistico, dato il potere di sciopero esistente nei vari settori dell'economia. Ciò dimostra anche che il Consiglio consultivo non comprende la politica contrattuale tedesca e le sue particolarità. Il Consiglio consultivo, inoltre, rifiuta anche di riconoscere il fatto che un aumento degli stipendi sarebbe un mezzo per la riduzione degli avanzi delle partite correnti. Senza dubbio salari più elevati comporterebbero un apprezzamento del basso tasso di cambio reale tedesco, ma allo stesso tempo vi sarebbero effetti recessivi nell'economia che ridurrebbero la domanda di importazioni mettendo a repentaglio l'occupazione. Su questa base teorica pertanto è anche logico che il Consiglio non discuta di un aumento del salario minimo legale. Per loro l'aumento dei salari in genere è una minaccia per l'economia tedesca e porta alla recessione.

Il Consiglio consultivo inoltre non si preoccupa di confrontarsi con le eccedenze finanziarie nette delle società tedesche non finanziarie e di riequilibrare l'economia secondo le eccedenze e i disavanzi dei diversi settori.


Poiché in un'economia ogni credito è sempre accompagnato da una passività dello stesso importo, il saldo di tutte le attività e delle passività in un'economia è sempre pari a zero. Questi crediti e queste passività sono distribuiti in maniera non uniforme fra i diversi settori economici. In Germania, le famiglie, le aziende e il settore pubblico hanno accumulato dei crediti riducendo i corrispondenti debiti. Il surplus del commercio estero resterà tale finché i saldi dei tre settori nazionali nel loro complesso resteranno positivi. Probabilmente non vogliono capire una tale analisi macroeconomica, perché questa contraddice con i loro dogmi ordoliberali.

Conclusione

Che gli elevati e permanenti surplus commerciali e di conto corrente con l'estero costituiscano per la zona euro un rischio significativo e che per i partner commerciali implichino degli svantaggi permanenti, in quanto questi paesi resteranno cronicamente indebitati, e che la strategia dell'export tedesco porta ad una de-industrializzazione di questi paesi, per il comitato consultivo apparentemente non è un problema. Vengono discusse anche alcune proposte molto sensate per ridurre queste eccedenze, ma vengono tutte rifiutate in maniera più o meno decisa. Ciò dimostra che il Consiglio stesso ha cercato di supportare le argomentazioni in favore del mercantilismo tedesco. Il rapporto, pertanto, aveva la funzione principale di respingere le critiche provenienti dall'estero e dalle istituzioni economiche di fama internazionale.

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domenica 31 marzo 2019

Sorry, Mister Trump, non possiamo farci niente!

Suona piu' o meno cosi' la risposta che un consiglio di economisti incaricati dal governo tedesco ha dato alla richiesta americana di ridurre gli avanzi commerciali. Una risposta che ovviamente piacerà molto al committente, il Ministro dell'Economia Peter Altmaier, e un po' meno alla controparte americana. Ne scrive Der Spiegel 


"Benvenuti ad una presentazione su un argomento molto arido": con questo avvertimento Albrecht Ritschl giovedì scorso ha aperto la presentazione dello studio commissionato dal governo sul surplus delle partite correnti tedesche. In realtà, il tema dei flussi di merci e di capitali negli ultimi anni si è fatto decisamente piu' interessante.

Ciò è dovuto principalmente al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Da tempo, infatti, Trump critica con forza il fatto che la Germania esporti molti piu' beni di quanti non ne importi, e sostiene che sia arrivato il momento di cambiare lo stato delle cose con l'aiuto di dazi commerciali punitivi. Anche la Commissione europea, l'Organizzazione dei paesi industrializzati OCSE e il Fondo monetario internazionale sono uniti nel criticare le ampie eccedenze commerciali.


La politica tedesca, che da sempre difende il surplus delle esportazioni considerandolo il risultato di un'economia particolarmente efficiente, si trova ora nella spiacevole situazione di dover dare delle spiegazioni, come del resto accade anche al Ministro federale dell'Economia Peter Altmaier (CDU). Il suo comitato scientifico consultivo ha analizzato, almeno dal punto di vista teorico, se in materia di eccedenze commerciali vi sia spazio per un cambiamento. Il risultato probabilmente piacerà molto più al ministro tedesco che non al presidente degli Stati Uniti. In poche parole: Sorry, signor Trump, non possiamo farci niente!

Detto con parole un po' piu' ufficiali, il gruppo di studiosi è giunto alla conclusione che una "marcata riduzione" delle eccedenze sarebbe "possibile solo con delle forti scosse". Sotto la guida dello storico dell'economia Ritschl, gli economisti hanno esaminato quattro opzioni.

La piu' popolare fra i tedeschi probabilmente è l'opzione di un taglio dell'IVA, che l'economista Carl Christian von Weizsäcker aveva già messo in campo due anni fa in risposta alle prime minacce di Trump. Dato che la riduzione renderebbe anche i beni e i servizi provenienti dall'estero più economici, i tedeschi consumerebbero piu' beni riducendo così il surplus tedesco

Se l'Iva venisse ridotta dall'attuale 19 % al 17 %, secondo lo studio, si avrebbe una "leggera riduzione del saldo di conto corrente", accompagnata tuttavia da un "forte aumento del debito pubblico", sempre secondo l'analisi.

Gli economisti arrivano a questa conclusione anche perché escludono di finanziare la misura attraverso maggiori imposte sul reddito. A ciò si deve aggiungere il fatto che lo stato attualmente può indebitarsi a condizioni favorevoli a causa dei bassi tassi di interesse.

Un membro del gruppo di studiosi tuttavia contraddice questo atteggiamento scettico. Alla luce dei bassi tassi di interesse una riduzione delle imposte finanziata a debito avrebbe "effetti più forti di quelli ipotizzati e il conseguente aumento del debito pubblico sarebbe più lento di quanto indicato nell'analisi".

Una tassa come nel 1968?

Una seconda opzione sarebbe quella di aumentare le imposte sulle vendite generate dall'export. "Una tassa sull'export è qualcosa di fondamentalmente simile a un dazio che viene prelevato non dai paesi stranieri ma dal paese esportatore", afferma Ritschl. In effetti, già nel 1968 per un breve periodo era stata introdotta una tassa simile. Oggi, tuttavia, sarebbe difficile da far rispettare in quanto la politica doganale è una priorità dell'UE.

Gli economisti ritengono inoltre che in questo modo si potrebbe danneggiare l'attività economica interna. Alla fine una tale tassa sull'export, a loro avviso, potrebbe rallentare le esportazioni, ma lasciare il conto corrente invariato: e cioè accadrebbe nel caso in cui gli esportatori tedeschi a causa del loro potere di mercato riuscissero ad imporre dei prezzi più elevati ai loro clienti.

Il giudizio su di un eventuale intervento in materia di politica salariale è ancora più chiaro. Senza dubbio l'aumento dei salari potrebbe aumentare la domanda di beni stranieri, in maniera simile a una riduzione dell'IVA. Ma data l'economia di mercato e l'autonomia della contrattazione collettiva fra le parti, lo stato  al massimo potrebbe esercitare una certa influenza attraverso la contrattazione nel servizio pubblico, così secondo gli economisti. I salari inoltre attualmente stanno continuando ad aumentare. Gli interventi politici in questo contesto sarebbero dannosi. 

Il consiglio consultivo si troverebbe senza dubbio molto piu' a suo agio con dei possibili sgravi fiscali da applicare sugli investimenti in Germania. Perché parte del problema della bilancia dei pagamenti tedesca risiede nel fatto che i tedeschi risparmiano più della media, ma investono gran parte dei loro risparmi all'estero - per questa ragione in patria c'è una mancanza di investimenti.

Lo stato potrebbe neutralizzare questo effetto, riducendo la tassazione sui redditi da capitale derivanti da investimenti interni - ad esempio riducendo significativamente le imposte sulle società o facilitando la svalutazione delle immobilizzazioni. In alternativa potrebbe rendere gli investimenti all'estero meno attraenti, ad esempio se il fisco limitasse l'esenzione dalla doppia imposizione.

Secondo i calcoli, diversamente da quanto accadrebbe con una tassa sulle esportazioni, questa strategia stimolerebbe effettivamente l'economia tedesca, aumenterebbe gli investimenti e le entrate pubbliche e alla fine ridurrebbe le eccedenze. Lo strumento è "in un certo qual modo utile" e non avrebbe "effetti collaterali importanti", afferma Ritschl. Tuttavia, come in tutti gli scenari, gli effetti sulle partite correnti sarebbero "alquanto ridotti".

Un messaggio confortevole per il governo federale

Non c'è da stupirsi che il Ministro dell'Economia Altmaier abbia subito accolto con favore la relazione. Alla fine il documento non fa che dare coraggio al governo nel suo atteggiamento, cioè: fare molto poco per contrastare le eccedenze commerciali. Gli scienziati inoltre sottolineano che la Germania è fortemente legata alle economie degli altri paesi, come invece accade solo ad economie minori, ad esempio la Svizzera o la Danimarca.

"Mentre le loro eccedenze non sono significative a livello internazionale, quelle tedesche sono invece diventate oggetto di un conflitto politico internazionale", dice lo studio. La Repubblica federale ha un'influenza molto limitata sulla sua situazione, soprattutto perché non può più gestire la politica dei tassi di cambio in quanto parte della zona euro.

Questi argomenti sono stati ripetuti più e più volte a Trump e agli altri, ma non hanno modificato la critica mossa alla Germania. "L'insoddisfazione è tangibile, anche io faccio questa esperienza quando sono all'estero", ha detto Ritschl, che insegna alla London School of Economics. Ancora più chiaro è stato quel membro del Consiglio consultivo che sulla riduzione dell'IVA ha dato un voto di minoranza: "Il rapporto sottovaluta la grande urgenza di risolvere il problema".

martedì 29 gennaio 2019

Perché gli industriali non ne vogliono sapere di guarire dall'esportismo

Nonostante gli enormi avanzi commerciali degli ultimi anni, ai primi segnali di rallentamento delle esportazioni i giornaloni e gli istituti di ricerca vicini alla lobby dell'export fanno partire i soliti allarmi sul costo del lavoro. Gli industriali tedeschi di fatto non ne vogliono sapere di collaborare con i paesi del sud e di far guarire la prima economia europea dalla grave patologia che la affligge, l'esportismo. Ne parla Die Welt su dati IW


Costosi ma buoni e affidabili, questa almeno è la reputazione che i prodotti dell'industria tedesca hanno all'estero. I dati sull'export tedesco riempiono di orgoglio e mostrano che i prodotti Made in Germany sono richiesti in tutto il mondo. Recentemente le esportazioni tedesche, tuttavia, sembrano essersi fermate. Ciò è dovuto anche al fatto che i nuovi dazi e le minacce di protezionismo stanno frenando il commercio internazionale. 


Ma una parte dei problemi sembra essere fatta in casa. La Repubblica federale con i suoi costi elevati si trova nella parte piu' alta della scala dei prezzi e a soffrire per l'indebolimento dell'economia globale non ci sono solo i beni industriali sulla cui produzione la Germania si è specializzata. 

Spesso la Germania deve sentirsi ripetere la solita critica: i tedeschi avrebbero ottenuto i loro successi nell'export grazie a un'eccessiva moderazione salariale. I dati dell'Institut der Deutschen Wirtschaft (IW) tuttavia mostrano che per quanto riguarda la produzione di beni industriali la Repubblica federale non può essere considerata un paese a basso costo del lavoro. 

Gli economisti dell'istituto di ricerca (vicino ai datori di lavoro) hanno calcolato il livello raggiunto dal costo del lavoro tedesco rispetto agli standard internazionali. La risposta è: la Germania è un paese di produzione costoso e l'accusa di dumping o di una iniqua moderazione salariale non può essere confermata dai fatti. "In Germania non si può in alcun modo parlare di una schiacciante compressione salariale", afferma Christoph Schröder, economista presso l'IW di Colonia. 


L'analisi dell'istituto è a disposizione di WELT e mostra ad esempio che le aziende francesi, in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, possono produrre a prezzi molti simili a quelli tedeschi. In Belgio, Austria, Spagna o Paesi Bassi i costi sono ancora più bassi. Le loro attività dal punto di vista dei prezzi si trovano quindi in una situazione competitiva migliore rispetto a quelle del nostro paese 

Le esportazioni tedesche stanno perdendo slancio 

Recentemente le esportazioni in quanto motore di crescita dell'economia tedesca hanno perso slancio. A novembre, secondo gli ultimi dati disponibili, le esportazioni tedesche sono addirittura diminuite rispetto al mese precedente. "Il motore della crescita sta balbettando", ha detto Carsten Brzeski, economista capo di ING in Germania, il modello di business orientato all'export "Made in Germany" inizia a vacillare. 

Ma non bisogna necessariamente arrivare al peggio; in passato, il settore delle esportazioni tedesche si è dimostrato estremamente resistente rispetto alle tensioni globali. "La combinazione unica fra specializzazione di prodotto e diversificazione geografica ha contribuito a compensare la debolezza e i problemi dei singoli partner commerciali", spiega Brzeski. Le cose però ora potrebbero cambiare. 

Solo un crollo dell'economia mondiale simile a quanto accaduto nel 2008-09 potrebbe far affondare le esportazioni tedesche, ricorda Brzeski. Anche se la situazione attuale nel complesso è ancora molto diversa rispetto a quella della crisi finanziaria, nel settore delle esportazioni è tuttavia possibile fare alcuni parallelismi: problemi sui mercati emergenti, le tensioni tra Washington e Pechino, il protezionismo americano, un possibile rallentamento dell'economia cinese e il rischio di una hard Brexit. 

"Sembra che in questo momento nel commercio mondiale ci siano piu' crisi di quante l'industria dell'export tedesca ne possa affrontare. Anche l'euro debole ha fatto poco per la crescita dell'export tedesco", dice l'economista. 


Il costo del lavoro in Germania è relativamente alto 

In una fase di rallentamento economico la questione dei costi di produzione viene di nuovo presa piu’ seriamente rispetto a quanto non accadesse pochi anni fa. Il risultato è chiaro: esaminando i salari e il costo del lavoro degli altri paesi, la Germania è sicuramente uno dei paesi industrializzati più costosi al mondo. Nella classifica dell'IW sui paesi con il costo del lavoro piu' alto la prima economia europea si trova al quarto posto. 

"Solo in Norvegia, Belgio e Danimarca il costo del lavoro è più alto che nel nostro paese", dice Michael Grömling, capo del gruppo di ricerca sull'analisi macroeconomica e congiunturale all'IW. Anche l'idea che la Germania, grazie ad un euro troppo sottovalutato rispetto alla forza dell’economia tedesca, possa produrre a dei prezzi molto piu' bassi rispetto a quelli degli altri paesi europei non sembra essere corroborato dai dati. 

"Nel complesso, la Germania si trova sullo stesso livello degli altri paesi dell'area dell'euro. Il confronto fra i paesi non indica un particolare vantaggio competitivo in termini di costo per la Germania", osserva Grömling. Sebbene il costo della manodopera in Francia e nei Paesi Bassi sia un po' piu' basso che in Germania, in Belgio invece un po’ piu' alto. 

Il bilancio finale non cambia se gli economisti, invece del solo costo del lavoro, prendono in considerazione anche la produttività. Mettendo in relazione il costo del lavoro con la produttività, il risultato è il cosiddetto costo unitario del lavoro e cioè il costo del lavoro per unità di prodotto. Il costo del lavoro per unità di prodotto è considerato una misura importante della competitività di prezzo di una nazione. 

Anche il costo del lavoro per unità è al vertice 

Se la produttività di un'azienda è elevata, l'azienda può anche pagare salari e contributi sociali elevati senza mettere a rischio la propria competitività. La buona notizia: in termini di produttività le aziende tedesche sono al di sopra della media. Le cattiva notizia: non sono abbastanza produttive da poter compensare i recenti aumenti dei costi. 


"Il costo del lavoro per unità di prodotto nell'industria tedesca è elevato, sebbene la produttività sia chiaramente superiore rispetto alla media dei paesi industrializzati", afferma lo studio dell'IW. I lavoratori sono più produttivi, ad esempio, nei paesi scandinavi, in Belgio, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti. 

In termini di costo unitario del lavoro, oltre a Norvegia e Gran Bretagna, anche Italia e Francia risultano essere dei paesi costosi. Ma poi c‘è la Repubblica federale. Al contrario, le aziende possono produrre ad un prezzo piu' basso in Belgio, nei Paesi Bassi, in Finlandia e in Grecia. 

Molto più economico è anche il Giappone (86% della massa salariale tedesca) e gli Stati Uniti (80%). Gli effetti dei tassi di cambio, come ad esempio l'euro debole degli ultimi anni, sono già inclusi in questo calcolo. Non si può parlare di metodi sleali che favoriscano gli esportatori tedeschi. 

"In definitiva, l'elevato livello del costo del lavoro per unità dimostra che in Germania il livello di produttività non è tale da compensare lo svantaggio derivante dall'elevato costo del lavoro", afferma Grömling. Per quanto riguarda il costo del lavoro per unità, in media i paesi dell'area dell'euro sono all’incirca alla pari con la Repubblica federale. L'IW colloca il livello unitario del costo del lavoro dei paesi dell'unione monetaria, esclusa la Germania, al 97% di quello tedesco. 

L'economia della Germania in termini di costi non è in cima alla classifica 

"Il confronto fra i livelli non evidenzia un particolare vantaggio competitivo della Germania in termini di costi", sottolineano i ricercatori dell'IW. E i dati mostrano inoltre che la più grande economia d’Europa in termini di disciplina dei costi non ha fatto meglio degli altri. Dal 2011, infatti, non è stata osservata alcuna moderazione salariale, o almeno una moderazione che abbia conferito all'economia più grande d'Europa degli evidenti vantaggi competitivi, come invece più volte suggerito dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. 

Non sembra esservi tuttavia alcun motivo per farsi prendere dal panico, e alcuni economisti mettono addirittura in guardia da una eccessiva moderazione salariale che finirebbe per colpire i consumi interni. "Negli ultimi anni, la competitività di prezzo della Germania effettivamente si è leggermente deteriorata, sia verso l'area dell'euro che a livello globale", ammette Brzeski. 

Questa riduzione di competitività tuttavia può essere sopportata: "salari più alti hanno favorito il consumo interno e hanno reso il modello economico tedesco un po 'più equilibrato", afferma l'uomo di ING. 

All'industria delle esportazioni potrebbe anche non piacere, ma l’economia nel suo complesso in questo modo sta diventando a prova di crisi. Inoltre il costo unitario del lavoro non può essere considerato l'unico criterio di valutazione per un'economia competitiva. Per le innovazioni tecnologiche e i prodotti legati agli stili di vita, i prezzi in tutto il mondo sono molto più alti che non per i beni prodotti in serie.

domenica 12 agosto 2018

Fermate il "Deutschland-bashing" ovvero la controffensiva tedesca in difesa dell'export

Dopo l'atto di accusa del FMI e i tweet di Trump, Die Welt schiera l'economista Thomas Straubhaar per lanciare la controffensiva tedesca in difesa dei surplus commerciali. Per il professore di Amburgo il FMI utilizza dei modelli superati mentre la contabilità nazionale non avrebbe piu' alcuna importanza perché ormai è stata superata dalla globalizzazione. Secondo Straubhaar è necessario fermare il "Deutschland-bashing" perché i tedeschi in fondo sono gli unici ad aver capito la globalizzazione. Da Die Welt


I fatti parlano da soli. La Germania detiene il record mondiale: gli avanzi delle partite correnti sono considerevolmente superiori rispetto a qualsiasi altra economia. Secondo le ultime statistiche pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) a giugno l'avanzo tedesco ammonterebbe a oltre 300 miliardi di dollari.

Anno dopo anno circa l'8% del PIL tedesco non va a vantaggio dell'economia nazionale, ma dell'estero. In cambio anno dopo anno i crediti tedeschi nei confronti dei debitori esteri aumentano dell'8% annuo.

Nella classifica dei paesi in surplus segue il Giappone con 200 miliardi di dollari, al terzo posto c'è la Cina con 165 miliardi di dollari. Tutte le altre economie hanno un surplus ben al di sotto dei 100 miliardi di dollari.

Ci sono poi altri paesi come gli Stati Uniti che con un deficit di 466 miliardi di dollari annui registrano il piu' grande deficit del mondo, oppure il Regno Unito con poco meno di 100 miliardi di dollari di deficit estero.

E' un fatto e non una fake-news che la Germania e la sua popolazione da anni vivono al di sotto del livello che sarebbe possibile in base alla performance economica. L'8% del PIL annuo viene risparmiato sotto forma di crediti verso l'estero, denaro che non viene speso per consumi e investimenti in Germania.

I tedeschi scambiano i loro beni con dei titoli di debito

I tedeschi, invece di godersi la vita oggi, preferiscono scambiare le loro merci sui mercati mondiali con dei titoli di debito con i quali in un futuro piu' o meno lontano potranno essere acquistati e pagati dei beni. Proprio come fanno i privati quando risparmiano per potersi permettere un giorno una casa, un auto o un viaggio con quei soldi risparmiati.

I posti di lavoro tedeschi, finanziati dai clienti americani, non possono pertanto essere considerati una conseguenza giusta ed equa del libero mercato, almeno secondo il verdetto di Donald Trump. Se il contenimento della spesa - sia per il consumo che per gli investimenti - è la vera causa dello squilibrio delle partite correnti, allora la soluzione è ovvia: Germania in futuro concediti qualcosa in piu' di quanto tu non abbia fatto fino ad ora. Risparmia di meno, consuma di piu' e fai piu' investimenti.

La Germania può investire di più e aumentare i salari

Spendi piu' denaro, aumenta i salari e la spesa pubblica, stendi cavi di fibra ottica, migliora le reti digitali e modernizza l'infrastruttura statale. Con piu' investimenti anche in futuro potrai garantirti una migliore performance economica e assicurare un futuro migliore al figlio dei tuoi figli.

Senza dubbio i costi di produzione in Germania stanno aumentando, il che riduce la competitività internazionale. Sta quindi migliorando la posizione competitiva del paesi esteri!

E se i tedeschi guadagnano un po' di piu' e possono permettersi anche qualcosa in piu' allora cresceranno le importazioni - anche se dovessero solo concedersi una vacanza in qualche luogo remoto del mondo. Tutto bene nella misura in cui gli squilibri di conto corrente possono essere ridotti.

La logica semplice e conclusiva di eliminare gli avanzi delle partite correnti attraverso l'aumento dei consumi, degli investimenti, dei salari e delle spese governative viene applicata nei consigli forniti dal FMI e dal suo capo-economista Maurice Obstfeld.

La Germania dopo tutto dovrebbe sfruttare il suo attuale spazio fiscale per far crescere la domanda interna attraverso un sensibile aumento della spesa pubblica, ad esempio investendo di piu' in infrastrutture.

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Le riforme strutturali fondamentali dovrebbero fare in modo che le imprese investano a casa propria senza dover spostare il denaro all'estero. Altrettanto coerente è il riferimento a un cambiamento della durata della vita lavorativa al fine di ridurre il tasso di risparmio. Incrementi salariali piu' elevati nel quadro di un mercato del lavoro in tensione aumenterebbero anche la domanda interna.

La visione meccanicistica del FMI è superata

Cio' che sconcerta nell'intero ragionamento è la visione alquanto meccanicistica degli esperti del FMI che trascura in particolare alcuni importanti cambiamenti che negli ultimi anni hanno messo in questione la vecchia visione dell'economia e in particolare l'approccio della teoria del commercio estero. La realtà del 21° secolo è molto piu' complessa di quanto i modelli del FMI vorrebbero ammettere.

Primo: è semplicemente sbagliato dire che la Germania e la "Germania spa" sono identici - e che forniscono beni e servizi all'estero. Chi critica la Germania per i suoi surplus di conto corrente ipotizza che la Germania segua un modello di economia pianificata alla DDR in cui il governo federale puo' dettare in maniera dittatoriale la quantità delle esportazioni, delle importazioni, dei risparmi e degli investimenti e che puo' intervenire direttamente nella formazione dei salari - come se non esistesse la contrattazione collettiva.

Oppure non ha capito che in un'economia di mercato il costrutto "Germania" come entità auto-operante non esiste. Le "economie" non sono "aziende". Sono sempre e solo le singole imprese oppure le persone e non i paesi a produrre e commerciare, comprare o vendere, investire oppure risparmiare, ad essere competitivi, ad avere successo oppure fallire.

Secondo: è necessario spiegare perché la Germania ha un enorme surplus commerciale in termini di merci (hardware), ma nei servizi (software) registra un significativo deficit commerciale. Tutto quello che vale per il commercio dei prodotti industriali, vale a dire macchinari, veicoli, attrezzature e prodotti trasformati, viene completamente capovolto da cio' che accade nel settore dei servizi.

Perché in questo ambito i campioni del mondo sono gli Stati Uniti. Nei servizi generano un avanzo annuale di quasi 250 miliardi di dollari, la Germania al contrario ha un deficit di 22 miliardi di euro, la Cina un deficit di 238 miliardi di dollari.

In Germania allora le banche e le assicurazioni, le società di consulenza, quelle nell'informazione e nella comunicazione e nel management non dovrebbero forse tirare la corda, tagliare gli stipendi e aumentare i tassi di risparmio per poter stare al passo con gli Stati Uniti? Una politica macro-economica giusta per alcuni, potrebbe essere fuorviante per qualcun'altro.

Terzo: si pone la questione se i dati registrati nei saldi delle partite correnti possono rendere giustizia a un mondo globalizzato e digitalizzato. Nell'era della divisione globale del lavoro le statistiche nazionali difficilmente possono dirci chi commercia con chi. Ad esempio, cio' accade quando le multinazionali valutano le loro transazioni interne o i pagamenti intermedi dal paese A al paese B a dei prezzi convenzionali, che spesso pero' per ragioni fiscali sono lontane dai prezzi di mercato.

Questo vale in particolar modo quando invece delle merci sono i dati a dover fare dei lunghi viaggi. Il valore aggiunto e le statistiche commerciali sono messe sotto pressione quando ad essere spostate non sono le merci ma le informazioni elettroniche scambiate nelle stanze virtuali, quando ad esempio invece di spedire container pieni di motori o pezzi di ricambio, ad essere inviati via internet dalla Germania verso il sud-est asiatico sono dei piani di costruzione per fabbricare un prodotto finale su misura e preciso con la stampante 3D sul posto. Gli spazi virtuali non conoscono confini nazionali.

Quarto: con i tassi di cambio flessibili gli squilibri delle partite correnti scomparirebbero da soli. I paesi in surplus dovrebbero solo rivalutare la loro moneta. I loro prodotti diverrebbero piu' costosi sui mercati mondiali, fatto che ridurrebbe le esportazioni e aumenterebbe le importazioni. Se i mercati funzionassero senza intoppi, i prezzi e i salari reagirebbero in maniera flessibile e si arriverebbe automaticamente ad una bilancia dei pagamenti in equilibrio.

Il fatto che la Germania abbia un problema fondamentale, anche se scritto con caratteri molto piccoli, lo si puo' leggere anche nell'analisi del FMI, che dal punto di vista tedesco considera "l'euro sottovalutato fra il 10 e il 20%" e che in un calcolo piu' raffinato parla "di una sottovalutazione del 19%".

Cosa accadrebbe quindi all'avanzo delle partite correnti tedesco se l'euro si rivalutasse nei confronti del dollaro? Il tema si risolverebbe in gran parte autonomamente. E' tuttavia corretto dire che all'interno dell'area dell'euro - dove non sono possibili dei tassi di cambio flessibili - un apprezzamento per la Germania di fatto sarebbe possibile solo con prezzi e salari piu' alti. 

Una disputa dal passato

La disputa sugli squilibri delle partite correnti - tutto sommato - deriva dal vecchio pensiero economico contrassegnato dagli stati nazionali, dalle società industriali e da una macropolitica globale guidata dagli stati. La globalizzazione e la digitalizzazione sottraggono a questa discussione le fondamenta pratiche.

Le sfide del 21° secolo non possono essere affrontate con dei punti di vista sempre piu' obsoleti. E' quindi necessario cercare nuove risposte per affrontare la dinamica di economie aperte e internazionalmente altamente connesse e società collegate in rete attraverso spazi virtuali. 

Il "Deutschland-bashing" non porta all'obiettivo, ma è solo fuorviante.

sabato 28 luglio 2018

Perché il FMI mette sotto accusa la Germania

Un report del FMI mette sotto accusa i giganteschi avanzi commerciali tedeschi: sono ormai una minaccia per l'economia mondiale, i tedeschi devono rilanciare gli investimenti e la spesa per dare una mano ai pesi in deficit. Ne parla Holger Zschäpitz su Die Welt


Il momento non potrebbe essere piu' sfavorevole per Berlino. Proprio nei giorni in cui Jean-Claude Juncker, il capo della Commissione Europea, si reca a Washington per i negoziati commerciali, il FMI mette sotto accusa la Germania. Il motivo sono gli orrendi avanzi commerciali che la Germania realizza nel commercio mondiale.

Nella lista nera del FMI, in cui gli economisti hanno messo i paesi che con i loro squilibri minacciano la stabilità dell'ordine mondiale, la Germania occupa il primo posto davanti ai soliti sospetti Cina, Giappone e Corea del Sud, che nelle scorse settimane erano stati al centro degli anatemi di Donald Trump.

Ora il presidente americano, nella sua campagna contro la Germania, riceve nuove munizioni dal FMI. Che a farlo sia proprio un'autorità sovranazionale, per lui sempre sospette, non manca certo di ironia.


I numeri sono alquanto impressionanti. Secondo i dati la Germania lo scorso anno con il suo modello basato sull'export ha generato un avanzo delle partite correnti di 296.4 miliardi di dollari. Corrispondente all'8% del PIL tedesco e allo 0.4% del PIL mondiale.

La Germania ha il piu' grande avanzo commerciale

Nessun'altro paese si avvicina a tali valori. Il Giappone, secondo paese nell'elenco del FMI, ha un surplus delle partite correnti di 196.1 miliardi di dollari, pari allo 0.2% del PIL mondiale del 2017. La Cina, con la quale Trump si trova già in uno stadio avanzato di guerra commerciale, con poco meno di 165 miliardi di dollari, è solo al terzo posto.

Il Regno di Mezzo contribuisce agli squilibri globali solo con lo 0.2% del pil mondiale. I 165 miliardi di dollari di avanzo rappresentano solo l'1.4% dell'economia della Cina.


Il report del FMI sembra confermare le riserve del presidente americano nei confronti della Germania. La valuta tedesca è sottovalutata fra il 10 e il 20%, misurata sulla base dell'elevato surplus delle partite correnti si potrebbe parlare anche di una sopravvalutazione fra il 15 e il 30%. Che la Germania fa parte dell'eurozona e perciò non ha alcun impatto sul valore esterno dell'euro, Trump tuttavia puo' anche ignorarlo.

Per gli economisti del FMI la ragione principale di cio' è l'austerità praticata da Berlino. Se la Germania utilizzasse il suo margine fiscale e spendesse di piu' per gli investimenti, le dimensioni del problema si ridurrebbero. Il governo federale e le regioni potrebbero spendere circa un punto percentuale di PIL in piu'.

La Germania dovrebbe continuare ad aumentare l'età pensionabile

Gli esperti del FMI chiedono inoltre un aumento dell'età pensionabile. Cio' significa che le persone dovrebbero risparmiare di meno. Maggiori consumi ridurrebbero anche gli avanzi nel commercio estero.

Ma non c'è solo la politica ad essere considerata responsabile del surplus. Anche i gruppi industriali tedeschi vengono criticati dal FMI. Avrebbero dei tassi di risparmio troppo elevati e quindi esacerberebbero gli squilibri. Salari piu' alti, tasse piu' elevate e maggiori investimenti potrebbero aiutare a ridurre questo surplus (...).

Gli avanzi delle partite correnti non sono di per sé negativi

(...) Gli squilibri delle partite correnti non sono  di per sé negativi, come sottolineato dal FMI. Possono servire anche a mitigare gli shock asimmetrici come l'aggiustamento strutturale di un determinato paese in crisi.

Gli squilibri diventano pericolosi quando non sono di natura temporanea o ciclica, ma permanenti. I singoli paesi vengono spinti in deficit con l'estero da quelli in eccedenza. Se i singoli paesi generano grandi eccedenze, ci saranno altri paesi che automaticamente saranno costretti a fare dei deficit.

Il FMI ha calcolato dei livelli equi per la situazione economica dei singoli stati. E secondo questi dati la Germania dovrebbe realizzare un avanzo delle partite correnti del 2.8 % del PIL a livello globale. Vale a dire: un buon 5% del surplus tedesco secondo il FMI contribuisce agli squilibri globali. E per questa ragione la Germania ora si trova sotto accusa.