Al di là dei cliché razzisti alla Gumpel e Piller, di cui la stampa tedesca non è mai avara, a volte si riescono a trovare anche analisi piu' equilibrate sulle reali conseguenze del voto del 4 dicembre. Su Makronom.de Philipp Stachelsky prova a rispondere ad alcune domande sugli effetti del voto italiano. Da Makronom.de
Hanno vinto i populisti (di destra)?
Non necessariamente. Sicuramente la campagna contro la riforma costituzionale è stata portata avanti anche da partiti che possiamo ricondurre all'area populista. Fra questi ci sono il M5S, Forza Italia e la Lega Nord (sebbeno quest'ultimo potrebbe essere classificato come una classica forza di estrema destra).
Il NO tuttavia è stato supportato da un'ampia alleanza, ad esempio da alcuni sindacati e da pezzi dello stesso partito di Renzi. Anche nella società civile la riforma ha trovato dei veri e propri avversari. Renzi stesso si è servito di un metodo che puo' essere classificato come populista: per far passare la riforma ha legato il suo personale destino politico con il referendum. Sperava di poter sfruttare i suoi (allora) alti livelli di popolarità - ma di fatto si è rilevato un errore fatale.
Esiste la minaccia di un Italexit?
Può sembrare strano: la famosa Italexit, cioè l’uscita dell'Italia dall'Euro, con la bocciatura della riforma costituzionale è diventata più improbabile. Cio' è dovuto prima di tutto alla necessaria e molto probabile modifica della legge elettorale. Il cosiddetto Italicum prevede infatti che il partito che raggiunge il 40% dei voti ottenga come premio di maggioranza il 55% dei seggi. Se nessun partito raggiunge il 40 % si va al ballottaggio fra i primi due partiti e il vincitore ottiene il premio di maggioranza. La legge avrebbe dato quindi ad un solo partito una maggioranza assoluta dei seggi - e quel partito secondo gli attuali sondaggi avrebbe potuto essere il Movimento 5 Stelle.
Questa legge elettorale, secondo la maggior parte degli osservatori, verrà in qualche modo rivista da un governo di transizione, in quanto era stata progettata sul presupposto che la riforma costituzionale alla fine sarebbe passata. Sono stati inoltre presentati dei ricorsi sui quali la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi nelle prossime settimane.
Il secondo ostacolo per un referendum sull'uscita dall'Euro è nella Costituzione italiana. Questa all'articolo 75 chiarisce che non puo' esserci un referendum su una legge di ratifica dei trattati internazionali. Per una riforma della costituzione ci sarebbe bisogno sia alla Camera che al Senato di una maggioranza di due terzi - che per gli euro-critici a causa della probabile revisione della legge elettorale è ancora molto lontana. Per un eventuale governo euro-critico sarebbe tuttavia possibile indire un referendum consultivo non vincolante. Ma questo potrebbe essere un problema nel medio termine.
L'italia farà le riforme urgenti e necessarie?
Su una parte della stampa tedesca è ormai consuetudine ripetere che le riforme in Italia vengono fatte ad un ritmo troppo lento e che manca la volontà di riformare. Di fatto in Italia negli ultimi anni si è fatto molto. Renzi ad esempio è riuscito a far approvare una controversa riforma del mercato del lavoro che ha notevolmente ridotto le tutele contro il licenziamento. Anche il „Labour Market Reforms Database“ della Commissione UE mostra che solo pochi paesi europei dopo la crisi finanziaria hanno fatto piu' riforme di quante ne abbia fatte l'Italia - una larga parte di queste riforme sono state fatte durante il governo di Mario Monti, che notoriamente era a capo di un governo di tecnocrati.
Questa scala puramente quantitativa non dice naturalmente nulla sulla qualità delle riforme. E non significa che l'Italia non abbia bisogno di ulteriori riforme. E’ probabile pero’ che per i futuri governi italiani, dopo l'approvazione delle riforme, sarebbe stato piu' facile far passare le leggi (fatto che di per sé non dice nulla sulla loro qualità).
Che l’Italia abbia bisogno di ancora piu' riforme o di riforme esclusivamente sul lato dell'offerta è un fatto ampiamente discutibile. Gli economisti che di tanto in tanto danno uno sguardo al lato della domanda argomentano che per la ripresa italiana sarebbe necessario un forte stimolo economico da realizzarsi con una maggiore spesa pubblica.
L'Italia avrà dei massicci problemi di rifinanziamento?
Improbabile, anche se il governo ha un debito pari al 133% del PIL - solo la Grecia ha un rapporto debito-PIL piu' alto. Di conseguenza se i tassi sul debito italiano dovessero salire sarebbe tutt'altro che facile. Proprio prima del referendum i rendimenti sui titoli di stato italiani erano cresciuti in modo significativo: in agosto i titoli decennali erano appena sopra l'1%, nelle ultime settimane erano saliti sopra il 2%.
Tuttavia questo aumento dei rendimenti non deve essere sopravvalutato. Secondo l'agenzia del debito italiana, il prossimo anno lo stato dovrà rifinanziare debiti per un valore pari a 318 miliardi di Euro. Vale a dire circa il 14% di tutto il debito in circolazione. Per una larga parte dei titoli in scadenza nel 2017 lo stato ha dovuto pagare fino ad ora dei tassi nettamente superiori rispetto a quelli ottenibili sui mercati in questo momento. E la prima reazione fa pensare che in futuro i mercati non richiederanno tassi piu' alti dallo stato italiano: i rendimenti si muovono all'incirca sui livelli delle settimane che hanno preceduto il voto. Sembra quasi che i mercati avessero già prezzato l'esito del referendum nelle quotazioni.
Se la situazione restasse immutata, l'Italia potrebbe proseguire il processo di rientro dal debito a condizioni decisamente piu‘ favorevoli rispetto a quelle degli anni precedenti. La spesa per interessi nel bilancio pubblico italiano (attualmente pari al 3.8% del PIL) continuerebbe a scendere, anche se non cosi' rapidamente come si poteva pensare nei mesi estivi.
E anche se i rendimenti dovessero schizzare verso l'alto e l'Italia dovesse avere problemi a trovare denaro a sufficienza sul mercato primario per rimborsare il proprio debito, in caso di emergenza la BCE potrebbe alleggerire il peso del debito con un allargamento del suo programma di acquisto di titoli (QE). La banca centrale in quel caso dovrebbe comprare una quantità maggiore di titoli italiani rispetto a quanto previsto nel piano precedente.
Non è tuttavia chiaro come reagiranno le agenzie di rating al NO: S&P e Moody hanno recentemente confermato il loro rating sull'Italia, Fitch ha abbassato l'outlook a negativo. DBRS aveva segnalato la possibilità di un downgrade in caso di fallimento del referendum. Se le agenzie decideranno realmente di fare il downgrade è ancora presto per poterlo dire. Fatta eccezione per S&P, il debito italiano, presso tutte le altre 3 agenzie, ha ancora un buffer di almeno un gradino prima di entrare nell'area dei titoli speculativi.
La crisi economica e bancaria si aggraverà?
L'incertezza politica sicuramente non migliorerà il clima per gli investimenti. Tuttavia le reazioni al post-brexit hanno mostrato che sia l'economia reale che i mercati finanziari si sono ormai abituati a questi eventi schock. La Spagna è sopravvissuta quasi un anno senza un governo e senza collassare.
La question piu' importante sarà lo sviluppo della crisi bancaria. Le banche italiane - anche a causa della debole congiuntura economica - hanno una quantità enorme di sofferenze nei loro bilanci. Soprattutto MPS negli ultimi mesi è stata messa sotto pressione. La banca piu' antica del mondo sta cercando di raccogliere capitale fresco dagli investitori privati e di vendere una parte del suo portafoglio di crediti deteriorati. Ci sono già voci relativi ad incontri con investitori che stanno trattando la loro partecipazione in MPS. Se il tentativo di risanamento dovesse fallire il dibattito sui salvataggi con i fondi statali dovrebbe ricominciare da capo.
Che cosa significano le dimissioni di Renzi per i poteri europei?
Renzi negli ultimi anni fra tutti i leader europei è stato quello che con maggiore veemenza ha chiesto la fine delle politiche di austerità. Si puo' ragionevolmente pensare che con la sua uscita di scena saranno rafforzati i paesi che prima di tutto insistono sulla necessità delle regole di bilancio e sulle riforme dal lato dell'offerta.
Tuttavia si potrebbe anche ipotizzare che un governo tecnocratico che agisce in maniera meno plateale potrebbe avere addirittura maggiori chance, almeno nel breve periodo, di ottenere da Berlino e Bruxelles margini di manovra piu' ampi per la politica fiscale. Il ragionamento dietro questa tesi è il seguente: Renzi in passato ha agito in maniera molto aggressiva contro i diktat di risparmio tedeschi ed europei - fatto che ha reso molto piu' difficile per i paesi sostenitori di queste posizioni cercare di andargli incontro; ogni concessione poteva essere considerata come il risultato di un tentativo di ricatto, indipendentemente dalla realtà dei fatti. Che in particolare il governo tedesco non sia particolarmente sensibile verso questo tipo di atteggiamento, è stato reso evidente dalla umiliazione duratura e continuativa del governo greco di Syriza.
Quindi, se oggi un governo tecnico italiano dovesse chiedere una politica di bilancio piu' accomodante senza destare troppo scalpore, potrebbe avere un discreto successo. Alla fine gli altri governi europei, incluso quello tedesco, per paura di un rafforzamento delle forze euro-critiche potrebbero concedere all'Italia una politica fiscale piu flessibile per rimettere l'economia italiana di nuovo in pista e togliere la benzina dell'insoddisfazione economica dal motore dei movimenti in ascesa. E' possibile, sebbene non cosi' probabile.
Non capisco se in Germania abbiano una visione distorta del M5S o se proprio le informazioni in merito a tale partito non arrivino.
RispondiEliminaAl netto della retorica, è chiaro che l'autore non voglia fare un'analisi troppo fedele alla realtà: il M5S rispetto all'euro ha fatto quella che può essere chiamata "inversione ad (E)U", se è chiaro cosa intendo.
Nessun partito fatta forse eccezione della Lega Nord porterebbe all'uscita dall'euro per decreto. Non il M5S, almeno.