Ottima traduzione appena ricevuta da Claudio. Seconda parte di un bellissimo reportage che Die Zeit dedica allo straordinario successo elettorale di AfD a Bitterfeld, in Sachsen-Anhalt, e in molte altre zone dell'Est. A Bitterfeld alle regionali del 2016 AfD ha superato il 31%: un risultato che non puo' essere spiegato solo con la rabbia per l'ondata di migranti. Grazie Claudio per l'articolo! Si arriva da QUI
Dodici anni
dopo, nell'agosto del 2015, la signora in tailleur è nuovamente
davanti alle telecamere. Adesso è diventata Cancelliera. Era il
tempo in cui centinaia di migliaia di profughi giunsero in Germania attraverso i Balcani in cerca di rifugio; in larga parte persone che
inizialmente vivrebbero svolgendo lavoretti semplici o richiedendo
sussidi sociali. La Merkel sembra più benevola del solito, come
trasformata. Parla di empatia, chiede ai Tedeschi di non farsi
guidare dai pregiudizi e dalla “freddezza”, dando il benvenuto ai
migranti. Disse: “la nostra economia è florida, il nostro mercato
del lavoro è solido ed è certamente in grado di assorbire nuovi
lavoratori”. Poi aggiunse quello che Diana Riemann ancora oggi non
è riuscita a capire. Disse: “ce la facciamo”.
Poco tempo
dopo nei capannoni della Soex c'erano i primi migranti che smistavano
vestiti usati. La Soex è stata una delle poche fabbriche della zona
ad offrire lavoro soprattutto agli immigrati: i giornali locali hanno
riportato la notizia con toni encomiastici. Diana Riemann tira fuori
il suo Smartphone e mostra una foto della fabbrica: una stanza
disadorna con un tappeto rosso a quadri, sul pavimento c'è un
Corano. Ci racconta che di recente la dirigenza ha fatto allestire
una sala per la preghiera per i rifugiati. “Se io dicessi: vado un
attimo a pregare perderei il mio lavoro. Oso a malapena andare in
bagno, poiché in contrasto con le norme di lavoro”. Noi abbiamo
chiesto all'addetto stampa della Soex se è vero che le condizioni
dei lavoratori Tedeschi siano peggiori di quelle degli immigrati ma
la risposta è stata un secco “no comment”.
A detta
della Riemann agli immigrati vengono concessi permessi a lavoro nel
caso in cui debbano recarsi al Sozialamt
o all'Ausländerbehörde
(n.d.t.
rispettivamente “ufficio assistenza sociale” e “ufficio
immigrazione”). Anche lei una volta ha avuto la necessità di
rivolgersi all'ufficio preposto per richiedere il sussidio per la
casa. “A me però non è stato concesso di andarci durante l'orario
di lavoro” ci rivela. In quel caso la Riemann aveva un urgente
bisogno del sussidio ma non è riuscita a ottenerlo, per via di pochi
euro di troppo nella busta paga.
Negli
ultimi anni durante i dibattiti di economia e politica si è parlato
spesso e quasi unicamente del fatto che in Germania il personale
qualificato sarebbe sommerso di offerte di lavoro e che la priorità
fondamentale delle aziende sarebbe quella di offrire ai propri
dipendenti un equilibrio armonioso tra lavoro e vita privata
(work-life balance).
Di conseguenza, le uniche questioni ancora aperte vertono sul
maggiore accesso ai ruoli dirigenziali per le donne e sulla
possibilità di includere gli immigrati nel mercato del lavoro.
Raramente sono stati presi in considerazione coloro di cui ci si
dimentica facilmente per via della congiuntura economica positiva,
ossia tutti quelli che, pur avendo un lavoro, risultano poveri, che
anche nel 2016 devono aver paura di perdere il lavoro, che non vivono
nella ricca e prospera Germania, bensì in uno di quei Comuni
indebitati fino al collo. Queste persone sono state zitte per anni.
Ora però alcuni di loro vedono nell'AfD un partito che possa dar
loro una voce, mentre nei rifugiati vedono una minoranza che è
riuscita a sottrarre la compassione di una Cancelliera dimostratasi
fino ad allora poco sensibile alle loro istanze sociali. Ed è da qui
che che scaturisce il loro risentimento.
Diana
Riemann va in cucina a prendere il caffè. Quando torna dice: “a
quelle bestie un altro po' il Sozialamt
pulisce pure il culo.”
A chi?
“A quelle
bestie”, fa una pausa. “Agli stranieri”.
Non sono
forse esseri umani?
“No”,
poi ci offre del caffè. “Volete un altro bignè?”
Quello che
è accaduto in quel mercoledì di dicembre al tavolo della Riemann si
ripete quotidianamente mille altre volte. Nei commenti dei giornali
online e sui profili Facebook dei politici; anche su quello del
deputato di AfD Daniel Roi, dove lui posta le proprie foto personali:
davanti al Parlamento regionale del Magdeburgo, assieme ai volontari
dei vigili del fuoco o a una manifestazione dei sindacati. Qualche
volta condivide articoli dei giornali, di solito riguardanti
terroristi e criminali stranieri, come ad esempio l'attentatore
tunisino che ha fatto irruzione in un mercatino di Natale presso la
Gedächtniskirche
di Berlino oppure i giovani rifugiati siriani che avrebbero dato
fuoco ad un senzatetto. Gli amici di Roi su Facebook scrivono
commenti di questo tipo:
“L'Islam
e tutto ciò che gli gravita intorno sono ripugnanti.”
“I topi
non stanno solo nelle fogne, sono anche in mezzo a noi.”
“Non si
può fare di tutta l'erba un fascio ma con l'influenza aviaria
verranno spazzati via tutti quanti. Perché? Meglio così!”
Roi non
rimuove i commenti dalla propria pagina, dice che non ha tempo per
leggerli tutti uno per uno.
Se proviamo
a chiedere a Diana Riemann da dove proviene l'odio che ha manifestato
quel pomeriggio, lei ci parla della delusione e delle privazioni che
l'hanno consumata ben prima che i profughi mettessero piede nella
fabbrica della Soex.
Il patto
proposto da Angela Merkel al congresso di Lipsia, la formula magica
neoliberista, secondo la quale le buone prestazioni vengono sempre
ricompensate con lauti guadagni, per lei non funziona: ha imparato un
mestiere, si è dimostrata flessibile ogni volta che era necessario,
si è sempre impegnata. Ma in cambio non ha ricevuto né benessere né
sicurezza. Mentre gli stipendi di parecchi lavoratori come lei sono
fermi al palo da anni, altri hanno ricevuto per molto tempo sempre di
più anche quando commettevano errori: i banchieri, i cui istituti
sono stati sussidiati con i miliardi dello Stato o i manager delle
multinazionali che frodano i clienti e ciononostante portano a casa i
bonus.
Adesso che Merkel ha “invitato” i profughi - così si esprime la Riemann
– lei si sente doppiamente tradita. Dice di aver paura di perdere
il proprio lavoro per poi dover concorrere con persone meno istruite
di lei per i posti rimanenti. Racconta di aver notato poco tempo fa
una un avviso nella bacheca della Soex: la ditta sta costruendo una
fabbrica ad Abu Dabi. Da allora la Riemann è convinta che lo
stabilimento a Bitterfeld verrà presto chiuso e non è l'unica a
nutrire tale timore.
Nell'estate
del 2016, pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Afd a Bitterfeld,
alcuni sociologi dell'Università di Oxford condussero un sondaggio
su incarico della fondazione Bertelsmann. Il loro obiettivo era di
ricercare i motivi che in Europa spingono così tante persone a
votare i partiti nazionalisti di estrema destra. Il risultato è
stato dappertutto lo stesso. I sostenitori della tedesca AfD e
dell'austriaco FPÖ, così come i britannici che votano Ukip e i
francesi che supportano il Front National, hanno un sentimento
comune: la paura della globalizzazione. In Germania il 78% di coloro
che votano AfD hanno ammesso tale timore.
Quando le
multinazionali straniere giunsero a Bitterfeld Helmut Kohl promise
“paesaggi in fiore”1;
quando i rifugiati si insediarono a Bitterfeld Angela Merkel promise
che la Germania ce l'avrebbe fatta. “Kohl ci ha presi in giro e la
Merkel ha dimenticato da dove viene” dice la Riemann. “Una volta
lei era una di noi. Dovrebbe sapere che dalle nostre parti ci sono
ancora tanti problemi per i quali non si trova una soluzione.”
A
Bitterfeld le esigenze dei cittadini vengono bloccate sempre con la
stessa frase: non ci sono soldi. Non ce ne sono per le scuole e per
gli ospizi, né per le strade dissestate o per i parchi giochi. “Poi
sento: per gli immigrati ci sono miliardi a disposizione, questo però
fa a pugni con la realtà”, dice la Riemann.
Bitterfeld-Wolfen
è il comune più indebitato della Sassonia-Anhalt, un esempio
estremo per un problema assai diffuso: mentre l'economia tedesca nel
complesso prospera radiosa, alcuni singoli Comuni se la passano
decisamente male. E non solo nella Germania orientale, anche nella
zona della Ruhr, in Renania Palatinato o in Saarland. Quanto questi
Comuni si ritrovino a dover mendicare disperatamente la benevolenza
delle multinazionali, e quanto siano impotenti di fronte alle leggi
della globalizzazione, lo si può osservare a Bitterfeld-Wolfen.
In un campo
alla periferia della città c'è un sito industriale con capannoni
grandi quanto campi da calcio e torri in vetro e cemento armato.
L'ingresso principale rimane aperto, la portineria è vuota. Nel
parcheggio è cresciuta l'erba. Dei cartelloni fiancheggiano la
strada: “impianto di produzione affittasi”.
Fino a
pochi anni fa qui germogliava la speranza della Germania orientale:
un enorme complesso industriale dove migliaia di lavoratori
costruivano pannelli solari che venivano esportati in tutto il mondo.
Quest'area veniva chiamata dagli abitanti di Bitterfeld “solar
valley”; in quel periodo si
aveva l'impressione che questa regione ce l'avesse davvero fatta. Le
aziende che producevano qui avevano nomi che rievocavano il futuro,
come Q-Cells, Sovello, Solibro e Calixo. La città aveva fatto loro
una corte spietata attraverso basse imposte, forza lavoro altamente
flessibile, finanziamenti multimilionari e uno svincolo autostradale
costruito appositamente per il complesso industriale. Anche il
governo federale fece la sua parte: approvò delle sovvenzioni per la
produzione di energia solare affinché la richiesta di panelli solari
crescesse. Le imprese arrivarono e portarono con sé migliaia di
posti di lavoro.
Non passò
molto tempo prima che delle multinazionali cinesi cominciarono a
produrre – a prezzo più basso – lo stesso tipo di pannelli
solari al punto da fagocitare le aziende di Bitterfeld e
delocalizzare il lavoro. Migliaia di persone furono licenziate. “Fu
un taglio netto” dice Daniel Roi, il quale ritiene che il discorso
delle multinazionali non sia poi così dissimile da quello
riguardante il lago Goitzsche: lo Stato sborsa milioni con l'intento
di attirare i grandi capitali. Alla fine però alla collettività non
spetta niente. “Il sistema capitalistico, che ormai non conosce più
limiti, è fallito” dice lui.
Oggi gli
abitanti di Bitterfeld hanno imparato a diffidare delle benedizioni
della globalizzazione, così come nutrono parecchi dubbi circa il
reale potere dello Stato: perché il governo non si tutela di fronte
alle multinazionali cinesi? Perché continua a sovvenzionare la
vendita di pannelli solari che non sono prodotti dai lavoratori
tedeschi, bensì principalmente da quelli asiatici? La Merkel non
aveva promesso che si sarebbe fatta carico del benessere e della
sicurezza delle persone, a patto che queste si dimostrassero
flessibili e diligenti?
Da allora
gli abitanti di Bitterfeld si sono adeguati alle esigenze delle
imprese, impostando la loro vita secondo il ritmo delle fabbriche. La
società attuale che promuove lo sviluppo economico propaganda tra la
popolazione la “dipendenza dai prodotti chimici” e
”l'assuefazione al regime su tre turni di lavoro”. La città ha
chiamato le proprie strade con i nomi delle aziende e dei loro
prodotti: Heraeusstraße, Guardianstraße, Stickstoffstraße (“via
dell'azoto” n.d.t.),
Farbstoffstraße (“via del colorante” n.d.t.).
Ha perfino rinunciato a sé stessa pur di attirare le imprese. Nel
2007 vi fu una riforma distrettuale e Bitterfeld fu accorpata –
contro la volontà dei cittadini – a Wolfen. Si fusero per poter
essere più appetibili dal punto di vista commerciale. Si
avvicinarono per mascherare il reciproco invecchiamento e
disfacimento. Da allora molti centri della Germania orientale hanno
nei loro nomi una caratteristica che prima si riscontrava solo nella
zona occidentale: il trattino, come per esempio Dessau-Roßlau o, se
preferite, Bitterfeld-Wolfen.
Durante gli
ultimi anni ci sono state sempre nuove multinazionali che portavano
posti di lavoro a Bitterfeld, ma questi lavori non erano mai sicuri.
Ci sono stati politici locali che hanno fatto di tutto per attirare i
colossi industriali. Ma ciò che si è rivelato al di là delle loro
possibilità è stata la capacità di farli restare qui.
L'Afd non
ha alcuna soluzione per tali problemi. Il suo manifesto economico è
scarno e impreciso, in alcuni punti richiama la lotta di classe,
altrove sembra aderire sfrenatamente ai dettami del libero mercato.
Su una cosa sono però molto bravi: sanno ascoltare le persone come
Diana Riemann, conoscono i loro bisogni, canalizzano la loro rabbia,
di solito nella direzione più semplice di tutte, verso il basso,
contro i migranti, contro coloro che hanno ancora meno di loro.
Se chiedete
a Diana Riemann dell'SPD o della Linke, vi dirà che ha visto i loro
rappresentanti in TV e che non capisce il loro linguaggio. Se invece
le chiedete dell'AfD vi risponderà Daniel Roi. Lo ha conosciuto
durante una manifestazione, protestavano insieme contro la chiusura
di una scuola materna. Lei gli parlò dei suoi problemi e lui le
diede il suo numero di cellulare.
Roi parla
la sua stessa lingua, quel ruvido dialetto tanto diffuso nella zona
meridionale della Sassonia-Anhalt. Lui è nato qui, a Wolfen-Nord,
una sorta di colonia operaia in cui alla fine degli anni '80 vivevano
all'incirca 35.000 persone. Oggigiorno 8.000 di loro vivono ancora
li', in maggioranza pensionati. Con la sua Škoda passa davanti ai
prefabbricati, a Kaufland
(n.d.t. centro
commerciale) e Nettomarkt
(n.d.t.
supermercato), poi scende
dalla macchina e si incammina attraverso i canyon urbani. Donne
anziane trascinano il loro deambulatore sull'asfalto squarciato,
accanto ad un enorme cumulo di macerie le scavatrici sbriciolano il
calcestruzzo lavato dei prefabbricati sventrati. Gli operai
trascinano fuori le interiora degli edifici: tubi degli impianti di
riscaldamento, tazze del gabinetto, pannelli isolanti. Un paio di
anni fa la Società per l'edilizia residenziale della città innalzò
i prezzi degli affitti, nonostante il quartiere fosse decrepito. In
seguito a ciò alcuni cittadini fondarono un'iniziativa a difesa
degli affittuari; il loro presidente siede oggi nel consiglio
esecutivo dell'AfD.
Più tardi
Roi si reca nel centro di Bitterfeld. I proprietari di alcuni piccoli
negozi hanno fondato un comitato a tutela del centro città. Si
lamentano del fatto che in centro i negozi siano vuoti e che intorno
a Bitterfeld stiano spuntando grandi centri commerciali. Protestano
contro le imposte che sono obbligati a pagare, mentre in Germania le
catene di moda internazionali pagano pochissime tasse. Si scagliano
contro i colossi on-line come Amazon che danneggiano i loro affari.
Il presidente del comitato il prossimo anno vuole candidarsi al
parlamento; con AfD.
Roi
gironzola nella piazza del mercato che si tiene qui ogni mercoledì.
Vi si trova formaggio olandese e panini con würstel della Turingia
per 1,80 €.
Lì in mezzo, vicino alla teca del pollame, un partito ha allestito
un bancone, l'unico
lungo e largo. È l'AfD.
1 N.d.t.
L'espressione blühende Landschaften fu usata dall'allora
Cancelliere Helmut Kohl in due circostanze (1990 e 1991) con
riferimento alle prospettive economiche dei territori dell'ex
Germania Est
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