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giovedì 14 maggio 2020

Carne da cannone per i grandi macelli tedeschi

Nei grandi macelli tedeschi l'epidemia di Covid-19 ha colpito centinaia di lavoratori migranti provenienti dall'Europa dell'est, scatendando addirittura la protesta ufficiale delle ambasciate dei paesi di origine. Si tratta di forza lavoro a basso costo, fornita spesso da subappaltatori senza troppi scrupoli, che garantisce ai grandi mattatoi tedeschi la possibilità di invadere i mercati europei e mondiali con dei prodotti dal prezzo competitivo e Made in Germany. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy



Troppo lavoro, salario troppo basso

Le condizioni catastrofiche nelle quali i lavoratori migranti, provenienti in particolare dall'Europa dell'est o del sud-est, sono costretti a lavorare nei mattatoi tedeschi sono note da anni. L'orario di lavoro spesso è molto più lungo di quanto consentito dalla legge; nello Schleswig-Holstein, ad esempio, è stato documentato un caso in cui i dipendenti dovevano fare un turno di dodici ore per cinque giorni alla settimana, a volte con un sesto giorno lavorativo. [1] I bassi salari spesso vengono pagati in maniera non regolare; in caso di malattia il pagamento dello stipendio non sempre è garantito. Anche la salute e la sicurezza sul lavoro lasciano molto a desiderare; numerosi lavoratori hanno dovuto lottare contro i licenziamenti arbitrari oppure sono stati minacciati. I gestori dei macelli possono continuare a mantenere queste miserabili condizioni di lavoro solo grazie all'evidente divario in termini di ricchezza presente nell'UE: i miseri guadagni promessi, infatti, restano comunque attraenti per molti lavoratori provenienti dai paesi ad est o sud-est dell'UE. Numerosi lavoratori - in alcuni mattatoi fino all'80% della forza lavoro - vengono infatti intermediati da dei subappaltatori parzialmente o estremamente dubbi, il che favorisce ulteriormente lo sfruttamento delle persone colpite. Questi - soprattutto a causa della mancanza di competenze linguistiche - hanno poche possibilità di difendere i loro diritti.

Difficile trovare un macello senza violazioni

Lo sfruttamento senza limiti dei lavoratori provenienti dall'Europa dell'est e sud-est da anni viene duramente criticato dai sindacati tedeschi, dalle associazioni religiose e dalle organizzazioni non governative. Le agenzie governative, d'altra parte, non hanno mai preso le misure necessarie e appropriate per contrastare il fenomeno; a parte i controlli inadeguati, come affermato in una lettera di fine gennaio della confederazione sindacale DGB dello Schleswig-Holstein, esistono "lacune legali e lacune procedurali" che "offrono ancora troppo spazio ai subappaltatori e agli operatori dei macelli", "leggi senza sanzioni e molto facili da eludere (ad esempio: legge sull'orario di lavoro e le leggi sulla salute e la sicurezza sul lavoro)". [2] L'estensione del fenomeno emerge da un controllo che il Land Nordrhein-Westfalia ha effettuato l'estate scorsa in 30 dei 34 macelli più grandi. Solo in due aziende non sono state riscontrate violazioni, è stato riferito; già dopo un'analisi del 40 % dei documenti sequestrati, sono state scoperte oltre 3.000 violazioni dell'orario di lavoro, inclusi i contratti di lavoro da 16 ore; in oltre 900 casi, l'assistenza sanitaria prescritta non era garantita; in 26 delle 30 società vi erano numerosi gravi mancanze in termini di salute e sicurezza [3].

Posizione di vertice nel mercato mondiale

Le disastrose condizioni nei macelli non solo consentono all'industria della carne tedesca di vendere carne a basso prezzo sul mercato interno. Ma offrono anche l'opportunità di competere sul mercato mondiale per importanti quote di export. Le aziende tedesche, infatti, hanno avuto negli ultimi anni un discreto successo. La Germania attualmente è il quinto esportatore di carne al mondo (dopo Stati Uniti, Brasile, Australia e Paesi Bassi) e il terzo esportatore di carne di maiale (dopo Spagna e Stati Uniti) in termini di valore dell'export; le vendite provenienti dalle sole esportazioni di maiale nel 2019 sono state di circa 5 miliardi di dollari. Il più grande mattatoio tedesco, Tönnies a Rheda-Wiedenbrück, nel Nord Rhein-Westfalia, nell'ultimo anno, con la lavorazione di circa 20,8 milioni di suini - più di tre quarti in Germania - e 440.000 capi di bovini, ha raggiunto un fatturato record di 7,3 miliardi di euro. [4] La società non diffonde i dati sui suoi profitti.

Aumento del rischio di infezione

Fra le condizioni che consentono all'industria della carne tedesca di generare vendite importanti e di mantenere una posizione di vertice sul mercato mondiale c'è anche quella di far alloggiare i lavoratori dell'Europa orientale e sud-orientale in abitazioni alquanto misere, per le quali gli affitti sono troppo alti e che di solito vengono regolarmente detratti dai loro salari. Fra questi ci sono gli alloggi collettivi nelle ​​stalle riconvertite oppure dei vecchi appartamenti, spesso sovraffollati, scarsamente arredati e con delle attrezzature igieniche insufficienti: "alloggi collettivi, in stabili disastrati, in stanze distrutte, stipate di persone", afferma il prete cattolico Peter Kossen, che da anni si batte per avere migliori condizioni lavorative nel settore della carne [5]. La sistemazione di gruppi di lavoratori in spazi angusti, con la presenza di muffa che causa malattie respiratorie, favorisce la diffusione di malattie virali, come del resto accade con il trasporto dei lavoratori a basso salario verso i macelli effettuato con dei minibus molto piccoli. Il Robert Koch Institute lo aveva confermato espressamente quasi un anno fa. All’epoca, nel corso del 2018, si erano verificati 13 casi di tubercolosi tra i dipendenti di due macelli della Bassa Sassonia; uno conclusosi fatalmente. Dei 13 malati, undici erano rumeni. Il Robert Koch Institute aveva dichiarato esplicitamente che "le condizioni di vita ristrette all’interno di spazi condivisi" hanno portato "ad un aumento del rischio di trasmissione"; inoltre, potrebbe esserci un "rischio di infezione ... a causa dei lunghi tempi di viaggio in veicoli condivisi, sia nei viaggi dal paese di origine verso la Germania", che " nei viaggi tra casa e lavoro (principalmente nel servizio navetta delle società subappaltatrici)". I 13 casi sono stati una “evidente esplosione" di tubercolosi. [6]

Centinaia di infezioni da Covid-19

L'aver totalmente ignorato per molti anni le disastrose condizioni di vita e di lavoro degli europei dell'est e del sud-est, che con il loro lavoro garantiscono la disponibilità di carne a basso costo nei supermercati tedeschi e alti profitti alle aziende tedesche nel settore della macellazione, ora sta avendo un impatto anche sulla pandemia di Covid 19. A fine aprile, il governo rumeno ha fatto sapere che 200 dei 500 lavoratori rumeni occupati in un macello a Birkenfeld (Baden-Württemberg) erano stati infettati dal virus Covid-19. [7] Nel frattempo, sono emersi anche altri casi che riguardano i macelli di Oer-Erkenschwick (Renania settentrionale-Vestfalia) e Bad Bramstedt (Schleswig-Holstein). Recentemente ha fatto notizia un mattatoio a Coesfeld (Renania settentrionale-Vestfalia), dove fino a ieri 249 dipendenti erano risultati positivi al Covid-19, inclusi numerosi rumeni, bulgari e polacchi; 278 risultati dei test erano ancora in sospeso. [8] Le tristi condizioni che costringono molti lavoratori dell'Europa orientale e sudorientale in Germania a vegetare destano meno attenzione rispetto al fatto che le infezioni hanno fatto crescere le statistiche Covid-19 del distretto di Coesfeld al di sopra della soglia dei 50 nuovi contagi ogni 100.000 abitanti, soglia oltre la quale il lockdown deve essere prolungato.

La protesta

Il fatto che decine di migliaia di cittadini provenienti dall'Europa dell’est e sud-est debbano vivere e lavorare in condizioni che li espongono sistematicamente al rischio di infezione da Covid-19, ha causato proteste in molti dei loro paesi di origine. La Germania non solo deve fornire "più risorse per le ispezioni" nei macelli, ma dovrebbe anche avviare "una campagna di informazione", che "enfatizzi i diritti che i datori di lavoro tedeschi dovranno rispettare", afferma il deputato rumeno Dragoș Pîslaru dell'alleanza USR-PLUS. [9] Inoltre, come ammesso anche dal Ministro del lavoro tedesco Hubertus Heil, diverse ambasciate degli Stati membri dell'UE dell'Europa orientale e sud-orientale si sono lamentate con il governo federale per il trattamento riservato ai loro cittadini in Germania e si sono "espressamente riservati di prendere altre misure", ad esempio fermando la partenza dei lavoratori stagionali, che vivono e lavorano in condizioni analoghe a quelle dei loro colleghi nei macelli. [10] E ciò significa che Berlino, oltre a dover affrontare un forte risentimento da parte di Francia e Lussemburgo [11] causato della chiusura unilaterale delle frontiere, e a confrontarsi con una rabbia crescente nell'Europa meridionale causata della sua politica anti-crisi, specialmente in Italia [12], ora potrebbe trovarsi di fronte anche ad un altro conflitto radicato molto in profondità fra le popolazioni dei paesi colpiti.
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[1], [2] Schleswig-Holsteinischer Landtag: Umdruck 19/3501. 29.01.2020.
[3] Sabine Tenta: Desaströse Arbeitszustände in NRW-Schlachthöfen. www1.wdr.de 16.10.2019.
[4] Anja Müller, Katrin Terpitz: Großschlachterei Tönnies knackt die Umsatzmarke von sieben Milliarden Euro. handelsblatt.com 05.03.2020.
[5] Wenke Husmann: "Die Leute haben große Angst". zeit.de 10.05.2020.
[6] Robert Koch-Institut: Epidemiologisches Bulletin Nr. 26. 27.06.2019.
[7] Mehr als 200 rumänische Arbeiter in Schlachthof mit Coronavirus infiziert. spiegel.de 29.04.2020.
[8] Infektionszahlen in Coesfeld weiter gestiegen. aerzteblatt.de 11.05.2020.
[9] Dana Alexandra Scherle: Rumänischer EU-Abgeordneter Pîslaru: Mehr Schutz für Saisonarbeiter! dw.com 08.05.2020.
[10] Massimo Bognanni, Oda Lambrecht: "Unhaltbare Zustände". tagesschau.de 08.05.2020.
[11] S. dazu Bleibende Schäden (I).
[12] S. dazu Die Solidarität der EU (II) und Germany First.

domenica 29 marzo 2020

Perché anche nel pieno della crisi Berlino rifiuta l'aiuto della Cina

Nonostante una evidente mancanza di materiale protettivo e di mascherine, il governo di Berlino rifiuta categoricamente ogni aiuto da parte della Repubblica popolare cinese, mentre sulla stampa che conta parte una campagna per stigmatizzare gli aiuti e gli interventi cinesi nell'Europa del sud. Anche nel pieno della crisi causata dal coronavirus, il governo di Berlino si percepisce come un attore geopolitico autonomo in grado di sfidare i cinesi sul terreno dell'egemonia mondiale. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


(...) Offerta ignorata

Secondo quanto riportato dalla stampa, il presidente cinese Xi Jinping, nell'ambito della lotta al virus Covid 19, avrebbe offerto il suo aiuto anche alla cancelliera Angela Merkel. Lo sfondo è quello di un paese, la Germania, con il terzo maggior numero di infezioni in Europa, dopo Italia e Spagna. Se nella Repubblica Federale ce ne fosse "necessità", Pechino ovviamente sarebbe "pronta ad aiutare, nei limiti delle nostre capacità", avrebbe detto Xi: le crisi sanitarie sono "sfide comuni per l'umanità"; "unità e cooperazione" sono "le armi più potenti" contro di esse. [3] La Repubblica popolare cinese potrebbe anche immaginare di cooperare con la Germania in altri campi, come ad esempio lo sviluppo di vaccini. Finora da Berlino non è arrivata alcuna risposta all'offerta. La Germania è l'unico paese in Europa ad aver effettivamente rifiutato il sostegno di Pechino, almeno fino ad oggi.

"Non una singola mascherina"

Ciò è ancora piu' degno di nota perché in Germania c'è una palese carenza di materiali e di dispositivi di protezione. Nel frattempo, oltre l'80 percento dei medici tedeschi si lamenta della mancanza di dispositivi di protezione come mascherine respiratorie o tute protettive. Dato che il mercato mondiale si è praticamente svuotato, la sua organizzazione già diverse settimane fa si era rivolta al governo federale per avere supporto, spiega Walter Plassmann, presidente dell'Associazione delle casse mediche di Amburgo, il quale recentemente ha dichiarato: "non è successo nulla. Non abbiamo ottenuto nessuna mascherina". [4] La situazione negli ospedali è simile, anche lì mancano mascherine respiratorie e tute protettive. Il ministro della sanità del Nord Rhein-Westfalia, Karl-Josef Laumann, recentemente ha ordinato un milione di mascherine; tuttavia ne sarebbero arrivate solo 20.000, riferiva la stampa alla fine della scorsa settimana. Il Nordrhein-Westfalen è lo stato più colpito dalla pandemia; nella sola Heinsberg, l'epicentro dell'epidemia di Covid 19 della regione, sarebbero necessarie giornalmente almeno 7.500 mascherine protettive per bocca e naso e 2.200 maschere FFP2 [5]. C'è anche una carenza di attrezzature speciali come i ventilatori, ma anche di materiali semplici come i disinfettanti. I produttori stanno esaurendo le materie prime per la loro fabbricazione. [6]

"Ben preparato"

Da tempo vengono formulate gravi accuse nei confronti del governo federale, in particolare contro il ministro della sanità Jens Spahn. Spahn alla fine di gennaio e anche in seguito aveva ripetutamente dichiarato che il governo federale era "ben preparato" per tutti i casi immaginabili e possibili. Il suo ministero tuttavia non ha fatto nulla per ovviare alla prevedibile carenza di indumenti protettivi, nei confronti della quale l'Organizzazione mondiale della sanità aveva ufficialmente messo in guardia già il 7 febbraio. Documentato, ad esempio, è il caso di un imprenditore la cui azienda produce mascherine e indumenti protettivi per gli ospedali. L'uomo con diverse lettere aveva fatto presente al Ministero della Salute il rischio di una imminente carenza. Nell'occasione l'imprenditore aveva offerto al ministero la possibilità di riservare 1,5 milioni di mascherine facciali e 200.000 maschere respiratorie per gli ospedali tedeschi, nonostante l'enorme domanda globale, aveva concluso la sua lettera con una nota: "Mi appello a Lei, non sottovaluti il problema di questo virus". [7] L'imprenditore afferma di non aver ricevuto alcuna risposta da Berlino. A sua volta, il Ministero respinge qualsiasi responsabilità: "L'approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale" in Germania è coordinato attraverso l'ufficio acquisti della Bundeswehr.

Campagna di propaganda

Mentre il governo federale continua a ignorare l'offerta di aiuto cinese nonostante la palese mancanza di dispositivi di protezione, i principali media tedeschi hanno iniziato a screditare sistematicamente le consegne di aiuti da parte di Pechino agli altri paesi europei. Un importante quotidiano tedesco, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, ad esempio, afferma che "l'aiuto fornito con dei grandi gesti" semplicemente fa "parte di una campagna di propaganda" con cui Pechino vuole distrarre dal fatto che in realtà la Cina è stata "la causa della crisi". [8] Un altro giornale (Tagesspiegel) afferma: "L'immagine di paese causa della pandemia, ora dovrebbe essere sostituita dall'immagine del paese soccorritore." [9] I partner della cooperazione cinese in Europa vengono deliberatamente presi di mira dalla stampa. Ad esempio, WirschaftsWoche scrive che se "la narrazione della Cina come grande soccorritore... dovesse prevalere", è "perché i cinesi trovano alleati in Europa a cui piace lavorare su questo mito". Uno di questi "alleati" sarebbe il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, che "nel suo paese" è già stato ridefinito il  "Ministro cinese" [10].

Lotta per il potere contro Pechino

In effetti, i commenti dei media citati e il precedente rifiuto di Berlino di accettare aiuti dalla Cina fanno parte della grande lotta globale per l'egemonia mondiale, a cui la Repubblica Federale non si sottrae nemmeno durante la crisi causata dal coronavirus. Il governo federale invece vi si sta preparando, a prescindere dalla crisi.
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[1] Michael Peel, Tom Hancock, Valerie Hopkins, Miles Johnson: China ramps up coronavirus help to Europe. ft.com 18.03.2020.
[2] Alan Crawford, Peter Martin: 'Health Silk Road:'ssx China showers Europe with coronavirus aid as both spar with Trump. fortune.com 19.03.2020.
[3] Stuart Lau: Coronavirus: Xi Jinping calls leaders of France, Spain, Germany and Serbia with offers of support. scmp.com 21.03.2020.
[4] Cornelia Stolze: "Wir haben gemahnt, und keiner hat uns gehört". spiegel.de 19.03.2020.
[5] Lukas Eberle, Hubert Gude: "Liefert irgendwas!" spiegel.de 20.03.2020.
[6] Hersteller von Desinfektionsmitteln starten Hilferuf: Ethanol wird knapp. rnd.de 22.03.2020.
[7] Cornelia Stolze: "Wir haben gemahnt, und keiner hat uns gehört". spiegel.de 19.03.2020.
[8] Friederike Böge, Stephan Löwenstein, Michael Martens, Matthias Rüb: Vom Verursacher der Krise zum Retter in der Not? Frankfurter Allgemeine Zeitung 18.03.2020.
[9] Gloria Geyer: Wie sich China in der Corona-Krise Einfluss in Europa sichert. tagesspiegel.de 19.03.2020.

[10] Silke Wettach: China wirft die Propaganda-Maschine an. wiwo.de 19.03.2020.
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venerdì 7 febbraio 2020

Perché i tedeschi vorrebbero mettere le mani sull'atomica francese

"Dammela la bomba atomica, che poi facciamo l'unione fiscale": è piu' o meno la proposta che questa settimana è arrivata ai francesi dai piani alti della politica berlinese in occasione del discorso del presidente Macron sulla politica nucleare della Francia. Inutile dire che i francesi hanno già rispedito al mittente la proposta di matrimonio, tranne concedere ai tedeschi la vaga possibilità di partecipare agli esperimenti nucleari francesi. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


"Sotto il comando dell'UE"

Johann Wadephul, vicepresidente del gruppo parlamentare della  CDU/CSU al Bundestag e responsabile per la politica estera e militare del gruppo parlamentare dell'Unione, ad inizio settimana ha riaperto la discussione sull'accesso della Germania alle forze nucleari francesi. Wadephul, infatti, chiede che la Repubblica federale "prenda in considerazione una cooperazione con la Francia sulle armi nucleari". [1] "Il nostro bisogno di disporre di un deterrente nucleare è una realtà"; pertanto è "nell'interesse tedesco poter influenzare la strategia nucleare di chi ci protegge". La Germania deve "essere pronta a partecipare a questo deterrente nucleare secondo le proprie capacità e risorse". In cambio, la Francia dovrebbe "mettere le sue armi nucleari sotto un comando congiunto dell'UE o della NATO". Il presidente francese Emmanuel Macron, che "ci aveva più volte chiesto" di "osare di più per l'Europa", "ora può dimostrare che anche lui è disposto a farlo", ha detto Wadephul. Il politico della CDU non ha tuttavia spiegato con quali "mezzi propri" la Germania  dovrebbe partecipare al "deterrente nucleare".

Dalla bomba nazionale a quella "europea"

Gli sforzi delle élite tedesche per trasformare il paese in una potenza nucleare o, in alternativa, per ottenere l'accesso al nucleare militare francese sono vecchi. Già negli anni '50, i principali politici di Bonn, tra i quali il cancelliere Konrad Adenauer e il ministro della Difesa Franz Josef Strauß, si erano dichiarati in linea di principio favorevoli ad una "bomba tedesca" [2]. Il governo federale, tuttavia, con una certa riluttanza, firmerà il Trattato di non proliferazione nucleare solo il 28 novembre del 1969; per la sua ratifica Bonn aveva poi avuto bisogno di molto tempo, fino al 2 di maggio 1975. All'inizio degli anni 2000, quando l'UE sembrava trovarsi in una fase di rapido ampliamento della difesa comune, gli esperti di politica estera e i consiglieri del governo a Berlino, ancora una volta si erano concentrati sull'accesso tedesco alle armi nucleari, questa volta sotto forma di "forze nucleari comunitarie". [3] In un documento tedesco di strategia militare del 2003 veniva presa in considerazione la costituzione di "Forze armate strategiche europee riunite", le quali "avrebbero potuto utilizzare il potenziale nucleare di Francia e Gran Bretagna sotto un alto comando comune europeo". [4] "La superpotenza europea", era scritto nel documento, "farà pieno uso dei mezzi previsti dalla politica di potenza internazionale".


Lo "scudo nucleare europeo"

Gli esperti di politica estera, i consulenti del governo e i pubblicisti tedeschi, sin dall'elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, insistono per dotare la Germania di un'arma nucleare. "Berlino dovrà prendere in considerazione lo sviluppo di uno scudo nucleare europeo basato sulle potenzialità francesi e britanniche", aveva dichiarato il direttore del Global Public Policy Institute di Berlino, Thorsten Benner, a metà novembre 2016. [5] Erano seguite numerose dichiarazioni simili. [6] Il ragionamento è sempre lo stesso: è necessario uno scudo nucleare e non possiamo più fare affidamento su quello degli Stati Uniti. In discussione ci sono soprattutto due varianti. Una riguarda la costruzione di armi nucleari tedesche; si parla di "Germania nucleare" ([7]). Un'altra prevede l'uso della "Force de frappe" francese secondo diversi gradi di influenza. Le opzioni vanno dal cofinanziamento tedesco delle forze nucleari francesi, associato a un certo grado di influenza diretta, fino al posizionamento dei sistemi di armamento "sotto un comando comune dell'UE", come richiesto recentemente da Wadephul.

Un chiaro no

In Francia, la rinnovata pressione tedesca per la condivisione della forza nucleare sta causando un certo risentimento. Parigi non ha mai avuto dubbi sul fatto che non intende rinunciare al controllo esclusivo sulle sue armi nucleari. A fine 2018, Bruno Tertrais, vicedirettore della Fondation pour la recherche stratégique di Parigi, aveva scritto sul principale giornale di politica estera tedesca che il governo francese "non avrebbe in alcun modo consentito una forza nucleare europea comune sotto la guida dell'UE"; sarebbe anche "irrealistico" supporre "che i partner europei possano cofinanziare le forze armate francesi" al fine di "ottenere una voce in capitolo nella politica di sicurezza francese". I commentatori francesi nei giorni scorsi hanno parlato dell'insistenza di Berlino sottolineando che la proposta avanzata da Wadephul era già stata "stroncata sul nascere". [9] L'influente ex generale Vincent Desportes ha sottolineato che il potere decisionale in merito allo scudo nucleare francese non sarebbe stato "condiviso"; una implementazione dell'approccio tedesco nel prossimo futuro è "impensabile" [10]. Corentin Brustlein, direttore del Centre des études de sécurité dell'Institut français des Relations internationales (ifri) di Parigi, conferma che anche "a livello politico non ci sarebbe alcuna volontà di condividere i poteri decisionali in merito all'uso delle armi nucleari" [11]. Il riferimento è al discorso sulla dottrina nucleare francese che il presidente Emmanuel Macron intende presentare venerdi.

Bombe nucleari degli Stati Uniti

In considerazione del rifiuto francese di aprirsi alle arroganti richieste tedesche, il Ministro della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer esorta a mantenere la cosiddetta compartecipazione nucleare nella forma delle bombe atomiche statunitensi depositate presso la base aerea di Büchel nell'Eifel. A Büchel, infatti, ci sono 20 bombe B61. La prospettiva è quella di una loro sostituzione con il modello successivo B61-12. [12] Se necessario, sarebbero i Tornado dell'aeronautica tedesca a lanciarli sul bersaglio. La Germania dovrebbe "continuare a dare il proprio contributo nel contesto della compartecipazione nucleare", ha affermato lunedì il ministro Kramp-Karrenbauer [13].

Miliardi di euro

La "compartecipazione nucleare" tuttavia ha delle conseguenze alquanto costose, perché i Tornado di stanza a Büchel, data la loro età, entro pochi anni dovranno essere sostituiti. Già in questo trimestre, Berlino dovrà decidere con quale jet da combattimento sostituire i Tornado utilizzati per la "compartecipazione nucleare". Il favorito al momento è un aereo americano, e cioè il modelo F/A-18, prodotto dalla  americana Boeing. [14] In discussione attualmente c'è l'acquisto di circa 40 jet F/A-18. Il prezzo: diversi miliardi di euro.
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[1] Hans Monath: "Wir sollten uns an nuklearer Abschreckung beteiligen". tagesspiegel.de 02.02.2020.
[2] S. dazu Griff nach der Bombe.
[3] S. dazu Hintergrundbericht: Atombomben für Deutsch-Europa.
[4] S. dazu "Untergang oder Aufstieg zur Weltmacht?"
[5] S. dazu Make Europe great again.
[6] S. dazu Der Schock als Chance und Griff nach der Bombe.
[7] S. dazu Die deutsche Bombe.
[8] Bruno Tertrais: Europas nukleare Frage. Internationale Politik, November/Dezember 2018. S. 108-115.
[9] Pierre Avril: Berlin défie Paris sur le dossier nucléaire. lefigaro.fr 04.02.2020.
[10] Thomas Romanacce: Un député allemand veut que la France partage ses armes nucléaires avec l'Allemagne. capital.fr 04.02.2020.
[11] Georg Ismar, Albrecht Meier: SPD will keine Beteiligung an "nuklearem Wettrüsten". tagesspiegel.de 03.02.2020.
[12] S. dazu Deutschlands Beitrag zur Bombe.
[13] Georg Ismar, Albrecht Meier: SPD will keine Beteiligung an "nuklearem Wettrüsten". tagesspiegel.de 03.02.2020
[14] S. dazu Europas Kriegsautonomie.


lunedì 16 dicembre 2019

Le relazioni post-Brexit secondo Berlino

Anche dopo la Brexit i tedeschi sanno bene che se vorranno impostare con successo una politica di respiro mondiale, avranno necessariamente bisogno della cooperazione britannica. Il governo tedesco, dopo la vittoria dei conservatori di Johnson, ha optato per una linea soft finalizzata a non allontanare troppo Londra dall'UE. Se il piano per creare "un rapporto equilibrato, stretto ed equo con la Gran Bretagna", secondo le parole usate da Maas, dovesse fallire, allora Berlino potrebbe tornare a provocare la Gran Bretagna alimentando l'indipendentismo scozzese, come del resto ha già fatto nei mesi scorsi. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy.


UE: non è piu' un'esclusiva

Lo sfondo sul quale si collocano le esternazioni di Berlino in merito alla vittoria elettorale di Boris Johnson riguardano il fatto che il Regno Unito, dopo l'imminente uscita dall'UE, avrà la possibilità di ridefinire a livello internazionale le sue coordinate economiche e politiche. Johnson cercherà di raggiungere un nuovo accordo sulle future relazioni economiche con l'UE. Nel complesso, l'UE è ancora il più grande mercato di sbocco per la Gran Bretagna; ma la sua quota sull'export complessiva è diminuita passando negli ultimi dieci anni da poco meno del 50 % a circa il 45 %, tenendo conto di beni e servizi. Allo stesso tempo, la quota delle esportazioni britanniche verso gli Stati Uniti è passata dal 16,8% al 18,8%, quella dell'Asia addirittura dal 14,9% al 19,1%. La situazione per gli investimenti è simile. Nel lungo periodo, tuttavia, i legami economici esclusivi con l'UE non sembrano essere più l'unica alternativa possibile. Londra non solo sta cercando di intensificare le sue relazioni finanziarie con la Repubblica popolare cinese [1], ma Johnson è anche alla ricerca di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Secondo l'ex ambasciatore britannico presso l'UE, Ivan Rogers, Johnson "nei colloqui sugli accordi di libero scambio del prossimo anno potrebbe mettere l'UE in competizione con gli Stati Uniti". [2] Il primo ministro britannico ha quindi un certo potenziale di manovra per fare pressione.

Opzioni multiple

La situazione è simile anche in politica estera. Negli ultimi tempi Londra ha chiarito che si sta sforzando di mantenere una posizione congiunta con Berlino e Parigi, anche prendendo le distanze da Washington. Ad esempio, ha aderito, in contrasto con l'amministrazione Trump,  all'accordo sul nucleare con l'Iran e, almeno finora, si oppone alla pressione degli Stati Uniti affinché la società cinese di telecomunicazioni Huawei venga esclusa dalla creazione della rete britannica 5G. In altri ambiti, invece, Johnson è pronto a collaborare con gli Stati Uniti nel caso in cui non riesca a realizzare i suoi interessi insieme alle principali potenze dell'UE. Cosi' all'inizio di agosto, quando è diventato chiaro che l'operazione navale dell'UE sullo Stretto di Hormuz richiesta dal governo britannico non avrebbe avuto luogo ([3]), Londra ha annunciato un intervento navale a fianco degli Stati Uniti. Di fatto il Regno Unito è ancora coinvolto nell'International Maritime Security Construct guidato da Washington (precedentemente Operation Sentinel [4]) nel Golfo Persico.

Spinto alla rivalità

L'esempio del jet da combattimento franco-tedesco Future Combat Air System (FCAS), attualmente in fase di progettazione, mostra che ignorare con una certa freddezza gli interessi britannici può rivelarsi rischioso. L'azienda britannica BAE Systems, operante nel settore della difesa, infatti, sin dal 2014 stava collaborando con la francese Dassault per la realizzazione di un aereo da caccia di nuova generazione, quando nel 2018 il gruppo franco-tedesco Airbus è riuscito a far fuori dall'affare la concorrenza britannica per concentrarsi poi insieme a Dassault sulla realizzazione del FCAS. Il motivo addotto era che la Brexit avrebbe ostacolato la partecipazione di BAE Systems alla costruzione di un caccia da combattimento per l'UE ([5]). BAE Systems inizialmente ha continuato a lavorare in autonomia sul suo jet, che al momento è stato rinominato "Tempest", e nel frattempo ha ottenuto la collaborazione di 2 importanti aziende operanti nel settore della difesa, la Leonardo (Italia) e la Saab (Svezia); entrambe erano state escluse da Airbus e Dassault. Londra ha anche preso in considerazione il Giappone come possibile partner con cui cooperare per la realizzazione di "Tempest" [6]. Se la Gran Bretagna riuscisse ad ottenere la cooperazione di Tokyo per la realizzazione del progetto, avrebbe di fatto guadagnato dei punti importanti nei confronti del consorzio franco-tedesco FCAS nell'ambito della battaglia per assicurarsi dei mercati di vendita globali per il costoso progetto di difesa. È improbabile, infatti, che vi possano essere in parallelo abbastanza acquirenti per entrambi gli aerei da combattimento, tali da coprirne gli immensi costi di sviluppo. A tal proposito, "Tempest", nato come risposta all'esclusione operata da Berlino e Parigi, rappresenta un concorrente pericoloso per il progetto FCAS di Airbus e Dassault.

Obiettivo: "una stretta collaborazione"

In considerazione della portata economica e politica che la Gran Bretagna potrebbe ottenere con l'uscita dall'UE, Berlino vorrebbe  assumere un tono diverso nelle relazioni con Londra; di fatto sta cercando di fare in modo che nel raggiungimento delle sue ambizioni globali all'interno del quadro della politica tedesco-europea, la Germania possa fare ricorso al potenziale politico e soprattutto militare del Regno Unito. "Attendo con impazienza ogni nostra forma di ulteriore cooperazione data l'amicizia e la stretta collaborazione fra i nostri paesi", ha fatto sapere la Cancelliera Angela Merkel. [7] Il ministro degli Esteri Heiko Maas ha invece spiegato: "vogliamo che la Gran Bretagna rimanga un partner stretto anche dopo la Brexit, sia in termini economici che di politica estera e di sicurezza." [8] Norbert Röttgen, presidente della Commissione per gli affari esteri del Bundestag, commenta: "il nostro obiettivo ora dovrà essere quello di  mantenere quanto piu' possibile vicine le relazioni con la Gran Bretagna" [9]. Recentemente il Ministro della difesa Annegret Kramp-Karrenbauer ha chiesto che il  "formato E3 venga stabilizzato". "E3" indica le tre potenze dell'Europa occidentale che cooperano in maniera stretta nei negoziati per l'accordo nucleare con Teheran. Tale formato dovrebbe collegare Londra all'UE. Kramp-Karrenbauer ha recentemente annunciato che dovrà essere "saldamente istituito a livello dei ministri della difesa", con una riunione da tenersi entro la fine dell'anno. [10] I principali media, inoltre, suggeriscono la volontà di mantenere "stretti legami con Londra attraverso il formato dei summit EU plus 1" [11]

Cambiare le priorità

In questo contesto non è chiaro se Berlino nei prossimi mesi manterrà il suo aperto sostegno nei confronti dei nazionalisti scozzesi. Alle elezioni della scorsa settimana gli indipendentisti scozzesi sono stati in grado di aumentare la loro percentuale in Scozia portandola al 45 % dei voti; ora chiedono un nuovo referendum sulla secessione, che il Primo Ministro Boris Johnson ha già dichiarato di non volere. Dopo il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016, alcuni politici tedeschi avevano offerto un convinto sostegno alla causa dello Scottish National Party (SNP) e al suo presidente Nicola Sturgeon. A tal proposito in piu' occasioni si era apertamente sostenuto che la Scozia avrebbe "certamente" aderito all'UE se si fosse separata dalla Gran Bretagna. [12] A settembre, alla presenza di importanti politici tedeschi, tra cui il presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble, Sturgeon era stata onorata con il conferimento di un importante premio mediatico tedesco - le era anche stata data l'opportunità di utilizzare il suo discorso di accettazione del premio per promuovere mediaticamente la causa dell'indipendenza della Scozia. E' altamente improbabile, tuttavia, che tali provocazioni oggi potrebbero essere ancora tollerate senza che il governo britannico vi opponga resistenza, proprio nel momento in cui Londra dispone di diverse opzioni in termini di politica estera e non dipende necessariamente dalla cooperazione con l'UE. Nel fine settimana il Ministro degli Esteri Maas, infatti, quando gli è stato chiesto se "una Scozia indipendente sarebbe benvenuta nell'UE" ha risposto: "La Scozia è parte del Regno Unito e pertanto la questione non si pone." [13] "La questione principale al momento" spiega Maas, "è quella di creare per il futuro un rapporto equilibrato, stretto ed equo con la Gran Bretagna". Maas tuttavia non ha detto nulla su quali sarebbero i rapporti fra Scozia e Germania se la relazione con la Gran Bretagna non dovesse svilupparsi secondo i desideri di Berlino.



[1] S. dazu Aufrüstung trotz Streit.
[2] Carsten Volkery: Ivan Rogers: "Johnson wird die EU gegen die USA ausspielen". handelsblatt.com 15.12.2019.
[3] S. dazu EU-Mächte planen Marineeinsatz im Persischen Golf.
[4] S. dazu Deutschlands Gestaltungsanspruch.
[5] S. dazu Führungskampf in der EU-Rüstungsindustrie.
[6] Demetri Sevastopulo, Robin Harding: Trump puts Tokyo under pressure to choose US fighter jet over rival BAE. ft.com 10.12.2019.
[7] Frust und Hoffnung nah beieinander. tagesschau.de 13.12.2019.
[8] "Wir wollen, dass Großbritannien auch nach dem Brexit ein enger Partner bleibt". auswaertiges-amt.de 14.12.2019.
[9] Frust und Hoffnung nah beieinander. tagesschau.de 13.12.2019
[10] S. dazu The Germans to the Front.
[11] Jochen Buchsteiner: Johnsons Mehrheit. Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.12.2019.
[12] S. dazu Britannien spalten.
[13] "Wir wollen, dass Großbritannien auch nach dem Brexit ein enger Partner bleibt". auswaertiges-amt.de 14.12.2019.


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venerdì 6 dicembre 2019

La resistenza contro Berlino

Per German Foreign Policy il recente avvicinamento fra Macron e Putin sarebbe il tentativo del presidente francese di organizzare una resistenza anti-tedesca a livello continentale. Lo schema sarebbe lo stesso della prima e della seconda guerra mondiale: aprire contemporaneamente un fronte occidentale e uno orientale in modo da disorientare e indebolire i tedeschi, troppo presi dalle loro ambizioni egemoniche continentali e mondiali. Una riflessione molto interessante del direttore di German Foreign Policy, Hans-Rüdiger Minow


Dolcemente, con cortesia e con un sorriso amichevole, ma in maniera precisa e solo indirettamente minacciosa, a Berlino è tornato a suonare l'appello per avere piu' potere. Il mondo deve sentire che la "lingua del potere" ormai riguarda l'intera Europa, è il messaggio lanciato dalle élite tedesche e dal loro inviato di Bruxelles, il presidente della commissione europea. Per lei si tratta di riuscire ad affermarsi nel mondo ricorrendo alla "lingua del potere".

La signora von der Leyen (capo della commissione UE) ha detto:

"L'Europa deve anche imparare la lingua del potere // da un lato, ciò significa allenare i propri muscoli per poter fare ciò che per lungo tempo abbiamo affidato agli altri, ad esempio nella politica di sicurezza, e più specificamente nel dispiegamento della forza quando si tratta di difendere gli interessi europei".

L'impressione data da Bruxelles è quella di una "Europa" che chiede con urgenza più potere e più "muscoli" - più forze militari, ma ciò non corrisponde alla realtà. Perché la maggioranza delle persone non vuole più potere e più spese militari, ma vuole più soldi per le questioni sociali. L'impressione data da Bruxelles non riflette l'Europa. Questa idea arriva da Berlino, come il presidente della commissione, e riflette l'ambizione di una nazione con una notevole forza economica. Più potere ha bisogno di violenza.

A Bruxelles, Berlino sta spingendo per ottenere un comitato direttivo civile-militare, denominato Consiglio di sicurezza europeo, che funzioni da guscio esterno per un nucleo interno: il Consiglio di sicurezza nazionale tedesco. Dovrebbe avere lo scopo di riunire l'economia e le forze armate, lo stato e la società in modo tale da creare uno stato maggiore politico - a Berlino e a Potsdam.

Uno stato maggiore come questo ha già fallito 2 volte nel tentativo di prendere il potere su scala mondiale - in due guerre catastrofiche. Il "Consiglio di sicurezza", sia in caso di crisi che di guerra, copia questo modello ben collaudato di chiara origine tedesca.

Sul fatto che nella selezione degli avversari ora ci si rivolga alla Russia, come era accaduto nel primo tentativo di raggiungere lo status di potenza mondiale, e che nel mirino del militarismo da tempo sia finita anche la Cina, a Berlino non vi è alcun dubbio. I leader diplomatici della Germania riunificata stanno seriamente pensando di fermare con delle sanzioni l'uscita della Cina dalla schiavitù coloniale. Già al primo tentativo di impadronirsi a livello mondiale del potere, Berlino era andata oltre le proprie possibilità mentre combatteva contro la Cina. Al secondo tentativo, quando i carri armati tedeschi sono entrati sul suolo russo, la "lingua del potere" e il suo tessuto muscolare sono morti su milioni di tombe.

Poca attenzione ha ricevuto anche il fatto che al fronte orientale se ne è aggiunto uno ad ovest. L'incommensurabile pretesa delle élite tedesche di implementare la "lingua del potere" in nome dell'Europa causa subbuglio  - anche nel territorio della stessa alleanza occidentale. La storica sfiducia che accompagna la Germania da quando per ben 2 volte ha tentato di raggiungere il potere globale scatenando 2 guerre mondiali, è la ragione più profonda dei dubbi britannici sull'UE.

Il rapporto con la Francia ha raggiunto il punto piu' basso. Berlino non è disposta a frenare il surplus delle esportazioni della sua economia e a scendere almeno a compromessi politici. Le conseguenze restano immutate: indebitamento per finanziare le importazioni dalla Germania - accade ovunque nell'Europa meridionale. Parigi sta cercando di stringere un'alleanza con i paesi del Mediterraneo per formare una resistenza a Berlino: Italia, Spagna e Grecia.

Questo fronte occidentale, in caso di successo, sarà integrato - da una maggiore vicinanza a Mosca. Parigi sta esplorando il suo strumento diplomatico più difficile: un patto tattico tra Francia e Russia per scavalcare Berlino e regalare due fronti fra loro interconnessi alla frivola pretesa delle élite tedesche; ad ovest sul Reno, ad est sul Bug. Il patto del salto, se dovesse concludersi, si ricollega a quello dei suoi precursori.

Lo zar russo e il presidente Poincaré, infatti, conclusero lo stesso patto all'epoca in cui l'imperatore Guglielmo II intendeva riorganizzare l'Europa secondo la "lingua del potere". Poco dopo iniziava la prima  guerra mondiale...

Nella guerra successiva, sotto de Gaulle, mentre i carri armati tedeschi stavano affondando sul suolo russo, la Francia rinnovò questo patto per bypassare la Germania. Francia libera (France libre) cercava a Mosca un partner per la sicurezza allo scopo di arginare Berlino - nel 1944 e forse per sempre.

Il patto, concluso per una durata di 20 anni, ha mantenuto il suo effetto anche quando è iniziata la guerra fredda. Sicuramente le ferite causate in tutta Europa dal "linguaggio del potere" sono guarite. Ma non sono state dimenticate, nemmeno le vittorie.

La stazione della metropolitana, che a Parigi ricorda le vittorie, ha ancora il suo nome: "Stalingrado".

Parigi non ha mai perso quando si è alleata con Mosca. Nell'alleanza con la Germania, invece, tra il regime di Hitler e i collaborazionisti francesi, il regime di Vichy, si è quasi annullato.



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martedì 24 settembre 2019

Perché Berlino alimenta l'indipendentismo scozzese

Per German Foreign Policy la politica tedesca sta alimentando l'indipendentismo scozzese in chiave geopolitica: l'obiettivo sarebbe quello di indebolire dall'interno la Gran Bretagna, un paese alleato, nella fase decisiva della Brexit. Nei giorni scorsi Nicola Sturgeon, il primo ministro scozzese nonché leader degli indipendentisti scozzesi, è stata accolta con i massimi onori a Berlino. Ma per i tedeschi potrebbe essere solo un'altra vittoria di Pirro. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy





Un secondo referendum sull‘indipendenza 

Il governo regionale scozzese guidato dal Primo Ministro Nicola Sturgeon prosegue la sua campagna in favore di un secondo referendum sulla secessione. Prima del referendum del 18 settembre 2014, i nazionalisti scozzesi, fra questi anche Sturgeon, in diverse occasioni avevano dichiarato che il voto espresso nelle urne dal popolo scozzese sarebbe stato valido e vincolante per almeno una generazione. (…) 



Applausi incoraggianti 

Ciò ha spinto i politici dei partiti di governo e persino alcuni ministri tedeschi a sostenere apertamente gli sforzi indipendentisti dei nazionalisti scozzesi e quindi a sostenere il separatismo in un paese ufficialmente alleato. Già il 26 giugno 2016, infatti, il presidente della Commissione per gli affari europei del Bundestag, Gunther Krichbaum (CDU), aveva dichiarato di aspettarsi un "successo" da un eventuale nuovo referendum sulla secessione scozzese: la Scozia rimarrà nell'UE, aveva detto. Sempre ad inizio luglio 2016, l'allora vice-cancelliere Sigmar Gabriel (SPD) aveva affermato che se la Scozia avesse lasciato il Regno Unito, l'UE "senza dubbio ... l’avrebbe accolta". [2] Il 9 agosto 2016, il Primo Ministro Sturgeon era stata ricevuta dal sottosegretario di stato presso il Ministero degli Esteri di Berlino, Michael Roth. Nel settembre 2016, il capogruppo del Partito nazionale scozzese (SNP) alla Camera dei Comuni, Angus Robertson, aveva invece partecipato a una riunione a porte chiuse del gruppo parlamentare bavarese della SPD a Bad Aibling. [3]


Media Award per Sturgeon 

Nel frattempo, i nazionalisti scozzesi hanno continuato a ricevere aperto sostegno da parte della Repubblica Federale. Così il primo ministro Sturgeon la scorsa settimana è stata in Germania per una serie di colloqui politici. Martedì 17 settembre ha ricevuto il M100 Media Award a Potsdam, premio assegnato ogni anno da una giuria di giornalisti dei principali media tedeschi. Tra i vincitori precedenti l'ex ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher (2009), il presidente della BCE Mario Draghi (2012) e il politico ucraino Vitali Klitschko, premio assegnato subito dopo il rovesciamento del 2014 in Ucraina, che egli aveva contribuito a causare in cooperazione con i centri di potere tedeschi. [6] Sturgeon ufficialmente è stata insignita del prestigioso premio per essersi distinta nel Regno Unito come "un politico con una posizione chiaramente pro-europea". [7] Il discorso di elogio è stato pronunciato dal Primo Ministro della Nordrhein-Westfalen, Armin Laschet (CDU); il principale discorso politico è stato tenuto dal presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble (CDU). Sturgeon nel suo discorso di accettazione, davanti a un pubblico di spicco, ha approfittato dell'occasione per promuovere direttamente un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese: la Scozia, secondo lei, dovrebbe aderire all'UE come "paese indipendente" [8]. 

In un round confidenziale 

Mercoledì 18 settembre Sturgeon ha poi proseguito la sua campagna per la separazione della Scozia dal Regno Unito e la successiva ammissione all'UE presso la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), uno dei Think Tank piu’ influenti in materia di politica estera tedesca. Il primo ministro scozzese prevede "che nei prossimi anni la Scozia sarà indipendente ... e diventerà quindi un membro indipendente dell'UE", ha detto durante la conferenza stampa. [9] Prima della sua apparizione, coperta in maniera benevola dai principali media della Repubblica Federale ("Nicola Sturgeon - il bel volto del nazionalismo" scriveva il Tagesspiegel, [10]), ha anche avuto uno scambio di opinioni, riferisce la DGAP, "in un giro confidenziale con alcuni specialisti di politica europea". Ha inoltre incontrato, sempre in via confidenziale, il sottosegretario di Stato presso il Ministero degli Esteri Michael Roth. Roth ha poi elogiato via Twitter il "rapporto positivo tra la Germania e le controparti scozzesi". 

Spinti fuori dall’UE 

Con il suo supporto ai nazionalisti scozzesi, Berlino punta in alto. In termini geopolitici, a Berlino potrebbe sembrare vantaggioso riuscire ad imporre la secessione della Scozia e il suo ingresso nell'UE: la Gran Bretagna ne uscirebbe notevolmente indebolita. Al contrario, la Germania e l'UE uscirebbero in qualche modo rafforzate dall'adesione all'UE di un nuovo stato membro dipendente da Berlino. Non è tuttavia chiaro se e in che modo la secessione della Scozia possa essere forzata. Anche se avesse successo, l'ingresso del paese nell'UE resterebbe altamente incerto: diversi stati dell'UE, tra i quali la Spagna, respingono qualsiasi coinvolgimento dei separatisti in quanto essi stessi sono minacciati al proprio interno dalle lotte secessioniste. Al momento è piu’ probabile che una Scozia indipendente resterebbe isolata e fuori dall'UE. Berlino finirebbe quindi per portare i suoi partigiani scozzesi in una posizione scomoda che non avrebbero mai desiderato. 

Non sarebbe la prima vittoria di Pirro 


A ciò si aggiunge il fatto che Londra difficilmente accetterebbe il sostegno tedesco ai nazionalisti scozzesi. I piani del governo federale, infatti, prevedono di continuare a lavorare a stretto contatto con il Regno Unito, anche dopo che questo avrà lasciato l'UE, in modo da poter competere con gli Stati Uniti all’interno di un blocco europeo [11]. Nella capitale tedesca ciò è auspicabile per motivi politici, ma soprattutto per ragioni militari. Si può tuttavia dubitare che questo progetto sia realizzabile, soprattutto nel caso in cui Berlino dovessse contribuire alla disintegrazione della Gran Bretagna. Una separazione della Scozia dal Regno Unito, con il sostegno energico di Berlino, non sarebbe in ogni modo la prima vittoria di pirro dei tedeschi.




[1] Kevin McKenna: Nicola Sturgeon's strike for independence should not let the SNP off the hook. theguardian.com 28.04.2019.

[2] S. dazu Das Druckmittel Sezession.

[3] S. dazu Das Druckmittel Sezession (II).

[4] Simon Johnson: Nicola Sturgeon hails "phenomenal" new poll showing majority for Scottish independence. telegraph.co.uk 05.08.2019.

[5] Simon Johnson: Independence referendum fifth anniversary poll shows six out of 10 Scots want to remain in UK. telegraph.co.uk 17.09.2019.

[6] S. dazu Unser Mann in Kiew.

[7] Nicola Sturgeon erhält M100 Media Award. m100potsdam.org 02.09.2019.

[8] Acceptance Speech of Nicola Sturgeon. m100potsdam.org.

[9] Schottland sieht seine Zukunft in der EU. dgap.org 18.09.2019.

[10] Albrecht Meier: Nicola Sturgeon - das nette Gesicht des Nationalismus. tagesspiegel.de 18.09.2019.

[11] S. dazu Ein gefährliches Spiel.



sabato 18 maggio 2019

Perché lo scontro tra Francia e Germania è destinato a proseguire

Dopo il recente riposizionamento di Macron, il cosiddetto asse franco-tedesco è sempre piu' debole. Ad allontanare Berlino da Parigi non ci sono solo le questioni di politica europea, ma anche la battaglia per le tradizionali zone di influenza geopolitica nel Mediterraneo e nei Balcani. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Lealtà limitata

A fine aprile il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una nuova fase "di confronto" con la Germania. Lo sfondo sul  quale si svolge lo scontro: mentre il governo tedesco chiede la piena lealtà francese per imporre gli interessi tedeschi nell'UE, Berlino invece continua sistematicamente a contrastare ogni proposta avanzata da Parigi per la difesa degli interessi francesi [1]. Macron, che in materia di politica europea a causa del blocco di Berlino è rimasto a bocca asciutta, e in politica interna si trova con le spalle al muro, già da febbraio ha iniziato a negare al governo tedesco la fedeltà a cui da tempo a Berlino si erano abituati. Tra le altre cose, il gasdotto Nord Stream 2, per il quale sorprendentemente è venuto a mancare il supporto francese. Per Berlino, che dal gasdotto spera di ottenere dei significativi benefici, si tratta senza dubbio di un duro colpo.

Contro il candidato tedesco

Il nuovo corso politico di scontro annunciato apertamente verso la fine di aprile, è proseguito anche a maggio. Così Parigi in occasione del vertice informale dell'UE di giovedi scorso a Sibiu ha presentato una proposta in materia di politica climatica che chiede all'UE di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030, piu' rapidamente del previsto, e di diventare "carbon neutral entro e non oltre il 2050". La proposta, concordata dal presidente francese con altri sette paesi dell'Unione europea, che tuttavia non era stata discussa con la Repubblica federale, non è passata, come era prevedibile. Berlino, infatti, in considerazione del sostegno del governo all'industria automobilistica tedesca, l'ha bocciata. Oltre a ciò Macron - con l'appoggio non secondario del primo ministro lussemburghese Xavier Bettel - si è pronunciato contro il meccanismo che prevede che il candidato di una delle diverse famiglie politiche europee possa essere eletto come successore del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Si ritiene "non vincolato da questo modello", ha detto Macron a Sibiu. [3] Si stava rivolgendo infatti al candidato alla Presidenza della Commissione del gruppo che probabilmente dopo l'elezione di fine maggio sarà il piu' numeroso al Parlamento europeo, cioè Manfred Weber della CSU, il leader del Partito popolare europeo (PPE).

Nell'area di egemonia tedesca

La resistenza di Macron all'egemonia tedesca non riguarda solo la politica europea, ma anche la classica politica estera. Ad esempio, il 30 aprile scorso il governo francese ha annunciato una nuova strategia per l'Europa sud-orientale che prevede nuove attività soprattutto nei sei paesi della regione non ancora nell'UE [4]. Oltre all'espansione delle relazioni politiche, è previsto un ampliamento anche di quelle economiche; fra le altre cose, Parigi metterà immediatamente a disposizione dei fondi per lo sviluppo fra i 100 e 150 milioni di euro. Ad essere intensificata sarà soprattutto la cooperazione militare: oltre ad un rafforzamento della cooperazione per la formazione in Francia degli ufficiali dell'Europa sud-orientale, ci sono anche dei piani per coinvolgere sempre di più i soldati della regione nelle operazioni militari francesi. [5] Già a febbraio, l'ex ministro francese degli affari europei, Nathalie Loiseaux, durante una visita in Serbia aveva firmato degli accordi dettagliati per una più stretta cooperazione economica 

Vecchie alleanze

Con il suo rinnovato slancio nell'Europa del sud-est, la Francia non solo torna ad essere attiva in una regione che tradizionalmente viene considerata dalla Germania come la sua principale area di influenza. Riprende anche delle vecchie relazioni con degli ex-alleati in un quadro di contrasto all'egemonia tedesca. La Serbia pertanto sarà al centro della nuova politica francese nell'Europa sud-orientale. Nel mese di marzo, pochi giorni dopo la visita a Belgrado del Ministro per gli affari europei francese, il Ministero degli Esteri francese, in una dichiarazione appositamente redatta, ha sottolineato l'importanza della stretta cooperazione franco-serba, iniziata nel 1838. [6] A partire dagli anni '90 del secolo scorso la cooperazione tuttavia è stata duramente messa alla prova: da quando cioè la Germania ha schierato con sé l'intera UE in una posizione ostile alla Serbia - fino alla guerra. Parigi invano all'epoca aveva tentato di impedire l'escalation dell'aggressione condotta da Bonn [7]. Macron, inoltre, a luglio intende visitare Belgrado. Parigi infatti sta ristabilendo la sua tradizionale politica nell'Europa sud-orientale, e lo fa scontrandosi con gli interessi di Berlino

Contrappeso all'allargamento ad est

Lo stesso vale per la politica mediterranea. Un po' più di dieci anni fà, il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già cercato di ribilanciare l'orientamento unidirezione dell'UE verso l'Europa orientale e sud-orientale. Fino ad allora, infatti, l'espansione verso est dell'Unione aveva indirizzato le risorse e la capacità dell'UE prevalentemente verso la tradizionale sfera d'influenza tedesca ad est del continente e in questo modo aveva dato alla Germania dei chiari vantaggi politici ed economici.  Con la fondazione dell'Unione del Mediterraneo, Sarkozy aveva cercato di creare un contrappeso mediterraneo nella tradizionale area di interesse francese in Nord Africa e nel Medio Oriente [8]. Berlino finora è sempre riuscita a frenare il progetto. Ora Macron invece intende rilanciare quella proposta. Fra poco meno di sei settimane (23-24 giugno) si terrà a Marsiglia un summit ("Sommet des deux rives", "Forum de la Méditerranée"), che intende intensificare la cooperazione fra i cinque paesi dell'Europa meridionale (Francia, Portogallo, Spagna, Italia, Malta) e cinque paesi nordafricani (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia). Macron si riallaccia esplicitamente ai piani di Sarkozy.

Non c'è più una minoranza di blocco

Il nuovo corso di Parigi trae slancio dalla prospettiva secondo cui Berlino dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non avrà più una minoranza di blocco per difendere la sua politica di austerità. Lo ha ripetutamente sottolineato anche l'ex presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn. La minoranza di blocco richiede almeno quattro stati con il 35% della popolazione dell'UE. Nelle controversie in materia di austerità, ispirate da Berlino, infatti, la Germania era sempre stata in grado di contare sull'appoggio di Londra. H.W. Sinn scrive a tal proposito: "con la Gran Bretagna nell'UE, i paesi del nord hanno sempre avuto il 38 % dei voti da opporre ai paesi meridionali dell'UE, senza gli inglesi sarà solo il 30 % .." [9 ] La Francia, che sinora si è sempre ribellata invano contro l'austerità dettata da Berlino, all'interno di un'alleanza con i paesi del sud Europa, avrà la possibilità di scrollarsi di dosso, almeno in parte, la spietata presa di Berlino sulla sua economia.
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[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Die Macht der Röhren.
[3] Matthias Kolb, Alexander Mühlauer: Macron schmiedet Pakt gegen Weber. sueddeutsche.de 13.05.2019.
[4] Es handelt sich um Albanien, Bosnien-Herzegowina, Mazedonien, Montenegro, Serbien und die illegal von Serbien abgespaltene Provinz Kosovo.
[5] Stratégie française pour les Balkans occidentaux. diplomatie.gouv.fr mai 2019.
[6] Commémoration des 180 ans des relations diplomatiques entre la France et la Serbie. diplomatie.gouv.fr.
[7] S. dazu Kein Tandem.
[8] S. dazu Im Schatten
[9] Florian Schwiegershausen: "Brexit ist ein Zeichen der Dummheit". weser-kurier.de 04.12.2018.