Visualizzazione post con etichetta Macron. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Macron. Mostra tutti i post

sabato 18 maggio 2019

Perché lo scontro tra Francia e Germania è destinato a proseguire

Dopo il recente riposizionamento di Macron, il cosiddetto asse franco-tedesco è sempre piu' debole. Ad allontanare Berlino da Parigi non ci sono solo le questioni di politica europea, ma anche la battaglia per le tradizionali zone di influenza geopolitica nel Mediterraneo e nei Balcani. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Lealtà limitata

A fine aprile il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una nuova fase "di confronto" con la Germania. Lo sfondo sul  quale si svolge lo scontro: mentre il governo tedesco chiede la piena lealtà francese per imporre gli interessi tedeschi nell'UE, Berlino invece continua sistematicamente a contrastare ogni proposta avanzata da Parigi per la difesa degli interessi francesi [1]. Macron, che in materia di politica europea a causa del blocco di Berlino è rimasto a bocca asciutta, e in politica interna si trova con le spalle al muro, già da febbraio ha iniziato a negare al governo tedesco la fedeltà a cui da tempo a Berlino si erano abituati. Tra le altre cose, il gasdotto Nord Stream 2, per il quale sorprendentemente è venuto a mancare il supporto francese. Per Berlino, che dal gasdotto spera di ottenere dei significativi benefici, si tratta senza dubbio di un duro colpo.

Contro il candidato tedesco

Il nuovo corso politico di scontro annunciato apertamente verso la fine di aprile, è proseguito anche a maggio. Così Parigi in occasione del vertice informale dell'UE di giovedi scorso a Sibiu ha presentato una proposta in materia di politica climatica che chiede all'UE di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030, piu' rapidamente del previsto, e di diventare "carbon neutral entro e non oltre il 2050". La proposta, concordata dal presidente francese con altri sette paesi dell'Unione europea, che tuttavia non era stata discussa con la Repubblica federale, non è passata, come era prevedibile. Berlino, infatti, in considerazione del sostegno del governo all'industria automobilistica tedesca, l'ha bocciata. Oltre a ciò Macron - con l'appoggio non secondario del primo ministro lussemburghese Xavier Bettel - si è pronunciato contro il meccanismo che prevede che il candidato di una delle diverse famiglie politiche europee possa essere eletto come successore del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Si ritiene "non vincolato da questo modello", ha detto Macron a Sibiu. [3] Si stava rivolgendo infatti al candidato alla Presidenza della Commissione del gruppo che probabilmente dopo l'elezione di fine maggio sarà il piu' numeroso al Parlamento europeo, cioè Manfred Weber della CSU, il leader del Partito popolare europeo (PPE).

Nell'area di egemonia tedesca

La resistenza di Macron all'egemonia tedesca non riguarda solo la politica europea, ma anche la classica politica estera. Ad esempio, il 30 aprile scorso il governo francese ha annunciato una nuova strategia per l'Europa sud-orientale che prevede nuove attività soprattutto nei sei paesi della regione non ancora nell'UE [4]. Oltre all'espansione delle relazioni politiche, è previsto un ampliamento anche di quelle economiche; fra le altre cose, Parigi metterà immediatamente a disposizione dei fondi per lo sviluppo fra i 100 e 150 milioni di euro. Ad essere intensificata sarà soprattutto la cooperazione militare: oltre ad un rafforzamento della cooperazione per la formazione in Francia degli ufficiali dell'Europa sud-orientale, ci sono anche dei piani per coinvolgere sempre di più i soldati della regione nelle operazioni militari francesi. [5] Già a febbraio, l'ex ministro francese degli affari europei, Nathalie Loiseaux, durante una visita in Serbia aveva firmato degli accordi dettagliati per una più stretta cooperazione economica 

Vecchie alleanze

Con il suo rinnovato slancio nell'Europa del sud-est, la Francia non solo torna ad essere attiva in una regione che tradizionalmente viene considerata dalla Germania come la sua principale area di influenza. Riprende anche delle vecchie relazioni con degli ex-alleati in un quadro di contrasto all'egemonia tedesca. La Serbia pertanto sarà al centro della nuova politica francese nell'Europa sud-orientale. Nel mese di marzo, pochi giorni dopo la visita a Belgrado del Ministro per gli affari europei francese, il Ministero degli Esteri francese, in una dichiarazione appositamente redatta, ha sottolineato l'importanza della stretta cooperazione franco-serba, iniziata nel 1838. [6] A partire dagli anni '90 del secolo scorso la cooperazione tuttavia è stata duramente messa alla prova: da quando cioè la Germania ha schierato con sé l'intera UE in una posizione ostile alla Serbia - fino alla guerra. Parigi invano all'epoca aveva tentato di impedire l'escalation dell'aggressione condotta da Bonn [7]. Macron, inoltre, a luglio intende visitare Belgrado. Parigi infatti sta ristabilendo la sua tradizionale politica nell'Europa sud-orientale, e lo fa scontrandosi con gli interessi di Berlino

Contrappeso all'allargamento ad est

Lo stesso vale per la politica mediterranea. Un po' più di dieci anni fà, il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già cercato di ribilanciare l'orientamento unidirezione dell'UE verso l'Europa orientale e sud-orientale. Fino ad allora, infatti, l'espansione verso est dell'Unione aveva indirizzato le risorse e la capacità dell'UE prevalentemente verso la tradizionale sfera d'influenza tedesca ad est del continente e in questo modo aveva dato alla Germania dei chiari vantaggi politici ed economici.  Con la fondazione dell'Unione del Mediterraneo, Sarkozy aveva cercato di creare un contrappeso mediterraneo nella tradizionale area di interesse francese in Nord Africa e nel Medio Oriente [8]. Berlino finora è sempre riuscita a frenare il progetto. Ora Macron invece intende rilanciare quella proposta. Fra poco meno di sei settimane (23-24 giugno) si terrà a Marsiglia un summit ("Sommet des deux rives", "Forum de la Méditerranée"), che intende intensificare la cooperazione fra i cinque paesi dell'Europa meridionale (Francia, Portogallo, Spagna, Italia, Malta) e cinque paesi nordafricani (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia). Macron si riallaccia esplicitamente ai piani di Sarkozy.

Non c'è più una minoranza di blocco

Il nuovo corso di Parigi trae slancio dalla prospettiva secondo cui Berlino dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non avrà più una minoranza di blocco per difendere la sua politica di austerità. Lo ha ripetutamente sottolineato anche l'ex presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn. La minoranza di blocco richiede almeno quattro stati con il 35% della popolazione dell'UE. Nelle controversie in materia di austerità, ispirate da Berlino, infatti, la Germania era sempre stata in grado di contare sull'appoggio di Londra. H.W. Sinn scrive a tal proposito: "con la Gran Bretagna nell'UE, i paesi del nord hanno sempre avuto il 38 % dei voti da opporre ai paesi meridionali dell'UE, senza gli inglesi sarà solo il 30 % .." [9 ] La Francia, che sinora si è sempre ribellata invano contro l'austerità dettata da Berlino, all'interno di un'alleanza con i paesi del sud Europa, avrà la possibilità di scrollarsi di dosso, almeno in parte, la spietata presa di Berlino sulla sua economia.
-->




[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Die Macht der Röhren.
[3] Matthias Kolb, Alexander Mühlauer: Macron schmiedet Pakt gegen Weber. sueddeutsche.de 13.05.2019.
[4] Es handelt sich um Albanien, Bosnien-Herzegowina, Mazedonien, Montenegro, Serbien und die illegal von Serbien abgespaltene Provinz Kosovo.
[5] Stratégie française pour les Balkans occidentaux. diplomatie.gouv.fr mai 2019.
[6] Commémoration des 180 ans des relations diplomatiques entre la France et la Serbie. diplomatie.gouv.fr.
[7] S. dazu Kein Tandem.
[8] S. dazu Im Schatten
[9] Florian Schwiegershausen: "Brexit ist ein Zeichen der Dummheit". weser-kurier.de 04.12.2018.





domenica 5 maggio 2019

Heiner Flassbeck: la misericordia non può sostituire la politica

"Un presidente francese competente avrebbe ringraziato educatamente per la disponibilità dei super-ricchi a sostenere la ricostruzione di Notre Dame, ma avrebbe immediatamente respinto l'offerta. Avrebbe detto che proprio alla luce di questa disponibilità, l'abolizione della tassazione sui patrimoni è stato un grande errore che sarà immediatamente corretto", cosi' il grande economista Heiner Flassbeck commenta le politiche di Macron e il tentativo del presidente francese  di copiare dai vicini di là dal Reno. Un commento molto interessante di Heiner Flassbeck su Makroskop


Lo stato francese a fine 2018 aveva esonerato i ricchi e i super ricchi del paese dal pagamento della tassa sui patrimoni e ora sono proprio gli stessi ricchi a sollevare lo stato dal peso della ricostruzione di Notre Dame. Si stima che gli sgravi fiscali per i ricchi applicati a partire da gennaio 2018 siano stati di almeno tre miliardi di euro all'anno. Ora vorrebbero restituire qualcosa allo stato e al "loro presidente". Non è questa la vera giustizia?

I super-ricchi hanno già donato quasi un miliardo di euro. Sembra grandioso, ma quanti anni servono per compensare lo sgravio di tre miliardi di euro all'anno e per giustificare il miliardo donato una tantum? Cento anni o addirittura 200? La cosa è fondamentalmente semplice e i Gilet Jaunes lo dicono altrettanto chiaramente: quelli che fanno di tutto per non pagare le tasse, quando si tratta di misericordia e generosità, semplicemente non hanno alcuna credibilità.

La fortuna dei ricchi

A volte la lingua aiuta a identificare in maniera chiara i fatti. In tedesco, la parola patrimonio (Vermögen) ha qualcosa a che fare con l'abilità. Si dice che qualcuno "fa" (vermöge) qualcosa quando si ritiene che sia in grado di fare qualcosa. In francese, per indicare un patrimonio (così come in inglese) si usa la parola "fortuna" (fortune). Ed è la stessa parola usata per indicare la fortuna. Sarà molto piu' facile quindi per la società chiedere a coloro che hanno avuto "fortuna", anche senza essere stati in grado di "fare qualcosa", di condividere una parte della loro fortuna con gli altri.

A tale riguardo, il presidente Macron non ha saputo spiegare la sua decisione di ridurre drasticamente la tassa sulla ricchezza (esiste solo una tassa sulla proprietà immobiliare, i patrimoni ne sono completamente esenti) ai suoi compatrioti. Ha sostenuto che bisognava ridurre le tasse a coloro che garantiscono delle prestazioni elevate. Ma chi dispone di una fortuna, non deve necessariamente essere un "top performer". In Germania, puoi rivendere un concetto come questo senza che la gente scenda per strada in massa, perché la lingua aiuta ad occultare i fatti. In Francia ovviamente non è così facile.

La comunicazione non basta

La sera del 15 aprile, il giorno in cui Notre Dame è andata in fiamme, Macron, con un grande discorso televisivo avrebbe dovuto spiegare ai suoi connazionali il risultato del suo lungo viaggio fatto di incontri e discussioni attraverso il paese. Il presidente ha speso ore e giorni a discutere dei problemi della Francia con i sindaci e gli esperti per trovare delle nuove soluzioni ai problemi. Probabilmente avrebbe voluto annunciare di aver fatto ancora una volta delle correzioni alle "riforme", per cercare di calmare gli animi surriscaldati emersi dal movimento dei giubbotti gialli.

Ma probabilmente anche questo non avrebbe avuto grandi effetti. La Francia semplicemente non capisce cosa ha fatto di sbagliato. L'inflazione non c'è più, sin dai tempi di Hollande si fanno le riforme, i redditi della massa da anni non crescono, lo stato continua a risparmiare, ma il paese non fa un passo in avanti. Solo i super ricchi diventano sempre più ricchi.

Il fatto che il Paese venga messo sotto sopra senza migliorare la propria situazione economica ha una semplice ragione: la Francia vive in un ambiente macroeconomico inadeguato. Questo ambiente è chiamato "unione monetaria europea". Se vivi in ​​un simile ambiente, anche la migliore volontà e la migliore "politica di riforma" non ti aiuteranno.

Il ruolo del sistema

Ma proprio laddove si dovrebbe riflettere seriamente sul sistema, in Francia come nella maggior parte degli stati membri dell'unione monetaria, affiora un riflesso semplice. Si guarda al grande vicino e si dice, sì, se con questo sistema a loro le cose vanno bene, allora probabilmente non può dipendere dal sistema. Ed è esattamente su questo punto che non si riesce a venirne fuori intellettualmente. Anche se è ovvio chiedersi se le condizioni di un paese si possano applicare anche ad un altro. Ma - lo si può constatare con facilità - non si riesce a porre questa domanda logica ad un livello politico. (...)

Le viti di regolazione decisive 

Ci sono esattamente tre leve macroeconomiche che possono essere utilizzate per stimolare un'economia stagnante in chiave espansiva. Una è il tasso di interesse, la seconda è il tasso di cambio reale, cioè la competitività internazionale, e la terza è la politica fiscale. Naturalmente, il peso di questi fattori varia da paese a paese. Ma è anche chiaro che colui che non ha a disposizione nessuna delle tre leve si trova in una situazione difficile.

Se la situazione è quella comune alla maggior parte dei paesi occidentali - in cui lo strumento del tasso di interesse è stato ridimensionato, senza alcun effetto, dato che l'andamento dei salari è deflattivo e nessuno vuole intervenire in questo ambito - rimangono solo due viti. Uno è il tasso di cambio reale, il cui utilizzo nell'unione monetaria europea è stato completamente abbandonato. Qui, paesi come l'Italia e la Francia non possono ottenere nessun effetto, perché qualsiasi tentativo di migliorare la propria competitività attraverso la moderazione salariale contribuisce ad affondare l'economia interna e provoca più danni di quanti non se ne possano compensare con le esportazioni.

La Germania, invece, grazie ai suoi lunghi anni di dumping salariale praticati sin dall'inizio dell'unione monetaria si è assicurata un vantaggio che non è piu' possibile recuperare. Sebbene la moderazione salariale abbia almeno inizialmente indebolito il mercato interno, grazie ai lunghi anni della svalutazione reale interna il settore dell'esportazione è diventato così grande che l'elevato livello di competitività (un basso tasso di cambio reale) è un fattore con un effetto costantemente positivo, sebbene i salari, e con essi la domanda interna, abbiano leggermente recuperato. Negli altri paesi, tuttavia, l'elevato tasso di cambio reale influisce in maniera costantemente negativa, senza che questi paesi abbiano alcun mezzo per compensarlo.

... non esiste in Europa

Rimane la politica fiscale. Qui i paesi dell'unione monetaria sono vincolati dai trattati, incluso il trattato di Maastricht. Se si parla di questi problemi nei negoziati e nelle conferenze internazionali, si ottiene una risposta incredibilmente semplice: i trattati non possono essere modificati, anche se ci fosse la volontà di farlo, perché è necessaria l'unanimità, che come possibilità politica è da escludere. Poiché dopo il referendum sulla Brexit l'uscita dalla moneta unica agli occhi di un normale politico è diventata ancora piu' insensata di quanto non non fosse in precedenza, resta solo la politica piccola-piccola, alla quale si lavora nella speranza che in qualche modo prima o poi possa accadere un miracolo "tedesco".

Macron giustamente a causa del suo stile e del suo comportamento presidenziale ha ricevuto molte critiche. Ma sostanzialmente si è solo unito alla lunga schiera di politici che dopo tutto non sanno cosa fare. Il fatto che abbia voluto aiutare i ricchi con un'enorme riduzione dell'imposta sulla ricchezza è anche logico: sono stati proprio loro, infatti, a spianargli la strada verso il potere. Il fatto che abbia fatto riferimento alla quasi-abolizione della tassa sulla ricchezza in Germania, ha reso naturalmente più facile rivendere questa forma di pura (e inutile) redistribuzione come una misura di politica economica per stimolare gli investimenti.

Dal momento che la maggior parte degli economisti accademici non ha alcuna comprensione dei rapporti macroeconomici generali, e la stragrande maggioranza dei media, a causa dei loro editori, sono appiattivi sul neoliberismo, mentre i politici stessi e una gran parte dei loro staff sono composti da giuristi, si può ritenere che su molti punti cruciali semplicemente non esista un rigoroso pensiero macroeconomico. Ovviamente a fronte di difficili ostacoli istituzionali puoi anche trovare delle soluzioni, ma devi sapere di cosa si tratta veramente e cosa c'è in gioco. Le cose in Europa dovranno andare molto peggio, anche solo prima di tentare soluzioni del genere.

Solo una coerente riflessione macroeconomica può impedire che nuove manipolazioni e contraffazioni, come ad esempio la riduzione delle tasse per i ricchi o per le imprese, possano essere seriamente prese in considerazione come un antidoto alla crisi economica. Ma è esattamente quello che accadrà ancora una volta in Germania. Il ministro federale  delle finanze e quello dell'economia sono classici esempi di politici completamente sopraffatti da questa situazione, probabilmente circondati da alti funzionari con la loro stessa polarizzazione.

La misericordia non è politica

La filantropia può certamente esistere in una società funzionante. Ma non deve, come invece oggi sembra essere la norma, sostituire la politica sociale e giustificare la rinuncia a politiche redistributive. La coesione della società non è garantita dalle donazioni volontarie o da quelle basate per lo piu' sull'interesse dei ricchi, ma solo da una politica che fin dall'inizio fa in modo che le differenze tra i ricchi e i poveri non siano troppo grandi. Per riequilibrare la "fortuna", non bisogna lasciarla solo nelle mani di chi l'ha ottenuta.

Un presidente francese competente avrebbe ringraziato educatamente per la disponibilità dei super-ricchi a sostenere la ricostruzione di Notre Dame, ma avrebbe immediatamente respinto l'offerta. Avrebbe dovuto dire che proprio alla luce di questa disponibilità, l'abolizione della tassazione sui patrimoni è stata un grande errore che sarà corretto immediatamente. La società, avrebbe dovuto dire, è disposta ed è in grado di guidare la ricostruzione in un modo tale che alla fine ogni francese potrà dire di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità, e che tutto quello che ci si aspettava da un governo democraticamente eletto è stato fatto.
-->

sabato 4 maggio 2019

Primi colpi di avvertimento da Parigi

E' normale che un paese indebitato, con un enorme disavanzo commerciale e una demografia scoppiettante possa avere interessi diversi da quelli di un paese creditore, con un gigantesco surplus commerciale e una demografia asfittica. Checché ne scrivano i soloni prezzolati di casa nostra, il cosiddetto asse franco-tedesco perde colpi e in Europa si aprono scenari fino a poco tempo fa impensabili. German Foreign Policy prova a mettere in fila i colpi di avvertimento sparati da Parigi.


L'offerta di Macron

Il presidente francese Emmanuel Macron sin dall'inizio del suo mandato si è dato da fare per ottenere da Berlino, in cambio della politica di "austerità à l'allemande" applicata a livello nazionale, delle concessioni in materia di politica europea. Le sue proposte erano state illustrate in maniera esemplare durante il famoso discorso alla Sorbona del settembre 2017. A rivestire un ruolo centrale c'era la richiesta di una riforma dell'eurozona, che Macron avrebbe voluto dotare di un ministro delle finanze e di un proprio bilancio; ciò avrebbe dovuto creare le condizioni per ridurre le disuguaglianze all'interno dell'area valutaria e stabilizzare in maniera tempestiva e duratura i paesi in crisi. Il presidente francese chiedeva inoltre il rapido sviluppo di una forza di intervento, con una particolare attenzione alle operazioni militari nell'area africana di grande interesse per le élite francesi. Per riuscire ad attutire l'impatto delle critiche provenienti dal popolo francese e causate dei tagli, erano indispensabili, non da ultimo, dei notevoli successi in materia di politica estera e militare.

Con le spalle al muro

Appena due anni dopo la sua elezione Macron si è accorto di essere rimasto a mani vuote. Berlino non solo ha bloccato i suoi piani di riforma dell'eurozona, perché contrari al rigido modello dell'austerità tedesca [1]; ha anche iniziato a rallentare i piani del presidente francese per una militarizzazione dell'UE ("Iniziativa d'intervento europeo") e al suo posto ha iniziato a spingere il ​​suo progetto "PESCO" [2]. "PESCO" è un progetto militare di lungo termine e non corrisponde al desiderio francese di avere a disposizione una forza a dispiegamento rapido. Berlino inoltre insiste per una "europeizzazione" del seggio francese al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e delle armi nucleari francesi [3], spingendo in questo modo il governo francese sempre di piu' sulla difensiva. Anche in patria Macron è con le spalle al muro. Le proteste dei "gilets jaunes" vanno avanti da mesi; il tentativo di levare il vento dalle vele della protesta con un dibattito controllato dallo Stato ("grand débat") non sta portando frutti: secondo gli ultimi sondaggi circa il 75 % della popolazione ritiene che il progetto non sia in grado di risolvere la crisi [4]. Già all'inizio dell'anno la percentuale di francesi insoddisfatti dall'amministrazione Macron era salita a tre quarti della popolazione [5]. 

Colpi di avvertimento

E' in questa situazione che Macron ha iniziato la sua manovra difensiva nei confronti dell'egemonia tedesca nell'UE: nonostante la sua politica di "austerità à l'allemande" e la sua lealtà, infatti, Berlino non ha voluto accordargli nemmeno delle piccole concessioni utili a facilitare il suo consolidamento interno. Un primo sorprendente colpo di avvertimento in direzione Germania è arrivato a febbraio con il ritiro dell'appoggio francese al gasdotto Nord Stream 2; il governo federale solo esercitando una grande pressione in seguito è poi riuscito a mantenere aperta una possibile soluzione per il progetto [6]. Un altro affronto, sebbene simbolico, è stata la disdetta da parte di Macron di un'uscita dimostrativa congiunta con la cancelliera Angela Merkel durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco - motivando la scelta con la necessità di dedicarsi urgentemente al desolato stato interno della Francia. A metà aprile Parigi ha anche votato contro l'apertura di negoziati formali per un accordo commerciale con gli Stati Uniti. I negoziati, infatti, sono di particolare interesse per Berlino: Washington, soprattutto a causa dell'eccedenza commerciale tedesca, minaccia di applicare tariffe punitive e dazi sulle auto che colpirebbero duramente l'industria tedesca. Questa volta il voto contrario della Francia, a causa del voto a maggioranza, non ha avuto alcun effetto, ma è stato comunque un segnale molto chiaro.

Le eccedenze commerciali tedesche

La settimana scorsa Macron, durante una conferenza stampa, ha annunciato ulteriori "scontri" con la Repubblica federale, promettendo anche nuovi sforzi per riformare l'Eurozona. [7] Come constatava anche una relazione recente dell'Institut de Relations Internationales et stratégiques (IRIS) di Pargi, si tratta di elementi di importanza fondamentale: la fissazione tedesca sull'export fondata su dei surplus commerciali enormi, viene realizzata "a spese dei paesi partner" e nel lungo periodo non è sostenibile. Nel frattempo, il ministro francese dell'Economia e delle finanze, Bruno Le Maire, a Berlino ha iniziato ad insistere per ottenere dalla parte tedesca un ripensamento in merito alla sua fissazione unilaterale sull'export. Parigi nei prossimi mesi affronterà di nuovo e "in maniera piu' o meno esplicita" la questione del "considerevole surplus commerciale tedesco", si dice all'IRIS: alla fine, questo grava piu' "sui partner europei della Germania" che non sugli Stati Uniti, il cui presidente è riuscito ad imporre nell'agenda internazionale il tema dell'eccesso di export tedesco [8]. Anche nell'UE, la Francia è lungi dall'essere la sola a criticarlo.

"Completamente normale"

Prima della riunione fra Macron e Merkel tenutasi a margine del vertice sui Balcani occidentali di Berlino, il governo federale ha cercato di minimizzare il conflitto. Ci sono solo dei "disaccordi occasionali" tra i due paesi, ha riferito un portavoce del governo; ciò tuttavia sarebbe "normale e necessario". Fino ad ora si è sempre riusciti a trovare una "soluzione" alle controversie. [9] Nella realtà dei fatti però la "soluzione" è sempre stata quella che favoriva gli interessi della Germania. Uno degli esempi più recenti è stato quello della tassa sul digitale che la Francia avrebbe dovuto introdurre a livello nazionale a marzo - ma che Berlino aveva ostinatamente bloccato a livello europeo [10].

Non c'è piu' una minoranza di blocco

I predecessori di Macron, Nicolas Sarkozy e François Hollande, avevano già fallito nel tentativo di limitare gli avanzi commerciali tedeschi e di ottenere una corrispondente riforma della zona euro. Nei loro confronti Macron tuttavia ha un vantaggio significativo: dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non ci sarà piu' una minoranza di blocco contro quei paesi che rifiutano i diktat tedeschi in materia di politica dell'austerità. "La Brexit", era scritto recentemente in un commento, "regala ai paesi mediterranei la maggioranza dei voti". [11] Ciò dà agli stati dell'unione economicamente più deboli la speranza di potersi liberare dalla morsa della spietata austerità imposta da Berlino. Di conseguenza Macron ora appoggia una Brexit rapida - e in questo modo ancora una volta finisce per entrare in rotta di collisione con Berlino.
--> ..



[1] S. dazu Der Lohn des Chauvinismus und Hegemonie nach deutscher Art.
[2] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen (II).
[3] S. dazu Die nukleare Frage.
[4] Opposés à Macron, les français soutiennent les #giletsjaunes #acte24 #sondage. agoravox.fr 27.04.2019.
[5] Dreiviertel der Franzosen unzufrieden mit Präsident Macron. handelsblatt.com 04.01.2019.
[6] S. dazu Weltpolitik unter Druck.
[7] Catherine Chagitnoux: Macron assume ses désaccords avec l'Allemagne. lesechos.fr 25.04.2019.
[8] Rémi Bourgeot: Le "modèle allemand": de totem à tabou. iris-france.org 26.04.2019.
[9] Macron sucht "fruchtbare Konfrontationen" mit Berlin. Frankfurter Allgemeine Zeitung 27.04.2019.
[10] S. dazu Streit um die Digitalsteuer.
[11] S. dazu Zuckerbrot und Peitsche und Deutsche Hybris.

mercoledì 1 maggio 2019

Berlino isolata dopo la fine del matrimonio franco-tedesco

"Il discorso del presidente Macron del 25 aprile, non solo segna la fine del rapporto speciale fra Francia e Germania. Ma le conseguenze di questa rottura dell'asse europeo vanno ampiamente al di là dell'UE", scrive Uwe Schramm, un importante diplomatico tedesco, su Tichys Einblick. Mentre i pennivendoli di casa nostra ci spiegano che l'Italia in Europa sarebbe isolata ed esclusa dai tavoli che contano, scopriamo che da Parigi arrivano dei segnali molto chiari: il matrimonio franco-tedesco non è finito, ma si avvicina alla fase della separazione in casa. Commento molto interessante di Uwe Schramm su Tichys Einblick.


Alcune cose semplicemente accadono all'improvviso, anche se ad un certo punto te le saresti potute aspettare. E' successo con il discorso del presidente francese Emmanuel Macron di giovedì scorso. L'argomento più importante doveva essere la politica interna francese dopo le proteste dei Gilets Jaunes. Ma poi Macron, con una chiarezza senza precedenti, si è spostato sui crescenti conflitti fra Parigi e Berlino. Ha menzionato gli esempi nella politica energetica e climatica, le differenze in materia di politica commerciale con gli Stati Uniti e nei negoziati sulla Brexit. Avrebbe potuto elencarne di più: come le divergenze in materia di politica finanziaria e sociale nell'UE, nella difesa comune e nell'esportazione di armi. A ciò si aggiungono le delicate questioni interne in materia di politica migratoria dell'UE e la difesa delle frontiere esterne dell'UE.

Anche solo come provocazione, Macron nel suo discorso di Parigi, avrebbe potuto aggiungere altri elementi ancora piu' recenti. Come la richiesta fatta dal nuovo leader della CDU Kramp-Karrenbauer di chiudere la seconda sede del Parlamento europeo a Strasburgo, oppure la polemica inutilmente scatenata dalla parte tedesca sul seggio francese al Consiglio di Sicurezza, che a Berlino, per ovvie ragioni, si pensa debba diventare un seggio comune dell'UE. Dal punto di vista francese, c'è come l'impressione che a Berlino si voglia sminuire il ruolo di Parigi. A Parigi ovviamente la cosa non è stata presa molto bene. Non era andata diversamente in passato, come ad esempio è accaduto con le reazioni evasive arrivate da Berlino in seguito alle ripetute proposte di riforma europea lanciate da Macron.

Macron nel suo discorso ha evitato una escalation delle parole. Ha parlato di "un confronto fruttuoso" e della volontà di scendere a compromessi. Il suo discorso tuttavia conteneva un  messaggio chiaro: basta con il divertimento. Il tempo delle avances di Parigi in materia di politica europea è finito. D'ora in poi ognuno farà ciò che ritiene giusto e ciò che riesce a far rispettare. Non c'è più una corsia preferenziale franco-tedesca. D'ora in poi nell'UE ci sarà una libera scelta del partner con cui mettersi in viaggio.

Fra le righe ciò significa anche che Berlino ha perso il suo partner più importante nell'UE. Non è ancora opposizione aperta, ma si tratterà sempre di piu' di prendere decisioni sulla base degli interessi in ogni singola situazione, caso per caso. E questo accade proprio nel momento peggiore in cui la Gran Bretagna dice addio all'Unione europea, un paese che in materia di politica economica e finanziaria si era mosso quasi sempre insieme a Berlino. Londra mancherà quando si tratterà di decidere sull'appetito finanziario dei paesi del sud. Anche su altri temi, Berlino avrà il vento in faccia, all'interno dell'UE. A est, resta il gruppo di Visegrad con la Polonia, l'Ungheria e gli altri, i quali cercheranno di contrastare i diktat reali o presunti provenienti da Bruxelles o Berlino, mentre da Vienna, se sarà necessario, per questioni di pura utilità, si sceglierà un ruolo da suggeritore. Nel sud la Spagna resta vicina a Berlino, ma al momento ha altre preoccupazioni. Su dei paesi come Italia e Grecia bisogna farsi delle preoccupazioni. Berlino nell'UE nel complesso non è isolata. Ma non ha piu' amici. O piu' precisamente: ci sono dei partner con una diversa vicinanza e rilevanza e con motivazioni, obiettivi e interessi non corrispondenti.

Il discorso del presidente Macron del 25.04.2019, non solo segna la fine dello speciale rapporto franco-tedesco. Ma le conseguenze di questa rottura nell'asse europeo vanno ampiamente al di là dell'UE.

C'è una spiegazione a questa situazione. La geometria della politica estera tedesca può essere descritta con tre cerchi. Tre cerchi che corrispondono agli ambiti più importanti per la sicurezza del paese, e non solo per gli interessi economici. Si potrebbe anche parlare di tre dimensioni della politica estera: l'Europa, l'Atlantico e l'Oriente. Il problema ora è che dopo la correzione di rotta di Macron, nessuno di questi tre cerchi può ancora essere considerato intatto.

La dimensione europea ha il suo centro nell'UE, integrata da vari strumenti formali come il Consiglio d'Europa e un gran numero di meccanismi e istituzioni informali. Ma il centro di questo nucleo era costituito dal tandem franco-tedesco. Se questo asse soffre una perdita di qualità, come sta accadendo ora, ci saranno delle conseguenze per l'intero cerchio europeo della nostra geometria di politica estera. Il cuore continua a battere, ma sta soffrendo.

La seconda dimensione della nostra geometria di politica estera sono le relazioni transatlantiche; prima di tutto con gli Stati Uniti, che per la nostra sicurezza ancora oggi restano essenziali come lo sono sempre stati. Sfortunatamente la nostra politica e la stampa di casa nostra non hanno ancora capito che il presidente Donald Trump è tutt'altro che un imbarazzante incidente di percorso della politica americana. Berlino senza dubbio resta una voce importante nel bilancio della politica estera degli Stati Uniti. In queste circostanze, tuttavia, essere scivolati quasi in fondo alla classifica delle simpatie americane deve essere considerato un notevole svarione. Ciò puo' essere spiegato non solo con gli egoismi rabbiosi della politica americana, ma anche dal comportamento di Berlino e da altre questioni sostanziali come il non rispetto degli impegni tedeschi nel settore della difesa, o dal bigottismo di carattere guglielmino della stampa tedesca, e da certe dichiarazioni pubbliche, anche a livello politico. È così mentre il presidente Macron e sua moglie invitano la coppia Trump per un'elegante cena nel ristorante della Torre Eiffel, alla parte tedesca spesso, in materia di decenza civile, manca l'essenziale. Ciò trova vendetta nel fatto che la dimensione emotiva continua ad influenzare gli aspetti piu' fattuali. Inoltre, ciò non sembra essere d'aiuto anche nell'interpretazione delle dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti sugli impegni dell'Alleanza NATO. 

Nel terzo cerchio della nostra architettura di politica estera, quello della politica orientale, senza peraltro averne molta colpa, ci troviamo di fronte alle macerie della politica di distensione, nella sua formulazione finale, contenuta negli Accordi di Helsinki del 1975, i quali poi dal 1989 avevano reso possibile il processo di riunificazione tedesco. Per molti di noi si tratta di un addio difficile, che non viene accettato ovunque. Il ricordo di Willy Brandt è indimenticabile. Persino l'attuale presidente federale Steinmeier nei suoi anni da Ministro degli Esteri ha cercato di salvare ciò che sembrava possibile, e forse ha  tentato di tornare ai buoni propositi iniziali. Ma era come voler guidare alla massima velocità sull'autostrada orientandosi solo con lo specchietto retrovisore. Il suo successore Heiko Maas invece sembra essere in procinto di  tornare a separare un'altra volta i desideri dalla realtà.

Tornando a Emmanuel Macron e al suo discorso del 25.04.2019: non porterà al divorzio definitivo della coppia franco-tedesca, ma piuttosto ad una vita da separati in casa.

Con questa decisione del presidente francese, Berlino si trova ora in una situazione in cui nessuno dei tre ambiti della geometria della politica estera tedesca resta completamente intatto. La rottura dell'asse franco-tedesco ha colpito la dimensione europea sia nella sua qualità, che nella sua efficacia. Anche il rapporto con Washington sta soffrendo, ma non si può dire quale delle 2 parti abbia la responsabilità maggiore. Sarebbe molto bello, tuttavia, se sul lato tedesco, almeno per un po' si riuscisse a spegnere gli altoparlanti. La terza, vale a dire la dimensione della politica orientale, a causa della condotta russa in Crimea e in Ucraina orientale e di altri spiacevoli inconvenienti, non ha più alcuna valenza pacificatrice, come era accaduto sotto Brandt, Schmidt e Kohl, ma si è trasformata invece in un fattore di rischio, purtroppo con una tendenza crescente.

Se si confronta la situazione attuale con quella della politica estera sotto il cancelliere Helmuth Kohl, quando tutte e tre le dimensioni erano stabili, allora la Repubblica federale  odierna è messa molto peggio. Non c'è ragione per drammatizzare. Ma ci stiamo dirigendo verso una situazione di politica estera che in caso di shock interni o esterni imprevisti  potrebbe diventare problematica.


-->

lunedì 29 aprile 2019

Il riposizionamento di Macron

"La Germania senza dubbio si trova alla fine di una fase di crescita in cui ha tratto un enorme vantaggio dagli squilibri dell'eurozona", ha detto Macron giovedì a Parigi. Dopo i mesi difficili segnati dalla proteste dei Gilets Jaunes, per il presidente francese è arrivato il momento di riposizionarsi e di prendere le distanze da Berlino. E' una vera svolta oppure solo uno show a fini elettorali? Ne scrive Der Spiegel


La seconda parte del mandato del presidente francese Macron inizia con un riposizionamento nei confronti della Germania. Per Macron il paese vicino non è più il modello per le riforme, ma un modello in via di progressivo superamento.

Quando il presidente francese Emmanuel Macron due anni fa si presentò a Berlino per la visita inaugurale alla Cancelliera Angela Merkel, lo fece in maniera quasi sottomessa. A quel tempo, l'auto-proclamato riformatore economico considerava la Germania un modello dal quale c'era ancora molto da imparare.

Quando questo lunedì Macron tornerà a Berlino, i presagi lasciano ipotizzare una situazione completamente diversa. In realtà il presidente sarà solo un ospite al vertice sui Balcani organizzato nella Cancelleria federale. Ma nella cronologia francese è appena iniziata la seconda parte del mandato di Macron: dopo cinque mesi di proteste da parte del movimento dei Gilets Jaunes, che gli sono quasi costati il mandato, il presidente, dopo un tour di tre mesi nella provincia francese, recentemente è riuscito anche a riconquistare un po' di prestigio.

Macron in questi giorni, quindi, dà avvio al "secondo atto" del suo mandato. "Il primo atto era stato completamente focalizzato sulla Germania, nel secondo atto invece ha elaborato la delusione causatagli dalla Germania, e guarda in altre direzioni", spiega a Der Spiegel Sébastien Maillard, direttore dell'Istituto Jacques Delors di Parigi.

Per il suo rapporto con la Germania in pratica significa che il vicino non è più il modello per le riforme francesi, ma solo il principale modello economico d'Europa, in via di progressivo superamento.

"La Germania senza dubbio si trova alla fine di una fase di crescita in cui ha tratto un enorme vantaggio dagli squilibri dell'eurozona" ha detto Macron in una conferenza stampa al Palazzo dell'Eliseo giovedì scorso. Ed è stato ancora più esplicito: "La Germania ha un modello di produzione basato sul fatto che in Europa vi siano paesi con dei bassi costi di produzione - vale a dire esattamente l'opposto del progetto sociale che io intendo rappresentare per l'Europa".

In realtà la critica di Macron al modello economico tedesco non è nuova. "Già Xavier Musca, l'attuale vicepresidente della banca Crédit Agricole, nel suo ruolo di segretario generale del presidente Nicolas Sarkozy, dieci anni fa all'Eliseo aveva espresso lo stesso punto di vista", ricorda l'esperto di politiche europee Maillard. A Parigi c'è sempre stata la preoccupazione che la forza dell'economia tedesca, tutta basata sulle esportazioni, alla fine avrebbe avvantaggiato solo i tedeschi. Ma dopo la crisi finanziaria del 2008, per un lungo periodo di tempo il successo della loro economia sembrava aver dato ragione ai tedeschi.

"La Germania ha fatto le sue riforme al momento giusto, non l'ho mai incolpata per questo", dice ora Macron. Eppure ritiene che queste riforme, per le quali anche lui in Francia negli ultimi due anni si è speso, oggi non siano più un modello.

"Ho chiesto a Macron: la Germania è consapevole delle difficoltà che per noi rappresentano le aggressive politiche economiche degli Stati Uniti e della Cina?", riferisce la star dell'economia di Parigi, Elie Cohen. Cohen è stato professore di economia alla Scuola di Amministrazione di Parigi ENA, dove studiava Macron, ed è tuttora uno dei consiglieri presidenziali.

Quello che Cohen intende è: l'atteggiamento sempre più protezionistico degli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump e la politica economica espansiva di Pechino nell'ambito della cosiddetta nuova "Via della seta", dal suo punto di vista, già da tempo avrebbero dovuto garantire nuove condizioni in Europa. Le riforme liberali che la Germania ha predicato fino ad ora, sono diventate inutili. "In realtà, sarebbe proprio nell'interesse economico della Germania concentrarsi sempre di più sull'Europa", dice Cohen, che considera i mercati di vendita tedeschi nei paesi emergenti, come ad esempio quello delle costruzioni meccaniche, a rischio collasso.

La Germania guarda solo alle sue case automobilistiche?

Ma le esportazioni tedesche verso la Cina non continuano a crescere? Parigi non vuole sentirne parlare. "La Germania è troppo dipendente dalla sua industria automobilistica", dice l'esperto di politiche europee Maillard con un sorriso - lui stesso sa che questa è la solita storia, come del resto si ripeteva anche in passato ogni volta che in Germania si parlava degli agricoltori francesi. Come dicevano sempre a Berlino: Parigi in Europa si preoccupa solo della sua agricoltura. Ora sta arrivando il vagone di ritorno.

"La Germania ritiene di aver compreso la crisi del diesel, ma in realtà non si sta muovendo", afferma la star dell'economia Cohen. E fa riferimento anche al rifiuto di Berlino di applicare una tassa digitale sulle principali società tecnologiche statunitensi. Dal punto di vista di Parigi, non si è fatta solo perché il governo federale ha voluto proteggere le aziende automobilistiche tedesche, che altrimenti sarebbero state minacciate da nuove tasse o nuovi dazi negli Stati Uniti.

Macron ora vorrebbe usare la discussione per riposizionare la Francia: allontanarsi dal ruolo di studente modello delle riforme tedesche per diventare il promotore di una nuova politica economica europea sempre meno basata sul semplice credo nel libero mercato.

Macron vorrebbe contrastare gli USA e la Cina. L'esempio più recente: Parigi non vuole avere nuovi colloqui commerciali con gli Stati Uniti - non vuole averli con un paese che è uscito dal trattato sul clima. "Sarebbe incoerente", ha detto Macron.

Il fatto che in questo modo a Berlino Macron abbia provocato molti scuotimenti di capo, lo sa bene anche lui. Sa anche che quando la scorsa settimana gli hanno chiesto dello stato dei rapporti franco-tedeschi, ha subito trovato un nuovo modo per ridefinirli: "un confronto fruttuoso". Si possono chiamare anche così.


-->

sabato 15 dicembre 2018

Der Spiegel: dell'eurobudget di Macron praticamente non è rimasto nulla

Secondo Der Spiegel anche Merkel avrebbe scaricato il giovane presidente francese e i suoi piani per una unione di trasferimento finanziata dai tedeschi. Con il vertice europeo di venerdì, di fatto, il progetto di una "Transferunion" finanziata dal lato nord dell'unione monetaria viene definitivamente sepolto e il finto europeismo di Macron smascherato per quello è: il tentativo di imporre gli interessi francesi a livello europeo. Anche la cosiddetta stampa di qualità tedesca, dopo l'apertura di lunedi' ai gilet jaunes e quindi ad un aumento del deficit, scarica definitivamente l'enfant prodige di Rotschild. Da Der Spiegel


(...) E' certo che il bilancio dell'eurozona troverà un posto nel futuro bilancio dell'UE. Ma è rimasto poco della grande idea di Macron, cioè quella di intervenire con diversi miliardi di euro in soccorso degli stati della zona euro in difficoltà. Certo, lo si puo' vedere come un inizio - e sia Macron che Merkel sono abbastanza intelligenti da rivendere il risultato del summit come un successo.

Macron, con alle spalle uno sfondo blu scuro e il tricolore, elogia le conclusioni del vertice sull'euro come "una svolta decisiva nei piani che la Francia ha presentato un anno fa" e loda la cooperazione con Merkel. "Svolgiamo un ruolo storico, insieme alla Germania, nell'andare avanti". Nella sala accanto Merkel fa lo stesso. Abbiamo trovato un accordo sulle proposte di Macron "in una versione alla quale tutti gli stati dell'Eurozona vi possano partecipare", afferma la Cancelliera. Sia lei che Macron sono "abbastanza soddisfatti di essere riusciti a farlo".

Ma la verità è amara: l'Europa ha lasciato Macron appeso. Da venerdì pomeriggio, la "finestra di opportunità", di cui spesso si è parlato, si è chiusa. Come previsto, al vertice UE, sono stati fatti solo dei piccoli passi in avanti in materia di riforma dell'Eurozona. Ci sarà un ulteriore scudo di emergenza per le banche in difficoltà, e il fondo di salvataggio ESM avrà dei nuovi compiti. Meglio di niente, ma non una ripartenza.

Questo vale soprattutto per il bilancio della zona euro. Nella dichiarazione finale del vertice di Bruxelles, sull'argomento c'è solo un paragrafo secco, che non contiene nemmeno la parola eurobudget. I soldi dovranno essere spesi per rendere i membri della zona euro più competitivi. Non viene affatto menzionata la funzione di stabilizzazione del bilancio, cosi' importante per Macron. L'obiettivo era, ad esempio, in caso di crisi sostenere con dei crediti le assicurazioni contro la disoccupazione degli Stati membri.

I ministri delle finanze ora dovranno presentare delle proposte per la struttura del bilancio. Alla dimensione del piatto, che in origine Macron voleva riempire con diversi punti di PIL dell'UE, i capi di stato e di governo non dedicano nemmeno una parola. Sarà deciso nel contesto dei negoziati sul prossimo bilancio pluriennale dell'UE, si dice. Che saranno completati non prima dell'autunno del 2019. Prima di ciò, entro giugno, sarà necessario trovare un "approccio generale" all'eurobudget.

Che tradotto significa: per ora non succede nulla. Le elezioni europee sono previste per maggio 2019 e poi si dovrà formare una nuova Commissione. È possibile che solo la prossima crisi costringa gli europei ad agire di nuovo.

La Germania esita, l'Austria frena

Tutto era iniziato in maniera così favorevole. Pochi giorni dopo le elezioni presidenziali, Macron nell'autunno 2017 aveva presentato la sua visione per una riforma dell'UE. Le richieste sull'euro rappresentavano solo una piccola parte di questo brainstorming pubblico, ma la più importante. Il presidente francese voleva riformare l'UE Insieme alla Cancelliera tedesca.

Ma la formazione del governo a Berlino si è trascinata a lungo. Quando l'accordo di coalizione con il suo capitolo introduttivo favorevole all'UE è stato finalmente concluso, probabilmente non valeva nemmeno la carta su cui era scritto. Anche se poi a giugno a Meseberg si è riusciti a trovare un accordo per andare avanti insieme sulle riforme. Il ministro delle Finanze federale Olaf Scholz (SPD) per molte notti si è anche sforzato insieme al suo collega francese Bruno Le Maire, di mettere nero su bianco un possibile bilancio della zona euro.

Ma alla fine tutto è rimasto molto incerto, il motore franco-tedesco non si è mai veramente messo in modo. A ciò si aggiunge anche la crescente resistenza da parte di altri stati dell'UE. Da un lato, ci sono gli stati dell'UE, come la Polonia o la Svezia, che non sono fra i 19 membri dell'Eurozona. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbero concordare su un budget che dovrebbe essere ritagliato dal bilancio effettivo dell'UE e dal quale non avrebbero nulla indietro.

Lo stesso Macron minaccia di diventare un peccatore finanziario

Ma ci sono anche massicce critiche dall'Eurozona, specialmente dai Paesi Bassi e dall'Austria. "Non sono un amico del bilancio della zona euro", ha detto il capo di governo di Vienna, Sebastian Kurz, a Bruxelles. L'UE ha già un budget. Un budget separato della zona euro "ai contribuenti finirebbe per costare solo molto denaro in piu'".

Per potersi ulteriormente avvicinare dal punto di vista della politica fiscale, cosi' secondo l'argomento preferito dai critici, bisogna prima ridurre i rischi nell'eurozona. Un primo esempio di ciò sarebbero i piani dei nazionalisti di destra italiani e dei populisti di sinistra per aumentare in maniera massiccia il debito pubblico. Ma proprio Macron ora rischia di atterrare nel club dei peccatori finanziari. I benefici socio-politici che ha promesso ai manifestanti dei "gilet jaunes" potrebbero indurre la Francia a oltrepassare nuovamente la soglia del deficit al 3 per cento.

I primi dubbi sull'immagine dell'europeista modello

Cosi' l'autorità di Macron a Bruxelles subisce un primo duro colpo. Una Francia riformata, che per un lungo periodo di tempo riesce a rispettare le regole del Patto di stabilità e crescita, era stata questa la promessa di Macron agli europei - e in particolare ai partner delle riforme a Berlino. Ma ora si accorgono che: se le cose per lui si mettono male, il presidente francese se ne frega delle regole finanziarie dell'UE.

È probabile che coloro che hanno sempre diffidato di Macron ora si sentano confermati. Come tutti gli altri, anche lui cerca di imporre gli interessi del suo paese, dicevano malignamente i rappresentanti di diversi paesi dell'UE, fra cui la Germania. La facciata del grande europeista è esattamente questa: una facciata.

L'euforia con cui gran parte d'Europa ha celebrato la vittoria elettorale di Macron sulla populista di destra Marine Le Pen è stata già dimenticata. Ma era solo un anno e mezzo fa - e i populisti di destra potrebbero presto contrattaccare. Prima di tutto con Matteo Salvini, il capo della Lega in Italia, un partito radicale di destra. Il quale alle elezioni europee vorrebbe inscenarsi come il grande avversario di Macron.

Puntate precedenti sullo stesso argomento:


Da Meseberg verso l'unione di trasferimento

Perché il bilancio dell'eurozona è un compromesso al ribasso che non serve a nessuno






Merkel ha già scaricato Macron?

-->

martedì 11 dicembre 2018

Die Welt: brutte notizie per la Germania, ora dovrà gestire un'altra Italia

Per il prestigioso quotidiano di Amburgo il discorso di Macron di lunedi' sera segna il definitivo spostamento dell'equilibrio interno all'unione monetaria in favore del Club Med (Spagna e Italia). L'uomo di Berlino a Parigi, il giovane Macron, ha deluso le aspettative dei neoliberisti tedeschi, come era accaduto con Renzi in Italia, e ora i tedeschi dovranno capire come sarà possibile gestire un'altra Italia nella stessa unione monetaria. Ne scrive su Die Welt Olaf Gersemann, responsabile sezione economia nonché commentatore di spicco.


In Germania, il salario minimo legale è di 8,84 euro all'ora. E i malumori per il passaggio a fine anno a 9,19 euro sono relativamente pochi - dopotutto il paese si sta dirigendo verso la piena occupazione, almeno fino a quando l'attuale fase di crescita non porterà ad una recessione.

In Francia il salario minimo legale è molto più alto, 9,88 euro l'ora, e anche la disoccupazione è molto più alta - nel confronto europeo la Francia è al quarto posto, solo Grecia, Italia e Spagna riescono a fare peggio.

Se all'Eliseo ci fosse un riformatore con qualche ambizione, saprebbe cosa fare: assicurarsi che il salario minimo aumenti solo modestamente o, nel migliore dei casi, per niente. Non sarebbe una condizione sufficiente, ma comunque necessaria affinché la disoccupazione possa almeno iniziare a scendere in maniera simile a quanto accade su questa sponda del Reno.

Emmanuel Macron tira fuori le pistole. Per settimane, i giubbotti gialli hanno imperversato in Francia, lunedì sera, il presidente francese ha risposto con un discorso televisivo. Quella sarebbe stata l'occasione per contrastarne gli eccessi. Quella era l'occasione giusta per passare all'offensiva, per proporre la visione di una Francia prospera che richiede anche dei sacrifici da parte dei suoi cittadini sulla strada necessaria per raggiungere l'obiettivo.

Macron non solo ha perso un'opportunità. Ma ha legittimato le rivolte ex-post proclamando lo "stato di emergenza economica e sociale" e strisciando incontro alla folla che incendia le auto di piccola cilindrata.

Aumento del minimo salariale di quasi il sette per cento

La più simbolica delle sue concessioni: il salario minimo dovrebbe salire di 100 € al mese. Cioè, in un colpo solo, un aumento pari a tutti gli aumenti degli ultimi sei anni messi insieme. Il salario minimo salirà di quasi il sette percento, a 10,54 euro all'ora.

Che la disoccupazione in seguito a questo aumento rischia di crescere ancora, lo sa bene anche Macron. Ecco perché dovrebbe essere lo stato a pagare i 100 euro. Tra le altre cose, è disposto anche ad accettare il superamento da parte della Francia del limite di deficit del 3% in rapporto al PIL fissato dai criteri di Maastricht; Parigi nel 2017, per la prima volta a partire dal 2007, aveva rispettato il criterio unicamente grazie alla politica dei tassi a zero della BCE. Devi essere davvero cinico allora, se pensavi di rimettere in questo modo la Francia "En Marche" - in movimento.

La speranza è sempre stata quella che Macron potesse trasformarsi nel Gerhard Schröder francese: un uomo che, se necessario, avrebbe messo in pericolo il suo mandato pur di riuscire a fare la giusta politica economica. Invece Macron si è fatto piccolo ed è diventato la versione francese di Matteo Renzi. Il primo ministro italiano è stato presidente del consiglio dal 2014 al 2016, anche lui era di bell'aspetto, giovane e dinamico, e a suo tempo prometteva le stesse cose di Macron: formule magiche senza effetti collaterali.

Alla fine l'Italia, lungo la strada che porta alla bancarotta dello stato, ha perso solo del tempo prezioso. Ad avvantaggiarsene politicamente sono stati i ciarlatani dell'estrema destra e dell'estrema sinistra che ora a Roma dirigono le operazioni.

Brutte notizie per la Germania

La Francia, un paese che in realtà avrebbe ancora il potenziale economico per contendere alla Germania il primo posto in Europa, ora rischia di inciampare dietro all'Italia lungo la strada che porta in terza divisione. Difficilmente potrà permettersi un altro presidente conciliante: la lenta e strisciante caduta del paese, a partire dalla crisi finanziaria ha subito un'accelerazione e ora rischia di trasformarsi in una retrocessione permanente.

Per la Germania si tratta di una brutta notizia. Economicamente. Ma anche politicamente. Già al culmine della crisi dell'euro, in considerazione del suo peso economico, è sempre dipeso tutto dalla Francia: se Parigi sta dalla parte di Berlino, si può evitare che l'unione monetaria finisca sotto l'influenza del Club Med informale guidato da Italia e Spagna e scivoli nell'unione di trasferimento. D'altra parte, se Parigi si mette dalla parte di Italia e Spagna - o se rimane neutrale - allora l'intera costruzione si ribalta.

Per 15 mesi la Berlino politica si è occupata maniacalmente del modo in cui si poteva rispondere alle proposte di riforma dell'euro e dell'Europa, presentate da Macron nel settembre 2017 subito dopo le elezioni tedesche in occasione del discorso alla Sorbonnne di Parigi. Proposte che fondamentalmente mirano a spillare il denaro e la sovranità dei contribuenti tedeschi.

Memori della performance di Macron nella disputa sui gilet gialli, ora a Berlino ci si potrà occupare con fiducia di altre cose. Cose più urgenti. La questione consiste esattamente nel modo in cui si dovrà gestire una situazione in cui la Germania all'interno dell'Unione monetaria e nell'UE, non avrà piu' a che fare con una sola Italia. Ma con due.


-->