mercoledì 3 ottobre 2018

Il nuovo militarismo di Berlino

Nel giorno in cui si celebra la riunificazione tedesca, questo blog propone una riflessione sul nuovo militarismo tedesco. Un ottimo Georg Rammer su Ossietzky, una rivista pacifista e anti-militarista, analizza gli sforzi del governo di Berlino per dotare la Germania di una Bundeswehr in grado di agire su scala globale con l'obiettivo di difendere gli interessi della grande potenza esportatrice. Da Ossietzky.net


L'egemonia tedesca in Europa, da molti paesi temuta sin dal 1989, ormai è una realtà. Il campione mondiale dell'export impone nell'UE una rigorosa politica di austerità e nel proprio interesse garantisce il sostegno agli investitori e al libero commercio. Tuttavia per garantire alle imprese tedesche un ambiente favorevole agli investimenti e l'accesso a materie prime a basso costo è necessaria un'adeguata garanzia militare. Da un punto di vista critico, queste attività possono essere considerate elementi costitutivi del nuovo imperialismo tedesco.

Il governo federale e l'industria della difesa su questo tema possono già registrare un successo: da parte della popolazione tedesca c'è poca resistenza nei confronti del riarmo. Anche se in realtà molti sondaggi da anni ci ripetono che in Germania ci sarebbe un'ampia maggioranza contraria alle missioni militari e sempre secondo i tedeschi a minacciare la pace sarebbero molto piu' gli Stati Uniti che non la Russia. Nonostante ciò il ministero diretto dalla signora Von der Leyen e la Grande Coalizione continuano a perseguire una politica di militarizzazione, riarmo e di atti minacciosi nei confronti della Russia. Recentemente il Ministero della Difesa ha infatti presentato un nuovo "Concetto per la Bundeswehr" (Ministero della Difesa federale, 20 luglio 2018). L'obiettivo del documento è fornire una risposta al "profondo cambiamento nella situazione di sicurezza in Europa e nel mondo" ed esprimere "la volontà della Germania di assumere maggiori responsabilità a livello globale" (p.4). "Nel mondo", qui espresso in senso letterale, le missioni dell'esercito tedesco in futuro comprenderanno un concetto di sicurezza globale esteso anche nell'ambito dei sistemi informatici e spaziali.

Il documento del ministero sottolinea l'importanza sia delle missioni all'estero che della difesa nazionale e dell'alleanza. Ma chi sarebbe - dopo il crollo del sistema socialista, del Patto di Varsavia e dell'Unione Sovietica -  il vero nemico dal quale il paese e la NATO devono difendersi? La Russia non viene menzionata da nessuna parte. Probabilmente non è nemmeno necessario, perché evidentemente gli autori ritengono che il nemico di cui si parla nel documento quando si fa riferimento alla "minaccia ibrida" - sovversione e disinformazione, propaganda e attacchi dal cyberspazio (p.22) - sia già ampiamente ancorato nella mente dell'opinione pubblica. Dobbiamo perciò' creare una "resilienza" contro questi attacchi, cioé una protezione per la nostra capacità di agire. Il potenziale di minaccia dell'avversario, con la sua strategia globale ibrida ed estremamente agile, sarà la sfida centrale. Mancano tuttavia informazioni più concrete.

La Bundeswehr in ogni caso è già pronta. In Georgia, che a nord ha un lungo confine con la Russia, in agosto si sono svolte manovre di addestramento con 3.000 soldati provenienti da 13 paesi, tra cui la Germania. A luglio 19 paesi della NATO hanno partecipato alla manovra navale »Sea Breeze« nei pressi di Odessa, in Ucraina. A novembre, la Bundeswehr, con 8.000 soldati e 100 carri armati parteciperà alla più grande manovra della NATO dalla fine della Guerra Fredda - in Norvegia, un paese che nell'estremo nord ha un confine comune con la Russia. Trenta paesi fra NATO e paesi partner dell'alleanza forniranno un totale di 40.000 militari per intimidire il nemico.

Quest'anno nel complesso è previsto che 12.000 soldati tedeschi prendano parte alle esercitazioni della NATO nella parte settentrionale e orientale del territorio dell'alleanza, tre volte in più rispetto al 2017. L'obiettivo è la "deterrenza della Russia", come si legge dall'inizio dell'anno su diversi giornali. Inoltre i battaglioni multinazionali di stanza in Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia e Lituania sono già sotto la guida della Bundeswehr. La Bundeswehr dal 2019 prenderà inoltre il comando della forza di risposta rapida della NATO. Diverse manovre della NATO come "Sabre Strike", "Flaming Thunder" o "Iron Wolf" dovrebbero, secondo Ntv (19.2.18), inviare un chiaro segnale di deterrenza a Putin.

Dobbiamo ricordarlo: nella guerra di annientamento contro l'Unione Sovietica, i soldati tedeschi hanno bombardato, fucilato e fatto morire di fame 27 milioni di persone. Evidentemente la sicurezza della Russia non fa parte della ragione di stato tedesca.

Se fino a qualche anno fa lo si diceva con un certo imbarazzo, oggi il ministro della difesa lo sottolinea con orgoglio: la Germania rivendica la leadership nell'UE, sia economica che politica. La Bundeswehr dovrà pertanto essere in grado di affermare la sua guida nelle operazioni multinazionali. Gli interessi tedeschi determineranno in maniera chiara la missione e i compiti dei militari. Oltre alla protezione della sovranità dello stato, l'interesse verterà sulla salvaguardia delle rotte commerciali e di approvvigionamento di una Germania povera di risorse, ma molto forte nell'export. Per questa ragione, come sottolineato dal documento del ministero, dal 1991 i militari tedeschi hanno gestito più di 60 missioni in tutto il mondo (pagina 14).

Oltre a queste missioni estere, in futuro sarà necessario occuparsi dei "compiti di ristabilimento dell'ordine" anche nei paesi amici, nel caso in cui la sicurezza pubblica (degli investitori o della popolazione?) non dovesse essere piu' garantita (p.25). In queste "regioni fragili" (p.28), in certe condizioni potrebbe essere necessario creare autorità politiche e organizzazioni al fine di"rafforzare" i "partner" attraverso "consulenze militari e una cooperazione negli armamenti". Come è noto già oggi lo si fa nei paesi africani.

Non c'è da sorprendersi se la Germania ha boicottato l'accordo ONU sul divieto di proliferazione delle armi nucleari firmato da 122 Stati. Nel Concetto del ministero della difesa viene infatti sottolineata l'importanza di una partecipazione al nucleare. La Germania vorrebbe pertanto aggiungersi alla lista delle potenze nucleari mettendo a disposizione dei sistemi di lancio per i missili, immagazzinando armi nucleari nel paese e usando la bomba in caso di guerra. Naturalmente tutto ciò non è affatto compatibile con il divieto imposto dalle Nazioni Unite.

"La Bundeswehr dovrà essere [...] effettiva in tutte le dimensioni e ad ogni livello di intensità" (p.50). In questo modo non solo si mira a raggiungere il successo dell'azione militare, ma anche alla possibilità di aprire una varietà di opzioni ai "decisori politici" (p.36). Potere politico da raggiungere attraverso una superiorità militare. Del disarmo, della priorità da dare alla risoluzione pacifica dei conflitti o della necessità di osservare la situazione mondiale con gli occhi del nemico, nel documento non se ne parla.

Questo concetto sembra piu' che altro un guazzabuglio tecnocratico. Nessun pensiero alle possibili cause dei numerosi conflitti nel mondo o alla possibilità di evitarli e gestirli pacificamente. Sembra banale, ma è molto pericoloso: chi ha solo un martello, in ogni problema vedrà un chiodo. Il documento del governo è un pamphlet ideologico. Le affermazioni, i pregiudizi e le immagini di un nemico auto-creato sono imposte come dei fatti al fine di ottenere il risultato desiderato: riarmo e militarizzazione. Si sta preparando il terreno a delle "soluzioni" militariste.
-->

martedì 2 ottobre 2018

Handelsblatt: in Italia deve cambiare la musica

Non poteva mancare il solito pistolotto di Handelsblatt molto critico nei confronti del governo italiano e altrettanto critico verso una Commissione UE troppo generosa con i soliti debitori incalliti del sud, almeno secondo la brillante giornalista autrice dell'illuminante commento. Per il quotidiano di Duesseldorf nei rapporti fra Italia ed UE la musica deve cambiare: è arrivata l'ora della tolleranza zero e se necessario della cacciata dell'Italia dalla moneta unica. Da Handelsblatt, Ruth Berschens


In Europa si sta affermando la negazione politica della realtà. La Gran Bretagna immagina di essere in grado di dettare le condizioni per la Brexit ad una UE molto più grande - proprio come se l'Impero fosse risorto. E ora l'Italia fa ancora peggio: i populisti a Roma fingono che la montagna del debito da due trilioni di euro non esista e che possano continuare a dare gas facendo nuovo debito.

Gli inglesi hanno "solo" voluto sfidare l'UE - scelta che assomiglia ad una missione suicida. Ma quello che stanno facendo gli italiani va ben oltre: non solo stanno sfidando la zona euro, ma anche i mercati finanziari. Bisognerebbe mettersi a ridere davanti a tali dimostrazioni nazionali di forza, se non fossero così pericolose, per l'Italia e per l'Eurozona.

"Bella Italia" sia dal punto di vista politico che economico negli ultimi dieci anni si è drasticamente ristretta. A differenza della Germania e piu' recentemente anche della Francia, il terzo stato dell'eurozona non è riuscito a vincere la sfida della globalizzazione. L'ingombrante apparato statale con la sua burocrazia eccessiva e un'infrastruttura in parte in condizioni miserabili scoraggia sistematicamente gli investitori.


Le vecchie generazioni fanno affidamento sui loro privilegi e sottraggono ogni opportunità alla gioventù ben istruita. Molti giovani italiani disillusi hanno già lasciato il loro paese. L'Italia è l'unico paese dell'UE che negli ultimi anni non ha beneficiato della ripresa economica. In termini di crescita economica il paese si trova all'ultimo posto nell'UE.

La responsabilità per la situazione di malessere è delle élite del paese - non solo quelle politiche. Alle aziende del ricco nord non dovrebbe essere indifferente il destino della loro patria. Bisognerebbe auspicarsi che l'economia abbia un impatto maggiore sui nazional-populisti al governo rispetto a quello modesto avuto fino ad ora.

Sono anni ormai che l'Italia continua ad andare giù. Ma ora la Lega e il Movimento Cinque Stelle stanno rapidamente portando il paese verso l'abisso. Lo mostra la reazione frenetica dei mercati finanziari alla bozza di bilancio di Roma per il 2019. Con l'UE aveva convenuto che il rapporto deficit / PIL l'anno prossimo sarebbe sceso allo 0,8%.

E da qui il governo di Roma ne ha fatto un 2,4 % per poterci pagare delle costose promesse elettorali. La già gigantesca montagna del debito dovrebbe continuare a salire - e tutto ciò succede con una crescita economica ancora bassa.

Per la Commissione europea si tratta di uno sviluppo catastrofico. Con nessun altro paese le autorità di bilancio di Bruxelles negli ultimi anni erano state così pazienti. A nessun altro paese erano state accordate così tante eccezioni alle regole del Patto di stabilità. All'Italia era già stato concesso di fare nuovi debiti in piu' occasioni e per ragioni ogni volta eccezionali - come ad esempio per i rifugiati o per le vittime del terremoto. L'Italia aveva bisogno di tempo per attuare riforme difficili, aveva sostenuto in ogni occasione una Commissione alquanto benevola.

Ma la maggior parte delle riforme non ha portato a nulla, la disoccupazione è ancora elevata, la frustrazione fra la gente è in aumento, così come i risentimenti anti-europei. Quasi tutti i partiti politici in Italia accusano l'UE per la miseria del paese. Non c'è quindi da stupirsi se a salire al potere sono stati due partiti apertamente ostili all'UE.

La Commissione europea con la sua politica della generosità ha fallito. Ora dovrà cambiare la musica. Se il governo di Roma non dovesse fare marcia indietro, diventerà inevitabile una procedura di infrazione per  disavanzo eccessivo.

Ma forse è già troppo tardi per farlo. I premi al rischio sui titoli di stato italiani continuano a salire, le banche sono sotto pressione e la fuga di capitali è iniziata da tempo. È possibile che il crollo sui mercati prima o poi finisca fuori controllo, come accadrebbe in caso di recessione o di un forte aumento dei tassi di interesse.

La zona euro potrebbe essere quindi giunta a un test senza precedenti: forse per la prima volta si troverebbe ad affrontare l'uscita di un paese. Dal punto di vista finanziario l'unione monetaria non potrebbe assorbire l'italia, se non altro per le sue dimensioni. Il fondo di salvataggio della zona euro sarebbe irrimediabilmente sopraffatto dalle dimensioni del debito italiano. Inoltre, è difficile immaginare che i parlamenti degli stati piu' solidi della zona euro, come la Germania, l'Olanda o la Finlandia possano concedere miliardi di euro a favore degli irresponsabili populisti italiani.

Alla zona euro non resterà quindi altra scelta che isolarsi: dovrà proteggere gli altri stati membri e le loro banche, prima che queste finiscano per essere risucchiate dalla deriva italiana.

Anche per la stessa Italia probabilmente non ci sarebbe più alcuna ancora di salvezza all'interno dell'unione monetaria. Cosa questo significhi lo possiamo vedere in Argentina: iperinflazione, disoccupazione, impoverimento. Il prezzo per la negazione politica della realtà viene pagato da tutti, non solo da chi ne è la causa.



-->

lunedì 1 ottobre 2018

Perché il governo tedesco non fa nulla per contrastare il riciclaggio di denaro sporco

La Germania in questi anni con il suo mercato immobiliare in pieno boom è diventata il paradiso dei riciclatori di denaro sporco che grazie agli scarsi controlli possono agire quasi indisturbati. Soprattutto non ci sarebbe la volontà politica di rafforzare le autorità anti-riciclaggio per fermare l'enorme afflusso di denaro proveniente da tutto il mondo, indirizzato verso un mercato immobiliare in continua crescita. Un'ottima inchiesta da Handelsblatt.de


Il senatore di Berlino Andreas Geisel (SPD) era visibilmente soddisfatto. A metà luglio, la procura di Berlino e la polizia hanno confiscato 77 immobili appartenenti a un clan arabo per un valore di dieci milioni di euro. I sospetti sono accusati di aver ripulito i fondi illegali provenienti dal traffico di droga e dalle rapine acquistando degli immobili.

"Lo stato di diritto ha mostrato tutta la sua forza", ha dichiarato Geisel durante la conferenza stampa convocata per l'occasione. "Andiamo a pestare i piedi dei criminali e li colpiamo dove gli fa veramente male: soldi e proprietà immobiliari".

Cio' che Geisel senza dubbio ha tralasciato: lo stato di diritto di solito arriva con molti anni di ritardo. Secondo una ricerca di Handelsblatt, anche la banda di Berlino poteva essere fermata molto prima. Prerequisito: il sistema di controllo avrebbe dovuto funzionare. Ma non è andata cosi'.

Una dipendente di una società municipale di costruzioni aveva semplicemente dimenticato di denunciare un membro del clan per le attività di riciclaggio di denaro sporco. L'incontro le sarebbe dovuto sembrare molto sospetto. Un giorno senza preavviso si è presentato un uomo con 200.000 euro in contanti intenzionato ad acquistare due proprietà a Neukölln.

In casi come questo le denunce sono normali. Lei invece gli ha permesso di comprare l'immobile. La banda apparentemente ha potuto agire indisturbata per anni. Le loro transazioni immobiliari "sono iniziate nel 2008", conferma il pubblico ministero.

Il caso è un esempio perfetto del fallimento tedesco nella lotta al riciclaggio di denaro sporco. Le singole storie di successo potrebbero trarre in in inganno perché le indagini nel nostro paese spesso falliscono in quanto coloro che hanno a che fare con transazioni sospette semplicemente preferiscono non parlarne.

Dagli agenti immobiliari fino ai notai, ma anche dall'altrettanto problematico commercio automobilistico, raramente arrivano segnalazioni di attività sospette - anche perché questi settori spesso non vengono controllate in maniera efficace. "Secondo le nostre conoscenze, in questi settori molti affari vengono regolati in contanti", ci dice un investigatore federale di alto rango. "Ma non abbiamo nessuna possibilità di controllo perché non vengono segnalate".

Mancano molte cose: controllo, conoscenza dei reati e degli autori e mancano anche gli esperti in grado di contrastare il riciclaggio. Il ministro delle finanze federale Olaf Scholz (SPD) prova a minimizzare il problema. La congestione degli atti presso la FIU (Financial Intelligence Unit), la centrale per il controllo del riciclaggio di denaro, ad esempio, sarebbe stata risolta alla svelta, cosi' almeno recentemente faceva sapere il suo ministero.

Ma secondo gli addetti ai lavori all'interno della pubblica amministrazione si tratterebbe di una versione più che discutibile. E' sicuramente vero che alla FIU sono state promesse 465 nuove assunzioni dopo che questa aveva ricevuto una copertura mediatica molto negativa. Ma il personale è difficile da reclutare. Ad esempio, reclutare per queste posizioni degli agenti di polizia con esperienza è molto difficile perché questi dovrebbero essere poi inquadrati come degli ufficiali delle dogane - con la conseguenza che finirebbero per dover lavorare due anni in piu' prima di  poter andare in pensione.

Inoltre, il basso inquadramento tariffario non attira gli esperti dal settore privato. La conseguenza: l'elaborazione delle oltre 6.000 nuove segnalazioni per transazioni sospette che arrivano ogni mese dura in media tre mesi per ogni singolo caso.

Oltre alle critiche interne Scholz subisce anche una forte pressione esterna. Il Financial Action Task Force (FATF) si trova a Parigi e ha il compito di esaminare i sistemi anti-riciclaggio di denaro in tutto il mondo. Già nel 2010 gli ispettori, dopo aver esaminato la Germania, erano rimasti estremamente insoddisfatti.

Nel 2020 è prevista una nuova relazione. "Il prossimo esame non sarà una passeggiata di salute", predice Michael Findeisen. Dal 2003 al 2010 è stato a capo della delegazione tedesca del FATF e fino al 2016 responsabile del dipartimento "Prevenzione del riciclaggio di denaro" presso il Ministero federale delle finanze.

Da sempre insiste per l'attuazione coerente degli standard FATF anche al di fuori del settore finanziario, in particolar modo nei confronti dei Laender federali, ma anche nell'ambito delle competenze del Ministero della giustizia, afferma Findeisen: "queste istituzioni governative ottengono consapevolmente un risultato molto basso e sono la causa dell'immagine negativa  del mercato finanziario tedesco".

Due persone per tutta Berlino

Le ricerche gli danno ragione. Sebbene gli investigatori sospettino un boom nel riciclaggio di denaro sporco, specialmente nel settore immobiliare e automobilistico, manca la possibilità di monitorare il fenomeno. Handelsblatt ha raccolto delle cifre. Queste mostrano che per Berlino, la città da 3 milioni e mezzo di abitanti, ci sono al massimo due persone nell'ufficio competente presso l'ispettorato del lavoro - responsabile per l'ispezione di tutti gli 8.206 agenti immobiliari della città.

Anche ad Amburgo ci sono solo due ispettori. Che allo stesso tempo sono anche responsabili per il settore del commercio e devono quindi controllare ogni singolo venditore di automobili. Il loro numero dovrebbe essere nell'ordine delle centinaia considerando le oltre 140.000 nuove immatricolazioni ogni anno.

Perché proprio nelle città i controlli sono così deboli, vale a dire laddove secondo gli investigatori l'incentivo al riciclaggio di denaro sporco è particolarmente alto?

Secondo il governo federale negli ultimi anni nelle città tedesche il ricavato proveniente dalle vendite di immobili è esploso. A Berlino nel 2009 era circa 3,6 miliardi di euro. Ma nel 2016 superava già i 9,2 miliardi di euro. Conclusione del governo: soprattutto nel settore immobiliare, la possibilità di poter "mascherare l'origine dei fondi e la proprietà immobiliare associata è molto alta".

Ma le segnalazioni di transazioni sospette provenienti dal settore non finanziario tuttavia sono pochissime. Secondo la FIU, fra tutte le circa 70.000 segnalazioni di transazioni sospette, solo 150 provenivano dal settore non finanziario. Vale a dire lo 0,21 %. Anche a Trinidad e Tobago, secondo il rapporto della FIU locale, sono circa il dieci percento.

Gli agenti immobiliari e i notai difendono le loro attività sostenendo che per loro il riciclaggio di denaro sporco è difficile da individuare. Ad esempio, di solito non si sa se e in che modo vengono pagati i soldi pattuiti, almeno cosi' sostengono. L'agente immobiliare alla fine "non è un criminologo", ci dicono dai vertici della IVD (Immobilien Verband).

La soglia oltre la quale le transazioni sospette devono essere segnalate tuttavia è molto bassa, soprattutto per gli agenti immobiliari. Mentre i notai in caso di riciclaggio di denaro sporco devono essere quasi certi, agli agenti e ai concessionari di automobili è sufficiente che il loro istinto suggerisca che in una determinata transazione sta succedendo qualcosa.

Le transazioni in contanti, ad esempio, sono sempre sospette. Così come la prova della disponibilità di fondi proveniente da una banca in un paradiso fiscale, o un contatto di affari proveniente dall'estero oppure un'offerta con un prezzo insolitamente alto. Anche nel caso in cui le condizioni economiche dell'acquirente non sembrino corrispondere al valore della proprietà acquisita, è prevista una comunicazione alle autorità. Ma raramente avviene

Problema noto da anni

(...) Perché accade? Gli intermediari e i notai possono dedurre dal comportamento degli organi di regolamentazione che per il legislatore la questione è molto meno importante di quanto non si vorrebbe far credere in certi comizi politici della domenica. Le autorità dovrebbero inoltre monitorare gli agenti immobiliari e i commercianti operando dei controlli in loco.

"Ma se guardi ai numeri, allora ti accorgi che questo non può essere vero", dice un funzionario della LKA (Landeskriminalamt) del nord. Due posti di lavoro a tempo pieno a Berlino e Amburgo, 4,4 per tutto il Nord Reno-Westfalia, 1,3 in Turingia e solo 0,3 a Brema. Per i controlli a domicilio non resta tempo.

Il numero di ammende comminate è decisamente misero. È vero che possono arrivare fino a cinque milioni di euro. In pratica, però questo non succede mai. Nel 2017, le autorità di controllo nel settore immobiliare hanno incassato 75.000 euro - ma in tutta la Germania. Secondo un'analisi di Handelsblatt nell'anno in corso fino ad ora sono stati 41.000 euro. In tutto il NRW nel corso del 2017 sono state fatte solo due multe, nel 2018 finora: zero. A Berlino e Amburgo sia nel 2017 che nel 2018 non c'è stata una sola multa.

Ancora più chiara è la situazione per i notai. Sono supervisionati dai giudici del tribunale regionale in collaborazione con le rispettive camere notarili. L'intero settore praticamente si controlla da solo.

E apparentemente in maniera non troppo intensa. A Brema per tutti i notai sono disponibili "0,85 unità di controllo". A Berlino, in aggiunta al loro lavoro quotidiano, ogni anno cinque giudici devono ispezionare 33 notai. Nel 2017 e nel 2018, in tutta la Germania non è stata comminata una sola sanzione.

Manca il registro immobiliare

Il settore bancario è molto diverso. Nel 2017 le multe del Bafin (autorità di controllo finanziario) ammontavano a oltre dieci milioni di euro. E questo, sebbene il settore non finanziario sia molto più grande. Il Bafin deve controllare circa 8.300 aziende. Al contrario si stima che in Germania ci siano circa 40.000 agenti immobiliari e 7.200 notai, per non parlare degli innumerevoli concessionari di automobili.

Gli investigatori considerano il deficit di controllo esistente come uno dei problemi principali. "È davvero molto semplice", ci dice l'ispettore federale: "Solo laddove si temono controlli regolari e multe salate, succede qualcosa." Ma finora, la politica non ha risposto.

Perché? Alcuni ispettori ipotizzano che l'afflusso incontrollato di denaro verso la Germania sia economicamente auspicabile, indipendentemente dalla sua provenienza. Alla politica manca una "volontà energetica", accusa Frank Buckenhofer, presidente del sindacato di polizia della dogana

Infine, gli investigatori si accorgono che il riciclaggio di denaro è una cosa reale. Secondo le statistiche doganali, alle frontiere vengono sequestrati annualmente oltre 8 milioni di euro in contanti. E anche nel settore immobiliare le transazioni illegali continuano a crescere.

Ma alle autorità nel nostro paese tuttavia mancano strumenti di investigazione importanti. E' vero che nel frattempo è stato istituito un registro per la trasparenza delle aziende. Ma ci sono diverse lacune. "Oltre 10.000 aziende non hanno indicato i veri proprietari, e i dati non rilevati dalle statistiche sono probabilmente molto piu' grandi", critica il deputato della Linke Fabio De Masi.

Inoltre ancora piu' importante sarebbe un registro immobiliare in cui siano elencati i veri proprietari degli immobili e al quale gli investigatori possano accedere rapidamente e in maniera elettronica. "Paesi come la Gran Bretagna lo hanno introdotto da tempo. La Germania sembra semplicemente aver sprecato l'opportunità storica della riforma del catasto", afferma la portavoce per gli affari finanziari dei Verdi, Lisa Paus.

Per il momento agli investigatori non resta altro che stare a guardare le vicende dei criminali. "Siamo sicuri che stiano accadendo molte cose", dice un funzionario federale. "Ma ci manca quasi tutto per poter rintracciare i sospetti."



-->

sabato 29 settembre 2018

Thomas Mayer: la capitolazione tedesca

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung Thomas Mayer, professore di economia, commentatore ed ex capo-economista di Deutsche Bank, spiega ai tedeschi perché le notizie che arrivano dall'Italia e le richieste dei sud-europei testimoniano la totale capitolazione dell'ideologia tedesca. E' probabile che l'ordoliberalismo tedesco stia serrando i ranghi per lanciare una controffensiva. Thomas Mayer dalla FAZ.net


Francia e Germania, quando si tratta di interpretare il ruolo che lo stato deve avere nell'economia e nella politica monetaria sono separate da una profonda "fossa renana". Mentre in Francia prevale la convinzione che lo stato abbia il diritto di dirigere l'economia, in Germania dopo la seconda guerra mondiale prevalse l'opinione che lo stato dovesse restare fuori da questo ambito. La "fossa renana" durante tutti gli euro-salvataggi ha piu' volte causato un forte attrito, fino a quando il governo federale non ha deciso di annacquare la posizione tedesca rendendola irriconoscibile.


Ciò è dimostrato dal sostegno dato alla trasformazione della Banca centrale europea di Mario Draghi nel prestatore di ultima istanza per gli stati e dalla dichiarazione di Meseberg concordata insieme ai francesi, con la quale in sostanza si mira a mettere in comune la responsabilità sui debiti delle banche e degli stati. Si potrebbe pensare che con questa capitolazione la disputa sulle diverse idee in merito all'architettura dell'unione monetaria  sia finalmente terminata. Sarebbe un errore.

Fossa renana e barriera alpina

Alla fossa renana che divide Francia e Germania corrisponde una "barriera alpina" che separa Germania e Italia. E' sicuramente vero che le opinioni dei politici e degli economisti in Italia non sono così omogenee come accade in Francia. Ma c'è ampio consenso lungo tutto lo spettro politico sul fatto che le politiche monetarie e fiscali svolgano un ruolo cruciale nel creare crescita economica e occupazione. Ogni giorno le élite italiane si lamentano per la sofferenza del loro paese causata delle regole di politica fiscale ispirate dalla Germania e insistono sul fatto che la politica monetaria estremamente espansiva avviata dal presidente della BCE Draghi sarà indispensabile anche in futuro. Il nuovo governo italiano, che si è presentato come avversario delle élite, non fa eccezione.

Ciò emerge chiaramente anche da una recente presa di posizione di Paolo Savona, il Ministro per gli affari europei, a cui la mia collega Agnieszka Gehringer ha fatto riferimento poco tempo fa. Savona, che originariamente era stato indicato dai partner di coalizione come Ministro delle Finanze, ma la cui nomina in questo ruolo era stata bloccata dal Presidente Mattarella, parla di una riunione del 5 luglio a cui hanno preso parte il ministro Salvini, il ministro delle finanze Tria e il ministro Di Maio. L'occasione dell'incontro era stata la formulazione di una posizione italiana nei negoziati per l'ulteriore sviluppo dell'Unione Europea. La squadra dei ministri tra le altre cose in quell'occasione aveva chiesto un ampliamento dello statuto della BCE. Oltre alla stabilità dei prezzi, la BCE dovrebbe impegnarsi anche a promuovere la crescita economica, come già avviene negli Stati Uniti. Inoltre sempre la BCE dovrebbe essere in grado di controllare il tasso di cambio dell'euro intervenendo sul mercato dei cambi, e agire come prestatore di ultima istanza per gli stati al fine di impedire gli "attacchi speculativi" dei mercati finanziari. I ministri vorrebbero inoltre introdurre una "politica europea per gli investimenti" al fine di aumentare la non soddisfacente crescita economica e ridurre le differenze in termini di sviluppo e produttività tra i paesi dell'euro. Questa politica dovrebbe "sfuggire ai vincoli finanziari del bilancio europeo" e non essere piu' soggetta alle limitazioni del patto di stabilità e crescita.

Il fallimento italiano dall'inizio della crisi finanziaria

Il dispiacere dei ministri è comprensibile in quanto l'economia italiana non è stata in grado di adattarsi ai vincoli imposti dalla moneta unica europea. Il fallimento è diventato particolarmente evidente negli ultimi dieci anni a partire dalla crisi finanziaria. Oggi la produzione industriale è del 15% inferiore rispetto ai livelli del 2008 e il prodotto interno lordo reale del 3,4% inferiore rispetto al 2008. Dieci anni di crescita negativa sono difficili da tollerare in qualsiasi società. Dal punto di vista tedesco, che influenza anche le istituzioni dell'UE, le rigidità strutturali dell'Italia impediscono il necessario adattamento dell'economia alle esigenze create dalla moneta unica. Dal punto di vista italiano, tuttavia ad essere responsabile è la fine della politica di svalutazione della moneta e della spesa pubblica finanziata a debito, che ora invece dovrebbe essere applicata all'unione monetaria.

Venti anni di unione monetaria hanno evidenziato che la capacità di aggiustamento strutturale dell'Italia è molto limitata. Otto anni di crisi dell'euro hanno al contrario rivelato che il quadro istituzionale dell'unione monetaria è estremamente flessibile. Dal punto di vista italiano, è ben chiaro il modo in cui la barriera alpina può essere superata: eliminando ciò che resta delle posizioni tedesche.

La favola del paese ricco

Siccome alle favole non crede piu' nessuno è arrivato il momento di smontare la narrazione Merkeliana del paese ricco e felice e cercare di capire qual'è la vera eredità dei 13 anni di dominio incontrastato della Cancelliera. Ci prova Daniel Stelter, brillante economista e commentatore, che dal suo blog e nel suo nuovo libro ci spiega perché dietro di sé Merkel lascia molte macerie e un paese messo peggio di quanto potrebbe sembrare. Da Beyond the Obvious un ottimo Daniel Stelter


Congratulazioni Ralph Brinkhaus. Finalmente abbiamo la speranza che il dramma di questa Cancelleria e di questo governo possano finire presto.

In Germania abbiamo bisogno di un cambiamento. Lontano dalla politica degli ultimi dodici anni, che non solo ha danneggiato in maniera massiccia la democrazia, ma ha anche distrutto la nostra ricchezza in una dimensione che si muove nell'ordine dei trilioni di euro. (...)

E dietro tutto ciò c'è la donna che con l'unico obiettivo di preservare il proprio potere ha fatto a meno di qualsiasi principio, e invece di cercare una soluzione duratura ai problemi, talvolta dolorosa, ha sempre cercato di occultarli e nasconderli ricorrendo a scorciatoie di breve periodo. Sì, non è la sola ad esserne responsabile. E' stato possibile anche grazie a noi elettori che piu' volte abbiamo appoggiato e votato una politica che ha messo i consumi davanti agli investimenti. Ma la politica della signora Merkel per troppo tempo ha impedito una vera discussione anche all'interno del suo stesso partito e in questo modo ha danneggiato non solo l'Unione, ma l'intero paese.

L'elenco delle colpe è lungo:

Riforme: mentre pretendiamo a gran voce che gli altri paesi facciano le riforme, la Germania si trova nella parte bassa della classifica OCSE. Anche  Francia e Italia ne hanno fatte piu' di noi. Dopo il cambio di governo di tredici anni fa, la politica è rimasta ferma alle riforme fatte dal governo Schröder.

Debito pubblico: ci piace celebrare lo „Schwarze Null“, ma se volessimo fare un calcolo veramente corretto del debito pubblico, scivoleremmo sempre piu' in basso. Tenendo conto dei costi futuri dovuti all'invecchiamento della società, avremmo un debito pubblico significativamente piu' alto rispetto alla tanto rimproverata Italia.

Pensioni: mentre paesi come l'Italia negli ultimi anni hanno riformato i loro sistemi pensionistici in modo da ridurre gli oneri futuri, il nostro governo, accecato dalla attuale buona congiuntura, ha ulteriormente aumentato il peso dei contributi. Parole chiave: pensione a 63 anni, pensione per le mamme etc.

Infrastrutture: mentre un paese come la Francia continua ad investire in infrastrutture pubbliche, noi abbiamo lasciato che le nostre andassero in rovina. Nell'ultimo decennio gli investimenti sono stati inferiori rispetto al minimo necessario per il mantenimento delle infrastrutture. Il governo giustifica il collo di bottiglia negli investimenti con la mancanza di capacità di pianificazione. Tuttavia, queste strutture sono state smantellate proprio a causa di questa stessa politica.

Schwarze Null: mentre il governo rivende lo "schwarze Null“ come un proprio successo, in realtà dovremmo ringraziare la politica della BCE. Negli ultimi anni solo lo stato tedesco ha risparmiato 240 miliardi di euro di interessi. Non è davvero una grande impresa politica quella di presentare un bilancio in pareggio.

Eurocrisi: mentre la politica criticava a gran voce la BCE per la sua politica monetaria - anche se lo stato tedesco era fra i principali beneficiari di questa politica - ci piace rimuovere dalla nostra mente il fatto che è stata proprio la politica fallimentare dello stare fermi a guardare la crisi che in primo luogo ha reso necessarie le misure della BCE. Fino ad oggi la politica tedesca si è rifiutata di riconoscere che l'euro è una costruzione totalmente sbagliata, che ha portato ad un enorme aumento del debito pubblico e privato nei paesi attualmente in crisi. Per risolvere la situazione è necessaria una pulizia dall'eccesso di debito, in maniera diretta attraverso un taglio del debito, e indirettamente attraverso una ricapitalizzazione del sistema bancario ancora insolvente. Inoltre, i paesi in crisi non sono riusciti a colmare il divario competitivo con la Germania. Ciò significa o un'unione di trasferimento permanente senza la speranza di un miglioramento o, più realisticamente, la fine della zona euro. Solo una cosa a lungo termine non puo' funzionare: stare fermi a guardare.

Economia dell'export: anche se crediamo di essere i "principali beneficiari dell'euro", in realtà siamo fra i perdenti della moneta unica. In primo luogo l'introduzione dell'euro all'inizio del millennio a un tasso di cambio eccessivo sul Marco ha favorito la recessione, forzando una successiva svalutazione interna tramite la moderazione salariale. Dopodiché l'euro è diventato sempre più un programma di sussidi a carico di tutti i cittadini del nostro paese a favore dell'industria dell'export, dei suoi azionisti e dei dipendenti. Cosa che andrebbe anche bene se nei confronti dei paesi esteri stessimo accumulando dei crediti esigibili. Ma non è così, ed è per questo che dal punto di vista economico sarebbe lo stessa cosa se le nostre auto le regalassimo.

Garante e finanziatore: mentre crediamo di essere quelli che in Europa dettano la linea, ogni giorno che passa in realtà siamo sempre più ricattabili. I crediti TARGET2 della Bundesbank hanno raggiunto un altro record. Stiamo finanziando la continua fuga di capitali dai paesi in crisi. Ogni cittadino in pratica ha concesso più di 10.000 euro a titolo di prestito senza interessi, senza rimborso e senza alcuna garanzia. Se un paese dovesse uscire dalla zona euro, secondo la BCE questi crediti dovrebbero essere rimborsati. In realtà cio' non accadrà mai. Al piu' tardi nel 2019 l'Italia potrebbe minacciare sia un'insolvenza su tali crediti che l'uscita dalla zona euro e quindi ricattare con successo la politica tedesca, fino ad ora basata sull'immobilismo e sulla rimozione dei problemi, al fine di assicurarsi un trasferimento permanente. Nel frattempo anche Macron vuole i nostri soldi. In sostanza, anche se nascosto dietro molti concetti astratti ("bilancio della zona euro", "ministro europeo delle finanze", "Fondo monetario europeo"), si tratta solo di fare strada a un modo per redistribuire un po' piu' di denaro (a spese della Germania) e soprattutto per fare nuovo debito.

Istruzione: mentre in Asia sta crescendo una nuova élite ben istruita, gli studenti della grande nazione esportatrice altamente dipendente dall'high tech continuano a peggiorare proprio nell'istruzione. Non solo non si è ancora riusciti a stabilire un sistema scolastico uniforme a livello nazionale. Ancora peggio, perché secondo gli standard internazionali il livello scolastico nella migliore delle ipotesi è mediocre. Alcune eccezioni come la Baviera e la Sassonia e il leggero miglioramento dei risultati nei test PISA non dovrebbero illuderci. Il confronto internazionale si basa soprattutto sui risultati raggiunti nelle materie matematiche e scientifiche. Queste materie e i programmi di laurea basati su di esse determinano in ultima analisi le prestazioni tecnologiche di un paese. Al vertice ci sono i paesi asiatici come Singapore e la Cina. Anche in Svizzera, la percentuale dei top performer in matematica è di 43 ogni 1.000 studenti, in Germania invece solo 26. Se la politica chiede che "l'istruzione non costi nulla, ma solo lo sforzo", mostra un atteggiamento particolarmente cinico. 

Controllo dell'immigrazione: mentre altri paesi cercano di indirizzare l'immigrazione a vantaggio della propria economia, noi ci rifiutiamo di farlo. L'Australia e il Canada sono i più coerenti nella selezione degli immigrati sulla base della qualifica ed hanno quindi i migliori risultati nell'integrazione. La Germania, invece si basa sul principio del "chi riesce ad arrivare da noi, puo' anche rimanere", che unito ad uno stato sociale molto generoso rappresenta un incentivo perverso ad intraprendere un viaggio pericoloso. Le frontiere aperte e lo stato sociale - come sapeva già il premio Nobel Milton Friedman - non sono fra loro compatibili. Una legge sull'immigrazione giusta sarebbe una legge sul modello canadese associata a un rigoroso rimpatrio di coloro che non hanno diritto all'asilo.

Finanziamento dell'immigrazione: mentre altri paesi come ad esempio la Svizzera traggono dei vantaggi enormi dall'immigrazione economica, il tipo di immigrazione che arriva da noi causa una duratura pressione finanziaria sulla spesa sociale. In Germania l'aumento generale della povertà degli ultimi dieci anni può essere attribuito in buona parte ai cambiamenti nella struttura della popolazione. I migranti provenienti dai paesi extra-UE guadagnano molto meno e hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro inferiore rispetto alla popolazione senza un background migratorio e sono quindi chiaramente anche a rischio povertà. Se oggi avessimo la stessa proporzione di migranti di dieci anni fa, il rischio povertà in relazione alla popolazione totale sarebbe rimasto invariato.

Emigrazione dalla Germania: mentre si continua a parlare di immigrazione, ignoriamo che ogni anno circa 140.000 tedeschi lasciano il nostro paese e tendenzialmente si tratta di persone ben istruite e altamente produttive. Sono sempre meno coloro che devono farsi carico di sorreggere il peso della società. Sono sempre di meno i lavoratori che devono pagare per gli assegni scoperti dovuti all'invecchiamento della società e per un'immigrazione economicamente sbagliata. È quindi probabile che l'emigrazione anche nei prossimi anni continui ad aumentare indebolendo ulteriormente la posizione economica della Germania

Automazione: mentre alcuni paesi come il Giappone per poter gestire il cambiamento demografico sono impegnati nello sviluppo dell'automazione, da noi domina la paura. Non c'è modo migliore di rispondere al cambiamento demografico che farlo con lo sviluppo dell'automazione. I robot sono un'opportunità, non sono un rischio, perché non portano via il lavoro, ma sostituiscono i lavoratori che vanno in pensione. L'immigrazione - e in particolare il tipo di immigrazione praticato nel nostro paese - non colmerà questa lacuna. Chi oggi si affida all'automazione e alla digitalizzazione può occupare una posizione di forza nei mercati importanti del futuro. Il Giappone lo fa.

Politica industriale: mentre altri paesi fanno affidamento sui punti di forza della propria industria, noi invece continuiamo a danneggiare la nostra. Prima abbiamo spinto la nostra industria automobilistica verso la tecnologia diesel, soprattutto in considerazione dei cambiamenti climatici, poi in una indicibile collaborazione tra governo e produttori abbiamo abbellito i valori sulle emissioni, per poi infine attaccare l'industria che più di ogni altra è la colonna portante della nostra prosperità. Impensabile che ciò possa accadere in altri paesi. Dopo la politica energetica affrettata (le stime dei costi  anche qui sono nell'ordine dei 1.000 miliardi di euro) siamo ora minacciati da un cambiamento altrettanto precipitoso nella politica dei trasporti che aumenterebbe ancora il danno. Ciò è sintomatico della politica degli ultimi anni, una politica determinata dalle emozioni degli elettori che non è stata affatto "saggia, prudente e decisa", come invece ripete la CDU.

Digitalizzazione: mentre altri paesi investono nella digitalizzazione dell'economia, la politica tedesca promette - come nella campagna elettorale del 2013 - un vasto programma di digitalizzazione, senza peraltro averlo mai avviato. Nel frattempo nel confronto internazionale siamo passati dal 15 ° al 17 ° posto. Per l'accesso alla banda larga siamo alla posizione 28 su un totale di 32 paesi. Nel ministero competente ci si concentra piu' che altro sull'introduzione di un pedaggio autostradale, facendo affidamento magari su una tecnologia arretrata (vignetta), invece di una soluzione piu' moderna basata sulle App.

Queste sono le conseguenze di una politica tedesca che ha troppa fiducia in se stessa. Invece di riconoscere le conseguenze dei fallimenti e agire coerentemente, i nostri politici continuano a sproloquiare facendo riferimento a una "Germania ricca" senza nemmeno pensare per un solo secondo al fatto che le famiglie tedesche sono fra le più povere dell'Eurozona.

Tutti sanno che l'era della signora Merkel sta per finire. Tuttavia le sue dimissioni - come nella scena della morte all'opera - potrebbero prolungarsi ancora per mesi. Mesi in cui il paese continuerà ad andare incontro a dei seri problemi economici. Quindi il senso è solo uno: politici, fate finire il periodo di Merkel il prima possibile. Non si tratta delle persone, ma del paese. Abbiamo bisogno anche di una nuova politica. Una politica che garantisca il benessere e aumenti la ricchezza invece di sperperarla.

Ora vedremo se ci sono ancora dei politici che pensano davvero al benessere del paese.

-->

mercoledì 26 settembre 2018

Il tramonto di Merkel: c'è vita oltre la Groko

Con l'elezione del nuovo capogruppo dell'Unione al Bundestag Ralph Brinkhaus, la Cancelliera perde il controllo sul gruppo parlamentare e con questo strappo la maggioranza dei deputati della CDU/CSU segnala la volontà di andare oltre il merkelismo, ritenuto ormai da molti un'assicurazione sulla vita per AfD. Fino a quando Merkel e la Große Koalition restano al potere, Gauland & co. continueranno a guadagnare voti, molti deputati pertanto preferiscono preparare il terreno per la successione alla Cancelleria. Il nuovo capo-gruppo parlamentare dell'Unione è un politico molto critico nei confronti degli eurosalvataggi e decisamente contrario all'unione di trasferimento. Un commento di Sebastian Fischer su Der Spiegel


L'erosione del potere politico diventa evidente quando i leader perdono il fiuto e la capacità di sostituire i loro seguaci. Anche la perdita di autorità è strisciante. Perdita di fiducia, delusione, e rabbia continuano ad accumularsi per un po' di tempo, fino a quando poi tutto si rompe. 


Alla Cancelliera è già capitato due volte negli ultimi cinque giorni. Ed è notevole. 



La sconfitta del suo uomo di fiducia Volker Kauder nel voto per la presidenza del gruppo parlamentare dell'Unione di martedì ha colpito Angela Merkel trovandola completamente impreparata. Alla contro-candidatura di Ralph Brinkhaus, a malapena conosciuto oltre i confini dei gruppi politici, aveva reagito senza comprendere quello che stava accadendo. 



Solo pochi giorni prima, l'intenzione di rimuovere il capo del Verfassungsschutz Maaßen aveva scatenato un'ondata di sdegno nei partiti di governo. Merkel lo aveva completamente sottovalutato, e in seguito ha dovuto ammettere il suo errore. 

Per due volte un grande errore di valutazione. Due prove della perdita di autorità e controllo da parte di una Cancelliera un tempo cosi' potente 

Dopo il caos delle ultime settimane la rielezione di Kauder avrebbe almeno stabilizzato la situazione, la sua caduta invece ora causerà il contrario e tutti nel gruppo dell'Unione mentre davano il loro voto lo sapevano bene. 

In questi giorni inizia l'addio al potere di Merkel. Che cosa resta della ex Grande Coalizione? 

Con il venire meno del controllo sul gruppo parlamentare dell'Unione, Angela Merkel ha perso lo strumento di dominio più affidabile per un Cancelliere della CDU. Al suo fianco governa un partner di coalizione esasperato, una SPD che vorrebbe uscire dalla coalizione il prima possibile. E la CSU? Da 3 anni continua a minare l'autorità di Merkel, in tutti i modi possibili. 

C'è vita oltre la GroKo 

La perdita del centro di potere del gruppo parlamentare è davvero pesante. In verità Brinkhaus non è un anti-Merkeliano, è piuttosto un esperto economico e finanziario dai toni alquanto pacati, molto critico sul tema della riforma dell'eurozona. Subito dopo la sua elezione ha voluto chiarire: "il gruppo parlamentare è saldamente con Angela Merkel", tra il gruppo e la Cancelliera "non c’è la distanza nemmeno per far passare un foglio di carta". 

Il tempo di cui tali affermazioni in politica hanno bisogno per essere smentite è cosa nota. E anche se lo stesse dicendo in maniera sincera: l'elezione di Brinkhaus, contro la volontà della Cancelliera, rispecchia la nuova sovranità dei parlamentari dell'Unione e l'allontanamento dalla Cancelleria. 

In maniera simile al modo in cui la SPD la scorsa settimana sorprendentemente ha voluto mostrare la propria indipendenza dal suo segretario Andrea Nahles, ora a farlo è la maggioranza dei parlamentari dell'Unione. I gruppi parlamentari della SPD e della CDU/CSU in questo modo stanno anche segnalando la loro volontà di sopravvivere. C'è vita oltre la GroKo. Sì, c'è la democrazia all'interno del partito. 

E mentre Merkel per 13 anni ha potuto fare totale affidamento sul suo uomo di fiducia Kauder, ora su ogni provvedimento dovrà lottare per avere la propria maggioranza. Sembra quasi un governo di minoranza. 

A cio' si aggiunge l'aspetto simbolico: ironicamente è proprio il gruppo parlamentare dell'Unione ad abbandonare Merkel - probabilmente l'ultimo bastione rimasto della vecchia stabilità della Germania dell'ovest, dopo la fine del D-Mark tedesco. Passé. Altri cancellieri piu' impetuosi di Merkel probabilmente in una situazione simile avrebbero staccato la spina. 

Ma dopo la sconfitta Merkel si è presentata davanti alle telecamere da sola, con consapeolezza, senza Brinkhaus al suo fianco, e ha detto: questa è stata "l'ora della democrazia" e in democrazia ci sono "anche delle sconfitte". Poi se ne è andata 

In effetti, talvolta le sconfitte portano alla perdita del potere.
-->

martedì 25 settembre 2018

Peter Bofinger: quei quattro saggi non sono molto saggi

L'UE perde pezzi, la Große Koalition va verso l'implosione, ma il consiglio dei cosiddetti esperti economici, i famosi saggi consiglieri di Merkel dal loro bunker di Berlino continuano a sfornare regole sull'austerità e sul deficit come se non ci fosse un domani. Peter Bofinger, membro del consiglio dei saggi, prende le distanze dai suoi colleghi e critica l'ultima proposta firmata da quattro dei cinque esperti volta ad esportare a livello europeo il famoso Schuldenbremse tedesco, vale a dire un pareggio di bilancio, un temibile "Schwarze Null" da applicare in maniera rigida secondo dei criteri meccanici. Un ottimo Peter Bofinger da Makronom.de


Sul portale VoxEU la settimana scorsa sono state pubblicate due proposte per la riforma dell'Eurozona: una di queste preparata dei miei quattro colleghi del Consiglio tedesco degli esperti economici, e un'altra da un gruppo di economisti francesi che fanno parte del Conseil d'analyse economique francese. La proposta di Lars Feld, Christoph Schmidt, Isabel Schnabel e Volker Wieland è modellata sul "freno all'indebitamento" tedesco (Schuldenbremse) e cambierebbe radicalmente le regole fiscali dell'Eurozona. Un'alternativa interessante la forniscono invece Zsolt Darvas, Philippe Martin e Xavier Ragot il cui modello si basa su di una regola di spesa derivata da un obiettivo di indebitamento pubblico di medio termine.

Entrambe le proposte contengono una regola di spesa, ma differiscono fra loro in maniera fondamentale. Come ancoraggio per la regola sulla spesa, Feld e colleghi preferiscono un criterio di spesa bilanciato meccanicamente. Questo concetto deriva dal Fiscal Compact europeo e impone agli Stati di perseguire un equilibrio di bilancio prossimo al pareggio. Per contro, la proposta francese declina elegantemente la regola del pareggio di bilancio, ancorando la regola di spesa a un obiettivo di indebitamento a medio termine per il quale esiste un margine di discrezionalità. Questa flessibilità può anche essere criticata, ma si può senza dubbio argomentare che è meglio fare affidamento su una propria valutazione piuttosto che su una regola meccanica priva di una ragionevole base teorica.

Nessuna evidenza di un "deficit bias"

Le regole del patto di stabilità e crescita (SWP) sono indubbiamente molto complesse e opache. Tuttavia ciò non significa necessariamente che le regole fiscali della zona euro "non fossero sufficientemente efficaci per limitare il deficit bias dei governi" e che siano state applicate in maniera troppo debole, come ritengono invece i miei colleghi del Consiglio degli esperti economici.

Un confronto internazionale dei saldi strutturali di bilancio mostra che nell'eurozona non vi è stata alcuna "distorsione del disavanzo" (Feld et al.) - al contrario: per molti anni, i disavanzi strutturali nell'eurozona sono stati chiaramente inferiori rispetto a quelli delle altre economie avanzate.


Cio' è stato particolarmente vero dopo la grande recessione. Rispetto al Giappone, al Regno Unito, agli Stati Uniti e all'OCSE nel suo complesso, nell'eurozona la risposta fiscale è stata estremamente debole, fatto che potrebbe essere considerato come una spiegazione decisiva per gli sviluppi macroeconomici estremamente sfavorevoli nell'area euro in quegli anni.

Dal 2014 il saldo strutturale dell'area euro è rimasto più o meno costante, e ciò riflette il fatto che il processo di consolidamento si è fermato. Si può criticare questa situazione in quanto ad esempio, i disavanzi di Francia e Spagna sono stati vicini o addirittura superiori al limite del 3% del Trattato di Maastricht. Ma guardando al passato si può dire che la combinazione fra la politica monetaria espansiva della Banca centrale europea e una politica di bilancio più rilassata ha portato a una ripresa economica piu' sostenuta nell'eurozona. In altre parole: la flessibilità offerta dal patto di stabilità e crescita, soprattutto a partire dal 2014, non è stata uno svantaggio, ma un vantaggio.

Non è affatto ovvio quindi che il principale problema delle regole fiscali dell'eurozona sarebbe "il ben noto deficit bias", come scrivono Feld e gli altri. Piuttosto gli sviluppi dopo la grande recessione hanno mostrato che il problema principale è la mancanza di coordinamento fiscale che durante una recessione molto lunga ha portato a politiche fiscali non sufficientemente espansive nei 19 stati membri. La questione è stata ulteriormente elaborata nel 2015 anche nella cosiddetta relazione dei 5 presidenti e ha portato alla creazione dell'European Fiscal Board, il quale ha il compito di consigliare la Commissione europea al fine di comprendere se la politica fiscale è appropriata sia a livello nazionale che per l'area dell'euro nel suo complesso.

Differenze e somiglianze con il patto di stabilità e crescita

Le norme sulla spesa e la riforma delle regole esistenti proposte da Feld et altri differiscono dalle altre recenti proposte di riforma in quanto intendono mantenere la regola del pareggio di bilancio contenuta nel Fiskalpakt. A tale riguardo, il meccanismo sottostante alla loro proposta non differisce dallo status quo all'interno del quadro fiscale dell'Eurozona che sin dalle riforme del Six Pack del 2011 include un benchmark di spesa pubblica. Questa regola di spesa è concepita per  un percorso di spesa che consenta di raggiungere nel medio termine l'obiettivo di un bilancio strutturalmente in pareggio. Così dice il corrispondente regolamento UE:

"per gli Stati membri che non hanno ancora raggiunto il loro obiettivo di bilancio di medio termine, la crescita della spesa annua sarà inferiore rispetto al tasso di riferimento a medio termine della crescita potenziale del PIL, a meno che il superamento di questa soglia non sia compensato da misure discrezionali di pari importo sul lato delle entrate; il divario tra il tasso di crescita della spesa pubblica e il tasso di riferimento di medio termine della crescita potenziale del PIL è fissato a un livello che garantirà un aggiustamento adeguato verso l'obiettivo di bilancio di medio termine;"

Rispetto al patto di stabilità e crescita, la regola sulla spesa pubblica non rappresenta quindi la principale innovazione della proposta tedesca - l'innovazione consiste nell'introduzione di una sorta di "memoria" all'interno del PSC. Fino ad ora gli stati membri non erano tenuti a compensare i precedenti disavanzi con delle eccedenze corrispondenti: a dover soddisfare i requisiti del patto ci sono solo il disavanzo corrente e le previsioni sul suo corso futuro. La seconda grande innovazione è l'eliminazione delle deroghe per gli scostamenti dagli obiettivi di medio termine (o dai percorsi di aggiustamento per il loro raggiungimento) nel caso di riforme strutturali che comprendano anche investimenti pubblici.

La proposta dei miei colleghi pertanto non è esclusivamente volta a rendere le norme esistenti "più semplici" e "più trasparenti". Con l'introduzione della funzione di memoria il PSC si trasformerebbe in un sistema più o meno identico allo Schuldenbremse tedesco - il che avrebbe conseguenze di vasta portata. Come mostrano le simulazioni di Feld et al. sarebbe la Francia in particolare a dover compensare attraverso pesanti tagli alla spesa il non raggiungimento a partire dal 2013 del parametro di riferimento dello 0,5% nel disavanzo strutturale. La necessità di compensare le deviazioni del passato porterebbe non solo ad una politica pro-ciclica, ma diventerebbe anche un onere molto pesante per un nuovo governo costretto a pagare per gli errori dei suoi predecessori.

Le differenze tra la proposta tedesca e quella francese

A prima vista, si potrebbe pensare che la proposta tedesca sia molto simile a quella del Conseil d'analyse economique, pubblicata nello stesso periodo. In effetti, entrambi i concetti implicano una regola di spesa. Ad un esame più attento, tuttavia, ci sono differenze fondamentali.

In sostanza, gli economisti francesi propongono un modello basato su decisioni politiche discrezionali, mentre i tedeschi propongono un approccio ampiamente basato su delle regole meccaniche. Questa differenza è dovuta al fatto che la proposta francese si astiene completamente dalla definizione di una norma per individuare il disavanzo strutturale. Il loro concetto non ha quindi un ancoraggio quantitativo implicito nell'impegno a raggiungere il pareggio di bilancio.

L'àncora delle regole francesi è invece l'obiettivo di ridurre il rapporto debito / PIL. Gli autori sottolineano esplicitamente che questo obiettivo, ancora una volta non dovrebbe essere determinato da una formula, ma dalle decisioni dei governi. Il percorso per lo sviluppo della spesa è quindi derivato dall'obiettivo di debito e deve essere determinato dalle autorità fiscali nazionali. Se le spese si discostano dal loro percorso obiettivo, dovrebbero essere registrate in un conto di aggiustamento. E se questo conto dovesse superare un valore di riferimento, sarà allora rilevata una violazione delle norme sul debito. Per una tale condotta non è tuttavia prevista una successiva compensazione da effettuarsi con una riduzione della spesa.

"Golden rule" Vs."Schwarze Null"

Per l'ulteriore sviluppo delle regole fiscali europee ci sono quindi due concetti completamente diversi. La proposta tedesca è caratterizzata dalla semplice idea che una politica fiscale ottimale è caratterizzata da un bilancio in pareggio. Da questo ideale, noto come "Schwarze Null", emerge il percorso della spesa pubblica. La proposta francese presuppone invece che gli obiettivi a medio termine della politica fiscale debbano essere determinati in un complesso processo decisionale, e non con delle semplici formule. Tutto sommato, la proposta francese è più vicina allo status quo rispetto a quella tedesca.

Le regole semplici possono avere i loro benefici, ma devono essere ben motivate - e tuttavia non è il caso dello Schuldenbremse tedesco che Feld et al. ora vorrebbero espandere all'intera Eurozona. Nella teoria della politica fiscale tradizionale la "regola d'oro" si trova solo come punto di riferimento per il livello ottimale di debito pubblico da raggiungere. Essa afferma che un aumento del debito pubblico può essere tollerato solo nella misura in cui coincide con almeno un aumento altrettanto consistente della ricchezza netta dello stato. Di conseguenza, finanziare gli investimenti pubblici ricorrendo all'indebitamento avrebbe senso. In effetti, il Consiglio tedesco degli esperti economici diversi anni fa ha pubblicato uno studio sulle regole di bilancio in cui ha espressamente dato il benvenuto alla "regola d'oro" sostenendo "che introdurre un divieto generale di indebitamento(...) [sarebbe] economicamente insensato, come vietare ai cittadini o alle imprese private di prendere denaro a prestito".

Si può criticare la discrezionalità prevista dalla proposta francese. Ma questa offre almeno la possibilità che gli obiettivi di indebitamento consentiti possano essere determinati in un ampio dialogo tra scienza economica e politica, tra economisti nazionali e stranieri, sulla base della teoria economica e delle prove scientifiche disponibili. Soprattutto la proposta potrebbe almeno fornire un margine minimo per gli investimenti finanziati a debito. In questo caso, le probabilità di realizzare una buona politica fiscale negli Stati dell'eurozona saranno sempre maggiori rispetto alla possibilità di mettere tale politica nelle mani di una semplice regola meccanica.

-->