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lunedì 8 giugno 2020

FAZ - L'Italia ha bisogno di un taglio del debito?

Ristrutturare o non ristrutturare il debito italiano? Friedrich Heinemann dello Zew di Mannheim, dichiara alla FAZ: "quando nel 2022 la fase acuta della crisi sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente, i detentori dei titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare in parte ai loro crediti". Anche Hans Werner Sinn è d'accordo nel far pagare il conto della crisi ai detentori dei titoli di stato italiani. Lars Feld, il consigliere del governo tedesco, invece è molto piu' cauto e tende ad escludere un taglio del debito pubblico italiano. Dalla FAZ e dalla Germania arriva l'ennesimo pistolotto sulla ristrutturazione del debito italiano.




(...) La situazione di partenza quindi è piuttosto tetra. La questione ora è la seguente: per risolvere i suoi problemi l'Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?. Ad ogni modo, un passo del genere non deve più essere considerato un tabù, raccomanda Hans-Werner Sinn, ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco di Baviera. "Per quanto io sia favorevole ad un generoso aiuto finanziario nei confronti dell'Italia: è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei invece di partecipare essi stessi alle perdite", dice l'economista. Sinn fa riferimento al "Club di Parigi", un circolo informale per la negoziazione internazionale nell'ambito del quale solitamente vengono regolamentate tali cancellazioni del debito. "Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito". Dalla seconda guerra mondiale in poi, sostiene Sinn, ci sono state circa 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. "E il mondo non è ancora finito". Anche nell'eurozona, un parziale taglio del debito per l'Italia, non sarebbe affatto una novità. Nel caso della Grecia, infatti, un taglio del debito è già stato effettuato durante la crisi dell'euro del 2012, ed è stato uno dei piu' grandi nella storia della finanza. A questi poi si sono aggiunti i controlli sui movimenti di capitale. "Temo che prima o poi dovremo farne uso anche nel caso dell'Italia, perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo", dice Sinn.

E questa è l'opinione anche di Friedrich Heinemann, esperto di finanze pubbliche dell'istituto di ricerca economica ZEW di Mannheim, il quale prevede: "il Fondo per la ricostruzione, alla fine non sarà in grado di risolvere i drammatici problemi finanziari italiani". Il denaro da mobilitare per gli aiuti è enorme - ma non sarà mai abbastanza per l'Italia. Molto più importante per l'Italia, dice, è che la Banca Centrale Europea (BCE) continui a sottoscrivere diligentemente i nuovi titoli di stato che il ministro delle Finanze a Roma contina ad emettere sui mercati. Ma in ultima analisi, saranno i contribuenti europei ad essere responsabili per i crescenti rischi che gravano sul bilancio della BCE.

Come Hans-Werner Sinn, Heinemann ritiene che non ci sia modo di evitare un taglio del debito pubblico italiano. "Il debito è troppo alto, il Paese non può uscirne", dice l'economista dello ZEW. "Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E, naturalmente, i detentori di titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti". Heinemann vuole far pagare il conto anche ai creditori.

Ma ci sono altri esperti che vedono le cose in maniera diversa. "L'Italia non ha bisogno di un taglio del debito", dice Lars Feld. L'economista di Friburgo presiede il Consiglio dei saggi economici, il cui compito è quello di consigliare il governo federale. In Grecia la riduzione del debito all'epoca si era resa inevitabile, ma questo confronto è fuorviante, spiega Feld: "L'Italia ha una consistenza economica completamente diversa. Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica". Egli conta sul fatto che il paese possa uscire dalla attuale situazione di indebitamento, in quanto la crescita economica sarebbe capace di generare maggiori entrate fiscali.

Un taglio del debito, d'altra parte, probabilmente farebbe piu' male che bene, sottolinea Feld: "Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l'esatto opposto di ciò di cui l'Italia ha bisogno". La Grecia ne è l'esempio ammonitore: il taglio del debito di otto anni fa ha ridotto solo temporaneamente il rapporto debito/PIL del paese. In assenza di una crescita economica, è tornato ad aumentare molto rapidamente - e ora è addirittura piu' elevato rispetto a prima della cancellazione del debito.

Nel caso dell'Italia, anche Feld considera troppo rischioso un taglio del debito. Il problema principale è che i maggiori creditori dello Stato italiano restano di gran lunga le banche italiane, che nei loro bilanci hanno delle quantità enormi di titoli di stato e crediti verso le istituzioni statali. A metà dello scorso anno le banche italiane erano creditrici nei confronti dello stato italiano per un totale di 690 miliardi di euro. Se questi titoli dovessero essere cancellati nell'ambito di una ristrutturazione del debito pubblico, molte banche finirebbero per trovarsi in difficoltà.

"Avremmo immediatamente una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei a causa degli stretti legami creatisi", dice Feld. Le banche francesi, in particolare, hanno dei crediti elevati nei confronti dell'Italia e subirebbero quindi delle perdite massicce. Ma non si tratta solo delle banche. Anche le assicurazioni, i fondi di investimento e altri importanti investitori sono anch'essi creditori dello Stato italiano e sarebbero quindi colpiti da una ristrutturazione del debito.

Ancora una volta, quello della Grecia è stato un esempio ammonitore: la ristrutturazione del debito del Paese nella primavera del 2012 ha portato il panico sui mercati, in una fase già molto critica. "Guardando indietro, va detto che il taglio ha accelerato l'incendio dell'eurocrisi", lo ammette anche Heinemann dello ZEW, sostenitore di un taglio del debito. Per questo motivo non convocherebbe immediatamente quella "conferenza internazionale sul debito italiano" da lui raccomandata, ma lo farebbe solo nell'anno successivo - e anche in quel caso farebbe gravare sui creditori detentori delle obbligazioni solo una parte dell'onere della ristrutturazione. "Ora, nel bel mezzo della crisi economica, non lo si può fare. I mercati sono troppo fragili per una scelta del genere".

Hans-Werner Sinn non nega il rischio di una crisi finanziaria associata a un taglio del debito, ma ritiene che questo rischio sia il minore fra i due mali. La Francia è abbastanza forte per sostenere le sue banche in caso di emergenza, dice. In definitiva, si tratta di soppesare i rischi - e i politici mancano di lungimiranza in questo senso: "Hanno sempre paura dei rischi di breve termine per i mercati finanziari e in cambio accettano rischi che nel lungo termine sono molto piu' minacciosi", critica il Sinn. "Il salvataggio dei creditori tramite una messa in comune del debito erode gli stati e crea il pericolo di un'enorme guerra debitoria in Europa, che potrebbe far crollare l'UE".

Una cosa però deve essere chiara: anche se non ci fosse una nuova crisi finanziaria in Europa, un taglio del debito pubblico italiano probabilmente non sarebbe comunque gratuito per i contribuenti tedeschi. Perché negli ultimi anni la BCE ha acquistato montagne di titoli di stato italiani, e anche la banca centrale sarebbe inevitabilmente colpita da un taglio del debito. La Germania dovrebbe farsi carico di una parte di queste perdite. "La Bundesbank dovrebbe poi essere ricapitalizzata dallo Stato tedesco", dice Sinn. In casi estremi, questo potrebbe costare fino a 150 miliardi di euro.

Qual è la conclusione? Gli argomenti di entrambe le parti possono essere riassunti approssimativamente così: un taglio del debito per un grande paese come l'Italia sarebbe una ripartenza radicale, dopo dieci anni in cui i contribuenti hanno sostenuto direttamente o indirettamente dei costi molto elevati per i salvataggi nella zona euro. Ma i rischi di questo cambiamento di rotta sarebbero notevoli. E se la riduzione del debito possa essere davvero d'aiuto per l'Italia e gli altri Stati dell'euro, nel lungo periodo non è affatto certo. "Non c'è una via d'uscita facile", dice Hans-Werner Sinn. "Ci siamo davvero impantanati".


martedì 26 maggio 2020

Perché i tedeschi temono l'unione di trasferimento

Dopo l'accordo tra Francia e Germania sul recovery fund la stampa conservatrice prende di mira la Cancelliera tedesca accusandola di aver aperto la strada alla temutissima unione di trasferimento con il sud-Europa e di non aver tenuto conto dei veri interessi tedeschi. Se Merkel sul Recovery fund fa sul serio allora è anche probabile che non abbia nessuna intenzione di ricandidarsi, perché dalla stampa popolare e conservatrice le arrivano attacchi molto duri. Per una volta, forse, il governo tedesco ha preferito i libri di storia ai sondaggi sugli ultimi trend elettorali. Quattro riflessioni sull'accordo franco-tedesco dalla FAZ, da Tichys Einblick, da WirtschaftsWoche, e da Focus.


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Anche sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano con una linea spesso filo-merkeliana, il condirettore Berthold Kohler esprime dei forti dubbi sulla sostenibilità politica dell'unione di trasferimento:

(...) Perché anche quelli che vorrebbero svuotare gli stati nazionali dall'oggi al domani privando di ogni potere i loro organi fino anche alle corti supreme, in realtà stanno solo danneggiando l'ideale europeo. Si può anche andare in estasi per il fatto che il piano Merkel-Macron ha posto la "prima pietra di una nuova Europa" - ma i popoli europei vivono ancora molto volentieri nelle loro splendide e antiche costruzioni, gli stati nazionali. Che poi sono anche la patria della democrazia. Lì, il popolo sovrano ha ancora un'influenza maggiore e più diretta sulle decisioni politiche rispetto a quanto accade a Bruxelles. Anche il sentimento di appartenenza a un destino comune, per il quale sacrificarsi quando le circostanze lo rendono necessario, resta molto piu' forte negli stati nazionali.

Il più grande difetto del processo di unificazione

Non esiste ancora a livello europeo un simile sentimento di unità. E questa è la piu' grande mancanza del processo di integrazione. I tedeschi non sono certo felici di dover pagare sin dai tempi della riunificazione il "Soli" (imposta di solidarietà con l'est), ma continuano comunque a pagarlo con diligenza. Se un politico tedesco chiedesse un simile contributo di solidarietà per la Spagna o l'Italia sperimenterebbe un perfetto "shitstorm", anche se a dire il vero molti tedeschi preferirebbero vivere in Toscana piuttosto che in Sachsen-Anhalt.

L'identità europea tuttavia non può in alcun modo competere con il senso di comunità che esiste negli stati nazionali, che non è emerso solo ai tempi del nazionalismo, ma è nato come una forma di netta demarcazione dagli altri popoli. In un mondo di risorse limitate, pertanto, ogni atto di aiuto finanziario che comporta una rinuncia da parte del donatore, deve avere una giustificazione persino maggiore, ad esempio, della perequazione finanziaria fra le regioni tedesche. 

Perché anche in un paese ben disposto nei confronti dell'integrazione, come lo è la Germania, se i cittadini avessero la sensazione di essere relegati in eterno nel ruolo dell'ufficiale pagatore, l'umore potrebbe cambiare alla svelta. Sarebbe sciocco pensare che in nome dei vantaggi economici e politici offerti dall'integrazione europea, i tedeschi non possano fare altro che dichiararsi "solidali" a suon di miliardi di euro. Anche se il valore della pace e della prosperità garantiti da un'Europa senza confini potesse essere trasformato in numeri, la solidarietà non è il risultato di un conto fra profitti e perdite, ma una questione di atteggiamento e di sentimenti. E in Italia, Francia, Spagna e in altri paesi europei non dovrebbero dimentichare che i sentimenti, specialmente quando si infiamma l'indignazione nei confronti dei presunti teutonici non solidali, li hanno anche i tedeschi.


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Su WirtschaftsWoche invece Malte Fischer spera, come molti milioni di tedeschi, che i paesi frugalisti, guidati da Austria e Olanda, alla fine riescano ad imporsi sul duo franco-tedesco:


(...) Con il fondo per la ricostruzione, Macron si è ulteriormente avvicinato al suo obiettivo di trasformare l'UE, grazie a una propaganda sulla solidarietà molto efficace in termini di presa sull'opione pubblica, spingendola nella direzione sempre voluta e ricercata dalla Francia: da una comunità di Stati auto-responsabili a un'unione di trasferimento che sviluppa un potere statale determinato dalle ambizioni di potere dei francesi e finanziato dalla Germania in quanto principale fonte dei trasferimenti. L'emissione di obbligazioni proprie, tramite le quali l'UE per la prima volta può prendere denaro in prestito come se fosse uno stato, è anche un passo verso quella statalità sovranazionale che le élite europee hanno sempre sognato.

I contribuenti tedeschi dovranno pagare a caro prezzo il fatto che Merkel ha deciso di dare il via libera ad una trasformazione dell'UE in una unione di trasferimento. L'argomento secondo il quale i trasferimenti dalla Germania verso "Italia e Co." servirebbero a garantire dal punto di vista economico degli importanti mercati di esportazione e sarebbero quindi nell'interesse della Germania non ci deve ingannare. Se l'argomento fosse vero, allora la Germania dovrebbe trasferire risorse anche verso gli Stati Uniti e la Cina. Decisamente folle. In ogni caso, l'argomento dal punto di vista economico è simile al tentativo di un proprietario di un chiosco di panini di aumentare le vendite regalando ai suoi clienti delle banconote in modo che questi poi possano acquistare le sue salsicce.

Una simile economia vudù negli ambienti politici di Berlino potrebbe anche abbagliare qualcuno. I contribuenti tedeschi tuttavia non devono farsi ingannare. Gli resta solo la speranza dell'opposizione di Vienna o dell'Aia. Lì non sono certo entusiasti per l'iniziativa di Macron e Merkel. Il primo ministro austriaco Sebastian Kurz, infatti, dopo aver consultato il suo collega olandese ha immediatamente annunciato l'opposizione al piano di Macron. Insieme a Danimarca e Svezia, entrambi i paesi insistono affinché il denaro proveniente dal fondo per la ricostruzione venga concesso solo sotto forma di prestiti. Entrambi i paesi pertanto a breve presenteranno una proposta alternativa.

Gli epigoni di Machiavelli dell'Europa del sud non hanno ancora raggiunto il loro obiettivo. Soprattutto dal momento in cui l'istituzione di un fondo per la ricostruzione dovrà essere deciso all'unanimità da tutti i 27 paesi dell'UE. Per i contribuenti tedeschi, quindi, incrociamo le dita sperando che Austria e Paesi Bassi restino a rappresentare gli interessi dei contributori netti, per i quali apparentemente a Berlino non ci sono sostenitori.


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Anche su Tichys Einblick, il grande intellettuale e pubblicista tedesco Klaus-Rüdiger Mai ci va giu' duro e attacca Merkel accusandola di aver ignorato i veri interessi tedeschi:

(...) In parole povere, questo significa che i paesi del nord, in particolare la Germania, finanzieranno Spagna, Italia e Francia, e questo perché una situazione di grave difficolta finanziaria sarebbe un disastro per le banche francesi, fortemente investite in Italia. A questo punto va ricordato che la ricchezza media dei cittadini della "ricca" Germania, secondo un'analisi di WELT, è inferiore alla ricchezza media dei cittadini di Italia e Francia, ma saranno i cittadini della "ricca" Germania a dover pagare per la  voglia di spendere soldi di Merkel.


Ma se sai che Macron proviene dal settore finanziario francese, allora sai anche quali interessi sta rappresentando. Sarà però il contribuente tedesco a dover sborsare soldi per coprire la crisi del settore finanziario francese nei decenni a venire. La Cancelliera tedesca ha accettato questo piano - e nient'altro - in un vertice con il presidente francese.

Mai fino ad ora nella storia della Repubblica Federale un Cancelliere aveva ignorato in questo modo gli interessi tedeschi, aveva mostrato così poca empatia per la vita dei cittadini, per la prosperità della nazione e per la felicità e il futuro dei nostri figli, come invece sta facendo ora Angela Merkel. Mai prima d'ora nella storia tedesca un Cancelliere aveva rinunciato alla sovranità della Germania  indebitandosi tanto da pesare gravemente sul paese e sui suoi cittadini per generazioni, portandoci solo alla rovina economica e all'impoverimento. Il sogno di Macron dei campioni europei, che saranno i campioni francesi, spezzerà la spina dorsale delle piccole e medie imprese tedesche. Le quali però saranno chiamate a finanziare questo sogno.

Al momento, i cittadini tedeschi possono solo sperare in una resistenza a oltranza da parte dei capi di governo di Finlandia, Paesi Bassi e Austria. Ma forse anche questa speranza è solo un'illusione, perché potrebbe anche essere che questi stati rinuncino alle loro riserve se la Cancelliera dichiarasse che la Germania si assumerà la responsabilità e la quota del rimborso per i tre stati. Certo, è un'idea assurda, ma negli ultimi anni l'assurdità non è forse diventata realtà e la realtà non é diventata un'assurdità?



Non poteva mancare ovviamente Focus, che con un commento di Hugo Müller-Vogg si schiera decisamente contro ogni forma di unione di trasferimento a danno degli operosi e diligenti contribuenti tedeschi:


(...) L'Italia, d'altra parte, ha lasciato trascorrere gli ultimi anni molto positivi senza aver fatto nulla per risanare le sue finanze publiche disastrate. Allo stesso tempo, la ricchezza privata in Italia ha raggiunto nuovi massimi. Secondo i calcoli del Credit Suisse, la ricchezza privata italiana è 5,5 volte il PIL. In Germania, invece la ricchezza privata è solo 3,8 volte il PIL. Ciò ha anche a che fare con il fatto che nessun governo italiano cerca seriamente di riscuotere le tasse con la stessa meticolosità con la quale lo fanno le autorità fiscali tedesche.

E il risultato è grottesco: i tedeschi sono più poveri degli italiani - in base alla loro ricchezza pro capite - mentre lo stato tedesco finanziariamente  è molto più forte di quello italiano. Di conseguenza i "poveri" contribuenti tedeschi dovrebbero sostenere il "povero" stato italiano. Mentre i ricchi italiani preferiscono investire le proprie attività finanziarie al di fuori dei loro confini.

Merkel e Macron posano la "pietra angolare per una nuova Europa"

Emanuel Macron e Angela Merkel ritengono che il fondo per la ricostruzione rappresenti "la pietra angolare per una nuova Europa". La loro nuova Europa sarà come la precedente, e dovrà fare affidamento sulla solidarietà intergovernativa. La solidarietà tuttavia non dovrebbe essere vista come un affare unilaterale, cioè come l'impegno dei paesi economicamente più forti in favore di quelli più deboli. La solidarietà, se correttamente interpretata, riguarda anche gli sforzi di coloro che si aspettano di ricevere l'aiuto. Altrimenti tra coloro che devono aiutare cresce l'insoddisfazione, che potrebbe anche trasformarsi rapidamente in risentimento.

L'UE sosterrà i paesi in difficoltà, indipendentemente dal nome che lo strumento di finanziamento porta. Se negli altri paesi non dovesse cambiare nulla, accadrà che il contribuente tedesco cofinanzierà indirettamente delle prestazioni sociali che la Germania stessa non si può permettere. La Spagna ad esempio vuole introdurre un reddito di base incondizionato che invece noi non abbiamo. L'Italia si fa sfuggire miliardi di euro di gettito fiscale e lascia l'età pensionabile a 65 anni (donne: 60), mentre le autorità fiscali tedesche intervengono senza pietà e i tedeschi si stanno muovendo verso la pensione a 67 anni.

La Francia a sua volta garantisce ai lavoratori dipendenti il ​​secondo salario minimo più alto dell'UE con 10,14 euro l'ora, che molte aziende possono pagare solo grazie a dei sussidi statali. I lavoratori a basso reddito tedeschi, invece, devono accontentarsi di 9,35 euro lordi l'ora. Macron  inoltre vorrebbe ottenere l'approvazione della sua riforma delle pensioni, di cui c'è urgente bisogno, garantendo una pensione minima di 1.000 euro al mese. La nostra pensione di base minima non può tenere il passo.

I cittadini dei paesi donatori hanno il diritto di avere la solidarietà dei destinatari degli aiuti

Su una cosa non c'è dubbio: il mercato comune non va a svantaggio della Germania. In cambio, però la Repubblica federale finora è stato l'ufficiale pagatore d'Europa. I contribuenti tedeschi hanno ampiamente accettato questo "scambio". Alla luce  degli sconvolgimenti economici causati dal coronavirus, degli imminenti fallimenti e dei modelli di business in pericolo, potrebbe però venire meno la volontà di mostrare solidarietà con gli altri paesi, soprattutto se ai beneficiari dovesse mancare il "contegno di chi riceve solidarietà".

L'Europa non può funzionare senza solidarietà. Ma anche i cittadini dei paesi donatori hanno il diritto di avere la solidarietà dei destinatari.


lunedì 20 aprile 2020

Il progetto europeo si sgretola sul confine franco-tedesco

A metà marzo il governo tedesco ha deciso di chiudere il confine con la Francia, ufficialmente nel tentativo di arginare l'epidemia. A poco piu' di un mese da quella decisione, sul lato tedesco si registra un crescendo di toni nazionalisti, con episodi di lancio di uova contro le auto francesi e insulti razzisti contro gli alsaziani. In questo clima di rinnovato spirito nazionalista, il progetto europeo è ancora attuale? Ne scrivono l'ottimo Albrecht Müller sulle Nachdenkseiten e la Frankfurter Allgemeine Zeitung


Francis Joerger da 30 anni è il sindaco del villaggio di Scheibenhard in Alsazia, e da sempre lavora in favore della comprensione e della collaborazione tra francesi e tedeschi. Instancabilmente e con grande impegno. Nella foto qui sotto si trova sul ponte tra Scheibenhard (Alsazia) e Scheibenhardt (Palatinato meridionale) di fronte a una barriera costruita su lato tedesco del confine - apparentemente in accordo con il governo francese. Francis Joerger non può piu' visitare la comunità gemella nella parte tedesca. Anche la tradizionale festa del ponte, un simbolo di comprensione reciproca e riappacificazione, che non sempre è stata facile, quest'anno non si terrà.


Secondo l'opinione del mio amico Francis, con la recente chiusura del confine sono stati fatti dei danni enormi. Egli infatti registra con attenzione e preoccupazione un crescendo di toni nazionalisti. I vertici politici continuano a parlare di una forte amicizia, ma la situazione in basso invece è molto diversa. L'animosità tra il di qua e il di là sembra essere in crescita. Gli alsaziani che lavorano in Germania se fanno acquisti in un supermercato tedesco rischiano una multa. Come del resto risulta anche a noi, egli registra degli insulti alquanto stupidi provenienti dalla parte tedesca, ad esempio al confine tra Francia e Saar.

La chiusura delle frontiere è stata fatta senza considerare le interdipendenze che si sono create nel corso degli ultimi decenni. Lavoratori francesi, alsaziani e lorenesi che lavorano in Germania e viceversa. Ci sono tedeschi che vivono in Francia. I francesi che lavorano in Germania, invece, devono percorrere lunghe distanze a causa della chiusura dei piccoli valichi di frontiera.

Le chiusure sono assurde, sopratutto dal momento in cui sono state emanate regole di base relativamente rigide in tutti i paesi. Ad esempio, Francis Joerger, come tutti gli altri alsaziani che non vanno a lavoro, è autorizzato a lasciare casa sua solo per un breve periodo di tempo e può spostarsi solo entro 1 km. Allora perché gli viene impedito di passare il confine? È ragionevole, necessario e privo di rischio che questi possano essere riaperti il ​​più rapidamente possibile a Scheibenhard(t), come in molti altri luoghi tra l'Alsazia e la Lorena da un lato, e il Baden, il Palatinato e la Saarland dall'altro.

Ma è improbabile che i governi centrali e regionali se ne accorgano. Alcuni di loro potrebbero persino credere che il solo attraversamento del confine fra un Land e l'altro o una visita al Mar Baltico possano diffondere il virus.

Le modalità con le quali l'Europa si sta sgretolando su larga scala, si capiscono da quanto poco e in maniera esitante i singoli stati si siano aiutati in termini di assistenza sanitaria, e anche perché le mosse dei singoli stati alla fine non siano state coordinate fra loro. Affrontare la crisi causata dal Coronavirus mette in luce gli Stati nazionali. La pacca sulla spalla nazionalista è diventata ormai di uso comune. "Oh, come siamo stati bravi. Siamo stati cosi' previdenti e non abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi”. Questa è la sottile e inconscia melodia dei tedeschi. Da Peter Altmaier fino all'emissione televisiva sulla borsa prima delle otto.

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Il ponte dell'amicizia tra Kleinblittersdorf e Grosbliederstroff, che collega la Saarland con la Lorena, presto dovrebbe tornare ad avere giustizia per il nome che porta. Il primo ministro della Saar Tobias Hans (CDU) venerdì 17 aprile, infatti, ha annunciato di voler riaprire il ponte per i pendolari transfrontalieri. "La cooperazione transfrontaliera nelle regioni di confine è particolarmente importante nonostante e anche a causa della pandemia di corona-virus", afferma Hans. Non bisogna creare ulteriori ostacoli a coloro che ogni giorno attraversano i confini  per andare a lavorare.

"Questo è un segnale importante", afferma il deputato francese Christophe Arend del partito presidenziale La République en marche. "Ma il nostro obiettivo deve essere quello di riaprire tutti i valichi di frontiera", ha detto alla FAZ. Arend dirige il gruppo inter-parlamentare franco-tedesco e la nuova assemblea parlamentare franco-tedesca ed è preoccupato per la battuta d'arresto negli scambi transfrontalieri. “Il virus non conosce confini. Abbiamo urgentemente bisogno di regole comuni e non di una gara fra chi si chiude di piu'", afferma.

I dipendenti francesi devono rimanere a casa

Su sua richiesta, il valico tra Großrosseln e Petite-Rosselle è stato riaperto, ma solo durante il giorno. Non è una soluzione soddisfacente per i pendolari con un turno di mattina o di notte. "C'è voluta una quantità infinita di sforzi ed energia per riuscire a fare un passo così piccolo", afferma Arend. La chiusura unilaterale del confine imposta dalla Germania il 16 marzo ha messo alla prova l'amicizia franco-tedesca, in quanto va a colpire tutte le abitudini quotidiane.

Nel suo collegio elettorale della Lorena, i pendolari spesso gli hanno riferito di dover fare fino a 50 chilometri di deviazione per raggiungere il posto di lavoro nella Saarland. "I francesi inizialmente sono stati  trattati come dei lebbrosi", afferma Arend. La situazione  ora sembra essere migliorata. Ma per i 2.000 dipendenti francesi del fornitore automobilistico ZF a Saarbrücken è stato molto difficile quando senza preavviso gli hanno chiesto di restare lontani dal posto di lavoro. ZF ora ha ripreso la produzione, ma solo per i dipendenti tedeschi.

I pendolari, fra cui 150 dipendenti francesi della Clinica di Saarbrücken, devono affrontare delle lunghe deviazioni. La stampa francese ha anche riferito di reazioni ostili con cui i francesi della Saarland devono fare i conti. Qualche giorno fa, Michael Clivot, sindaco del comune di confine di Gersheim, ha suscitato scalpore perché si è rivolto alla popolazione con un videomessaggio: "Si era diffuso un certo livello di ostilità nei confronti dei nostri amici francesi". Alcuni francesi sarebbero stati insultati o fermati per strada. Clivot afferma che alcuni francesi vengono in Germania per fare acquisti senza essere autorizzati, ma anche gli abitanti della Saarland fanno lo stesso in Francia.

Il pregiudizio dello "sporco francese"

Anche il ministro degli esteri Heiko Maas, originario della Saarland, e il vice Primo Ministro della Saarland, Anke Rehlinger (entrambi SPD), si sono espressi criticando con forza tali incidenti. Arend ha affermato di essere preoccupato per la rapidità con cui sono tornati i pregiudizi sugli "sporchi francesi". Il console generale francese a Saarbrücken, Catherine Robinet, ha confermato che si tratta di "casi individuali".

Sono state lanciate uova contro le auto con targhe francesi, i clienti di lingua francese nei supermercati tedeschi sono stati insultati ed è stato chiesto loro di tornare in "Corona-Francia". Robinet ha anche riferito di dipendenti di un'impresa di pulizie tedesca della Saarland, che si dice abbia negato l'accesso ai dipendenti francesi durante la notte.

(...) Il deputato Andreas Jung (CDU) sottolinea la difficile situazione dei genitori franco-tedeschi divorziati che condividono la custodia dei figli. Ci sono stati casi simili di difficoltà anche tra le famiglie che vogliono visitare parenti anziani dall'altra parte del confine. Situazioni che non dovrebbero essere lasciate alla discrezione degli agenti di polizia, ma dovrebbe essere sempre chiaro quando è consentito oltrepassare la frontiera. Si dice che un ufficiale di polizia abbia insultato un francese al confine tra Großrosseln e Petite-Rosselle. Almeno questa è l'accusa della parte lesa. Nel frattempo, sono stati avviati procedimenti penali contro ignoti.

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mercoledì 27 novembre 2019

Perché quella tedesca resta un'egemonia a metà

"La Germania rimane in una posizione problematica di semi-egemonia: il paese ha la forza sufficiente per imporre le sue regole, ma non per farle rispettare. Mentre gli altri stati sono abbastanza forti per infrangere le regole, ma non per cambiarle", scrive l'ottimo Hans Kundnani sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per uscire da questa condizione semi-egemonica i tedeschi dovrebbero ripensare il loro modello economico ed eliminare la loro dipendenza dall'export e quindi dai loro mercati di sbocco. Per un paese che ha fatto dell'export un vanto nazionale e un elemento della propria identità, una rinuncia del genere sembra alquanto improbabile. Ne scrive Hans Kundnani sulla FAZ


Con lo scoppio dell'eurocrisi nel 2010, il futuro della Germania è diventato alquanto incerto. La crisi ha innescato un rinnovato dibattito sull'egemonia tedesca in Europa, dibattito che si è intensificato in seguito alla crisi dei rifugiati del 2015. Dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016, il futuro dell'alleanza transatlantica e lo stesso "ordine internazionale liberale" sono diventati alquanto incerti. Come si muoverà la Germania in una fase in cui tutto sembra cambiare - che gli analisti come Wolfgang Streeck definiscono un "interregno" nel senso gramsciano del termine?

Gli analisti di politica estera hanno regolarmente ignorato i problemi emersi durante la crisi dell'euro. Ma ciò non significa che i problemi siano stati risolti. Mentre il caos britannico ha provocato un rinnovato impegno retorico nei confronti del progetto europeo, l'integrazione europea è finita su di un binario morto. Nel frattempo la Germania rimane in una posizione problematica di semi-egemonia. Ciò significa in pratica che il Paese ha la forza sufficiente per imporre le proprie regole, ma non per farle applicare. Mentre gli altri stati sono abbastanza forti per infrangere le regole, ma non per cambiarle.

La serie di crisi che a partire dal 2010 hanno afflitto l'UE potevano rappresentare una oportunità di cambiamento. Durante la crisi dell'euro, i paesi dell'Europa meridionale, infatti, hanno accusato la Germania di non mostrare una "solidarietà" sufficiente. Durante la crisi dei rifugiati è stata la Germania invece a chiedere a sua volta "solidarietà" agli altri stati membri. Questa opportunità avrebbe potuto essere la base per un accordo complessivo basato su una comprensione comune dei diritti e degli obblighi fra gli Stati che fanno parte sia dell'area dell'euro che di Schengen, di fatto un "nucleo europeo". Ma invece di collegarle fra loro, la Germania ha cercato di separare entrambe le questioni. L'Europa è in trappola, come diceva Claus Offe.

L'elezione di Donald Trump potrebbe trasformarsi nel più grande shock strategico per l'intera Europa. Per Berlino emerge un dilemma particolarmente difficile: la posizione di semi-egemonia della Germania in Europa dipende da una particolare configurazione dell'ordine internazionale liberale sul quale la Germania ha viaggiato con un biglietto gratuito. Con ciò si intendono in particolar modo gli impegni in termini di sicurezza degli Stati Uniti, che in linea di principio hanno reso irrilevante la questione del potere militare nelle relazioni intraeuropee e hanno trasformato l'America in un consumatore di beni sempre disponibile. Oggi Washington è meno disposta a farlo rispetto al passato e potrebbe anche rinunciare a una parte della propria egemonia.

Le incertezze in merito agli impegni americani in materia di sicurezza  in Europa , negli ambienti geo-politici tedeschi hanno portato a una divisione fra atlantisti e post-atlantisti. Mentre gli atlantisti tendono a sottostimare il cambiamento strutturale nella politica estera degli Stati Uniti, i post-atlantisti non riconoscono l'entità delle difficoltà che l'Europa deve affrontare nello sviluppare autonomamente una strategia alternativa alle garanzie di sicurezza americane. Il problema è che anche gli stessi passi prudenti dell'Europa in direzione dell'autonomia strategica potrebbero ulteriormente indebolire l'impegno degli Stati Uniti.

I tedeschi non si sentono minacciati

Ma mentre sia gli atlantisti che i post-atlantisti parlano della necessità di rispondere alle nuove minacce in un mondo sempre più pericoloso, i tedeschi sembrano essere sempre piu' preoccupati dalla possibilità di perdere la loro identità di paese di pace. Nonostante le incertezze relative alla garanzia militare americana, i tedeschi semplicemente non si sentono minacciati. Molti oggi, ifnfatti, ritengono che l'assunzione di una maggiore "responsabilità", e in particolar modo un drastico aumento della spesa per la difesa, sarebbe una concessione a Trump e alle sue politiche.

Il futuro delle relazioni fra Germania e Cina dipende dal ruolo della Germania in Europa e dalle sue relazioni con gli Stati Uniti. Negli ultimi dieci anni la Germania è diventata sempre più dipendente dalla Cina come mercato di esportazione, soprattutto dopo che la domanda europea nel corso della crisi dell'euro è calata. Di conseguenza si è sviluppata una stretta relazione politica tra Berlino e Pechino. La crisi ha diviso l'Occidente fra paesi in surplus e paesi in deficit, avvicinando Cina e Germania.

Mentre la Cina sotto Xi Jingping iniziava ad acquistare società di medie dimensioni e diventava sempre più autoritaria, la Germania invece sembrava essere sempre più scettica ed incline ad un approccio fondato su un maggiore coordinamento transatlantico. Ma l'elezione di Donald Trump ha dato nuovo slancio all'idea di un'Europa come polo indipendente in un mondo multipolare nell'ambito di un triangolo con la Cina e gli Stati Uniti. In Cina, molti ritengono si tratti del partner più promettente, soprattutto in materia di cambiamenti climatici - e recentemente il governo tedesco è sembrato addirittura aver perso interesse nei confronti di un corso politico piu' severo in Europa.

La Germania deve ripensare il suo modello economico

Dietro queste difficili sfide di politica estera resta l'impegno costante da parte della Germania nei confronti di un modello economico basato sulle esportazioni che, nonostante le debolezze diventate ben visibili nell'ultimo decennio, può essere considerato senza dubbio un successo. Ma questo modello economico rende difficile la correzione degli squilibri macroeconomici all'interno dell'area dell'euro e ostacola nel lungo periodo l'esistenza di una moneta unica. Inoltre fa arrabbiare gli americani rendendo la Germania particolarmente vulnerabile agli attacchi di Trump e quindi dipendente dalla Cina autoritaria.

Ripensare il proprio modello economico è forse la sfida più grande per la Germania. Ciò sarebbe positivo non solo per i partner della NATO e dell'UE, i quali trarrebbero beneficio dall'aumento della domanda interna tedesca, ma anche per la Germania stessa: l'ossessione per la competitività della Germania ha promosso la disuguaglianza e l'insicurezza politica. L'infrastruttura fatiscente del paese richiede investimenti urgenti. Il forte consenso politico sull'identità della Germania come nazione esportatrice, tuttavia, vieta un tale ripensamento.

La domanda è se la Germania sia in grado o meno di ripensare questo modello prima che sia troppo tardi. Lentamente gli Stati Uniti si ritirano dal loro ruolo egemonico, che detengono dalla seconda guerra mondiale. Sembrano sempre meno disposti a fornire merci globali come la sicurezza e la domanda di beni, specialmente per l'Europa, che giustamente ritengono dovrebbe essere in grado da sola di prendersi cura di sé stessa. Mentre tutto, intorno a loro, si muove, i tedeschi pensano di poter ancora andare avanti come prima.

Molti vedono in ciò un'espressione dell'impegno della Germania nei confronti del liberalismo - e persino di una leadership tedesca in una situazione in cui il paese si vede sempre più circondato da forze "illiberali". Ma un tale pensiero binario in bianco e nero è un errore. Se la Germania vuole davvero salvare l'ordine liberale internazionale, il paese dovrà cambiare il proprio ruolo all'interno di questo ordine. A livello economico, ciò significa piu' che altro un aumento della domanda interna e una riduzione della dipendenza dalle esportazioni. In termini di sicurezza, significa fare molto di più per la sicurezza dell'Europa, oppure, se la Germania non fosse disposta a farlo, chiedersi allora quale prezzo il paese è disposto a pagare agli altri stati in cambio di questa sicurezza.



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domenica 16 giugno 2019

Thomas Mayer - Perché i mini-bot sarebbero legali e perché la BCE li teme

Il professore Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung ci spiega perché i mini-bot sarebbero perfettamente legali e perché la BCE con i mini-bot probabilmente sarebbe costretta ad assumere quel ruolo di prestatore di ultima istanza che ha sempre rifiutato. Dalla Faz.net


Già alcuni anni fà l'italiano Claudio Borghi aveva proposto l'emissione di obbligazioni governative di piccolo taglio senza scadenza e senza interessi sotto il nome di "mini-bot". La sua intenzione era quella di creare una nuova valuta che potesse circolare parallelamente all'euro o sostituire l'euro. Nel loro contratto di coalizione, i partiti di governo Lega e 5 Stelle si sono accordati sulla possibilità di emettere tali mini-bot per il finanziamento del debito pubblico.


A fine maggio il Parlamento italiano ha votato una mozione rivolta al ministro delle finanze in cui si chiedeva di liquidare definitivamente gli arretrati dello Stato per diversi miliardi di euro, anche emettendo dei mini-bot. Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea (BCE), ha affermato che se i mini-bot venissero utilizzati come strumenti finanziari andrebbero ad aumentare il deficit di bilancio e il debito pubblico, mentre se dovessero funzionare come una moneta sarebbero invece da considerare illegali. Se il governo dovesse utilizzare i mini-bot per saldare le fatture non pagate ai suoi fornitori, di fatto non aumenterebbe il deficit di bilancio e il debito crescerebbe solo nella misura in cui i pagamenti in arretrato vengono ignorati, dato che la spesa è già stata effettuata e finanziata con dei prestiti involontari da parte dei fornitori. Con i mini-bot il credito del fornitore verrebbe solo convertito. I mini-bot, inoltre, non metterebbero in discussione l'euro come moneta a corso legale.

I mini-bot sono davvero illegali?

Di fatto nell'eurozona solo le banconote in euro hanno corso legale e possono essere utlizzate senza restrizioni. Le monete devono essere accettate solo fino ad un limite di 50 pezzi. E il denaro bancario con il quale paghiamo prevalentemente tramite bonifico bancario, non è (secondo la Bundesbank) un mezzo di pagamento legale. Se qualcuno può esigere il pagamento di un debito tramite bonifico bancario piuttosto che in contanti è ancora controverso e attualmente se ne sta occupando la Corte di giustizia europea dopo che il giornalista Norbert Häring ha insistito per poter pagare in contanti il suo canone radio-televisivo. I mini-bot quindi hanno molto più a  che fare con il denaro bancario di quanto non venga comunemente ipotizzato.

La moneta bancaria è denaro derivante dal credito privato creato tramite una licenza statale per l'esercizio del credito. I mini-bot sarebbero quindi un debito creato dallo stato (staatliches Schuldgeld). Entrambi gli strumenti sono  quindi un surrogato della moneta a corso legale in forma di banconote. Di conseguenza, la BCE non potrebbe vietare i mini-bot più di quanto non faccia con le banconote. Ci sarebbe tuttavia una differenza importante. Mentre le banche, con il supporto dei governi e della BCE, hanno accettato l'impegno di cambiare in banconote e alla parità la loro moneta per un importo fino a 100.000 euro, per i mini-bot non vi sarebbe una garanzia equivalente di cambio. Il tasso di cambio risulterebbe dall'offerta e dalla domanda. L'offerta sarebbe derivata dalle esigenze finanziarie dello stato.

La  domanda potrebbe essere stimolata, senza tuttavia imporre l'obbligo di accettazione, se lo stato fornisse uno sconto nel momento in cui il debito tributario viene saldato con dei mini-bot. Grazie ad un tasso di cambio flessibile da applicare al cambio in banconote andrebbe a modificarsi la natura dei mini-bot, i quali da semplice surrogato della moneta a corso legale si trasformerebbero in una valuta parallela. Ma se la moneta parallela non viene elevata al rango di mezzo di pagamento legale, non sarebbe affatto illegale, contrariamente a quanto affermato dal presidente della BCE Draghi.

Già il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, nel 2015 aveva provato a introdurre una moneta parallela sul modello dei mini-bot con l'intenzione di dare al suo governo un nuovo strumento per finanziare la spesa. I creditori del governo greco lo avevano impedito. Il governo italiano si trova ora in una posizione molto più forte. Inizialmente potrebbe introdurre i mini-bot come un mezzo per liquidare gli arretrati, quindi estenderne il ruolo per finanziare ulteriori spese e infine creare una valuta parallela. Con la valuta parallela potrebbe costringere la BCE a dover intervenire per sostenere il suo debito sovrano. Perché lo stato creerebbe così tanti mini-bot che questi finirebbero per svalutarsi pesantemente nei confronti dell'euro, e in assenza di entrate fiscali in euro, si troverebbe nella situazione di non poter più pagare i suoi debiti in euro. L'Italia si troverebbe ad affrontare una bancarotta statale. Poiché ciò andrebbe contro la politica di difesa dell'euro ad ogni costo, la BCE sarebbe costretta ad intervenire come prestatore di ultima istanza. Per questa ragione la BCE si è già pronunciata in maniera molto chiara sui mini-Bot.



giovedì 13 dicembre 2018

FAZ: Draghi continua a dare gas

Puntuale e immancabile il solito attacco a Draghi da parte della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per Holger Steltzner, condirettore del prestigioso quotidiano di Francoforte, Draghi sta ingannando l'opinione pubblica in quanto non sarebbe affatto vero che il QE terminerà a fine anno. Ma soprattutto Draghi, secondo Steltzner, non sarebbe interessato ai dolori che le sue politiche stanno causando ai risparmiatori e agli affittuari tedeschi. Dalla Faz.net


Ormai da diversi mesi il tasso di inflazione della zona euro ha superato il valore obiettivo della BCE mentre la zona euro da anni continua a crescere con forza. E cosa fa la BCE? Il board della banca centrale questo giovedì, come previsto, ha annunciato che a fine anno interromperà il programma di acquisto dei titoli di stato e delle altre obbligazioni.

Chiunque sostiene che la BCE abbia finalmente tirato il freno della politica monetaria è stato ingannato dal presidente Mario Draghi. Perché in realtà e nei fatti, la banca centrale continua a dare gas. Dal prossimo anno dovrebbero cessare solo gli acquisti netti di titoli di stato. Con il denaro delle obbligazioni in scadenza si continuerà comunque ad acquistare dei nuovi titoli. Non si può affatto parlare di un'interruzione del programma di acquisto.

Il bilancio della BCE resta gonfio come sempre

Il bilancio della BCE pertanto resta gonfio come sempre. A differenza della Federal Reserve statunitense, considerata un importante modello di riferimento sin dalla crisi finanziaria ed economica di dieci anni fa, la BCE non sta affatto riducendo il proprio portafoglio obbligazionario. Inoltre non alza i tassi di interesse, ma li lascia a zero e continua a praticare tassi di interesse negativi anche per le banche. Le conseguenze per i risparmiatori, per le pensioni o per i prezzi delle case e gli affitti, a Draghi ovviamente non interessano affatto, anche la Cancelliera Angela Merkel non sembra essere troppo d'intralcio.

Chiunque voglia afferrare almeno in parte quale livello abbia raggiunto il finanziamento degli Stati e delle società tramite la politica monetaria deve confrontare il bilancio della BCE con la performance economica di tutte le economie dell'Eurozona. Inimmaginabile, ma vero: il bilancio della BCE corrisponde a oltre il 40% della performance economica della zona euro.

La discutibile pratica del finanziamento dei paesi dell'eurozona da parte di Draghi inoltre ha appena ricevuto la benedizione della Corte di Giustizia Europea. Vediamo come reagirà la Corte costituzionale tedesca.

Dato che la BCE sta bruciando tutte le opzioni di politica monetaria a sua disposizione, nonostante la ripresa dell'attività economica, resta una domanda aperta: cosa potrà fare in una recessione che prima o poi sicuramente si presenterà? Comprerà anche le azioni oppure tutti i titoli di stato?

Draghi già oggi pretende di impostare il corso della politica monetaria per metà del mandato del suo successore. Per altri quattro anni, infatti, si andrà avanti acquistando altri titoli di stato. La fiducia perduta difficilmente potrà essere riconquistata dal successore Draghi, il quale senza dubbio si troverà in una posizione poco invidiabile.


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giovedì 22 novembre 2018

H.W. Sinn: che abbia inizio il prossimo atto della tragedia italiana (parte seconda)

Hans Werner Sinn, anche se ormai da qualche anno è in pensione, non si fa sfuggire l'occasione per commentare dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung la situazione italiana. Per il brillante economista tedesco gli italiani con i loro ricatti cercheranno di spillare quanti piu' soldi possibile ai "partner europei", ma l'ultimo atto di questa tragedia potrebbe essere l'uscita dalla moneta unica. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (si arriva da qui)

Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn

Ci sono solo quattro opzioni per contrastare l'eccessivo aumento dei prezzi in Italia. La prima strada è quella di avviare di nascosto un'unione di trasferimento. In primo luogo si mettono in comune i debiti che poi vengono garantiti congiuntamente. Poi i creditori privati ​​vengono sostituiti da quelli pubblici, e il debito allungato ed eroso dalla riduzione degli interessi. Alla fine i contribuenti degli altri paesi dell'eurozona danno dei soldi ai debitori affinché questi possano ripagare i loro debiti verso gli investitori finanziari, possano continuare ad acquistare i beni dalle imprese esportatrici e, non da ultimo, per impedirgli di lasciare l'euro.



Ciò renderebbe l'Italia intera ciò che già oggi è il Mezzogiorno italiano: un percettore di trasferimenti dal nord, troppo caro, che non diventerà mai competitivo e che dovrà essere costantemente finanziato dall'esterno. I trasferimenti sarebbero sostanzialmente delle tangenti pagate ai gruppi politici per dare loro qualche altro anno di tranquillità. In realtà l'Europa non può permetterselo perché in una competizione globale sempre più difficile dovrà impegnarsi per diventare economicamente sempre più forte, e non più debole. Nella realtà questo percorso è già stato avviato da molto tempo. E il governo francese infatti insiste affinché si proceda creando un'assicurazione comune sui depositi bancari, un'assicurazione congiunta contro la disoccupazione e un bilancio della zona euro. Si parla sempre di presunti "shock asimmetrici" esogeni da cui bisogna proteggersi - come se la crisi nel Sud Europa avesse a che fare con degli eventi casuali, ingestibili e transitori.

La seconda opzione consiste in una riduzione dei prezzi per correggere l'eccesso di inflazione dei primi anni dell'euro. Ciò implica dei tagli ai salari oppure degli incrementi di produttività senza la partecipazione dei dipendenti. E' una forma di chemioterapia per l'economia che potrebbe spingere il paziente verso la disperazione. Affittuari e debitori andrebbero in bancarotta perché i loro obblighi di pagamento resterebbero invariati, mentre i salari diminuiscono. Questa modalità inoltre, non solo richiede un miracolo in termini di produttività, ma anche una visione che i sindacati italiani non hanno ancora mostrato di avere. Durante l'eurocrisi la Grecia è diventata piu' economica rispetto ai suoi concorrenti del 12% e la Spagna dell'8%, l'Italia invece non ha fatto nulla. Dal 2007 il livello dei prezzi dei beni auto-prodotti è cresciuto alla stessa velocità di quello dei suoi concorrenti nell'area dell'euro.

La terza opzione possibile consiste in una lunga fase inflattiva nei paesi dell'Europa settentrionale, in particolare in Germania. L'apprezzamento italiano nei confronti della Germania rispetto al 1995 è stato del 39%. Per compensarlo la Germania dovrebbe avere per 16 anni un'inflazione del 2 % piu' alta di quella italiana. Per gli italiani sarebbe insopportabile, mentre i risparmiatori tedeschi salirebbero sulle barricate.

La quarta via consiste in un'uscita temporanea dell'Italia dall'euro secondo il piano dell'estate 2015, pensato da Wolfgang Schäuble per la Grecia, e all'epoca approvato informalmente dai 15 ministri delle finanze dell'Ecofin. Il problema sarebbe la probabile fuga dei risparmi che l'Italia dovrebbe affrontare con dei controlli sui movimenti di capitale, almeno fino a quando l'uscita non sarà completata. Dal punto di vista italiano questo percorso avrebbe alcuni vantaggi. L'economia grazie alla svalutazione tornerebbe a crescere molto rapidamente mentre i rapporti di credito interni tornerebbero in equilibrio, in quanto sarebbero convertiti in lire e svalutati, e anche una parte del debito estero potrebbe essere convertito e svalutato. Le banche francesi tuttavia verrebbero colpite duramente, dato che sono esposte verso l'Italia circa tre volte e mezzo in più rispetto a quelle tedesche. Dal punto di vista politico questo passo per i principali politici europei equivarrebbe ad ammettere il loro fallimento. E il mercato dei capitali si verrebbe a trovare in una situazione di notevole turbolenza.
Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn



Ovviamente nessuna di queste strade offre una facile soluzione per i problemi italiani; la prima meno di tutte le altre, che invece molto probabilmente sarà quella scelta sotto l'influenza delle lobby della finanza e dell'export. L'Eurozona è finita in un vicolo cieco. Il nuovo governo italiano lo sa molto bene. Esclude categoricamente il secondo percorso (riduzione dei prezzi), e realisticamente nel prossimo futuro non può aspettarsi alcun successo dal terzo percorso (inflazione del Nord). Si concentra pertanto sulla prima opzione (unione di trasferimento) e si tiene la quarta via, l'uscita temporanea dall'euro, in maniera piu' o meno chiara, come una potenziale minaccia da agitare.

ll portavoce della Lega, l'economista finanziario Claudio Borghi, ha dichiarato che il suo partito vorrebbe introdurre una moneta parallela per risolvere i problemi finanziari italiani, i cosiddetti mini-bot. Secondo le sue parole si tratterebbe di titoli di stato di piccole dimensioni, trasferibili, denominati in euro e destinati a circolare come moneta cartacea. Dato che con i mini-bot si potranno pagare le tasse per un importo pari a quello stampato sul titolo, probabilmente sarebbero scambiati solo con un piccolo sconto rispetto agli euro reali. L'Italia spera così di poter estinguere una parte del suo debito nazionale ricorrendo ai mini-bot.



Paolo Savona, il ministro per l'Europa del nuovo governo, si spinge oltre. Nel 2015 aveva già formulato fin nel dettaglio una exit-strategy sotto forma di uscita dalla moneta unica. Il piano di Savona, tuttavia, non sapeva come risolvere il problema della stampa delle banconote fisiche senza che il mercato dei capitali se ne accorgesse.

I mini-bot risolverebbero questo problema. Dal momento che verrebbero introdotti prima dell'uscita, sarebbero già a disposizione se improvvisamente in un fine settimana si dovesse perfezionare la conversione valutaria. Tutti i conti bancari, tutti i contratti di lavoro, quelli di affitto e tutti i contratti interni di credito verrebbero mantenuti, solo che il simbolo dell'euro sarebbe sostituito con il segno della lira. Savona vorrebbe trasformare in lire anche il debito pubblico emesso prima del 2012. Si tratta ancora dei tre quarti di tutti i titoli in circolazione. Ci sarebbero quindi altri tagli al debito in modo da ridurre ulteriormente il peso del debito pubblico. I debiti Target di Banca d'Italia nei confronti dell'Eurosistema verrebbero annullati. Potrebbe anche funzionare visto che dopo l'uscita dall'euro non esiste una base legale per il loro rimborso e anche perché molti politici tedeschi di spicco li hanno definiti come degli "irrilevanti saldi di compensazione". Naturalmente tutto dovrebbe essere tenuto segreto fino all'ultimo secondo al fine di evitare una fuga di capitali.

L'Europa dovrà dare all'Italia ancora molto denaro per scongiurare che tutto ciò accada. In ogni caso, che abbia inizio il prossimo atto della tragedia italiana.


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