domenica 2 dicembre 2018

"L'esercito europeo non è questione del se, ma solo del come"

Prosegue lo sforzo delle élite politiche e militari di Berlino per la costituzione di un esercito europeo dietro il quale poter nascondere le ambizioni della potenza europea dominante. La nuova forza europea dovrà essere controllata direttamente da Bruxelles, non richiederà l'unanimità dei paesi membri e soprattutto avrà bisogno di una nuova narrativa militarista europea. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


Unione militare in divenire

Il ministro della difesa tedesco Ursula Von der Leyen ieri (mercoledì 28-11) in occasione della chiusura della Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha promesso nuovi passi verso la costruzione di un "esercito degli europei". Come spiegato dalla Von der Leyen, "l'autonomia strategica" dell'UE, da raggiungere con le proprie forze armate, "non è una piu' una questione del se, ma solo del come": "l'Unione europea della difesa è un processo in divenire"[1]. Nel prossimo futuro, tuttavia, sul tema bisognerà affrontare delle questioni alquanto delicate. Così ad esempio per le future missioni dell'UE sarà necessario creare una "propria capacità di leadership", oltre a quelle della NATO. Inoltre, le strutture decisionali dovranno essere semplificate. Le riserve a disposizione del parlamento tedesco non dovranno essere completamente messe da parte, ma ridisegnate: a Bruxelles dovrà si dovrà creare un "comitato di politici esperti di sicurezza, espressione dei parlamenti nazionali", che in tempi rapidi dovranno essere in grado di preparare e prendere decisioni - relativamente alla guerra o alla pace. Inoltre nella politica estera dell'Unione Europea sarà necessario abolire l'obbligo dell'unanimità: "in materia di politica estera dovrà essere possibile prendere decisioni europee supportate da un'ampia maggioranza". In questo modo i singoli stati membri in futuro potranno essere costretti a sostenere una politica estera apertamente contraria ai loro interessi.


Autonomia strategica

Lo sviluppo futuro "dell'esercito degli europei" è già stato delineato all'interno del dibattito dell'establishment della politica estera tedesca. Per ottenere una maggiore "autonomia strategica", "l'Europa dovrà occuparsi della sicurezza strategica molto più di quanto non abbia fatto fino ad ora, forse addirittura in maniera completa" chiedeva ad esempio a gennaio Jan Techau, capo del programma europeo del German Marshall Fund of the United States. [2] Cio' dovrebbe riguardare non solo le armi convenzionali, ma anche "l'organizzazione della deterrenza nucleare in Europa". [3] A sua volta dovrà essere "accompagnato da una maggiore attività e competenza in termini di intelligence da parte dell'UE". Con lo "spostamento degli atti offensivi verso il settore delle tecnologie dell'informazione, della guerra ibrida, dei media e nella formazione delle opinioni" sarà quindi necessario "estendere la garanzia della sicurezza europea ad aree in cui attualmente l'Europa non viene considerata una delle principali potenze al mondo" commenta Techau. In questi ambiti "gli europei in futuro, e in primo luogo la Germania, dovranno offrire qualcosa che vada ampiamente oltre ciò che l'America ha fatto finora." La "portata del compito", impone che in futuro "nelle università tedesche venga insegnata la strategia...e che vi sia un corso di formazione obbligatorio sulla strategia per tutti i funzionari pubblici di livello superiore al B6". Non da ultimo, in futuro ci dovrà essere "un comitato di sicurezza federale a mettere insieme i diversi settori dell'azione ministeriale sulle questioni chiave" in modo da "offrire alla Cancelleria di Berlino una consulenza strategica approfondita".

Il boom dei budget militare occidentali

Gli esperti della Conferenza sulla sicurezza di Berlino hanno anche espresso preoccupazioni in merito alla possibilità che il "vantaggio in materia di difesa" dell'Occidente nei confronti della Russia e della Cina possa "erodersi" [4]. Entrambi i paesi "si sono rafforzati" in termini di armamenti, secondo Jürgen Beyerer, presidente del gruppo Fraunhofer per la difesa e la sicurezza presso il Fraunhofer IOSB (istituto di ricerca). Le precondizioni sarebbero state create dall'aumento delle spese militari. In realtà Cina e Russia per i loro eserciti spendono molto meno rispetto a quanto non facciano le potenze occidentali. Questo è dimostrato dai dati dell'International Institute for Strategic Studies. Secondo questi dati il budget militare statunitense nel 2017 ammontava a 602,8 miliardi di dollari, quello della Cina era di solo 150,5 miliardi e la Russia spendeva solo 61,2 miliardi di dollari - un decimo del bilancio militare statunitense. La Russia spenderebbe per la difesa meno dell'Arabia Saudita, che destina all'esercito 76,7 miliardi di dollari. Da soli, i quattro paesi dell'UE con i più grandi budget militari, solo nel 2017 per le loro forze armate hanno speso 163,9 miliardi di dollari, più della Cina e quasi tre volte la Russia. La Germania sta aumentando in maniera massiccia il suo budget militare, ampliandolo dai 34 miliardi di euro del 2015 ai 38,9 miliardi quest'anno, mentre il prossimo anno destinerà alla Bundeswehr 43,2 miliardi di euro. Inoltre Berlino per il futuro ha già messo a bilancio altri miliardi di euro a favore dei costosi progetti di riarmo. Il nuovo "profilo di capacità" della Bundeswehr mostra, infatti, che il budget tedesco per la difesa è destinato a salire fino a circa 60 miliardi di euro entro il 2023 [6]. La Germania in questo modo spenderà per le sue forze armate piu' di quanto non faccia la Russia oggi. (...)

Una "narrativa europea"

Infine, ma non meno importante, gli esperti stanno riflettendo sul modo in cui si potranno comunicare alla popolazione le future guerre europee. Ad esempio, Géza Andreas von Geyr, capo del Dipartimento di politica del ministero federale della difesa, durante la tavola rotonda alla Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha affermato: "abbiamo bisogno di una comune narrativa europea" con la quale "il concetto di una Unione europea della difesa possa essere trasferito in maniera approfondita alla società civile dei cittadini europei". Bisognerà tenere in considerazione il fatto che potremmo trovarci di fronte ad un "uso anche massiccio dell'esercito degli europei" [10]. In questo caso, la "narrativa" dovrebbe contribuire, se possibile, anche a contrastare ogni potenziale opposizione alle future guerre dell'UE.

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[1] Rede der Verteidigungsministerin zur Eröffnung der Berlin Security Conference. bmvg.de 27.11.2018
[2] Jan Techau: Strategiefähigkeit und Weltschmerz. Die deutsche Außenpolitik bis 2030. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[3] S. dazu Die deutsche Bombe und Die nukleare Frage.
[4] Adrian Bednarski: Erosion des westlichen Verteidigungsvorsprungs? behoerden-spiegel.de 28.11.2018.
[5] Warum die Welt wieder mehr Geld für Militär ausgibt. orange.handelsblatt.com 19.02.2018.
[6] S. dazu Die Kosten der Weltpolitik (II).
[7] Katarina Heidrich: "Partner sein über den Ozean hinaus". behoerden-spiegel.de 28.11.2018.
[8] Adrian Bednarski: Verteidigung zwischen 5G und KI. behoerden-spiegel.de 27.11.2018.
[9] Ayad Al-Ani, Jörg Stenzel: Verteidigungsplattformen als Streitkräfte der Zukunft. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[10] Übergreifende politische Kultur notwendig. bmvg.de 27.11.2018.


sabato 1 dicembre 2018

Heiner Flassbeck: "la colpa è della Germania"

Intervista molto interessante di Kontext Wochenzeitung al grande Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt, economista e condirettore di Makroskop insieme a Flassbeck. I due hanno una spiegazione molto chiara sulle cause della crisi italiana e non le mandano a dire: la colpa è dei tedeschi che grazie alla moderazione salariale hanno portato via quote di mercato agli italiani e ai francesi, l'unione monetaria è stata la grande fortuna della Germania, mentre senza l'euro Schröder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi. Da Kontext Wochenzeitung l'intervista a Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt


Herr Flassbeck, due anni fa lei aveva già previsto che nel 2018 in Italia ci sarebbe stata una coalizione anti-euro. Come poteva saperlo?

Flassbeck: perché in quel momento già si capiva che l'Italia non avrebbe potuto riprendersi economicamente. Pertanto era lecito aspettarsi che gli italiani alla fine si sarebbero stufati e avrebbero scelto un governo che promette di fare qualcosa di diverso. È successo con Trump, ed è andata così anche in Brasile: ogni volta che la sofferenza di un  popolo diventa così grande, indipendentemente da chi c'è, la gente pensa: ci proviamo comunque.

I precedenti governi guidati dall'ex commissario UE Mario Monti e dei suoi successori hanno cercato di attuare le direttive dell'UE una dopo l'altra.

Flassbeck: era una politica sbagliata. Questo è il punto chiave. Agli italiani è stato detto: fate le riforme strutturali, risparmiate - lo fanno dal 1992. Ed infatti non è servito a nulla.

Herr Steinhardt, lei ha ottenuto un dottorato di ricerca sul tema "Cos'è un'economia di mercato?". Se ora la Commissione europea dà al governo italiano un ultimatum: questo è ancora un gioco libero delle forze?

Steinhardt: è sempre stata un'idea sbagliata quella di distinguere tra mercato e stato. Quella che viene chiamata economia di mercato ha sempre bisogno di uno stato. Le lettere blu da Bruxelles sono il male minore. E' molto peggio se la Banca centrale europea (BCE) non interviene. Ecco perché il famigerato spread sta aumentando.

Questo deve spiegarcelo in maniera più dettagliata.

Paul Steinhardt
Steinhardt: lo spread, che è il differenziale di tasso di interesse fra Italia e Germania, ci viene spiegato così: i mercati valutano la politica di bilancio degli italiani e dei tedeschi e giungono alla conclusione che la politica di bilancio italiana è sbagliata per via del deficit al 2,4 per cento! Se si guarda piu' da vicino, si puo' però notare: gli italiani dal 1992 al lordo degli interessi hanno sempre prodotto degli avanzi di bilancio. Quando si dice che avrebbero buttato i soldi per i benefici sociali o altro: non è vero. La banca centrale acquistando titoli di stato può spingere gli spread a qualsiasi livello desiderato. L'esempio del Giappone è chiaro: qual'è lì il livello dei tassi di interesse? Zero! Perché la banca centrale giapponese ha praticamente tutti i titoli di stato sul suo bilancio. Se ora il mercato  vende i titoli di Stato italiani, la ragione è semplice: la preoccupazione che questi titoli di Stato siano convertiti in Lire e che la Lira poi si svaluti. Questo pericolo viene espresso dagli spread. La BCE potrebbe affrontare questo problema acquistando i titoli di stato.

Perché la BCE non lo fa?

Flassbeck: perché secondo il trattato di Maastricht è vietato finanziare gli stati. L'Italia dovrebbe avere la possibilità di agire in termini di politica economica, ma ciò è vietato, e il divieto è stato ulteriormente aggravato nel Patto di stabilità del 2012. Pertanto, lo stato italiano si troverebbe a  peggiorare ulteriormente la situazione economica. Ma la situazione è già cattiva. La disoccupazione è all'11%, l'Italia è da sei anni in recessione. La politica dei bassi tassi d'interesse finora non ha funzionato, e ci sarebbe una terza possibilità, cioé quella di liberarsi tramite le esportazioni: questa strada viene però bloccata dalla Germania con la sua folle politica delle eccedenze commerciali, vantaggio procurato grazie al dumping salariale.

Chi avrebbe dovuto agire diversamente e come?

Flassbeck: i trattati sono una costruzione piena di difetti. Abbiamo creato un'unione monetaria in cui nessun paese ha piu' una banca centrale. Cio' è totalmente assurdo: come paese dell'UE hai meno possibilità rispetto a quelle di un paese in via di sviluppo.

La crisi del debito sovrano italiano è causata solo dai tassi di interesse?

Steinhardt: non c'è nessuna crisi del debito sovrano! Il debito pubblico italiano è da tempo al 130% del prodotto interno lordo. Quello a cui assistiamo è una recessione, da sei, sette anni.

Flassbeck: e sul nostro lato c'è la corsa a creare il panico. I giornali e gli economisti tedeschi sembrano essere molto bravi nel prevedere la bancarotta dello stato italiano. Questa è una totale assurdità. Ci siamo murati in quei trattati che in pratica chiedono all'Italia di ridurre ulteriormente il debito sovrano. È praticamente impossibile.

Steinhardt: il governo italiano può anche decidere di spendere meno per le pensioni, ad esempio. Ma poi ci sarà meno domanda, che porta a un aumento della disoccupazione, che a sua volta aumenta i costi sociali e, automaticamente, anche il rapporto debito-PIL. Questo è quello che abbiamo vissuto in Grecia.

Esistono speculazioni sui differenziali dei tassi di interesse oppure la crisi è appositamente causata per generare dei guadagni speculativi aggiuntivi?

Flassbeck: certo. Si specula sempre. Proprio in una situazione come questa bisognerebbe avere una banca centrale sovrana. Non per finanziare il paese su base permanente, ma solo per porre fine alla speculazione sui titoli di stato.

Steinhardt: se devo gestire un patrimonio e vedo che è aumentata la possibilità di un'uscita dall'euro, sicuramente cercherò di ridurre il rischio. Devo difendere i miei ex colleghi. L'unico problema è che quando in un'unione monetaria ci sono diversi livelli di tassi di interesse, in pratica si tratta di una discriminazione nei confronti delle aziende che risiedono in un altro paese. Una banca centrale che non riesce a mantenere il livello dei tassi di interesse è incapace.

Flassbeck: i trattati indicano chiaramente che la BCE non può finanziare gli stati.

Steinhardt: i trattati non sono stati modificati quando nel 2008/2009 i tassi di interesse erano estremamente divergenti. Draghi all'epoca lo aveva giustificato con la stabilità finanziaria, che ora è in pericolo.

Perché l'Italia allora non esce dall'euro?

Flassbeck: un'uscita ha senso solo se c'è una svalutazione. Questa colpirebbe i risparmiatori italiani, che all'improvviso si troverebbero delle lire sul conto anziché degli euro, con un valore del 30 % inferiore. Devi prima riuscire a venderlo al tuo popolo. Esiste già una banca centrale italiana, ma il governo non è più autorizzato a dare ordini. Perché la banca centrale italiana è una filiale della BCE. Servirebbe una legge per rinazionalizzare la banca centrale.

Steinhardt: il primo ministro italiano Giuseppe Conte ora dice che sarebbe possibile ridurre alcune spese essenziali. Come andrà a finire non lo sappiamo, forse alla fine ci sarà un compromesso modesto.

Allora non importa chi ora cede o chi si impone...

Flassbeck: ...la situazione non cambierà in meglio. Ma l'Italia ha bisogno di miglioramenti, compresa la Francia: probabilmente alle elezioni europee assisteremo al disastro del signor Macron.

Lì le barricate sono in fiamme e i giubbotti gialli stanno protestando contro l'aumento del costo della vita. Secondo il Tagesschau, tre quarti della popolazione francese sta con loro.

Flassbeck: ed è giusto che sia così. Macron aumenta le tasse e non gli interessa di chi viene colpito. Le tasse sono state abbassate per i ricchi, è una politica brutale di ridistribuzione dal basso verso l'alto. È chiaro che le persone a un certo punto non potranno piu' tollerarlo. Se Macron alle elezioni europee prende il 10% o anche il 15%, è malconcio, forse non sarà realmente piu' in grado di agire. Ovunque la situazione ribolle e non migliora. Solo i tedeschi restano seduti nella loro serra, pregando che le cose continuino ad andare bene e che non gli arrivi nulla della miseria là fuori.

Da noi si pensa invece che la Germania abbia fatto tutto bene.

Flassbeck: questo è il vero problema. Ieri ero alla Schaubühne di Berlino (teatro) e l'ho anche detto: la colpa è della Germania. Il pubblico si è agitato. Ma che sta dicendo quest'uomo?

In che modo la politica tedesca dei bassi salari è collegata con la situazione in Italia?

Flassbeck: in un'unione monetaria tutti i paesi devono avere lo stesso tasso di inflazione. La Germania ha violato il proprio obiettivo di inflazione del 2% - che gli altri paesi europei hanno adottato - e ne è rimasta al di sotto. I tedeschi grazie ad una politica di dumping salariale hanno potuto vendere i loro prodotti a buon mercato. Di conseguenza, la Germania ha sottratto all'Italia posti di lavoro e quote di produzione sui mercati mondiali.


Steinhardt: Quando fu introdotto il sistema monetario europeo dell'ECU nel 1996, la disoccupazione in Italia era inferiore a quella della Germania. E continuava a scendere mentre in Germania stava salendo. Fino a circa il 2006/07, quando le curve improvvisamente iniziano a muoversi nella direzione opposta. Questo lo capiscono poche persone: la moderazione salariale inizialmente è costata dei posti di lavoro. La fortuna dei tedeschi è stata l'unione monetaria, perché sono stati in grado di compensare la perdita di posti di lavoro sul mercato interno con le esportazioni. Agli italiani è successo il contrario. Poiché la Germania li ha praticamente rimpiazzati, la produzione industriale è diminuita significativamente. Non si può mai guardare ad un paese in maniera isolata: tutti i paesi non possono essere campioni del mondo dell'export allo stesso modo e allo stesso tempo.

Le esportazioni tedesche vanno principalmente verso gli altri paesi europei?

Flassbeck: No. abbiamo portato via quote di mercato agli italiani in tutto il mondo, anche ai francesi. In Cina, ad esempio, la Germania è di gran lunga il paese europeo di maggior successo. Anche negli Stati Uniti, non solo in Europa.

E la risposta degli USA è il protezionismo?

Flassbeck: questo protezionismo in realtà sarebbe giustificato anche sulla base delle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La Germania non vuole accettare certe cose, che preferisce oscurare. Certe cose non vengono dette, nemmeno sui media.

Steinhardt: la Germania conduce una strategia di svalutazione. In questo modo puo' ottenere un vantaggio competitivo, anche all'interno di un'unione monetaria. Poiché i cosiddetti tassi di cambio reali effettivi, che sono fissati al livello dei prezzi, dipendono in ultima analisi dai tassi di inflazione. La Germania è sempre stata sotto, la Francia esattamente sull'obiettivo dell'inflazione, l'Italia al di sopra. La differenza riguarda la competitività dei prezzi nell'intero settore dell'export. La Germania ha giocato questa carta con successo. Gli americani hanno sempre criticato tutto ciò..

Flassbeck: senza l'unione monetaria, il D-Mark si sarebbe già apprezzato e la storia dopo due o tre anni al massimo sarebbe finita. Schroeder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi e non come il grande eroe che ha salvato la Germania. Su questo argomento c'è una grande incomprensione, specialmente dal lato della SPD e della sinistra in generale, che non si rendono conto di aver distrutto con questa politica ogni loro possibilità di sopravvivenza, una politica che solo per la Germania ha avuto un apparente successo e che invece ha distrutto l'Europa e ogni sua possibilità di sopravvivenza. Perché i pochi ricchi che ne hanno beneficiato, non sono sufficienti come base elettorale.



giovedì 29 novembre 2018

Die Welt: "il Migration Compact è un invito a tutti, un programma di immigrazione senza precedenti"

A scriverlo non è il solito foglio di estremisti dell'est ma la liberale e liberista Die Welt tramite la penna del direttore Stefan Aust il quale si è preso la briga di analizzare il testo del famoso Global Compact for Migration dell'ONU ed insieme al collega, il giornalista investigativo Helmar Büchel giunge ad una conclusione drastica: dopo il voto di approvazione del Bundestag la Cancelliera farebbe meglio a dimettersi per non dover assistere agli effetti dell'accordo. Ne parla Epoch Times



I giornalisti vicini ad AfD e gli altri critici del Migration Compact delle Nazioni Unite vengono continuamente accusati dai partiti politici tradizionali di diffondere inconsistenti teorie allarmiste e complottiste. 

Tuttavia anche il direttore di "Die Welt" Stefan Aust e il suo collega giornalista investigativo Helmar Büchel, dopo un'analisi approfondita del documento consigliano apertamente alla cancelliera Angela Merkel di ritirarsi dalla politica subito dopo l'entrata in vigore del controverso accordo:

"se la Cancelliera è intelligente, allora dovrebbe ritirarsi dalla politica attiva il prima possibile, così da non farsi trovare in carica quando ci sarà da gestire le conseguenze del Migration Compact".

Nonostante le rassicurazioni in merito alla natura non vincolante dell'accordo, i due professionisti dei media sostengono che dopo il

"flusso dei richiedenti asilo, arriverà presto un altro flusso, quello dei migranti per motivi economici ".

E non dovranno nemmeno aspettare troppo prima di vedere riconosciuto il loro status.

Aust e Büchel si riferiscono alle rassicurazioni fornite da Angela Merkel durante il congresso CDU di Essen nel dicembre 2016, secondo cui l'apertura delle frontiere nell'estate del 2015 in seguito ad una sua decisione unilaterale, sarebbe stata una "scelta irripetibile dettata da motivi umanitari", un'eccezione non valida per i cosiddetti migranti economici.

Il Migration Compact rende tutto cio' obsoleto, perché 

"di fatto estende i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati di guerra, a tutti coloro che, per ragioni economiche - comprensibili - lasciano i loro paesi d'origine e cercano fortuna nelle regioni ricche del mondo, specialmente in Europa"

L'Austria con le sue preoccupazioni ha ragione 

Anche gli autori dell'analisi, come del resto il governo federale austriaco, che ha  giustificato allo stesso modo la decisione di non firmare il patto, ritengono che il patto non crei una legge vincolante direttamente applicabile, ma la cosiddetta "legge soft" che ne emerge, tuttavia, svilupperà nel tempo la propria dinamica e i propri effetti. Le potenti ONG potrebbero utilizzarlo in futuro come metro di giudizio per valutare l’operato dei governi e gradualmente il testo potrebbe anche entrare nei corrispondenti procedimenti legali in materia di asilo e di respingimento.

Per quanto riguarda la "candida" rassicurazione fornita dal governo tedesco, secondo il quale l'accordo sarebbe "politicamente, ma non giuridicamente vincolante", Aust e Büchel hanno un messaggio chiaro: "alla fine potrebbe non esserci alcuna differenza". Alcuni membri della Fondazione Wissenschaft und Politik (SWP), il "think tank" vicino al governo federale, come ad esempio Steffen Angenendt e Nadine Biehler, avevano bollato la bozza dell'accordo nell'aprile del 2018 come "non sufficientemente ambiziosa".

A livello mondiale il numero dei rifugiati e dei migranti è in aumento, ed entrambi i gruppi finiscono sempre più per mescolarsi fra loro. Ciò rende molti governi incapaci o non disposti a rispettare i loro obblighi di protezione nei confronti dei rifugiati. "Crescono le divisioni e l'unilateralismo nazionale - con il risultato che la protezione globale dei rifugiati si sta erodendo", proseguono dalla SWP. La conseguenza in questa situazione per loro sembrerebbe essere solo una: immigrazione illimitata e diritti uguali per tutti. Di fatto "l'eccezione umanitaria" del 2015 si trasformerebbe in uno stato permanente.

Merkel, scrivono gli autori su "Die Welt", ha de facto sostituito l'articolo 16 della Costituzione tedesca, il quale intendeva limitare il diritto di asilo ai  perseguitati politici – con delle restrizioni peraltro per chi entra in Germania da paesi terzi:

"sebbene anche in passato nessuno fermava i richiedenti asilo che senza autorizzazione si dirigevano verso la Germania, Merkel di fatto ha concesso a questa immigrazione illegale di massa la  benedizione del governo".

Heusgen è stato premiato dall'ONU con un posto per la moglie

Il governo federale si vanta anche di aver guidato i lavori di preparazione del Migration Compact delle Nazioni Unite dal punto di vista del "contenuto politico, del personale e del finanziamento", con l’intento di sottolineare il "ruolo di regista internazionale in materia di asilo e migrazione" del governo di Berlino. Il riferimento fatto da "Die Welt" agli sforzi del rappresentante permanente della Germania presso le Nazioni Unite, Christoph Heusgen, per fornire anche a sua moglie una posizione ben pagata presso l'ONU - sforzo in cui alla fine ha avuto successo - chiarisce che l'atteggiamento moralmente buonista spesso ripaga anche sul piano personale.

Il Patto per i rifugiati (GCR) ha come obiettivo, secondo il governo federale, quello di una più equa suddivisione delle responsabilità internazionali nei grandi movimenti dei profughi, il Migration Compact (GCM), dovrebbe invece rappresentare la base giuridica per una gestione globale della migrazione, in maniera sicura e regolare. E la Germania, come viene sottolineato con un certo orgoglio, ha attivamente contribuito a modellare il progetto dei due patti con delle proposte sul contenuto di entrambi i documenti.

Anche in questo ambito ci si augura che "am deutschen wesen soll die welt genesen" (tutto il mondo dovrà imparare dai tedeschi) e alla fine anche gli altri stati potranno introdurre le stesse norme tedesche in materia di politiche migratorie - con una conseguente riduzione della pressione migratoria verso la Germania. Altri paesi, persino la Danimarca e la Svezia, che non la pensavano in questo modo, hanno rispedito una parte dei rifugiati verso la Germania.

A cio' si aggiunge il "Piano delle grandi autorità mondiali" - per molto tempo considerato una teoria complottista di destra - per così dire, "un piano dall'alto verso il basso", e cioè compensare attraverso le migrazioni il declino demografico, la contrazione della forza lavoro e l'invecchiamento generale della popolazione. Dal 1995 al 2050 solo la Germania avrebbe bisogno di un'immigrazione netta di 25,2 milioni di persone.

Il corrispondente studio è stato pubblicato nel 2000 dalla divisione delle Nazioni Unite che si occupa di popolazione, allora guidata da Antonio Guterres, oggi segretario generale dell'ONU, il quale considera il Migration Compact come una "opportunità senza precedenti per i responsabili politici," per affrontare "i miti dannosi nei confronti dei migranti e sviluppare una visione comune attraverso la quale la migrazione potrà funzionare per tutte le nostre nazioni ... "

Se tutta l'immigrazione diventa legale, non vi sarà piu’ alcuna immigrazione illegale

Il patto dovrebbe quindi servire anche ad educare la gente. La logica sottostante dell'ONU è quella secondo la quale il modo più efficace per combattere l'immigrazione clandestina è legalizzare tutti gli attraversamenti di confini.

Cosa dovremmo pensare delle rassicurazioni relative al patto per la migrazione, secondo le quali i singoli paesi anche in futuro potranno continuare a definire le loro politiche migratorie, lo chiariscono gli avvertimenti di Guterres. Egli considera infatti come "politiche controproducenti" tutte quelle politiche che intendono limitare l'immigrazione, aumentando la "vulnerabilità dei migranti".

Il patto stesso contiene anche formulazioni auliche, secondo Aust e Büchel, con molte frasi e riferimenti alti – in particolare quando il testo parla degli obiettivi su cui i membri delle Nazioni Unite si sono impegnati. Al contrario non vengono menzionati i possibili problemi e conflitti che potrebbero derivare dalla migrazione stessa: conflitti culturali e religiosi, diversità di valori, potenziali oneri a carico dei sistemi sociali o problemi di sicurezza interna.

Gli articoli del patto includono anche alcune ovvietà, come l'obbligo di salvare vite umane, la "gestione coordinata delle frontiere ", la lotta contro i trafficanti, o "il miglioramento della disponibilità e della flessibilità dei percorsi per la migrazione regolare", la "promozione del reclutamento etico e ragionevole dei lavoratori" o " il rafforzamento della certezza del diritto e della prevedibilità nelle procedure di migrazione".

Media controllati come prezzo per la governance globale

Agli stati nazione vengono inoltre date delle linee guida, come ad esempio quella di "usare la detenzione degli immigrati come extrema ratio" oppure quella di impegnarsi a "sradicare tutte le forme di discriminazione e promuovere un discorso pubblico basato su fatti dimostrabili per modellare la percezione della migrazione ".

Questo include ovviamente il controllo sui media:

Nel pieno rispetto della libertà di stampa "i media dovranno essere gestiti con l’obiettivo di sensibilizzare sui temi della migrazione", "investendo in standard di rendicontazione etica" oppure "cessando il finanziamento pubblico o il supporto materiale ai media che incentivano l'intolleranza sistematica, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione contro i migranti ".

Aust e Büchel si pronunciano in maniera molto chiara sugli obiettivi e gli obblighi definiti dal patto:

"I regolamenti descrivono essenzialmente un debito da parte del paese di destinazione, cioè quello di garantire ai migranti uno status che non differisce affatto da quello di un richiedente asilo riconosciuto o di un rifugiato di guerra. In molte parti del documento il testo dà l'impressione che la migrazione sia un diritto umano universale, elenca così tante regole di protezione e cosi' tanti impegni per il sostegno ai migranti regolari e illegali che gli stati di destinazione in pratica dovranno fornire, proteggere e intrattenere ogni persona che si presenta alle frontiere”.

I paesi di destinazione avranno quindi un debito: quello di rendere il più confortevole possibile l'immigrazione.

Quello che il governo federale austriaco vuole evitare e quello che, almeno secondo i sostenitori del patto, non ne è mai stato l'obiettivo esplicito, vale a dire istituire un "diritto umano alla migrazione" sarebbe, se non nell'intento, almeno il risultato dell'accordo. I diritti della popolazione del paese di arrivo non vengono presi in considerazione, i doveri degli immigrati non vengono mai menzionati. Il patto, secondo Aust e Büchel, è stato modellato sulle esigenze dei paesi di emigrazione africana.

I 2 giornalisti si aspettano pertanto che l'effetto del documento sarà almeno pari a quello della cultura del benvenuto dell'autunno 2015, compresi i selfie con la Cancelliera. Le ragioni principali delle pressioni migratorie, come i regimi corrotti, le lotte di potere, le guerre civili e i cambiamenti di regime, che raramente hanno portato a dei miglioramenti, restano ampiamente ignorati.

"Il patto si basa sull’uguaglianza e il livellamento dei costumi, delle abitudini, delle forme giuridiche, della comprensione della democrazia e delle forme di comportamento culturale e sociale fra i paesi ospitanti e quelli di origine dei migranti. Nella sua foga regolamentatrice, il documento nasconde la realtà della migrazione odierna e i suoi svantaggi "
.
il patto è

"un invito ai paesi di origine a risolvere i loro problemi interni come la disoccupazione, la carenza di alloggi, la violazione dei diritti umani, la crescita della popolazione, la corruzione, la mancanza di valuta estera e così via, esportando una parte della loro popolazione".

Nel patto, dove peraltro sfuma ogni distinzione tra rifugiati di guerra, perseguitati politici e migranti economici, la mania pianificatrice delle Nazioni Unite si unisce al pio desiderio di un mondo perfetto per i migranti. Gli interessi dei paesi di destinazione non hanno nessuna rilevanza.

"[...] non è menzionato nemmeno il numero totale di immigrati o di coloro che arrivano da determinate regioni oppure il livello di integrazione, le possibilità di formazione professionale, le opportunità di lavoro o la disponibilità di prestazioni sociali o di alloggi. È un programma di immigrazione senza precedenti e senza limiti, un invito a tutti. "

Merkel si erige un memoriale per l'eternità

Il paragrafo 1, comma 1, della legge tedesca sul diritto di soggiorno attualmente in vigore ha come obiettivo il "controllo e la limitazione dell'immigrazione di stranieri in Germania". In futuro tuttavia l’immigrazione non potrà piu' essere controllata o limitata, ma solo accettata e gestita. Ciò elimina efficacemente anche il controverso limite - già poroso - dei 200.000 richiedenti asilo all'anno concordato dalla Grande coalizione.

Nel patto, "legalmente non vincolante" ma "con una rilevanza politica", secondo le conclusioni di Aust e Büchel sarannno i paesi destinatari a farsi carico del fenomeno visto che nelle 32 pagine del Patto vi "si impegnano" per almeno 87 volte. Tutto ciò però dovrà anche essere controllato. I paesi firmatari del Patto dovranno quindi "sviluppare al più presto ambiziose strategie nazionali  per l'attuazione del Migration Compact". Ogni due anni, il Segretario generale delle Nazioni Unite dovrà riferire all'Assemblea generale, ogni quattro anni dovranno tenersi delle "discussioni globali" con la partecipazione di "tutti i soggetti interessati" per analizzare il livello di attuazione del patto.

Angela Merkel non si stanca di sottolineare che il controverso accordo è soprattutto "nell'interesse nazionale" della Germania. E in considerazione del ruolo di supporto garantito alla stesura del patto, l'auto proclamato studente modello in materia di democrazia, la Germania appunto, ha voluto segnare il territorio secondo il percorso già tracciato dall'ex presidente federale Joachim Gauck il quale aveva parlato della necessità di una "maggiore assunzione di responsabilità a livello internazionale da parte della Germania".

I critici, d'altra parte, sospettano che il Patto delle Nazioni Unite potrebbe essere un indimenticabile regalo d'addio lasciato dalla "Cancelliera del mondo" ad un paese con il quale sembra avere una relazione distante e ad una nazione a lei profondamente estranea.


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mercoledì 28 novembre 2018

Sevim Dagdelen: "il ministero degli esteri tedesco dietro il Migration Compact"

Secondo molti autorevoli opinionisti il testo del Migration Compact delle Nazioni Unite sarebbe il tentativo del governo tedesco di dare una copertura giuridica internazionale alla infelice decisione unilaterale con cui nel 2015 Berlino apriva le frontiere a centinaia di migliaia di migranti. Sevim Dagdelen, deputata della Linke, fra i fondatori di Aufstehen!, vice capo-gruppo al Bundestag, figlia di gastarbeiter turchi, ha seguito da vicino la stesura del testo e intervistata da Cicero ci spiega perché, anche a sinistra, è giusto, etico e ragionevole rifiutare il testo del Migration Compact, un accordo pensato e dettato dal governo tedesco, e dal quale sempre piu' paesi si stanno sfilando. Da Cicero.de 


Onorevole Dagdelen, nessun altro accordo è tanto controverso quanto il Migration Compact delle Nazioni Unite. AfD sostiene che gli stati firmatari rischiano di diventare un'area di insediamento per altri popoli, altre religioni e altre culture. Una paura legittima?

No, si tratta di una campagna della paura condotta da AfD e da altri esponenti della destra. Ma penso anche che ci siano diverse critiche da fare a questo accordo. Nessuna delle richieste che noi come Linke avevamo sollecitato durante il processo di negoziazione è stata poi accolta.

Lei è l'unico membro del Bundestag ad aver partecipato alle udienze preliminari sull'accordo di New York. Che cosa si sente di criticare di quell'accordo?

Il patto non parla in alcun modo delle cause della migrazione. Trovo sbagliato che la migrazione nel testo venga presentata come una "fonte di ricchezza, innovazione e di sviluppo sostenibile" - e che questi effetti teoricamente possano essere ottimizzati attraverso una politica di migrazione  meglio gestita. Accade invece l'opposto.

Ad esempio?

La migrazione è un'espressione di disuguaglianza globale, una conseguenza dei diversi sviluppi economici e del divario tra i ricchi e i poveri. Questa è stata anche la critica espressa dai paesi africani, i quali hanno chiesto con veemenza che vengano combattute le cause della migrazione stessa. La loro richiesta di fare grandi investimenti nello sviluppo economico dei paesi di origine è assolutamente giusta, considerando il fatto che le fratture sociali sono una delle principali cause di migrazione. A New York i rappresentanti degli stati africani hanno dichiarato quello che anche io durante queste conferenze ho sempre sottolineato: deve esistere anche un diritto a non emigrare.

E' questo quello che si intende nel patto quando si afferma che uno degli obiettivi è "minimizzare le forze che spingono le persone a lasciare il proprio paese di origine"?

Sfortunatamente anche in questo passaggio le cause della migrazione non vengono menzionate. Milioni di persone vengono private dei loro mezzi di sussistenza attraverso la guerra, l'accaparramento della terra, i cambiamenti climatici oppure tramite accordi di libero scambio ingiusti. In questo senso, il dibattito sul patto non è affatto onesto.

Ma se queste erano esattamente le sue richieste, perché non è riuscita ad imporsi?

A New York ho sempre sostenuto che nella politica estera ci deve essere una svolta. Ad esempio, bisogna finirla con gli accordi  di libero scambio distruttivi verso i paesi del sud. Di norma, le persone che lasciano la propria terra non lo fanno volontariamente. Ma queste richieste non hanno trovato alcun spazio nel testo del patto, al contrario, il ricco nord è riuscito ad imporsi sul sud povero.

Quali paesi intende?

Ad esempio la Germania. Da inizio 2017 e fino alla fine di quest'anno la Germania, insieme al Marocco, ha presieduto il Forum globale sulla migrazione e lo sviluppo, che ha lavorato alla stesura dell'accordo. Il responsabile della stesura è stato il ministero degli esteri tedesco. Apparentemente al ministero hanno poco o non hanno alcun interesse a combattere le vere cause della migrazione. Il governo tedesco era preoccupato piu' che altro per la carenza di manodopera qualificata e per la migrazione circolare, cioè: una riedizione della politica dei Gastarbeiter, già fallita in passato, gli interessava avere respingimenti più facili e accordi sull'immigrazione, come quelli che la Cancelliera ha firmato con alcuni stati africani.

Ciò significa che le udienze dei parlamentari erano piu' che altro una farsa?

Coinvolgere la società civile e i parlamenti nazionali è giusto. Tuttavia i negoziati sono stati condotti da altri.

Dietro le quinte il patto è stato in buona parte dettato dal governo federale?

C'erano due livelli. Prima, sotto la guida del governo tedesco i governi  hanno negoziato sul documento, e poi ci sono state le audizioni dei datori di lavoro, delle ONG, dei rappresentanti delle chiese e dei parlamentari. Nel febbraio 2018 è stata creata una prima bozza. Per inciso, ho partecipato nonostante l'opposizione di AFD.

Se AfD sin dall'inizio era contraria al patto, perché solo ora si mobilitano?

Tutto ciò è segno di disonestà e falsità. Dov'era AFD quando è stato negoziato il patto? Non hanno mosso un ciglio. A preparare il terreno per la loro campagna di paura di stampo nazionalista, tuttavia, sono stati il ministero degli esteri e il governo. In Germania non c'è mai stato un un dibattito sul Migration Compact.

Il ministero degli esteri e il governo federale hanno quindi deliberatamente tenuto la palla bassa perché dopo le esperienze avute durante l'ondata di rifugiati del 2015, hanno fiutato quanto sarebbe stato ampio il potenziale di ribellione che questo argomento ha nel paese?

Se è così allora hanno seguito una strategia sbagliata. Disinformazione, fake news e campagne di paura sono possibili solo se non c'è un chiarimento. Dove c'è luce, l'oscurità non può vincere.

Quanto è rappresentativa la sua posizione all'interno della Linke? Il leader del suo gruppo parlamentare, Sahra Wagenknecht, in realtà è a favore della limitazione dell'immigrazione.

Nella Linke al momento non c'è una posizione unitaria sul Migration Compact. Sahra Wagenknecht sottolinea le conseguenze negative della fuga di cervelli, della sottrazione di lavoratori qualificati ai paesi del sud. Ha ripetutamente sottolineato che le migrazioni causano sconvolgimenti sociali su entrambi i lati, nei paesi di origine e in quelli di destinazione e io condivido tale valutazione. Nei miei molti anni di lavoro e come figlia di Gastarbeiter turchi, so bene che la migrazione ha implicazioni sociali e culturali sia nei paesi di origine che in quelli di destinazione. Le prime vittime sono i migranti stessi

Perché vittime? Molti stanno meglio nel paese di destinazione che a casa loro.

Di norma le persone non lasciano volontariamente il paese in cui vivono, dove hanno amici e famiglia, ma perché li' non hanno buone prospettive per il futuro. Di norma, a partire sono le persone giovani e ben istruite. La loro istruzione nei paesi d'origine è costata molto denaro. Questi paesi vengono espropriati in piu' modi.

Nel frattempo anche nella CDU c'è una certa resistenza nei confronti del patto. La federazione regionale della Sassonia-Anhalt ha respinto l'accordo. Il ministro federale della Sanità Jens Spahn vuole che sia messo ai voti al prossimo congresso della CDU.

Jens Spahn e altri a quanto pare vogliono saltare sul carro della campagna della paura lanciata da AfD. Eppure sono proprio loro che con la politica degli accordi di libero scambio, le esportazioni di armi e una politica estera militarista generano costantemente nuove ragioni per la fuga. L'impegno di Jens Spahn è ovviamente motivato dalla politica interna del partito.

E' stato criticato il fatto che il patto disciplina solo i diritti dei migranti, come il loro accesso ai servizi sociali, ma non dice quasi nulla sui loro doveri. E' comprensibile allora che questo squilibrio renda insicuri o arrabbiati molti cittadini?

Lo considero un grave fallimento del governo federale che ha avuto un'influenza significativa sui negoziati e un tempo sufficiente per chiarire il tema. È senza dubbio problematico il fatto che la migrazione nel patto venga identificata come una "fonte di ricchezza". C'erano richieste da parte dei paesi africani in merito alla rappresentazione della migrazione nei media. Volevano che i media che ne parlano negativamente fossero privati dei finanziamenti statali.

Sarebbe un'interferenza nella libertà di stampa. Questi paesi da dove prendono il diritto di interferire?

Anche io ho avvertito questo problema, anche se credo sia corretto criticare le rappresentazioni xenofobe. Alla fine la richiesta è stata respinta.

Davvero? Nel trattato però è scritto che "i media che promuovono sistematicamente l'intolleranza, la xenofobia o il razzismo" non dovranno più ricevere i sussidi statali.

Le Nazioni Unite in questo modo volevano promuovere un giornalismo orientato ai fatti.

Non dovrebbe essere il Parlamento a votare sul patto per la migrazione delle Nazioni Unite in modo che il governo federale possa firmarlo a dicembre?

Non è necessario un voto in Parlamento perché il Migration Compact non è un trattato giuridicamente vincolante.

Alcuni avvocati internazionali la vedono in modo diverso.

La verità è che il patto contiene una base politicamente vincolante per la sua implementazione. In tal senso, ovviamente, finirà per influenzare la politica. Ad esempio, l'ONU ogni due anni verificherà se i paesi onorano gli impegni presi con il trattato. Dovrebbe tenersi una conferenza per la verifica ogni cinque-dieci anni. Ma non è detta l'ultima parola. Cina e la Russia chiedono che il controllo sia volontario.

Non sarebbe forse piu' logico in queste condizioni far votare il Parlamento?

Spero che questo dibattito si svolga non solo in Parlamento, ma anche in pubblico.

Oltre agli Stati Uniti, anche Australia, Austria, Polonia, Israele e Danimarca hanno già annunciato di voler uscire dal patto. Se l'obiettivo era distribuire meglio i flussi migratori in tutto il mondo, ha ancora senso farlo in queste circostanze?

Il fatto che sempre più paesi ne stiano uscendo è anche un fallimento dei paesi negoziatori. Ma il fallimento più grande è quello di non aver discusso criticamente chi e che cosa faccia diventare le persone dei migranti e non aver preso misure per impedire la distruzione di interi stati nel sud del mondo.

Il governo federale a dicembre approverà il patto?

Presumo di sì.

Quali conseguenze ci saranno per la politica tedesca?

L'intero spettro politico di destra alla fine potrebbe approfittare della campagna di paura di AfD. Nel lungo periodo il governo federale continuerebbe la sua attuale politica migratoria, invece di combattere efficacemente le cause della migrazione e della fuga nei paesi di origine. Il divario globale tra poveri e ricchi verrebbe preservato e probabilmente si amplierebbe, invece di ridursi.

Sevim Dagdelen dal 2005 siede al Bundestag per la Linke. È vice-capogruppo della Linke e membro della commissione per gli affari esteri del Bundestag.


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lunedì 26 novembre 2018

Arbeit muss sich lohnen

Mentre in Italia si parla del reddito di cittadinanza, la politica tedesca vorrebbe superare Hartz IV aumentando i sussidi ed eliminando le odiatissime sanzioni. Ora anche gli economisti finalmente ci spiegano quello che l'uomo della strada sa da sempre: tra lo stare a casa a prendere il sussidio facendo finta di cercare un impiego e lo svolgere uno dei tanti lavori malpagati o pagati al salario minimo (8.84 euro lordi l'ora), la differenza in termini di retribuzione non è poi cosi' grande. "Arbeit muss sich lohnen" significa che fino a quando non si aumenteranno i salari più bassi, mettendo in crisi interi settori dell'economia tedesca fondati sul lavoro a bassa retribuzione, sarà difficile andare oltre l'attuale Hartz IV. Ne parla su Die Zeit Marcel Fratzscher, economista e direttore del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung di Berlino.


Hartz IV per molti è un drappo rosso. E negli ultimi tempi la discussione su come sostituire o superare Hartz IV si è riaccesa. Queste riforme spesso vengono considerate la causa dell'aumento della povertà, della crescita della disuguaglianza e della polarizzazione sociale. Hartz IV spesso viene usato come capro espiatorio per problemi la cui responsabilità risiede altrove. Invece di concentrarsi sul dibattito intorno ad Hartz IV, la politica dovrebbe riflettere su cosa fare affinché per molte persone torni ad essere conveniente andare a lavoro, e allo stesso tempo su come in questi anni di vacche grasse sia ancora possibile rendere i sistemi sociali a prova di futuro.

Il segretario dei Verdi Robert Habeck vorrebbe superare Hartz IV introducendo un sistema di garanzia con dei sussidi più elevati e senza sanzioni. Il segretario generale della SPD Lars Klingbeil propone un sussidio di disoccupazione Q, nel quale i disoccupati ricevono dei sussidi di disoccupazione fintanto che si trovano in un percorso di formazione e qualifica.

Con tali proposte lo stato sociale si mostrerebbe più generoso verso i disoccupati. Molto di cio' è certamente vero, specialmente l'abolizione delle sanzioni. Si deve rimettere al centro del sistema sociale il principio del sostegno, e non più quello della punizione. Abbiamo bisogno di un cambio di mentalità per riuscire a capire che le persone che oggi non lavorano non lo fanno per pigrizia, ma perché sono costrette da ragioni di salute, oppure per mancanza di qualifiche o perché non trovano un lavoro adatto alle loro competenze.

Una riforma intelligente dei sistemi di assistenza sociale non deve limitarsi alla riforma di Hartz IV. Sarebbe pericoloso e, nel peggiore dei casi, controproducente. Molte delle persone che oggi in Germania sono minacciate dalla povertà vivono in un nucleo familiare dove si lavora, ma in cui il reddito è insufficiente. Il settore a bassa retribuzione in Germania  negli ultimi 20 anni è cresciuto costantemente: oggi il 20 % di tutti i dipendenti lavora per un basso salario o si trova in un rapporto di lavoro precario o atipico. Soprattutto le donne, i genitori single, le persone con un background migratorio e gli anziani sono particolarmente a rischio povertà.

Anche con un lavoro a tempo pieno retribuito al salario minimo svolto per oltre 40 anni, quando il lavoratore andrà in pensione avrà comunque bisogno del sostegno dello stato. Quasi due milioni di lavoratori aventi diritto al salario minimo, in realtà non lo ricevono nemmeno perché i datori di lavoro riescono ad eludere il  minimo salariale di legge.

Molte persone in Germania lavorano solo part-time - non necessariamente perché vogliono farlo, ma perché ad esempio è quanto gli chiede di fare il datore di lavoro, oppure perché a causa della mancanza di servizi per l'infanzia non possono lavorare full-time, oppure perché per i minijob, i midijob o per via di un sistema fiscale e dei trasferimenti disfunzionale, alle persone con un reddito basso viene tolta una larga parte di quello che guadagnano.

Una riforma intelligente dei sistemi sociali dovrebbe quindi consistere di tre elementi: un miglioramento della sicurezza di base; un lavoro pagato meglio che valga la pena di essere svolto; e un rafforzamento dei sistemi sociali per renderli più sostenibili. Qualsiasi riforma del sistema della sicurezza di base sarà controproducente se renderà il lavoro sempre meno conveniente. Ancora oggi, chi lavora per un salario minimo riceve solo poco di più di quello che prenderebbe se fosse disoccupato. La stragrande maggioranza delle persone continua a lavorare perché il lavoro per loro ha un valore in sé, o perché magari trovano gratificante far parte di un team e ottenere un riconoscimento per quello che fanno. C'è il grande rischio, infatti, che molte persone possano considerare un miglioramento della sicurezza di base come una forma di svalutazione del proprio lavoro.

In altre parole, il lavoro deve essere ricompensato. Ciò richiede non solo che il settore dei bassi salari si riduca in maniera significativa, ma anche che le persone abbiano a disposizione delle opportunità di carriera migliori. Molti politici la fanno troppo facile quando pensano che un salario minimo più alto possa essere l'unica soluzione. Se si gira troppo la ruota del salario minimo, al prossimo rallentamento dell'economia un certo numero di persone finirà disoccupato. Ciò non significa tuttavia che il salario minimo sia uno strumento spuntato. Ma in aggiunta a ciò c'è una percentuale molto più alta di persone occupate nel settore dei bassi salari che deve essere garantita tramite contratti collettivi di categoria. A ciò si aggiunge la liberalizzazione di molti settori dei servizi, che servirebbe ad aumentare la concorrenza, l'efficienza e, in ultima analisi, i salari.

Altrettanto importante sarebbe un'offensiva nella formazione, perché troppi beneficiari di Hartz IV e troppi lavoratori a basso reddito non hanno qualifiche sufficienti o non ne hanno affatto. A tal fine i centri per l'impiego dovrebbero essere ridisegnati e diventare delle agenzie che si occupano dell'assistenza attiva e del supporto alle persone in stato di bisogno. Anche un mercato del lavoro come quello del modello del reddito sociale di base proposto a Berlino, che in definitiva darebbe a ogni disoccupato il diritto a lavorare e quindi la possibilità di accedere al mercato del lavoro privato, è una delle soluzioni possibili.

Per la politica è facile promettere grandi benefici sociali in questi tempi di vacche grasse. I forzieri sono ancora pieni. Ma deve essere chiaro a tutti che con il cambiamento demografico e la normalizzazione economica, le prestazioni dello stato sociale tedesco nei prossimi due decenni diminuiranno drasticamente. Ciò significa che per la politica sarà ancora più importante concentrarsi sul mercato del lavoro e sul modo in cui sempre più persone possano trovare lavoro a condizioni e salari migliori, e quindi alla fine, poter assumere una maggiore responsabilità per la propria vita. Il duplice obiettivo di un aumento delle pensioni e della spesa sociale oggi è facile da promettere, ma non potrà essere mantenuto nel lungo termine.

La politica deve dare alla riforma della sicurezza sociale un'elevata priorità. Allo stesso modo non dovrà esservi una politica del capro espiatorio che incolpa erroneamente Hartz IV dei problemi sociali e della eccessiva polarizzazione in Germania. I problemi - e con essi le soluzioni - si trovano altrove.



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