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giovedì 25 luglio 2024

"I tedeschi potrebbero difendersi, con loro non puoi fare così."

Sul cantiere, nel camion o nell’industria della carne: molti lavori in Germania sono svolti solo da migranti, che spesso vengono sfruttati. Come si potrebbe migliorare la loro situazione? Ne scrive Stern.de che intervista l’autore del libro “Ganz unten im System”, Sascha Lübbe

disuguaglianza sociale germania

Hai parlato con circa 70 persone che lavorano in Germania come stranieri per il tuo libro “Ganz unten im System”. C’è una storia che ti è rimasta particolarmente impressa?

La storia che mi ha colpito di più è stata quella di un rumeno di 25 anni che ho incontrato nei pressi di un mattatoio. Era arrivato con suo cugino di 18 anni. Erano stati attratti in Germania con false promesse. In un annuncio si diceva che avrebbero lavorato in una fabbrica di salami, per otto ore al giorno e con una bella abitazione. Quando sono arrivati, si è detto loro che avrebbero lavorato nel mattatoio. Hanno lavorato dieci ore al giorno e l’appartamento aveva macchie d’acqua su cui poi è cresciuta la muffa.

Sascha Lübbe è reporter e autore a Berlino. I suoi temi principali sono migrazione, integrazione e disuguaglianza sociale. È stato nominato per il Deutscher Reporter:innen-Preis, il Deutscher Journalistenpreis e l’Alternativer Medienpreis.

Hai sentito storie simili più volte?

Sì. Ciò che mi ha colpito particolarmente in questo caso è che il ragazzo aveva un figlio di un anno che aveva visto solo cinque mesi dalla nascita. Sei mesi dopo il nostro primo incontro, mi ha raccontato che la relazione con la madre del bambino era finita e che probabilmente avrebbe perso la custodia. E tutto questo per un lavoro terribile. Ma in realtà non è raro per i migranti nel settore a basso salario. Molti vanno in Germania per offrire un futuro migliore ai loro figli, e la famiglia finisce per disintegrarsi.

Cosa si sa del tipico lavoratore migrante in Germania?

Nel settore a basso salario che ho esaminato, ci sono molti uomini che lavorano nell’edilizia e nei trasporti. Nell’industria della carne lavorano anche molte donne, e poi c’è l’assistenza domiciliare, anche quella prevalentemente femminile. La maggior parte delle persone proviene dall’Europa dell’Est, per loro la svolta democratica del 1989 è stata un momento cruciale. Spesso ho sentito storie di genitori che hanno perso il lavoro, di lavori che sono scomparsi e di amici e vicini che si sono trasferiti in Europa occidentale. Molti di quelli che ho incontrato avevano tra i 35 e i 50 anni, spesso con figli a casa.

Queste persone vengono per lavorare temporaneamente e poi ritornano?

Dipende dal settore. Ad esempio, i lavoratori stagionali vengono ogni anno per alcune settimane o mesi, altri restano alcuni anni e poi ritornano. Ma tutti hanno detto che alla fine vogliono tornare. Non ho incontrato nessuno che volesse rimanere in Germania a lungo termine. Sono qui solo perché non vedono un futuro nel loro paese d’origine – una situazione di assoluta necessità.

Quindi portare la famiglia in Germania non è un’opzione?

No, di solito vogliono permettere ai loro figli di fare qualcosa di buono nel loro paese d’origine. Un muratore a Francoforte mi ha detto: “Voglio che mia figlia abbia una vita migliore della mia, che lavori in Romania, non in Germania.”

Hai detto che i due rumeni sono stati attirati con false promesse. La gente sa normalmente cosa aspettarsi in Germania?

Ho sentito spesso storie di persone attirate in Germania. I due rumeni non sono un’eccezione. Si potrebbe pensare che nei paesi d’origine ci si avvisi a vicenda, ma spesso le persone non raccontano apertamente quanto siano cattive le condizioni di lavoro e di vita. Non vogliono preoccupare la famiglia, ma nemmeno distruggere l’immagine di chi lavora in Germania.

Dove sarebbe l’economia tedesca senza questi lavoratori stranieri?

Nel settore a basso salario, il 30% delle persone è ormai straniero. Qui ci sono principalmente lavori per i quali non è necessaria una formazione e non si trovano più tedeschi disposti a farli. Senza i lavoratori migranti, questo sistema crollerebbe.

Negli ultimi anni si è parlato molto di immigrazione di lavoratori qualificati. Si dice spesso, anche da parte delle aziende, che sia difficile trovare persone all’estero e portarle in Germania a causa della burocrazia. Perché è più facile nei settori che hai descritto?

In primo luogo, molte persone provengono dall’Europa dell’Est, quindi dall’UE. Questo significa che possono venire in Germania senza problemi per lavorare. L’altro aspetto è il tipo di lavoro: spesso si tratta di mansioni per le quali non è necessaria una formazione. Tagliare maiali, pulire edifici o trasportare pacchi possono farlo anche i non qualificati. Non è necessario riconoscere documenti e certificati in Germania, cosa che spesso rappresenta un problema per i lavoratori qualificati.

migranti in germania


La Germania è nota per gli alti standard lavorativi e sociali. Perché questi standard non vengono rispettati nei settori dove lavorano molti migranti? Perché il problema non può essere affrontato meglio?

Per capire questo, bisogna esaminare il sistema sottostante: è come una piramide. In cima ci sono le grandi aziende. Nel mezzo ci sono aziende più piccole, alcune delle quali dubbie o apertamente criminali, i cosiddetti subappaltatori. In fondo ci sono i lavoratori. In un progetto edilizio, ad esempio, le grandi aziende, cioè i general contractor, si aggiudicano l’appalto. Le aziende trattengono una parte del denaro e subappaltano il lavoro a subappaltatori, che a loro volta trattengono una parte del denaro e subappaltano ad altri subappaltatori. Nel settore edilizio, si arriva fino al quarto o quinto livello della catena, dove si trova l’azienda che esegue effettivamente il lavoro. A quel punto, una grande parte del denaro è stata già trattenuta, rendendo difficile per i titolari delle aziende rispettare le norme legali. Per questo motivo, pagano i lavoratori in nero, li fanno lavorare ore straordinarie non pagate, senza ferie o giorni di malattia. I lavoratori vengono spesso sfruttati.

Questo spiega la motivazione delle aziende, ma non perché non vengano controllate meglio.
In parte sì. Queste strutture sono molto frammentate e difficili da controllare. Le autorità non riescono a tenerle sotto controllo e i sindacati non possono organizzarsi. Inoltre, i controlli non sono sufficienti. Le autorità competenti mancano di personale.

immigrazione in germania

Le grandi aziende in cima alla piramide sono note, sono presenti in ogni cantiere. Perché non vengono chiamate a rispondere?

Ufficialmente, sono responsabili del pagamento dei contributi sociali e del rispetto del salario minimo. Ma ci sono trucchi per aggirare queste regole. Ad esempio, i subappaltatori preparano un documento in cui dichiarano di pagare il salario minimo, che i lavoratori stranieri firmano senza capire cosa stanno firmando, per paura di perdere il lavoro. I subappaltatori consegnano il documento alle grandi aziende, che possono dire: tutto a posto, abbiamo il documento. È difficile per le grandi aziende controllare cosa fanno i subappaltatori, ma dovrebbero essere consapevoli che ci sono violazioni strutturali.

Nel tuo libro descrivi l’industria edilizia, dei trasporti e della carne. Perché hai scelto questi settori?

Mi ha interessato il sistema a piramide che si trova in tutti e tre i settori. Inoltre, vi lavorano prevalentemente migranti. L’industria della carne mi ha interessato perché dal 2021 le grandi aziende non possono più subappaltare le mansioni principali. Durante la pandemia, si è molto parlato delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori in questo settore. Anche nel settore dei trasporti c’è un cambiamento interessante: cresce la presenza delle ditte di trasporti polacche, ma trovano sempre meno autisti in Polonia e quindi assumono lavoratori dall’Asia Centrale. L’anno scorso ci sono stati due grandi scioperi di autisti di un’azienda di trasporti polacca, la maggior parte dei quali proveniva dall’Uzbekistan e dalla Georgia.

Perché non ci sono più spesso scioperi tra i lavoratori stranieri?

Il fatto che ci siano stati questi scioperi è straordinario. Gli autisti di camion lavorano da soli tutto il giorno, non vivono insieme in un dormitorio o lavorano fianco a fianco. Il fatto che si siano organizzati è incredibile. Ci sono scioperi occasionali, come quello dei lavoratori rumeni durante la costruzione di un centro commerciale a Berlino nel 2014. Ma la paura di ribellarsi è grande, data la dipendenza dal lavoro, dalla casa o, per chi proviene da fuori dell’UE, dal permesso di soggiorno. Le persone non hanno contatti e non parlano tedesco. Una volta un sindacato ha trovato autisti filippini in un’area di servizio. Non avevano quasi più nulla da bere, non avevano ricevuto lo stipendio per molto tempo. Hanno fatto causa al datore di lavoro e hanno vinto, ma hanno perso il lavoro e dovuto lasciare l’Europa.

Hai menzionato le nuove normative nell’industria della carne e il salario minimo introdotto quasi dieci anni fa. La situazione è migliorata?

Sì, in generale è migliorata. L’introduzione del salario minimo legale è stata una svolta importante. Prima, i migranti lavoravano per salari di due-quattro euro all’ora, ad esempio nell’industria della carne. Il problema è che esiste ancora un mondo sommerso, difficile da controllare, e questo porta a continui sfruttamenti.

In passato, anche i tedeschi lavoravano in questi settori. Cosa fanno oggi?

Molti di loro hanno lavori meglio retribuiti con più responsabilità. Non ci sono più abbastanza giovani disposti a fare lavori sfruttati. Senza stranieri, questi settori non funzionerebbero.

Come si potrebbe migliorare la situazione?

Il livello base dovrebbe essere trattare queste persone come i locali. Si sfrutta il fatto che non hanno contatti e non parlano la lingua. Vengono stipati in appartamenti sovraffollati e fanno pagare loro affitti esorbitanti. I tedeschi si difenderebbero, ma con i migranti è diverso.

Ma come si può contrastare tutto ciò?

Bisogna mostrare loro i loro diritti. Si potrebbero creare centri di consulenza all’estero e potenziare l’assistenza sociale sul campo, con operatori che visitano le abitazioni.

Questo aiuterebbe solo a livello individuale. Si può fare qualcosa di strutturale?

Negli appalti pubblici del governo, le aziende che pagano salari sindacali dovrebbero avere la priorità. Questo aiuterebbe soprattutto nel settore edilizio. È previsto un disegno di legge in tal senso. Inoltre, sarebbe utile un diritto di azione collettiva per i sindacati, che permetterebbe loro di fare causa ai datori di lavoro per conto dei lavoratori, mantenendo questi ultimi anonimi. Ma è anche necessaria una mentalità diversa tra i tedeschi.

Cosa intendi?

Manca la pressione sociale. Non è che la maggior parte delle persone approvi la situazione, ma non pensano a come vivono e lavorano le persone che puliscono i loro uffici, costruiscono le loro case e consegnano i loro pacchi. In Germania, dove si macellano molti animali, i lavoratori vivono in normali quartieri residenziali. Si riconoscono le loro case dai molti biciclette e dai cartelli con nomi rumeni, polacchi e bulgari. Ho parlato con i vicini tedeschi e sono rimasto scioccato dalla loro arroganza. Dicevano che è sporco, che non parlano tedesco e che sono qui solo per lavorare. Questa mentalità “sono qui solo per lavorare, se la cavano” è pericolosa. Queste persone vivono qui, fanno lavori che nessun locale vuole più fare. Il minimo è trattarle con rispetto.

lunedì 23 settembre 2019

La favola dell'integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro tedesco

Secondo gli ultimi dati ministeriali, l'integrazione nel mercato del lavoro tedesco dei rifugiati arrivati a partire dal 2015 sarebbe un successo inatteso. Ad un'analisi piu' attenta dei numeri, tuttavia, si può dire che appena il 20% dei rifugiati in età lavorativa arrivati a partire dall'autunno 2015 risulta occupato.  Ne scrive Roland Springer su Tichys Einblick


Nella disputa tra i rappresentanti del fronte degli ottimisti e dei pessimisti in merito all'integrabilità dei richiedenti asilo provenienti dalle regioni di guerra e dalle ragioni povere del Medio Oriente e dell'Africa, ancora una volta i media mainstream hanno preferito dare spazio agli ottimisti, in particolare alla Commissaria del governo federale per l'integrazione, Annette Wiedmann-Mauz. Ad esempio, la Stuttgarter Zeitung (StZ) del 10 settembre riporta che questa collaboratrice della Cancelliera, sulla base degli ultimi dati della Bundesanstalt für Arbeit (BA) relativi all’occupazione fra i richiedenti asilo, ritiene che negli ultimi quattro anni la loro integrazione nel mercato del lavoro “sia andata decisamente meglio di quanto avevano previsto gli esperti”. Ad incoraggiarla, tra le altre cose, c’è l’esperto di mercato del lavoro dell’Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) Herbert Brücker. Il Tagesschau del 9 settembre, infatti, fa riferimento ad una sua citazione quando scrive: "in autunno, è probabile che circa il 40% dei rifugiati in età lavorativa abbia un impiego".

Questa affermazione fa riferimento alle 399.000 persone provenienti dagli otto principali paesi di origine dei rifugiati, che a giugno 2019 alla BA erano registrate come occupate e coperte da assicurazione sociale (324.000 sozialversicherungspflichtig) oppure con un impiego marginale (75.000 geringfügig beschäftigt o minijobber).  Secondo la BA, ciò corrisponderebbe a un tasso di occupazione di circa il 40% per i dipendenti soggetti ad assicurazione sociale, percentuale che viene ottenuta calcolando il rapporto tra gli occupati e tutte le persone tra i 15 ei 65 anni provenienti da questi otto paesi. Per tutti gli stranieri (senza cittadinanza tedesca), attualmente il tasso corrispondente è di circa il 52%, per i cittadini tedeschi del 69 %.

Tra le circa 400.000 persone provenienti dagli otto paesi che alla BA sono state registrate come assicurate o come minijobber, non vengono calcolati solo i "rifugiati" arrivati a partire dal 2015, ma anche quelli che erano arrivati in Germania già (molto) tempo prima del 2015 o come richiedenti asilo o come migranti regolari, oppure studenti.  Fra queste persone ci sono inoltre anche coloro che sono arrivati in Germania da questi 8 paesi a partire dal 2015, ma grazie ad un altro titolo di soggiorno. Fra i circa 400.000 occupati citati da Widmann-Mauz e altri come una prova del successo non ci sono solo i richiedenti asilo arrivati in Germania dal 2015.

Le statistiche della BA infatti non mostrano le proporzioni dei vari gruppi di immigrati sul numero totale dei dipendenti degli otto paesi, a cui tuttavia gli esperti per le informazioni statistiche della BA a richiesta specifica rispondono. Nel giugno 2015, all'Agenzia federale del lavoro risultava un totale di 77.000 persone già registrate e soggette a contributi sociali (sozialversicherungspflichtig), e provenienti da questi paesi. A voler essere corretti, se l’obiettivo è quello di capire quale sia stato il successo dell’integrazione nel mercato del lavoro a partire dall'apertura delle frontiere del 2015, questi 77.000 dovrebbero essere detratti dalle 324.000 persone con assicurazione sociale dell'agosto 2019. Invece di 324.000, sarebbero quindi solo 250.000 le persone che dal 2015 sono arrivate dagli otto principali paesi di origine e che hanno un’occupazione coperta da contributi sociali, dei quali un'ampia maggioranza sicuramente arrivata come richiedente asilo e solo una piccola minoranza come migrante economico.

Il tasso di occupazione del 40%, che secondo Brücker nel frattempo sarebbe stato raggiunto, è corretto se rapportato a tutte le persone occupabili provenienti dagli otto principali paesi di origine degli attuali richiedenti asilo, che vivono in Germania da anni o addirittura da decenni, ma non è corretto se riferito ai "rifugiati" arrivati in Germania da questi paesi a partire dal 2015. Quale sia questo dato, in realtà non è mostrato dalle statistiche della BA, ma può essere calcolato in maniera approssimativa usando altre statistiche. A fine 2018 secondo l'Ufficio federale di statistica in Germania c’erano circa 1,8 milioni di richiedenti asilo. È probabile che siano entrati quasi tutti a partire dal 2015. I dati sulle fasce di età mostrano che circa il 70% dei richiedenti asilo è in età lavorativa. Abbiamo quindi a che fare con circa 1,3 milioni di richiedenti asilo occupabili, arrivati in Germania a partire dal 2015. Il loro tasso di occupazione attuale, sulla base dei 250.000 occupati soggetti ad assicurazione sociale, dovrebbe essere quindi non del 40, ma piuttosto del 20 %. Se fosse effettivamente al 40 %, considerando i circa 1,8 milioni richiedenti asilo indicati dall'Ufficio federale di statistica, allora la persone in età lavoratoriva dovrebbero essere solo 625.000.

In altre parole: su base realistica, solo il 20 % dei richiedenti asilo arrivati dal 2015 è occupato con un’assicurazione sociale. Sempre meglio di nulla, ma tutt'altro che una conferma del successo delle politiche e delle idee della lobby dell'asilo presente nella politica, negli affari, nelle organizzazioni dei datori di lavoro, nei sindacati, nelle chiese, nell’associazionismo, nelle NGO, nei media, e grazie ai quali il costante abuso dell'articolo 16 della Legge fondamentale è servito a favorire l’immigrazione economica. A ciò si aggiunge il fatto che il tasso di occupazione viene calcolato come il rapporto fra occupati e forza lavoro. Non aumenta solo quando aumenta il numero degli occupati, ma anche quando diminuisce il numero dei lavoratori. Un aumento del tasso di occupazione fra i richiedenti asilo non deriva solo ed esclusivamente dalla crescente integrazione nel mercato del lavoro, ma può anche essere il risultato di un declino dell'immigrazione dei richiedenti asilo occupabili.

Entrambi i fenomeni in Germania sono riscontrabili a partire dal 2015. Il numero degli immigrati provenienti dagli otto principali paesi di origine e registrati come lavoratori con assicurazione sociale è aumentato passando dai 77.000 di giugno 2015 ai 324.000 di giugno 2019, la maggior parte dei quali sono richiedenti asilo. Nello stesso periodo, il numero di richieste di asilo presentate all'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (BAMF) è sceso passando dalle 745.000 del 2016 alle 185.000 del 2018. Se l'arrivo dei richiedenti asilo si fosse fermato o se il numero si fosse ridotto a causa del rientro nei loro paesi d'origine, il tasso di occupazione dei richiedenti asilo rimasti nel paese sarebbe comunque cresciuto, anche nel caso di una lenta integrazione nel mercato del lavoro. In teoria potrebbe anche avvicinarsi a quello registrato fra tutti gli stranieri (52 %), che ovviamente, è piu' basso rispetto a quello registrato fra i cittadini tedeschi (69 %). 

Certo, siamo ancora lontani da una situazione del genere. Sebbene il declino delle domande di asilo registrato a partire dal 2016 sia considerevole, il numero di richieste continua ad essere significativamente superiore rispetto a quello registrato negli anni fra il 2000 e il 2012. Allo stesso tempo, il rimpatrio dei richiedenti asilo (la cui domanda è stata respinta) è più lento che mai. L'arrivo di circa 200.000 richiedenti asilo all'anno, previsto dal contratto di coalizione, rende difficile o addirittura impedisce un aumento significativo del tasso di occupazione, e allo stesso tempo garantisce un costante aumento dei destinatari di Hartz IV. Il numero dei percettori di un sussidio fra i richiedenti asilo è più che raddoppiato, passando dai circa 290.000 del giugno 2016 ai circa 600.000 di agosto 2019. Tra i richiedenti asilo arrivati dal 2015 ci sono attualmente più di mezzo milione di destinatari di Hartz IV, a fronte di circa 250.000 occupati con un'assicurazione sociale.

Chi vuole considerare questo dato come una prova convincente di una integrazione riuscita nel mercato del lavoro, probabilmente pensa più alla giustificazione di una decisione sbagliata presa nel 2015 dalla Cancelleria che non ai richiedenti asilo attirati nel paese con false promesse o la soluzione di problemi del mercato del lavoro.

In materia di asilo e integrazione la poesia e la realtà spesso vengono fra loro confuse, non solo dai sostenitori dichiarati di una società etnicamente e culturalmente omogenea, ma anche dagli aperti sostenitori di una società etnicamente e culturalmente sempre più eterogenea.


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domenica 15 settembre 2019

Il turismo in Siria dei rifugiati siriani in Germania

Non esistono dati ufficiali ma sembra una pratica alquanto diffusa fra i rifugiati siriani in Germania: trascorrere una lunga vacanza in Siria, il paese di origine, dal quale tuttavia erano fuggiti perché perseguitati. A Berlino ci sarebbero addirittura delle agenzie specializzate che offrono dei pacchetti all-inclusive. Sulla stampa tedesca se ne è parlato molto, ma le autorità tedesche probabilmente preferiscono chiudere un occhio sul turismo truffaldino degli asilantiNe scrive Manfred Schwarz su Tichys Einblick


I cosiddetti "rifugiati" arrivati in Europa occidentale oltrepassando i confini, spesso si recano illegalmente in vacanza proprio in quei paesi in cui presumibilmente sono dei perseguitati. Casi di questo genere sono stati riportati soprattutto in Germania, Svizzera e Norvegia. Spesso questi "rifugiati" si recano nei loro paesi di origine per visitare conoscenti, amici o parenti e i viaggi possono durare anche oltre 30 giorni.

L'80 % dei "richiedenti asilo" ha "smarrito" i propri documenti

Questo "turismo dell'asilo" truffaldino, che mostra tutta l'assurdità della legge sull'asilo, è facilitato anche dal fatto che oggi, almeno l'80% dei "richiedenti asilo", quando entra in Germania,  ha con sé gli smartphone piu' moderni o all'avanguardia, ma afferma di non avere documenti - sapendo perfettamente che le autorità locali sono in grado di rilasciare rapidamente i documenti sostitutivi ai migranti. Ovviamente secondo le informazioni fornite a voce dai "rifugiati", giuste o sbagliate che siano. Nessuno può verificare l'accuratezza delle informazioni personali. Porte spalancate ad ogni possibile frode.

I media del mainstream rosso-verde fondamentalmente evitano di parlare di questi viaggi truffaldini su larga scala. Giornali come "Focus" oppure la "Stuttgarter Nachrichten" in passato sono stati l'unica eccezione. I giornali di sinistra - soprattutto "Der Spiegel" - cercano persino di minimizzare il "turismo dell'asilo" o addirittura di giustificarlo. Anche fra le fila di quasi tutti i partiti politici regna un silenzio eloquente. E gli uffici preposti si sforzano di non pubblicizzare i casi noti.

Un giornalista della "Bild" ha fatto un'inchiesta 

Si è mossa invece in maniera alquanto diversa la "Bild", che con l'aiuto di indagini coperte - in maniera esclusiva ed esemplare - in particolare di un giornalista arabo, ha scoperto un vasto sistema di frode.

Il reporter responsabile Mohammad Rabie nel suo reportage ci spiega quanto sia facile oggi nel nostro paese, per i cosiddetti "richiedenti asilo" che vogliono "temporaneamente" ritornare nei loro paesi di origine, prenotare su larga scala simili viaggi truffa nelle agenzie di viaggio specializzate. Il giornalista della "BILD" Rabie, anch'egli un rifugiato arrivato dalla Siria, nel corso delle sue ricerche ha parlato con i connazionali, ma anche con gli agenti di viaggio specializzati in viaggi illegali verso i paesi di origine.

Apparentemente ci sono molti modi per ottenere, ad esempio, la possibilità di entrare in Siria. Quando c'è denaro a sufficienza, basta viaggiare attraverso il Libano, l'Iran o la Turchia.

E' sufficiente una telefonata alla compagnia aerea libanese "Nakhal", che sul suo sito Web indica un numero telefonico di Berlino, o all'agenzia di viaggi "Al-Outom" di Berlino-Neukölln (Sonnenallee) per dare avvio al tanto desiderato viaggio verso il paese d'origine, apparentemente (ma non realmente) pericoloso.

La Travel Agency araba scrive: servizio "All Inclusive"

Il giornalista della "Bild" con radici siriane nelle sue telefonate a "Nakhal" e "Al-Outom" dice chiaramente che "intende viaggiare nella sua terra natale, anche se ai sensi della legge sull'asilo non gli sarebbe premesso". La risposta di un dipendente dell'agenzia di viaggi: "Nessun problema. Ha solo bisogno di un passaporto siriano oppure deve richiedere un "biglietto per il trasferimento" presso l'ambasciata siriana. Al resto pensiamo noi".

Costo? Circa 800 euro da mettere sul tavolo. Per le tangenti (sembrano essere destinate principalmente alle guardie di frontiera al confine tra Siria e Libano), volo, viaggio in autobus e documenti. Esiste quindi un "servizio all-inclusive".

Mohammad Rabie afferma che molti dei "rifugiati" che si sono recati in patria in realtà non erano mai stati perseguitati politicamente. Inoltre, egli ipotizza che tra i passeggeri vi siano anche molti sostenitori del governo siriano di Assad. Di fatto il governo da cui presumibilmente erano fuggiti.

Solo una "piccola pausa dalla Germania"

Sui social media molti siriani riferiscono dei loro viaggi a casa. Il blogger Aras Bacho (20 anni, già condannato per molestie sessuali dalla giustizia tedesca) ha scritto a luglio su Twitter: "Due settimane fa, sei siriani che conosco sono partiti in vacanza per la Siria per visitare i loro familiari e prendere una pausa, soprattutto dalla Germania. Ti manca la patria, e poi i siriani ormai lo fanno quotidianamente!"

Mohammad Rabie per conto della "Bild" ha parlato con i rifugiati che sotto lo status di "richiedenti asilo" hanno viaggiato in Siria, paese che avevano lasciato perché presumibilmente lì erano dei perseguitati:

▶ Gina (38 anni, nome modificato) vive in Baviera. È arrivata in Germania nel 2015. Da allora la "rifugiata" è rientrata a casa due volte. "Sono rimasta due mesi, sono andata in vacanza", dice. Alla domanda sul perché sia ​​tornata in un paese da cui è fuggita, Gina ha risposto: "Ho visitato i miei tre figli. Lo farei di nuovo, anche se dovessi perdere il permesso di soggiorno".

Anche Maya dal 2015 vive in Germania. Presumibilmente ha visitato suo padre malato a Damasco. "Sono volata in Turchia, ho attraversato il confine presso la città siriana di Qamishli. Non ho informato le autorità tedesche perché temevo che il mio diritto di asilo venisse ritirato".

Con i documenti di asilo delle autorità tedesche senza problemi verso la Germania

Ma come fanno i rifugiati a rientrare in Germania? Si chiederà qualche coraggioso cittadino tedesco rispettoso della legge - che si occupa quotidianamente del suo lavoro e che paga regolarmente le tasse - quando sente queste storie. Anche il reporter arabo del più grande tabloid europeo ha fatto delle ricerche. La prassi abituale è quella di tornare, con i documenti di identità siriani, nel paese di transito da cui provengono .

Da lì si rientra in Germania con i documenti d'asilo tedeschi. "Se i documenti sono stati timbrati in Siria, ad esempio, puoi rientrare in Danimarca e dichiarare alla frontiera di aver perso il passaporto".

L'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (BamF) da molto tempo è a conoscenza di questi viaggi speciali nel paese di origine. Ma il BamF non conosce cifre precise. La regola ufficiale è: se un tale viaggio in patria viene scoperto, si rischia - anche se quasi sempre solo teoricamente - una revoca dello status di richiedente asilo.

Anche il ministro Seehofer si è pronunciato, ma che valore hanno le sue parole?

Anche il ministro degli Interni Horst Seehofer si è espresso in maniera chiara sulla "Bild am Sonntag" dopo che sabato scorso la "Bild" ha parlato del turismo dei richiedenti asilo. Le parole del ministro devono essere lette con attenzione: "Chiunque si rechi regolarmente in Siria come rifugiato, non può seriamente pretendere di essere considerato un perseguitato in Siria". Solo chi si reca "regolarmente" in vacanza in Medio Oriente?

Il "ministro per la sicurezza" riduce drasticamente la possibilità di applicare i suoi annunci quando dice al "BamS" che è necessario "monitorare attentamente gli sviluppi in Siria". Seehofer: "Se la situazione lo consentirà, effettueremo dei rimpatri." Ah. Ma quando "la situazione" consentirà realmente di organizzare i rimpatri?

Il ministro si riferisce solo ai truffatori "siriani"? Che dire allora dei "rifugiati" dall'Eritrea, ad esempio, che sono anche loro noti per trascorrere le loro vacanze "a casa"? Gli esperti della "politica sui rifugiati" sanno che molto probabilmente la dichiarazione di Seehofer non vale nemmeno la carta su cui è stata stampata. La pratica quotidiana dei tribunali tedeschi smaschera le menzogne ​​del politico bavarese.

Chiunque abbia familiarità con le autorità competenti sa che le "procedure di disconoscimento" dello status di richiedente asilo richiedono una enorme quantità di tempo e grandi sforzi perché solo in questo modo possono essere a prova di tribunale. Anche nei pochi casi eccezionali in cui tale procedura è stata portata a termine con successo, i "vacanzieri in patria" colpiti dalle misure di solito ricorrono in tribunale. Ne risultano infinite cause legali che lo Stato deve pagare sotto forma di assistenza legale.

Anche se il BamF nei tribunali amministrativi dovesse effettivamente vincere, il rimpatrio sarebbe ugualmente molto improbabile. Per il "rifugiato", ad esempio, è sufficiente affermare di non avere i documenti o di soffrire di un disturbo d'ansia (ad esempio incubi notturni). La persona "in cerca di protezione", che ovviamente è un imbroglione, resta quindi nel paese. E così può regolarmente continuare a godere dei benefici sociali che rendono la Repubblica Federale apparentemente così attraente fra gli immigrati di tutto il mondo.

Chi controlla i "rifugiati" destinatari di Hartz IV?

I "rifugiati" che in Germania hanno ottenuto un "permesso di soggiorno" (di qualsiasi tipo - ce ne sono diversi) percepiscono da subito Hartz IV (appartamento o casa, spese di soggiorno, mobili, abbigliamento di base, assistenza medica gratuita, ecc.). Se i destinatari di Hartz IV legalmente considerati "rifugiati" vogliono viaggiare all'estero, devono informare il Jobcenter responsabile. Il viaggio potrebbe durare ufficialmente non più di tre settimane. Ma chi li controlla?

Nessuno negli uffici tedeschi vorrà ammettere che un qualsiasi dipendente o funzionario sia disposto o sia in grado di controllare dove si rechino realmente questi "rifugiati". La legislazione vigente non consente il viaggio nel paese di origine. Ma fra il personale delle autorità tedesche preposte, a chi potrebbe mai veramente importare?

Gli impiegati e i responsabili lo sanno molto bene: anche i vertici della politica generalmente non sono molto interessati al fatto che le leggi in questo ambito siano davvero rispettate o addirittura applicate. Perché ciò potrebbe generare una cattiva immagine e causare titoli spiacevoli sui giornali. E questo a sua volta potrebbe turbare il buon Michel (tedesco medio), il quale crede ancora che la "politica sui rifugiati" in Germania sia fatta rispettando il diritto.


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lunedì 17 dicembre 2018

Due rifugiati su tre sono sussidiati Hartz

L'associazione degli imprenditori nei giorni scorsi ha elogiato il livello di integrazione raggiunto dai rifugiati sul mercato del lavoro, del resto gli industriali non hanno di che lamentarsi: in una fase di forte crescita economica hanno a disposizione un esercito di lavoratori a basso costo la cui permanenza in Germania spesso è legata al mantenimento del posto di lavoro, uno scenario ideale per portare avanti la guerra fra poveri. Dati alla mano, quelli della Bundesagentur für Arbeit, a piu' di 3 anni dalla decisione unilaterale con cui il governo nell'estate del 2015 apriva le frontiere, due rifugiati su tre sono sussidiati Hartz. Ne parla la Bild Zeitung su dati della Bundesagentur für Arbeit


Il presidente dell'associazione dei datori di lavoro (BDA) Ingo Kramer nei giorni scorsi ha elogiato il livello di integrazione raggiunto dai rifugiati nel mercato del lavoro tedesco. "Io stesso sono sorpreso che tutto stia procedendo così velocemente", ha detto Kramer alla "Augsburger Allgemeine".

- Degli 1,6 milioni di migranti provenienti dai principali paesi di partenza dei rifugiati (Afghanistan, Eritrea, Iraq, Iran, Nigeria, Pakistan, Somalia e Siria), 360.000 sono attualmente occupati (settembre 2018). Il 41% in più rispetto a un anno fa!

- Ciò significa: il 31,6% dei migranti provenienti dai principali paesi di partenza (in età compresa tra i 15 e i 65 anni) è occupato. Fra gli stranieri questa quota raggiunge il 50,3%, il 67,7% fra tutte le persone residenti in Germania.

- Il 36%, cioè 185.580 persone, restano comunque disoccupate! Un anno fa erano ancora il 44,8%. Un confronto: nel complesso, il tasso di disoccupazione tra i bulgari e i rumeni in Germania è rispettivamente del 5,8% e del 7,7%.

- Ma: due rifugiati su tre provenienti dai principali paesi di partenza dei rifugiati (63,7%) percepiscono un sussidio Hartz IV, sul totale della popolazione i percettori di un sussidio sono invece il 9% e il 20,6% fra tutti gli stranieri che vivono in Germania. Nel complesso 992.202 rifugiati ad agosto percepivano un sussidio Hartz IV.

- Secondo la Bundesagentur für Arbeit, i rifugiati disoccupati sono "prevalentemente giovani e maschi". Sempre secondo l'analisi della BA, "vengono spesso utilizzati per lavori in cui le competenze linguistiche non sono il fattore più importante". A novembre c'erano infatti 22.000 rifugiati disoccupati in cerca di un lavoro nelle pulizie, 21.000 cercavano nella logistica, 15.000 come aiutanti in cucina e 10.000 nelle vendite.

- Tra il dicembre 2017 e il novembre 2018, 116.000 persone provenienti dai paesi di partenza dei rifugiati hanno trovato un lavoro, hanno avviato un'attività in proprio o hanno iniziato un percorso di formazione. Più di un rifugiato su tre ha trovato un'occupazione nel "lavoro temporaneo", cioè nel lavoro interinale.


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mercoledì 28 novembre 2018

Sevim Dagdelen: "il ministero degli esteri tedesco dietro il Migration Compact"

Secondo molti autorevoli opinionisti il testo del Migration Compact delle Nazioni Unite sarebbe il tentativo del governo tedesco di dare una copertura giuridica internazionale alla infelice decisione unilaterale con cui nel 2015 Berlino apriva le frontiere a centinaia di migliaia di migranti. Sevim Dagdelen, deputata della Linke, fra i fondatori di Aufstehen!, vice capo-gruppo al Bundestag, figlia di gastarbeiter turchi, ha seguito da vicino la stesura del testo e intervistata da Cicero ci spiega perché, anche a sinistra, è giusto, etico e ragionevole rifiutare il testo del Migration Compact, un accordo pensato e dettato dal governo tedesco, e dal quale sempre piu' paesi si stanno sfilando. Da Cicero.de 


Onorevole Dagdelen, nessun altro accordo è tanto controverso quanto il Migration Compact delle Nazioni Unite. AfD sostiene che gli stati firmatari rischiano di diventare un'area di insediamento per altri popoli, altre religioni e altre culture. Una paura legittima?

No, si tratta di una campagna della paura condotta da AfD e da altri esponenti della destra. Ma penso anche che ci siano diverse critiche da fare a questo accordo. Nessuna delle richieste che noi come Linke avevamo sollecitato durante il processo di negoziazione è stata poi accolta.

Lei è l'unico membro del Bundestag ad aver partecipato alle udienze preliminari sull'accordo di New York. Che cosa si sente di criticare di quell'accordo?

Il patto non parla in alcun modo delle cause della migrazione. Trovo sbagliato che la migrazione nel testo venga presentata come una "fonte di ricchezza, innovazione e di sviluppo sostenibile" - e che questi effetti teoricamente possano essere ottimizzati attraverso una politica di migrazione  meglio gestita. Accade invece l'opposto.

Ad esempio?

La migrazione è un'espressione di disuguaglianza globale, una conseguenza dei diversi sviluppi economici e del divario tra i ricchi e i poveri. Questa è stata anche la critica espressa dai paesi africani, i quali hanno chiesto con veemenza che vengano combattute le cause della migrazione stessa. La loro richiesta di fare grandi investimenti nello sviluppo economico dei paesi di origine è assolutamente giusta, considerando il fatto che le fratture sociali sono una delle principali cause di migrazione. A New York i rappresentanti degli stati africani hanno dichiarato quello che anche io durante queste conferenze ho sempre sottolineato: deve esistere anche un diritto a non emigrare.

E' questo quello che si intende nel patto quando si afferma che uno degli obiettivi è "minimizzare le forze che spingono le persone a lasciare il proprio paese di origine"?

Sfortunatamente anche in questo passaggio le cause della migrazione non vengono menzionate. Milioni di persone vengono private dei loro mezzi di sussistenza attraverso la guerra, l'accaparramento della terra, i cambiamenti climatici oppure tramite accordi di libero scambio ingiusti. In questo senso, il dibattito sul patto non è affatto onesto.

Ma se queste erano esattamente le sue richieste, perché non è riuscita ad imporsi?

A New York ho sempre sostenuto che nella politica estera ci deve essere una svolta. Ad esempio, bisogna finirla con gli accordi  di libero scambio distruttivi verso i paesi del sud. Di norma, le persone che lasciano la propria terra non lo fanno volontariamente. Ma queste richieste non hanno trovato alcun spazio nel testo del patto, al contrario, il ricco nord è riuscito ad imporsi sul sud povero.

Quali paesi intende?

Ad esempio la Germania. Da inizio 2017 e fino alla fine di quest'anno la Germania, insieme al Marocco, ha presieduto il Forum globale sulla migrazione e lo sviluppo, che ha lavorato alla stesura dell'accordo. Il responsabile della stesura è stato il ministero degli esteri tedesco. Apparentemente al ministero hanno poco o non hanno alcun interesse a combattere le vere cause della migrazione. Il governo tedesco era preoccupato piu' che altro per la carenza di manodopera qualificata e per la migrazione circolare, cioè: una riedizione della politica dei Gastarbeiter, già fallita in passato, gli interessava avere respingimenti più facili e accordi sull'immigrazione, come quelli che la Cancelliera ha firmato con alcuni stati africani.

Ciò significa che le udienze dei parlamentari erano piu' che altro una farsa?

Coinvolgere la società civile e i parlamenti nazionali è giusto. Tuttavia i negoziati sono stati condotti da altri.

Dietro le quinte il patto è stato in buona parte dettato dal governo federale?

C'erano due livelli. Prima, sotto la guida del governo tedesco i governi  hanno negoziato sul documento, e poi ci sono state le audizioni dei datori di lavoro, delle ONG, dei rappresentanti delle chiese e dei parlamentari. Nel febbraio 2018 è stata creata una prima bozza. Per inciso, ho partecipato nonostante l'opposizione di AFD.

Se AfD sin dall'inizio era contraria al patto, perché solo ora si mobilitano?

Tutto ciò è segno di disonestà e falsità. Dov'era AFD quando è stato negoziato il patto? Non hanno mosso un ciglio. A preparare il terreno per la loro campagna di paura di stampo nazionalista, tuttavia, sono stati il ministero degli esteri e il governo. In Germania non c'è mai stato un un dibattito sul Migration Compact.

Il ministero degli esteri e il governo federale hanno quindi deliberatamente tenuto la palla bassa perché dopo le esperienze avute durante l'ondata di rifugiati del 2015, hanno fiutato quanto sarebbe stato ampio il potenziale di ribellione che questo argomento ha nel paese?

Se è così allora hanno seguito una strategia sbagliata. Disinformazione, fake news e campagne di paura sono possibili solo se non c'è un chiarimento. Dove c'è luce, l'oscurità non può vincere.

Quanto è rappresentativa la sua posizione all'interno della Linke? Il leader del suo gruppo parlamentare, Sahra Wagenknecht, in realtà è a favore della limitazione dell'immigrazione.

Nella Linke al momento non c'è una posizione unitaria sul Migration Compact. Sahra Wagenknecht sottolinea le conseguenze negative della fuga di cervelli, della sottrazione di lavoratori qualificati ai paesi del sud. Ha ripetutamente sottolineato che le migrazioni causano sconvolgimenti sociali su entrambi i lati, nei paesi di origine e in quelli di destinazione e io condivido tale valutazione. Nei miei molti anni di lavoro e come figlia di Gastarbeiter turchi, so bene che la migrazione ha implicazioni sociali e culturali sia nei paesi di origine che in quelli di destinazione. Le prime vittime sono i migranti stessi

Perché vittime? Molti stanno meglio nel paese di destinazione che a casa loro.

Di norma le persone non lasciano volontariamente il paese in cui vivono, dove hanno amici e famiglia, ma perché li' non hanno buone prospettive per il futuro. Di norma, a partire sono le persone giovani e ben istruite. La loro istruzione nei paesi d'origine è costata molto denaro. Questi paesi vengono espropriati in piu' modi.

Nel frattempo anche nella CDU c'è una certa resistenza nei confronti del patto. La federazione regionale della Sassonia-Anhalt ha respinto l'accordo. Il ministro federale della Sanità Jens Spahn vuole che sia messo ai voti al prossimo congresso della CDU.

Jens Spahn e altri a quanto pare vogliono saltare sul carro della campagna della paura lanciata da AfD. Eppure sono proprio loro che con la politica degli accordi di libero scambio, le esportazioni di armi e una politica estera militarista generano costantemente nuove ragioni per la fuga. L'impegno di Jens Spahn è ovviamente motivato dalla politica interna del partito.

E' stato criticato il fatto che il patto disciplina solo i diritti dei migranti, come il loro accesso ai servizi sociali, ma non dice quasi nulla sui loro doveri. E' comprensibile allora che questo squilibrio renda insicuri o arrabbiati molti cittadini?

Lo considero un grave fallimento del governo federale che ha avuto un'influenza significativa sui negoziati e un tempo sufficiente per chiarire il tema. È senza dubbio problematico il fatto che la migrazione nel patto venga identificata come una "fonte di ricchezza". C'erano richieste da parte dei paesi africani in merito alla rappresentazione della migrazione nei media. Volevano che i media che ne parlano negativamente fossero privati dei finanziamenti statali.

Sarebbe un'interferenza nella libertà di stampa. Questi paesi da dove prendono il diritto di interferire?

Anche io ho avvertito questo problema, anche se credo sia corretto criticare le rappresentazioni xenofobe. Alla fine la richiesta è stata respinta.

Davvero? Nel trattato però è scritto che "i media che promuovono sistematicamente l'intolleranza, la xenofobia o il razzismo" non dovranno più ricevere i sussidi statali.

Le Nazioni Unite in questo modo volevano promuovere un giornalismo orientato ai fatti.

Non dovrebbe essere il Parlamento a votare sul patto per la migrazione delle Nazioni Unite in modo che il governo federale possa firmarlo a dicembre?

Non è necessario un voto in Parlamento perché il Migration Compact non è un trattato giuridicamente vincolante.

Alcuni avvocati internazionali la vedono in modo diverso.

La verità è che il patto contiene una base politicamente vincolante per la sua implementazione. In tal senso, ovviamente, finirà per influenzare la politica. Ad esempio, l'ONU ogni due anni verificherà se i paesi onorano gli impegni presi con il trattato. Dovrebbe tenersi una conferenza per la verifica ogni cinque-dieci anni. Ma non è detta l'ultima parola. Cina e la Russia chiedono che il controllo sia volontario.

Non sarebbe forse piu' logico in queste condizioni far votare il Parlamento?

Spero che questo dibattito si svolga non solo in Parlamento, ma anche in pubblico.

Oltre agli Stati Uniti, anche Australia, Austria, Polonia, Israele e Danimarca hanno già annunciato di voler uscire dal patto. Se l'obiettivo era distribuire meglio i flussi migratori in tutto il mondo, ha ancora senso farlo in queste circostanze?

Il fatto che sempre più paesi ne stiano uscendo è anche un fallimento dei paesi negoziatori. Ma il fallimento più grande è quello di non aver discusso criticamente chi e che cosa faccia diventare le persone dei migranti e non aver preso misure per impedire la distruzione di interi stati nel sud del mondo.

Il governo federale a dicembre approverà il patto?

Presumo di sì.

Quali conseguenze ci saranno per la politica tedesca?

L'intero spettro politico di destra alla fine potrebbe approfittare della campagna di paura di AfD. Nel lungo periodo il governo federale continuerebbe la sua attuale politica migratoria, invece di combattere efficacemente le cause della migrazione e della fuga nei paesi di origine. Il divario globale tra poveri e ricchi verrebbe preservato e probabilmente si amplierebbe, invece di ridursi.

Sevim Dagdelen dal 2005 siede al Bundestag per la Linke. È vice-capogruppo della Linke e membro della commissione per gli affari esteri del Bundestag.


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venerdì 23 novembre 2018

Oskar Lafontaine: la nuova legge sull'immigrazione è colonialismo allo stato puro

Oskar Lafontaine, il leader storico della sinistra tedesca, commenta la nuova legge sull'immigrazione fortemente voluta da CDU e SPD. Un ottimo Lafontaine dalla sua pagina FB


La nazionalista dell'occupazione

"Fare l'interesse tedesco significa pensare sempre anche agli altri...oppure uno appartiene a quelli che pensano di poter risolvere tutto da soli e quindi devono pensare solo a se stessi. Questo è nazionalismo nella forma più pura", ha detto Angela Merkel oggi al Bundestag indirizzando le sue parole ad AFD.


Chi scava una fossa per gli altri, alla fine sarà lui stesso a finirci dentro. Questa saggezza popolare viene confermata ancora una volta da Angela Merkel. La Germania vende agli altri paesi piu' beni di quanti non ne acquisti da quei paesi. La Germania pensa quindi prima di tutto a se stessa ed esporta disoccupazione. Questo è il motivo per cui la metà del mondo si lamenta per il nazionalismo dell'export tedesco.

Non impressionati da tutto ciò, l'economia tedesca da anni continua a lamentarsi a causa della presunta carenza di lavoratori qualificati. E apparentemente non sembrano essere infastiditi dal fatto che nel suo rapporto di giugno sulla "scarsità di manodopera specializzata" la Bundesagentur für Arbeit scriveva chiaramente: "in Germania non si può ancora parlare di una carenza generalizzata di manodopera qualificata". Che succede allora? L'economia tedesca ha bisogno di manodopera a basso costo, che negli ultimi anni è arrivata dall'Europa, soprattutto dall'Europa dell'Est. Con la nuova legge sull'immigrazione potranno arrivare in Germania sempre piu' "lavoratori specializzati" provenienti dai paesi in via di sviluppo.

A ottobre in Germania c'erano 2,2 milioni di persone registrate come disoccupate. Se si includono quelli che non compaiono nelle statistiche ufficiali - disoccupati di lunga durata sopra i 58 anni, quelli coinvolti in misure formative e quelli temporaneamente malati - si arriva a oltre 3,1 milioni di disoccupati.

Gli effetti devastanti del nazionalismo dell'occupazione tedesco sono evidenti nel settore sanitario. Già ora, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, in quasi la metà dei paesi del mondo non viene garantita nemmeno l'assistenza sanitaria di base. Gli scienziati dell'Università di Harvard hanno calcolato che nei paesi più poveri anche un solo medico in piu' ogni 1.000 abitanti basterebbe a ridurre la mortalità infantile del 15% a medio termine e del 45% nel lungo termine. I paesi ricchi dovrebbero quindi fare in modo che vi sia più personale medico e non fare il contrario, cioè andare lì a reclutare medici e infermieri.

Questo vale anche per molti altri mestieri. I paesi poveri non hanno nulla di piu' prezioso di una forza lavoro ben istruita. Ma ora il ricco nord del mondo vorrebbe derubare questi paesi, non solo delle materie prime, ma anche delle poche persone istruite. Questo è colonialismo nella sua forma più pura.

Molti parlamentari del Bundestag tedesco, di tutte le forze politiche, sostengono questo nazionalismo dell'occupazione, perché guardano solo agli interessi dell'economia tedesca. Non si accorgono affatto di ciò che stanno facendo alle persone provenienti dai paesi piu' deboli d'Europa e del mondo. Oppure li rassicura il fatto che i lavoratori in questo modo potranno inviare denaro alle loro famiglie.

Come se non bastasse si danno anche una pacca sulla spalla per celebrare il loro umanesimo e internazionalismo.

Forse, dopo Macron, dovrebbero invitare a parlare Bernie Sanders: "L'immigrazione dei lavoratori non aiuta né i più deboli nei paesi d'origine, né i più deboli nei paesi di arrivo".