domenica 20 gennaio 2019

Perché la priorità assoluta degli industriali tedeschi è evitare una Hard Brexit

"L'accordo avrebbe declassato la Gran Bretagna allo stato di colonia commerciale dell'UE" scrive l'importante economista dell'Ifo Institute di Monaco Gabriel Felbermayr in riferimento al voto del Parlamento britannico sulla Brexit. Per questo motivo gli industriali tedeschi cominciano a preoccuparsi seriamente e a lanciare i loro accorati appelli in favore di un accordo con lo UK che tenga in considerazione l'enorme avanzo commerciale verso l'isola e i 750.000 posti di lavoro che nell'industria tedesca dipendono direttamente dall'export oltremanica. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


"Allo stato di colonia commerciale"

Il respingimento dell'accordo sulla Brexit da parte del Parlamento britannico era prevedibile sin dall'inizio. L'accordo conteneva infatti diversi elementi del tutto inaccettabili per uno stato sovrano - in particolare in riferimento al cosiddetto backstop. Nel caso in cui in futuro non fosse stato possibile raggiungere alcun risultato nei negoziati sulle relazioni fra il Regno Unito e l'Unione, l'accordo avrebbe previsto non solo la permanenza del paese nell'unione doganale, ma anche una duratura spaccatura di carattere economico tra l'Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Bruxelles avrebbe semplicemente potuto forzare entrambi gli elementi rifiutandosi di raggiungere un accordo; Londra, infatti, nei confronti di una tale decisione sarebbe del tutto impotente [1]. Di fatto l'accordo, come ribadito da Gabriel Felbermayr dell'Ifo Institute di Monaco, "avrebbe declassato la Gran Bretagna allo status di colonia commerciale dell'UE" [2]. La Camera dei Comuni martedì sera lo ha respinto. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio UE, Donald Tusk, suggeriscono invece che Bruxelles stava cercando proprio questo risultato. Martedì Tusk su Twitter, rivolgendosi quindi a un vasto pubblico, scriveva: "Se un accordo è impossibile e nessuno vuole un no-deal, chi avrà il coraggio di dire qual'è l'unica soluzione positiva?" In effetti, la permanenza della Gran Bretagna nell'UE sarebbe proprio nell'interesse di Berlino e Bruxelles (...) 

Miliardi di perdite

Negli ambienti commerciali ed economici tedeschi questo gioco pericoloso sta facendo suonare molti campanelli di allarme. Dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito è il secondo più grande destinatario di investimenti diretti tedeschi - con oltre 120 miliardi di euro. È anche il quinto più grande mercato di vendita per le aziende tedesche; e come ha dichiarato il presidente della Camera dell'Industria e del Commercio tedesca (DIHK), Eric Schweitzer, il volume delle esportazioni tedesche verso il Regno Unito a partire dal referendum sulla Brexit "è già sceso di oltre il cinque per cento." [8] Le tariffe doganali che secondo le norme WTO entrerebbero in vigore in caso di "hard Brexit", solo per gli esportatori di auto tedeschi potrebbero comportare "maggiori oneri per circa due miliardi di euro all'anno", cosi' metteva in guardia il presidente della DIHK nel mese di dicembre. Inoltre, in Germania "più di 750.000 posti di lavoro dipendono...dalle esportazioni verso la Gran Bretagna". A ottobre un'analisi dell'Institut der Deutschen Wirtschaft (IW) di Colonia ha rivelato che le tariffe WTO e le probabili barriere tariffarie future, solo per l'economia tedesca, potrebbero portare a decine di miliardi di euro di perdite. Nello scenario peggiore, il commercio tedesco-britannico potrebbe crollare così bruscamente da provocare perdite superiori ai 40 miliardi di euro all'anno [9].

Le priorità dell'economia tedesca

Anche il presidente della Federazione delle industrie tedesche (BDI), Joachim Lang, si è espresso in linea con queste preoccupazioni. "Il respingimento dell'accordo è drammatico", ha detto Lang, "per la Germania l'uscita disordinata del Regno Unito vuol dire mettere a rischio un volume di commercio estero bilaterale di oltre 175 miliardi di euro - tenendo conto delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi". [10] Si rischia "una clamorosa ed immediata recessione dell'economia britannica che anche in Germania non passerebbe inosservata". "Qualsiasi mancanza di chiarezza metterebbe a repentaglio decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di posti di lavoro in Germania...", avverte il capo della BDI: "La priorità assoluta" sarà: "evitare una hard Brexit". Insieme ad altri importanti rappresentanti dell'economia tedesca, il CEO di Deutsche Bank, Christian Sewing, mette in guardia da una Brexit non regolamentata: costerebbe "al resto dell'UE...almeno mezzo punto del loro PIL" [11].

Troppi cantieri aperti

Lo stato di allarme dell'economia si spiega anche con il fatto che lo scorso anno la crescita economica tedesca è diminuita significativamente - dal 2,2 per cento del 2017 all'1,5 per cento del 2018, il dato più basso dal 2013 - e che contemporaneamente c'è il rischio di altri crolli sui diversi fronti economici. [12] Anche la Cina dovrebbe mostrare una crescita più lenta a causa della guerra commerciale avviata con Washington; le esportazioni tedesche verso la Repubblica Popolare, il terzo più grande mercato di vendita per le aziende tedesche, infatti, hanno già iniziato ad indebolirsi. La Francia, il secondo cliente dei tedeschi, al momento non è certo un bastione di stabilità in espansione, mentre la Germania sta combattendo una dura battaglia commerciale con il suo cliente più importante, gli Stati Uniti. In caso di Hard Brexit c'è il rischio molto concreto di un crollo delle esportazioni verso il mercato in quinta posizione.
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[1] S. dazu An die EU gefesselt.
[2] Chaos-Brexit verunsichert deutsche Wirtschaft. n-tv.de 16.01.2019.
[3] "Die Zeit ist fast abgelaufen". faz.net 15.01.2019.
[4] Remo Hess: Brexit-Verhandlung: Die Briten hatten keine Chance gegen Brüssel. nzzas.nzz.ch 12.01.2019.
[5] S. dazu Das Feiglingsspiel der EU.
[6] Ashley Cowburn: "This is not Dunkirk": Cabinet minister Liam Fox claims no-deal Brexit would not be "national suicide". independent.co.uk 14.01.2019.
[7] Anthony Wells: As MPs prepare for the Brexit vote, where do Britons stand? yougov.co.uk 14.01.2019.
[8] Deutsche Wirtschaft warnt vor hartem Brexit. n-tv.de 15.12.2018.
[9] Michael Hüther, Matthias Diermeier, Markos Jung, Andrew Bassilakis: If Nothing is Achieved: Who Pays for the Brexit? Intereconomics 5/2018, 274-280. S. dazu Das Feiglingsspiel der EU.
[10] Chaotischer Brexit rückt in gefährliche Nähe. bdi.eu 16.01.2019.
[11] Chaos-Brexit verunsichert deutsche Wirtschaft. n-tv.de 16.01.2019.
[12] Wirtschaft schrammt an der Rezession vorbei. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.01.2019.

sabato 19 gennaio 2019

Sovvenzioni europee per il diesel manipolato

VW nel corso degli anni ha ricevuto 400 milioni di euro di sovvenzioni dalla BEI con la promessa di sviluppare un motore pulito e amico dell'ambiente, peccato pero' che il risultato finale sia stato un motore manipolato che per anni ha inquinato l'aria delle città di tutto il mondo. La procura di Braunschweig, competente sul tema, ha archiviato il caso. Ne parla la Süddeutsche Zeitung


E' una storia piena di ironia involontaria: c'è un gruppo industriale che riceve centinaia di milioni di euro di sussidi per sviluppare un motore ecologico e invece ne viene fuori uno scandalo.

Naturalmente si tratta di VW. Qualche anno fa il gruppo aveva ricevuto dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) dei prestiti, per un valore di 400 milioni di euro, allo scopo di sviluppare un nuovo motore ecologico. Alla fine di tutto il processo invece è uscito proprio il motore diesel dal codice EA 189, divenuto tristemente noto a causa dello scandalo sulle emissioni diesel. 400 milioni di euro - per cosa esattamente?

E 'stato lo staff dell'Ufficio europeo antifrode OLAF ad entrare in scena e a voler guardare piu' da vicino nei prestiti erogati dalla BEI a partire dal 2009. Hanno tenuto duro: il denaro non è finito in una tecnologia orientata al futuro e rispettosa dell'ambiente, ma in un motore manipolato. Il caso è stato trasmesso alla procura di Braunschweig, che indaga anche sulla scandalo emissioni, e che martedì scorso ha comunicato che l'inchiesta per sospetta frode nei confronti dei dipendenti del gruppo VW è stata archiviata.

Si ritiene infatti "che i fatti comunicati dall'autorità europea OLAF nel luglio 2017, ai sensi del diritto penale tedesco non siano punibili e non siano più perseguibili", ha affermato il procuratore di Braunschweig.

Con gli inquirenti tedeschi, il gruppo Volkswagen non ha più problemi 

Alla BEI all'epoca c'era molta euforia in merito al progetto. "Siamo lieti non solo di sostenere con questo prestito delle tecnologie piu' ecocompatibili in Europa, ma anche di dare manforte all'industria automobilistica per affrontare i tempi difficili che abbiamo davanti", cosi' all'epoca veniva lodato il prestito e il suo nobile obiettivo. Una frase che oggi - nonostante la chiusura del procedimento giudiziario - suona come una presa in giro. Dopo che l'Ufficio europeo antifrode nell'estate del 2017 aveva informato la BEI delle sue conclusioni, il Presidente della BEI Werner Hoyer aveva dichiarato: "siamo molto delusi di quello che l'indagine OLAF ha rivelato. Anche la BEI è stata truffata da VW sull'uso dei dispositivi di controllo delle emissioni"

Il procedimento nei confronti dei dipendenti VW per eventuali frodi sulle sovvenzioni europee tuttavia si è chiuso con un verdetto decisamente clemente nei confronti di Volkswagen. E come gruppo VW al momento non ha grandi problemi con le autorità inquirenti tedesche. La procura di Braunschweig ha già comminato una multa da un miliardo di euro, mentre la procura di Monaco II ha già incassato 800 milioni di euro da parte della controllata di VW, Audi. Proseguono invece i procedimenti penali contro l'ex CEO Martin Winterkorn, l'attuale presidente Herbert Diess e il capo del consiglio di sorveglianza Hans Dieter Pötsch. Tutti e tre continuano a negare le accuse.

Se si dovesse arrivare ai processi e quindi sul tavolo dei giudici arrivassero degli elementi concreti, la situazione potrebbe farsi nuovamente difficile per il gruppo VW - soprattutto per quanto riguarda le richieste di risarcimento danni da parte dei clienti e degli azionisti. Questi sperano infatti che in caso di eventuali procedimenti penali, possano emergere elementi in grado di dare nuovo slancio alle  loro richieste di risarcimento.


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venerdì 21 dicembre 2018

Perché senza lo stato nazione non puo' funzionare

"Il futuro dell'Europa si decide nella forza delle nazioni europee. Più forti saranno i singoli stati dell'Europa, più forte sarà l'Europa", scrive Klaus-Rüdiger Mai, storico, scrittore e giornalista tedesco. Per l'autore lo stato nazione è l'unico garante delle libertà civili e della giustizia sociale, perchè "la vera libertà puo' esistere solo nella ricchezza delle relazioni umane, nella consapevolezza della cultura e della tradizione". Ne scrive Klaus-Rüdiger Mai su Deutschlandfunk Kultur


La Germania sta cambiando. Una frattura profonda si muove nella società, non è quella fra destra e sinistra, ma quella fra globalisti e comunitari. La domanda è se l'idea di stato nazione e di patria debba essere considerata obsoleta e se nel futuro si possano ipotizzare delle strutture sovranazionali sconfinate, oppure no.

La socialdemocrazia si sta sgretolando, perché nessuno sa piu' quale sia il suo significato. La questione sociale non riguarda un euro in più o in meno di salario minimo, ma la promessa di un miglioramento sociale che la SPD non è più in grado di formulare. Una sorta di garanzia sociale affinché per te le cose non vadano peggio, ma che soprattutto per i tuoi figli possano andare meglio. Dato che è così importante per l'equilibrio della società, chi altro se ne deve occupare, se non i conservatori progressisti?


Ma essi devono competere anche per un'altra eredità, quella del liberalismo, che con i neoliberisti è sempre stata in cattive mani, perché la libertà nel senso liberale classico non significa atomizzazione, né abbandono, ma la libertà esiste solo se viene messa in equilibrio con la coscienza e la responsabilità; la libertà da qualcosa deve essere collegata alla libertà per qualcosa. La vera libertà esiste solo nella ricchezza delle relazioni umane, nella consapevolezza della cultura e della tradizione.

Rendere la propria cultura sostenibile

Il conservatorismo autosufficiente e politicamente superato richiede un rinnovamento. Non ci si può più limitare al metodo di usare il vecchio per misurare tutto ciò che è nuovo, ma è necessario inserire nella discussione un'idea della direzione in cui la Germania si dovrà sviluppare. Ogni analisi parte da un punto di vista, che sia un'utopia, cioè da un'idea di come l'uomo deve essere - come fanno i Verdi - o dalle persone reali nel loro ambiente di vita e nella loro cultura - come invece fanno i conservatori.

Il conservatorismo progressista non deve smantellare la nostra cultura, ma renderla adatta al futuro. Inizia dal cittadino e difende lo stato nazionale come garante delle libertà civili e della giustizia sociale. Perché lo stato non è un'istituzione morale, ma funzionale.

Il conservatorismo progressista si pone come avvocato del centro politico tra i Verdi ed AfD. Se fallisce, il conflitto tra i Verdi da una parte e AfD dall'altra si radicalizzerà, e il centro diventerà politicamente volatile. Si differenzia da AFD, perché rifiuta ogni esagerazione nazionalista, e contesta l'illiberalismo dei Verdi che trasforma il cittadino in un oggetto di pedagogia.

Non è compito dello stato tedesco salvare il mondo

Secondo il conservatorismo progressista lo stato tedesco agisce secondo due massime: primo, non è compito dello stato tedesco salvare il mondo. È tuttavia fuori discussione che vi debba essere un'assunzione di responsabilità nell'ambito di possibilità molto ben definite. Garantisce la sicurezza interna ed esterna, impone i suoi poteri sovrani, la legge e l'ordine, non trasferisce a terzi i suoi diritti nazionali e adempie ai suoi compiti in materia di infrastrutture, istruzione e assistenza sanitaria.

In secondo luogo, ha una politica economica attiva che elimina gradualmente la dipendenza dalle esportazioni dell'economia tedesca, perché solo in questo modo potrà essere creata una base economica per la vita dei nostri figli, e perché non solo, ma anche l'ascesa della Cina mostra che al piu' tardi nel 2023 le esportazioni saranno sempre piu' problematiche.

I conservatori progressisti sono comunitaristi nel senso di Charles Taylor. Il futuro dell'Europa si decide nella forza delle nazioni europee. Più forti saranno i singoli stati dell'Europa, più forte sarà l'Europa. I conservatori progressisti devono creare le condizioni quadro che renderanno l'Europa ancora una volta il motore della cultura, della scienza e della tecnologia in un mondo che cambia radicalmente.



La questione tedesca

"L'immagine che la Germania ha di sé è cambiata radicalmente rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto", scrive German Foreign Policy, facendo un parallelo fra la questione tedesca del 1871 e quella attuale. La Germania di oggi si trova esattamente nella stessa condizione del 1914: "di fatto la maggiore potenza in Europa, ma in una situazione di conflitto con molti altri stati". Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


"Non in grado di resistere alle crisi"

Nella politica europea della Germania, secondo gli esperti, sarebbero necessari dei cambiamenti, in particolar modo in merito alla moneta unica. Una grave debolezza dell'Unione monetaria è il fatto che l'Eurozona, nonostante le varie misure adottate dopo lo scoppio della crisi finanziaria, "da tempo ormai non è in grado di resistere alle crisi", scrive Daniela Schwarzer, direttrice dell'Istituto di ricerca della Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) [1]. In effetti, il problema di fondo resta immutato: "l'introduzione della moneta unica senza una politica economica comune ... divide politicamente il Nord dal Sud Europa", scrive il direttore dell'Istituto per la politica di sicurezza dell'Università di Kiel (ISPK), Joachim Krause. [2] Le richieste, soprattutto da parte della Francia, di introdurre una sorta di governo economico per l'Eurozona, come proposto dal presidente Emmanuel Macron nel suo discorso in favore di un bilancio dell'Eurozona, fino ad oggi sono state regolarmente bloccate da Berlino; sebbene un altro focolaio di crisi, ad esempio a causa della situazione di instabilità in Italia e delle sue banche, non sia affatto da escludere. In futuro, se non si prenderanno delle misure precauzionali, avverte l'esperto della DGAP Schwarzer, potrebbero sorgere "crisi di entità ancora maggiore". Le risposte ad hoc, come quelle date a partire dal 2010, sarebbero oggi ancora più "difficili" di quanto non fossero allora "poiché la polarizzazione politica all'interno dell'UE e all'interno degli stati membri è aumentata".

"Divisi"

Come sollecitato, fra gli altri, anche dal direttore dell'ISPK Krause, Berlino dovrebbe finalmente affrontare "i problemi strutturali dell'Eurozona", e non solo quelli. Il governo federale e l'UE, infatti, dovrebbero mettere in agenda anche il "problema dell'immigrazione", che fino ad oggi "ha diviso l'Europa orientale da quella occidentale" [4]. In realtà "la gestione da parte del governo federale della crisi dell'euro (dal 2010) e della crisi migratoria del 2015", "ha fatto rivivere la diffidenza nei confronti del presunto unilateralismo tedesco e delle sue ambizioni egemoniche". Krause ritiene che ciò sia controproducente. Nonostante ciò Berlino si appresta ad approfondire ulteriormente i solchi già esistenti in Europa estendendo il voto a maggioranza nell'UE. La decisione di accogliere i rifugiati nell'UE, presa a maggioranza nel settembre 2015, aveva irritato diversi paesi membri dell'est spingendoli a schierarsi con forza contro la Repubblica federale e provocando una frattura che dura ancora oggi, e che probabilmente continuerà ad approfondirsi [5]. Il governo federale si sta infatti concentrando su una ulteriore e rapida espansione delle decisioni da prendere a maggioranza e vorrebbe sottrarre ai singoli paesi dell'UE il diritto di veto sulla politica estera e perfino su quella militare. Se i singoli Stati membri in futuro dovessero essere scavalcati su ulteriori importanti decisioni, il potenziale per ulteriori rotture politiche non potrebbe che aumentare.

1871 e 1990

L'ambivalenza della politica di Berlino - imporre le proprie posizioni sulle questioni chiave, unita all'incapacità di ottenere un riconoscimento generale per queste stesse posizioni - recentemente ha spinto alcuni osservatori a fare un confronto con alcune fasi antecedenti della storia tedesca. Da quando la Repubblica federale ha "trovato una nuova forza economica" - "diciamo da circa il 2005" - ha di nuovo "quella posizione dominante in Europa di cui già si parlava ai tempi dell'impero di Bismarck", scrive lo Storico Andreas Rödder. [7] "Fin dal 1871 e dal 1990 la questione tedesca" - "ha riguardato il tema della compatibilità fra la forza tedesca e l'ordine europeo". Altri paesi europei ai tempi dell'impero del Kaiser avevano già individuato una "minaccia proveniente dalla forza tedesca" e consideravano la Germania allo stesso tempo "imprevedibile e volubile". "Questo punto di vista sulla Germania è stato confermato ancora una volta dalla crisi debitoria dell'euro e dalla crisi dei rifugiati". In entrambi i casi la Repubblica federale "ha agito da sola" cercando di imporre la propria volontà agli altri paesi membri dell'UE. In termini di politica di potenza, la Germania "oggi si trova esattamente dove si trovava nel 1914" - "di fatto la maggiore potenza in Europa", ma in conflitto con molti altri stati [8]. Il membro della CDU Rödder ritiene che ciò sia "inquietante".

Il senso di superiorità tedesco

Rödder inoltre, facendo riferimento ai crescenti conflitti all'interno dell'UE, mette in guardia dall'arroganza tedesca. Nel diciannovesimo secolo, a differenza del Regno Unito o della Francia, la Germania non poteva fare riferimento a un territorio tradizionalmente definito - e quindi "si considerava una nazione culturale". Questa "coscienza di sé e del proprio ruolo" ha "sempre implicato una tendenza alla superiorità morale", sostiene Rödder, che insegna storia contemporanea all'Università Johannes Gutenberg di Mainz. [9] Sicuramente "l'immagine che di sé ha la Germania è radicalmente cambiata rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto". Oggi si esprime "contro i polacchi" considerati xenofobi, "o gli ungheresi, per esempio, o anche i pazzi inglesi che osano lasciare l'UE". Al contrario, "i tedeschi ritengono di essere una potenza civile multilaterale e illuminata", mentre in altri paesi dell'UE vengono percepiti come una minaccia egemonica. Su questa discrepanza si tende a "riflettere troppo poco", avverte Rödder: "anche questa è una costante storica, e cioè che i tedeschi sono molto concentrati su se stessi".
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[1] Daniela Schwarzer: Das nächste Europa. Die EU als Gestaltungsmacht. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[2] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[3] S. dazu Das Eurozonen-Budget.
[4] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[5] S. dazu "Deutsche Überheblichkeit".
[6] S. dazu Wie man weltpolitikfähig wird.
[7] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.
[8] S. dazu Alles oder nichts.
[9] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.


giovedì 20 dicembre 2018

Welt: è un giorno nero come la pece per l'Europa

"L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi", scrive Die Welt nel giorno dell'accordo fra il governo italiano e l'UE. Per il prestigioso quotidiano di Amburgo si tratta di un compromesso troppo generoso che servirà piu' che altro ai populisti tedeschi e al loro corso anti-euro. Ne scrive Olaf Gersemann su Die Welt


Nella battaglia per il debito il governo di Roma riesce ad imporsi sulla Commissione europea. Tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per stabilizzare l'euro di fatto vengono azzerati. Un segnale fatale per la moneta comune.

Il governo italiano aveva promesso che nel prossimo anno il deficit pubblico si sarebbe ridotto allo 0,8% per poi arrivare a zero nel 2020. Le richieste della Commissione europea non erano sadismo, ma pura necessità per un paese il cui debito pubblico supera di gran lunga il PIL annuale e in cui il risanamento delle finanze è reso urgente dal rapido invecchiamento demografico.

Il governo di Roma nel frattempo è cambiato, in primavera Giuseppe Conte con il suo gabinetto populista ha sostituito il presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Ma oltre ad aver votato per l'uscita di scena del socialdemocratico Gentiloni, diciamo che gli italiani non hanno votato anche contro quegli stessi obblighi internazionali che egli aveva assunto. Il deficit al 2,4% del PIL che il governo Conte avrebbe voluto raggiungere, almeno secondo la prima versione della legge di bilancio, era una aperta provocazione.

Ora è stato trovato un accordo sul 2,04 percento, e Bruxelles non vuole più avviare una procedura di infrazione per eccesso di deficit. Non solo il valore su cui è stato raggiunto un compromesso è molto più vicino alle idee dei populisti di Roma che non agli impegni originari.

Ma la domanda di fondo riguarda il motivo per cui Bruxelles dovrebbe andare incontro alle richieste degli italiani. Perché è vero che le prospettive di crescita del PIL si sono ridotte - con conseguenze indiscutibilmente negative per il bilancio dello Stato. Ma il fatto che l'economia italiana possa perdere ancora piu' slancio è più che altro un problema interno. Il governo Conte sta di fatto smantellando le riforme sociali e del lavoro fatte dai suoi predecessori, e non crede nell'euro. Quale imprenditore, interno o estero, dovrebbe effettivamente investire in Italia in queste condizioni?

La Commissione europea con le sue concessioni sta premiando un tale corso politico. Gli elettori dei paesi piu' deboli dell'eurozona si chiederanno: perché dobbiamo effettivamente intraprendere riforme strutturali e perseguire il consolidamento dei conti, se gli italiani a proprio piacimento possono tirarsi indietro quando vogliono?

In paesi come la Germania, a loro volta, i populisti anti-Europa sapranno come sfruttare la codardia di Bruxelles. L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi. Ma spiegare in maniera convincente questo punto ora  diventa molto più difficile. Two pack, Six pack, semestre europeo, tutte belle e altisonanti invenzioni che dovrebbero dare rigore all'unione valutaria ma che in pratica non portano a nulla, come stiamo scoprendo ora.

L'euro è stato indebolito dalla vittoria di Pirro di Roma. L'UE è diventata più debole. In ogni modo nel lungo periodo non ci saranno vincitori. Un giorno nero per l'Europa. 

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mercoledì 19 dicembre 2018

Problemi molto seri per i fondi pensione tedeschi

"Un terzo dei 137 fondi pensione che gestiscono le pensioni integrative di otto milioni di tedeschi sono già sotto la stretta sorveglianza dell'Autorità per la supervisione finanziaria Bafin. Per alcuni fondi, la situazione è drammatica". A dimostrazione del fatto che l'euro non sta facendo dei danni solo nell'Europa del sud, ma anche sul lato nord dell'unione monetaria, dove la lunga stagione dei tassi a zero sta mettendo nei guai molti fondi pensione e milioni di pensioni integrative: "la crisi finanziaria, emersa dieci anni fa con i fallimenti bancari, ora si è spostata e sta colpendo sempre di più le pensioni integrative aziendali". Ne parla il Tagesspiegel


L’incertezza è grande e c'è sempre piu' preoccupazione per le pensioni integrative aziendali. Anche presso l'Autorità per la supervisione finanziaria Bafin. "La situazione oggi è molto più seria rispetto a due anni fa. E se i tassi di interesse resteranno al livello attuale, non potrà che peggiorare", ha avvertito Frank Grund, direttore dell'autorità di controllo sulle assicurazioni. Un terzo dei 137 fondi pensione che gestiscono o pagano le pensioni integrative aziendali di otto milioni di tedeschi sono già sotto la stretta sorveglianza del Bafin. Per alcuni fondi, la situazione è drammatica. Due piccoli fondi pensione sarebbero sul punto di tagliare le prestazioni pensionistiche attuali e future. Il nome dei fondi, però il Bafin non lo rivela. 

"Il Bafin sta facendo troppo poco per la protezione degli assicurati", ha dichiarato al Tagesspiegel Gerhard Schick, esperto finanziario del gruppo parlamentare dei Verdi al Bundestag. Il suo gruppo parlamentare ha appena presentato una richiesta al governo federale per cercare di capire quanto sia grave la situazione, quali sono le casse pensionistiche colpite e quanti sono i cittadini che dovranno preoccuparsi per i loro piani pensionistici. 


La crisi finanziaria colpisce la previdenza sociale 



Per circa il 10% dei fondi pensione tedeschi, afferma lo stesso Bafin, la situazione è "molto seria". I Verdi vorrebbero sapere quali sono i fondi coinvolti e quante sono le persone assicurate. Il governo federale, inoltre, dovrebbe fornire informazioni su quante sono le persone che dovranno fare i conti con il taglio della loro pensione integrativa o delle loro aspettative sulla pensione futura. "La situazione per molti fondi pensione è seria", afferma Schick. "La crisi finanziaria, emersa dieci anni fa con i fallimenti bancari, ora si è spostata e sta colpendo sempre più le pensioni integrative aziendali", avverte l'esperto finanziario. "Penso che gli assicurati abbiano il diritto di sapere qual'è lo stato di salute del loro fondo. Per molte persone, i versamenti per la pensione integrativa sono una parte essenziale della loro previdenza sociale". 



Problemi ce ne sono già da molto tempo 

Già due anni fa il Bafin aveva usato parole insolitamente molto chiare: bisogna mettere sotto stretto controllo un po' più di una manciata di fondi pensione tedeschi, dichiarava Grund. Recentemente l'autorità tedesca di controllo sulle assicurazioni ha usato parole ancora piu' dure: "senza capitale aggiuntivo proveniente dall'esterno, alcuni fondi pensione non saranno più in grado di erogare tutte le loro prestazioni". La situazione è ancora più seria rispetto a due anni fa. 

Da dove arrivano i problemi 

La causa dei problemi è soprattutto l'attuale situazione dei tassi di interesse. In particolare, gli assicuratori pensionistici spesso devono garantire ai vecchi clienti  dei rendimenti elevati. Attualmente i fondi pensione devono generare in media il 3,2% per poter onorare non solo i contratti recenti, con prestazioni nettamente piu' basse, ma anche i vecchi contratti con rendimenti ancora più elevati. Ma a causa della bassa redditività degli investimenti sicuri, il compito sta diventando sempre più difficile. I fondi pensione devono inoltre far fronte all'aumento dell'aspettativa di vita. Che cosa questo poi significhi per gli assicurati, dipende dal contratto e dal datore di lavoro. 

Glie effetti gli squilibri 

Sono soprattutto i lavoratori più anziani ad essere avvantaggiati, dato che gli obblighi pensionistici a tasso fisso devono essere rispettati, come previsto dalla legge sulla previdenza aziendale. Se un fondo pensione entra in difficoltà e deve ridurre i pagamenti, sarà il datore di lavoro a dover subentrare e a farsene carico, e quindi a pagare ai pensionati la differenza tra le pensioni promesse e quelle effettivamente erogate, attingendo dal patrimonio aziendale. I dipendenti più giovani, al contrario, non ricevono piu’ da parte delle assicurazioni degli impegni precisi in merito alle prestazioni future. Nelle attuali circostanze dovranno adeguarsi a ricevere prestazioni pensionistiche integrative in calo - a meno che la situazione sul mercato dei tassi d'interesse non subisca delle sostanziali modifiche. 

L'autorità Bafin chiede un'iniezione di capitale 

Il Bafin già da tempo sollecita i fondi previdenziali piu’ deboli a chiedere iniezioni di capitale ai loro proprietari e azionisti per cercare di stabilizzare l'attività. Le aziende tuttavia sono obbligate a coprire le prestazioni promesse e non erogate, ma non a rafforzare la posizione finanziaria dei fondi pensione. I datori di lavoro possono pagare solo se sono ancora esistenti, se non sono falliti e se sono liquidi. Ma con il sette per cento di tutti i beneficiari, il Bafin ha dei forti dubbi sul fatto che i datori di lavoro possano fornire sostegno. Secondo l'autorità di vigilanza finanziaria questo vale soprattutto per i fondi che lavorano per un grande numero di aziende. In 17 casi i fondi pensione negli ultimi quattro anni allo scopo di evitare problemi ancora maggiori hanno già tagliato il cosiddetto coefficiente di capitalizzazione della pensione a scapito dei pensionati futuri. Il coefficiente di capitalizzazione regola il rapporto fra i contributi versati e le erogazioni successive durante la fase pensionistica. Se viene ridotto, la pensione futura sarà più bassa.

Il fondo Protektor può aiutare? 

Se un fondo pensionistico dovesse andare in insolvenza, in alcuni casi può intervenire il fondo di sicurezza Protektor, al quale sono collegati circa 20 fondi pensione. I pensionati ricevono quindi la pensione integrativa direttamente da questa organizzazione di supporto. Questi fondi, come è accaduto agli assicuratori sulla vita, dal 2011 hanno dovuto accumulare anche delle riserve aggiuntive per meglio fronteggiare la stagione dei tassi a zero. Tuttavia, la maggior parte dei fondi pensione sono organizzati sotto forma di associazione e in caso di emergenza possono tagliare le loro prestazioni o richiedere contributi più elevati. In entrambi i casi, sono i datori di lavoro a dover colmare le eventuali lacune nelle prestazioni pensionistiche promesse. I fondi pensione sono una forma particolarmente popolare di previdenza integrativa professionale in Germania, oltre alle assicurazioni dirette o alle casse mutua previdenziali. 

Chi ha già tagliato 

Il fondo pensione più grande, misurato in base al patrimonio gestito di circa 27 miliardi di euro, è la BVV (Versicherungsverein für das Bankgewerbe), seguito dai fondi pensione di Allianz, Bayer, BASF e Hoechst. La BVV già nel 2016 a causa dei bassi tassi di interesse ha dovuto trarre le dovute conclusioni e a partire dal 1 gennaio 2017 ha ridotto del 24 per cento i propri impegni pensionistici - anche per i contratti in essere, ma solo per i contributi pagati dopo tale data. La maggior parte delle banche aveva immediatamente accettato di coprire eventuali lacune nelle prestazioni erogate. In totale, il fondo pensione gestisce 757 società, 352.000 assicurati e 111.000 pensionati. Anche il fondo pensionistico federale e statale, che assicura oltre 350.000 dipendenti pubblici, a metà 2016 di colpo ha tagliato i tassi di capitalizzazione. In alcuni casi ciò corrisponde ad una riduzione di due terzi. Tali calcoli tuttavia di solito restano validi solo per un breve periodo di tempo.



martedì 18 dicembre 2018

Taz: saranno anche populisti, ma hanno una certa competenza economica

"Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica..." scrive la Taz, ma soprattutto: "l'Italia non puo' essere trattata come se fosse la famiglia Mayer di Dinslaken". Non capita spesso di trovare sulla stampa tedesca un commento positivo nei confronti dell'attuale governo italiano. Ne scrive Ulrike Herrmann sulla Taz



Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica. Gli italiani senza usare mezzi termini hanno fatto sapere che la Commissione europea ha trattato il loro paese molto peggio di quanto non abbia fatto con altri stati europei. L'ultimo caso: il presidente francese Macron per il 2019 sta pianificando  un deficit di bilancio di oltre il 3%, ma a Bruxelles nessuno sembra esserne turbato. L'Italia, invece, è stata minacciata con miliardi di euro di sanzioni per un obiettivo di deficit al 2,4% del PIL. Come può essere? 

Gli italiani giustamente sono sorpresi, soprattutto perché la Francia non è il solo paese a interpretare in maniera alquanto generosa le regole sul deficit. Il budget del Belgio, ad esempio, sin dalla crisi finanziaria del 2008, ha sempre registrato un elevato livello di deficit. Ma nei confronti dei belgi non c'è mai stata una procedura per eccesso di disavanzo. 

La Commissione Europea resta però inflessibile: per gli italiani valgono altre regole, perché il loro debito è già troppo alto! Roma deve risparmiare per ridurne il peso. Bruxelles sta trattando l'Italia come se fosse paragonabile alla famiglia Mayer di Dinslaken. I Mayer certamente non possono indebitarsi senza poi dover rimborsare il debito. 

Ma è un equivoco sostenere che gli stati possano risparmiare per ridurre i loro debiti come fanno le famiglie. Gli italiani da decenni ormai stanno risparmiando invano. Lo stato italiano a partire dal 1991 di fatto non ha aumentato la spesa pro-capite, come illustrato dall'economista Antonella Stirati in un'intervista alla Taz. 

Un circolo vizioso 

Nel 1991, infatti, la spesa pubblica italiana - prestazioni sociali, stipendi dei dipendenti pubblici, investimenti, spesa per interessi - era di 12.500 euro pro capite. Oggi è di 13.000 euro. In Germania, invece, negli stessi anni la spesa pubblica pro capite è passata da € 11.800 a € 15.000 e in Francia da € 12.600 a € 18.000. 

L'Italia ha risparmiato per quasi trent'anni, ma il debito pubblico non si è ridotto. Qualsiasi profano a questo punto capirebbe immediatamente che in una situazione come questa fare austerità non aiuta. Solo la Commissione europea non si scoraggia e continua a ripetere il suo mantra neoliberista secondo il quale il bilancio deve essere "consolidato". L'Italia non ha problemi sul lato della spesa pubblica – ma su quello delle entrate. L'economia italiana è rimasta ferma per vent'anni. Sin dall'introduzione dell'euro l'economia italiana nel suo complesso non è cresciuta, mentre quella tedesca nello stesso periodo di tempo cresceva di circa il 30 per cento. 

Se gli italiani avessero beneficiato di una crescita come quella tedesca, oggi il loro debito non sarebbe al 130 % del PIL, ma solo al 100 %. L'Italia si troverebbe nella stessa categoria insieme al Belgio e alla Francia e potrebbe stare molto piu' tranquilla. Invece si trova in un circolo vizioso: perché il debito pubblico è alto, e per questo deve risparmiare. Ma poiché risparmia, l'economia non riparte e il debito pubblico continua a salire. 

La responsabilità non è degli italiani 

Gli altri paesi dell’eurozona non sembrano avere molta comprensione. C'è l'impressone diffusa che sia l'Italia ad essere responsabile per i suoi problemi. Ma si tratta di un pregiudizio. Gli italiani non sono i colpevoli, sono piuttosto le vittime della crisi dell'euro. Il primo contraccolpo ha anche una data esatta: era il 21 luglio 2011 quando i tassi di interesse sui titoli di stato italiani improvvisamente raggiungevano dei livelli insostenibili, in quei giorni infatti era in discussione un possibile taglio del debito greco. 

L'Italia notoriamente non è la Grecia, ma gli investitori non sembravano essere più di tanto interessati a questa differenza. La BCE ha dovuto aspettare un anno prima di interrompere definitivamente il panico finanziario. Per l'Italia è stato un periodo troppo lungo, il paese è scivolato in una grave recessione, dalla quale fino ad oggi non si è ancora ripreso. 

Ora la Commissione europea fra le righe minaccia ancora una volta di sguinzagliare i mercati finanziari e di far salire i tassi di interesse sul debito pubblico. Immediatamente, gli italiani si sono piegati e hanno tagliato il loro budget. Ma la crisi dell'euro in questo modo non è risolta, si è solo ulteriormente aggravata.
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