lunedì 15 giugno 2020

Come hanno fatto i grandi discount tedeschi a invadere il mercato con la loro carne di maiale a prezzi stracciati?

Dietro c'è una storia di animali maltrattati, di sfruttamento dei lavoratori nei grandi macelli del nord e una guerra dei prezzi che ha fatto arricchire a dismisura i signori della carne di maiale a basso costo. Questa storia molto interessante ce la racconta Jürgen Glaubitz, sindacalista del grande sindacato tedesco Ver.di

discount tedeschi con carne di maiale a prezzi stracciati


Pochi giorni dopo che centinaia di dipendenti della Westfleisch di Coesfeld sono risultati positivi al test per il Covid-19, e la stampa (ancora una volta!) ha riferito delle scandalose condizioni in cui versano molte fabbriche tedesche per la lavorazione della carne, Aldi ha avviato una nuova trattativa per ottenere dei ribassi sul prezzo della carne di maiale. Indipendentemente dalla discussione in corso sull'industria della carne, Aldi chiede una rapida riduzione dei prezzi della carne suina.

Così, in concomitanza con l'avvio della stagione delle grigliate, sul mercato viene lanciata della carne ancora piu' economica. Dopo tutto, sostengono i supermercati, è nell'interesse del consumatore. Al tedesco piace grigliare, ha speso molti soldi per il suo nuovo barbecue, ma vuole spendere il meno possibile per quello che ci deve mettere sopra. E' fondamentale che sia economico.

Le cose stanno davvero così? I tedeschi vogliono veramente avere sempre piu' carne a buon mercato - ad ogni costo? Aldi, Lidl & Co. vogliono davvero viziare il "re cliente" con dei prezzi sempre piu' bassi? Oppure hanno obiettivi completamente diversi, diciamo meno nobili?


Qual'è il vero "prezzo" da pagare per avere questa carne cosi' economica? Ad essere colpiti non ci sono solo i poveri maiali negli allevamenti per l'ingrasso e gli operai nelle fabbriche di Tönnies, Vion, Westfleisch & Co. A subirne le conseguenze alla fine sono anche i consumatori, perché il consumo di carne a basso costo è tutt'altro che salutare...

Povero maiale

I bassi prezzi nella grande distribuzione hanno anche un lato oscuro. I maiali da ingrasso vivono in stallini angusti con pavimenti di tavole. Nell'ingrasso convenzionale dei suini, gli animali vengono fatti crescere senza tregua e senza pietà. Lesioni e disturbi comportamentali come i morsi alle orecchie e alla coda ne sono spesso le conseguenze. Particolarmente negativa è l'immobilità degli animali nelle piccole casse.

discount tedeschi in Italia



L'allevamento in batteria tipico dela carne a basso costo spesso implica un'indicibile tortura per gli animali. In Germania un maiale su cinque nato per alimentare l'industria della carne "non raggiunge nemmeno l'età di macellazione perché si ammala o si ferisce prima". Più di 13 milioni di suini, infatti, vengono uccisi prematuramente "per necessità" (spiegel.de del 22.10.2019).

L'anno scorso in questo paese sono stati macellati 55 milioni di maiali. La maggior parte di loro proviene da allevamenti sul territorio nazionle. Un maiale su tre viene macellato dall'azienda Tönnies, a Rheda-Wiedenbrück


Tutto per il benessere degli animali?

Quando vengono criticate queste condizioni vergognose, spesso si fa riferimento all'etichetta sul benessere degli animali. Si tratta di un marchio di garanzia che ha lo scopo di aiutare a valutare le condizioni in cui gli animali vengono allevati, trasportati e macellati. È stata presentata per la prima volta nel 2018, e poi in seguito modificata.

L'etichetta sul benessere degli animali viene criticata sin dalla sua introduzione. Stern l'ha definita "una delle più grandi bugie create negli ultimi anni dalle pubbliche relazioni" (stern.de 29.5.2017). I critici hanno parlato di una "etichetta come un alibi". E anche la nuova versione non apporta alcun reale miglioramento in merito all'allevamento degli animali. Un maiale del peso di 110 kg avrebbe a disposizione 0,90 metri quadrati di spazio, invece degli 0,75 metri quadrati di cui disponeva finora. I critici considerano l'etichetta di "benessere degli animali" come un altro marchio di qualità che non apporta nessun miglioramento concreto. La partecipazione all'etichettatura, inoltre, resta volontaria. 

"La carne di maiale a basso costo è il risultato di una politica agricola che non introduce un'etichetta vincolante per il benessere degli animali. Con la carne industriale pompata grazie ai farmaci, non dobbiamo nemmeno porci la domanda: è questo il benessere degli animali? La domanda piuttosto è un'altra: "è un bene per gli animali?" (extra 3, dal 23.1.2020)



Il duro lavoro di manovalanza nelle fabbriche per la produzione di carne

Per qualche giorno c'è stata una grande indignazione in merito alle condizioni scandalose in cui i lavoratori stranieri a basso salario sono costretti a lavorare e vivere nel nostro Paese. Del resto non è un argomento nuovo. Già nel 2016 Die Zeit scriveva: "Dormono in quattro su dei materassi sottili, lavorano più di 12 ore al giorno e guadagnano poco più di 1.000 euro al mese" (zeit.de dal 3.4.2016). Tre anni fa, lo stesso giornale riportava su Clemens Tönnies, il più grande macellatore di maiali in Germania (e part-time ancora presidente dello Schalke 04): "Migliaia di lavoratori provenienti da Polonia, Romania e Ungheria lavorano appena sopra gli zero gradi, e guadagnano solo pochi euro l'ora. Queste persone hanno reso ricco Tönnies".

"Il re dei maiali" (zeit.de, dal 5.11.2017).

Il Süddeutsche scriveva un anno dopo: "Vengono dalla Bulgaria, dalla Romania o dall'Ucraina, lavorano nei macelli, scannano e sezionano maiali o bovini a cottimo. Con questo esercito di lavoratori, la ricca Germania è diventato un paese con manodopera a basso costo per i macelli" (SZ del 13.12.2018).

A proposito, le prime critiche massicce all'industria della carne sono arrivate proprio dall'America. Upton Sinclair nel suo romanzo bestseller "La giungla" del 1906 parlava delle scandalose condizioni igieniche nei macelli americani e del destino degli immigrati europei costretti a sgobbare come schiavi nelle fabbriche di carne di Chicago. Il protagonista è Jurgis Rudkus, un immigrato lituano... sostanzialmente non sembra essere cambiato molto da allora.

Le condizioni di lavoro e di vita precarie dei lavoratori stranieri sono note da anni e ricordano in gran parte gli albori del capitalismo. Il sindacato NGG critica i datori di lavoro dell'industria della carne per "lo sfruttamento degli animali e degli esseri umani". Questa rovinosa guerra dei prezzi si sta svolgendo sulle spalle degli animali e degli esseri umani. E' dal 2013 che la NGGG richiama l'attenzione sull'abuso dei contratti d'opera. Questi contratti vengono "siglati con aziende spesso dubbie, allo scopo di poter liquidare i dipendenti stranieri con dei bassi salari". Il subappalto è la radice del male...

Il governo federale finalmente ha reagito e a partire dal 2021 ha deciso di vietare i contratti d'opera nel settore della carne. Secondo il ministro del lavoro Hubertus Heil (SPD), in Germania non ci potrà piu' essere alcuna tolleranza per un modello di business che si rassegna e accetta lo sfruttamento e la diffusione delle pandemie

Secondo la NGGG si tratta comunque di un buon inizio per porre fine all'abuso dei contratti d'opera nell'industria della carne e allo sfruttamento dei lavoratori in subappalto. Tuttavia, ora saranno necessari dei controlli più severi (NGG, comunicato stampa del 20.5.2020).



"Carne a buon mercato": la guerra dei prezzi 

Ad essere corresponsabili di questi abusi sono i Big Four della grande distribuzione: Aldi, Lidl, Edeka e Rewe. Insieme controllano l'85% dell'intera distribuzione di prodotti alimentari. Con il loro enorme potere d'acquisto, infatti, controllano l'intera catena di approvvigionamento, mettono i fornitori e i produttori sotto una enorme pressione riuscendo in questo modo a ridurre i prezzi d'acquisto.

Si tratta - nel vero senso della parola - della salsiccia! L'obiettivo è quello di espandere sempre di piu' la loro quota di mercato. Lo strumento più importante a tal fine è il prezzo. Aldi e Lidl si battono per la leadership di prezzo nel segmento dei discount. Un importante "campo di battaglia" è la carne, mentre le cotolette a prezzo stracciato e i bratwurst oscenamente economici sono le esche.

Le conseguenze per i terzi non interessano quasi a nessuno! Le procedure sono sempre le stesse: non appena uno fa un passo in avanti, gli altri tre seguono. E in questo modo si apre un nuovo round nella guerra dei prezzi. L'obiettivo è quello di guadagnare quote di mercato. E un modo per farlo è la carne a basso prezzo.

Alla grande distribuzione piace prendere come pretesto il consumatore finale, il quale chiederebbe semplicemente delle offerte a basso prezzo. Ma non è il cliente a fare il prezzo, sono Aldi, Lidl & Co. E sono anche responsabili delle conseguenze di questa politica! Fare una concorrenza fondata sul dumping dei prodotti a base di carne di maiale è una porcata. Tali guerre di prezzo si svolgono solo a scapito di uomini e animali.

Ultimo ma non meno importante: probabilmente non è un caso che le tre persone più ricche in questo paese siano i proprietari di Aldi-Nord, Aldi-Süd e Lidl. Insieme, i due clan di Aldi piu' Dieter Schwarz (Lidl), hanno accumulato una fortuna di oltre 70 miliardi di dollari (forbes list 2020).

Un'enorme fortuna, creata attraverso una rigorosa gestione dei costi, una brutale e spietata concorrenza e delle  guerre di prezzo costanti. Le conseguenze negative le pagano gli altri!

Una parte di questa gigantesca fortuna è stata creata grazie al fatto che la carne (e quindi gli animali) vengono letteralmente svenduti

Non si può andare avanti così! Le guerre di prezzo a spese degli esseri umani e degli animali devono cessare. È ora che i super ricchi e gli imperatori dei discount facciano qualcosa di buono, almeno per una volta! Per il bene degli animali e degli esseri umani.

Probabilmente sarebbe una grande idea!

Dr. Jürgen Glaubitz


domenica 14 giugno 2020

La dissonanza cognitiva dell'eurozona

"La verità è che la normalità non può esistere in un sistema monetario che pone deliberatamente i bilanci degli Stati nazionali, e quindi le democrazie nazionali, sotto la spada di Damocle dei mercati finanziari. L'euro è espressione della "democrazia conforme al mercato" canonizzata dalla stessa Cancelliera tedesca", scrive il giurista e pubblicista tedesco Erik Jochem su Makroskop. Una riflessione molto interessante di Erik Jochem su Makroskop


La crisi causata dal Coronavirus non è ancora del tutto superata, come spiega Paul Steinhardt qui, e il pericolo di un crollo dell'Eurosistema non giustificherebbe in alcun modo la violazione del divieto di finanziamento agli stati (previsto dai trattati) da parte della BCE mediante il suo programma per l'acquisto di titoli di stato della zona euro, recentemente messo sotto accusa dalla Corte costituzionale federale. In democrazia non ci sarebbe spazio per un intervento straordinario delle istituzioni statali secondo il principio della "necessità non conosce comandamenti".

Questa affermazione è discutibile - e non solo dopo il Coronavirus. Naturalmente ogni sistema giuridico e democratico prevede un possibile stato di emergenza, con il quale il legislatore democratico riconosce delle situazioni eccezionali nelle quali il destinatario della norma non può più essere tenuto ad agire secondo la legge.

Il fatto che alla BCE non sia ancora stato esplicitamente concesso un tale diritto di intervento in situazioni di emergenza, non cambia il fatto che il motto di Mario Draghi, il famoso "Whatever it takes", equivalga in sostanza alla dichiarazione di uno stato di emergenza monetaria permanente per l'Eurosistema, e che tale stato di emergenza continui ancora oggi. A maggior ragione dopo il Coronavirus durerà ancora piu' a lungo, e per un periodo di tempo imprevedibile.

Se le cose sono così chiare - cioè, quando il sistema è davvero in pericolo, le regole abituali che ne impediscono la sopravvivenza diventano obsolete - perché allora questa argomentazione non ha avuto alcun ruolo nella discussione fra giuristi, né davanti alla Corte costituzionale federale, né davanti alla Corte di giustizia europea?

Perché proprio la Corte di giustizia europea si sforza di presentare il programma di acquisti della BCE come un evento ordinario di politica monetaria all'interno del mandato della BCE?

Chi nell'eurozona, da una posizione di responsabilità, discute apertamente del fatto che gli acquisti obbligazionari della BCE sono dovuti ad una situazione di emergenza che minaccia l'esistenza dell'Eurosistema, dovrebbe anche poter dire immediatamente quando questa situazione di emergenza finirà e quando ci sarà un ritorno alla normalità - che del resto è l'elemento naturale nel dibattito pubblico sulla crisi da coronavirus.

La verità, tuttavia, è che la normalità non può esistere in un sistema monetario che pone deliberatamente i bilanci degli Stati nazionali, e quindi le democrazie nazionali, sotto la spada di Damocle dei mercati finanziari. L'euro è espressione della "democrazia conforme al mercato" canonizzata dalla stessa Cancelliera tedesca.

Chi non vuole parlare di questa natura paradossale dell'euro - e quale europeista ben educato lo farebbe - non dovrebbe usare la parola "emergenza", ma in maniera alquanto innaturale dovrebbe far finta che nell'eurosistema la normalità sia possibile, come accade in altri sistemi monetari. Lo scandalo non è la crisi permanente dell'euro, ma gli acquisti obbligazionari fatti dalla BCE per gestire la crisi.

Il fatto che il dibattito sulla realtà dello stato di emergenza perpetuo sia stato completamente accantonato in favore di un dibattito sul rispetto dei trattati è politicamente devastante ed è espressione di un ristagno intellettuale senza precedenti.

Invece di scacciare Brüning come figura simbolo dell'euro, la politica ha rinunciato volontariamente allo scettro della responsabilità economica e, invece di occuparsi della realtà, ha scelto di dedicarsi interamente alla lotta tra il bene e il male. La politica come gioco dei castelli di sabbia.

sabato 13 giugno 2020

Heiner Flassbeck - Perché i 130 miliardi del governo tedesco non basteranno

Basteranno i 130 miliardi di euro promessi dal governo di Berlino per tenere in piedi l'economia tedesca? Per il grande economista tedesco Heiner Flassbeck non sono affatto sufficienti, perché la crisi economica in corso, ben visibile nel recente boom del Kurzarbeit, è di dimensioni mai viste prima e ampiamente sottovalutata dal governo di Berlino. I recenti dati sull'export poi mostrano un crollo storico della domanda estera, indispensabile per tenere a galla un sistema produttivo fondato sulla moderazione salariale. Alla fine a pagare il conto di questo modello produttivo orientato all'export come al solito saranno i lavoratori: prima in cassa integrazione, poi in disoccupazione e infine in Hartz IV. Un'analisi molto interessante di Heiner Flassbeck e Friedericke Spiecker da Makroskop.de



Sin dall'inizio della crisi da coronavirus abbiamo sottolineato (vedi l'articolo del 21 marzo) che questo shock causato dai governi non deve essere paragonato a una recessione o a un normale rallentamento economico. Questo shock è molto più grande e complesso rispetto a qualsiasi altra cosa vista finora. Guardando solo all'industria tedesca, si possono fare dei confronti con la grande recessione globale del 2008/2009 (Figura 1). Sebbene la domanda misurata in termini di nuovi ordini sia diminuita ad un ritmo molto più rapido rispetto ad allora, le dimensioni della crisi sono ancora simili. Nel complesso, i nuovi ordini (linea arancione) sono scesi a un livello di poco inferiore rispetto al livello di quel periodo.


Questo tuttavia vale solo per la media dei settori. Per l'industria automobilistica, ad esempio, lo shock attuale è molto peggiore (Figura 2). La produzione in aprile è scesa di oltre il 70% rispetto a marzo di quest'anno, ad un livello ben al di sotto del livello più basso del 2008/2009. L'industria tedesca di punta degli ultimi dieci anni si trova ora in una crisi esistenziale perché né in patria né all'estero, a causa dell'incertezza dei consumatori, l'acquisto di un'auto nuova al momento è all'ordine del giorno.



Il fatto che anche il totale delle esportazioni tedesche in aprile sia calato di quasi il 25% rispetto al primo trimestre è probabilmente dovuto in gran parte alla fondamentale debolezza della domanda di automobili. Ma anche la meccanica sta vivendo un crollo storico; dall'inizio dell'anno la domanda è diminuita di un terzo.



Il mercato del lavoro è il migliore indicatore

Ma questo non è tutto. A differenza della crisi finanziaria 2008/2009, questa volta sono state colpite molte più branche dell'economia nel suo complesso, perché la chiusura ha riguardato in gran parte anche settori che, come gli alberghi e i ristoranti, normalmente non hanno quasi mai percepito le battute d'arresto dell'economia. Anche il settore delle costruzioni, che in Germania non è stato interessato direttamente dalle misure restrittive e che fino a marzo aveva registrato un buon andamento, in aprile ha registrato un significativo calo della domanda, che si rifletterà anche in un sensibile calo delle costruzioni nei prossimi mesi.

La vera dimensione della crisi la si può capire solo guardando al mercato del lavoro. Gli ultimi dati dell'Agenzia Federale per il Lavoro (BA) sulla cassa integrazione (Kurzarbeit) mostrano le reali dimensioni della drammatica crisi economica avviata con l'introduzione delle misure restrittive per combattere la pandemia da coronavirus. A partire da marzo, infatti, il numero di aziende che hanno richiesto la cassa integrazione e le cui domande sono state esaminate dall'Ufficio federale di statistica ha raggiunto un ordine di grandezza che non ha nulla in comune con la crisi finanziaria del 2008/2009 (cfr. la linea blu nella figura 3):


Dopo le drammatiche 625.000 richieste di aprile, anche con le 67.000 di maggio siamo ancora di molto sopra al doppio della cifra massima mai raggiunta nel corso del 2009 (all'epoca poco meno di 25.000 ). L'ultimo dato riportato per il mese di maggio probabilmente sarà corretto nuovamente verso l'alto, così come è accaduto con i dati di marzo e aprile. Il dato attualmente riportato per il mese di aprile, ad esempio, è superiore di 37.462 richieste rispetto al dato preliminare di fine aprile. La BA a questo proposito scrive nella spiegazione delle relative statistiche:

"È possibile che in un periodo di aumento dei volumi, le richieste di cassa integrazione siano già state ricevute in massa dalle competenti Agentur für Arbeit, ma che non siano ancora state registrate elettronicamente nelle procedure specialistiche della BA, e che questa registrazione avvenga solo dopo un certo lasso di tempo. Attualmente, le notifiche relative alle procedure specifiche della BA probabilmente sono sottorappresentate in misura non trascurabile"

La BA ha ripreso la sua estrapolazione dei dati, che nel frattempo era stata interrotta, con una procedura estesa per determinare a partire dal numero di richieste segnalate e controllate, il numero effettivo di imprese in cassa integrazione. Questa estrapolazione serve da guida durante un periodo di cinque mesi nel quale la liquidazione della indennità di cassa integrazione non è stata ancora completata e i dati sul lavoro a tempo parziale (Kurzarbeit) non sono ancora definitivi.

Per il mese di marzo, ultimo mese per il quale al momento è disponibile un'estrapolazione, il dato calcolato (poco meno di 220.000 aziende) differisce di un terzo rispetto al numero di aziende segnalate e controllate ufficialmente (poco meno di 164.000). Questo suggerisce che l'estrapolazione dei dati di aprile relativamente al numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto, rispetto al numero di aziende che effettivamente lavorano a orario ridotto, sarà anche peggiore. Dopotutto, il numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto da marzo ad aprile è quasi quadruplicato. Il netto calo del numero di richieste a maggio, tuttavia, indica che la situazione, almeno per le nuove domande, si sta stabilizzando.

E il numero di persone che lavorano a orario ridotto? L'ingorgo dovuto al numero insolitamente elevato di richieste nei mesi di marzo e aprile aveva indotto la BA a stimare in 10,1 milioni il numero di persone in cassa integrazione a marzo e aprile (cfr. il comunicato stampa della BA del 30 aprile). Nel frattempo l'esame delle domande è progredito e per entrambi i mesi il risultato è stato di crica 10,6 milioni di persone (2,6 milioni a marzo e 8,0 milioni ad aprile). A maggio, il numero dei (nuovi) lavoratori a tempo ridotto viene stimato in via provvisoria in 1,06 milioni di persone (cfr. figura 4).


Dei circa 2,6 milioni di persone indicate come lavoratori a orario ridotto per il mese di marzo, la BA ha calcolato un numero effettivo di lavoratori a orario ridotto di circa 2,0 milioni. E' il 77%. Applicando lo stesso tasso alle persone registrate, nel solo mese di aprile si otterrebbe un numero di lavoratori a tempo parziale (cassintegrati) di oltre 6 milioni. Insieme al numero accumulato a marzo, che probabilmente ad aprile non si è ridotto, si arriva ad una stima del numero totale di lavoratori in cassa integrazione (Kurzarbeit) di circa 8 milioni.

L'Istituto Ifo stima in 7,3 milioni il numero di persone effettivamente in cassa integrazione nel mese di maggio. Se si ipotizza che a giugno grazie all'allentamento delle misure anti-coronavirus la situazione migliorerà, considerando un calcolo a campione ottimistico, si può ipotizzare che il numero di lavoratori ancora a tempo parziale a fine giugno sia la metà di quello di maggio, ovvero 3,65 milioni. Ne risulterebbe una media di circa 6,3 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre.

Anche ipotizzando che il numero di nuovi lavoratori a tempo parziale nel mese di giugno sia pari a zero, ciò comporterebbe comunque una media di oltre 5 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre. Anche in questa stima estremamente positiva, per non dire irrealistica, siamo ancora molto lontani dai 2,4 milioni ipotizzati nella diagnosi congiunta degli istituti di ricerca economica. Naturalmente, è ancora completamente aperta la questione del numero di ore lavorate in meno che sono o saranno effettivamente svolte.

E' ovvio tuttavia che la dimensione del crollo economico che sta dietro queste cifre supera di gran lunga la crisi finanziaria. La previsione comune stimava un calo di quasi il 10 % rispetto al primo trimestre. Se ciò fosse coerente con il numero di lavoratori a tempo parziale stimato, una visione realistica della cassa integrazione dovrebbe presupporre che il calo è di almeno il doppio.

In questo contesto, nel 2020 il prodotto interno lordo si ridurrà molto più di quanto previsto, numero del resto ancora in fase di discussione. Nel frattempo, il Consiglio dei saggi economici è già passato ad una stima di - 6,5% del PIL, dopo aver indicato un - 2,8% nel suo rapporto speciale di marzo (scenario più probabile), e anche nello scenario più pessimistico era rimasto ben al di sopra della cifra considerata probabile oggi.

È estremamente importante avere un quadro ragionevolmente realistico della situazione attuale e della situazione prevista nell'immediato futuro, per poter consigliare in modo ragionevole i responsabili politici sulla natura e la portata delle misure di sostegno. Finora i  pronosticatori di professione non sono ancora riusciti a farlo. E questo è uno dei motivi per cui la politica è sempre rimasta indietro, invece di fare con slancio un passo in avanti.

Le conseguenze politiche della sottovalutazione

Nel frattempo, il governo federale ha presentato un "pacchetto di stimolo per l'economia", la cui entità (130 miliardi di euro) viene generalmente considerata come significativa e sufficiente. C'è il rischio tuttavia che si ripeta il solito modello dei politici costretti a rincorrere gli eventi, dopo aver sottovalutato in una prima fase l'entità del crollo economico. La coalizione di governo ha adottato un gran numero di misure economiche, e non è affatto chiaro come e quando entreranno in vigore. L'unica misura di ampia portata sembra essere la riduzione di tre punti e per sei mesi dell'IVA .

Ma anche questa misura dal punto di vista quantitativo resta poco impressionante, almeno se si considera quanto sia ampia l'entità della riduzione della domanda da parte delle famiglie. Se il tasso medio di risparmio delle famiglie aumenta di un punto percentuale passando dall'11% al 12% (nel 1° trimestre 2020 il tasso è salito al 12,4% rispetto all'11,1% del 4° trimestre 2019), ci saranno circa 10 miliardi di euro in meno per semestre in termini di consumi (il reddito disponibile totale delle famiglie nel 2019 è stato di 2.400 miliardi di euro, vale a dire 1.200 miliardi di euro per semestre, un aumento del risparmio di un punto percentuale equivale a 12 miliardi di euro in più).

La perdita di reddito dovuta alla cassa integrazione e alla disoccupazione ammonterà a circa 5 miliardi di euro nel 2° trimestre 2020 (tenendo conto dell'indennità per la cassa integrazione). La retribuzione netta media per dipendente nel 2019 era pari a 24.951 euro. Supponendo che le persone colpite da misure di lavoro ad orario ridotto e dalla disoccupazione tendano a guadagnare di meno (solo 20.000 euro di salario netto all'anno) e che si lavori solo per il 50% del tempo (perdita di ore lavorative a causa della cassa integrazione), queste famiglie avranno perso circa 2.500 euro netti, senza calcolare l'indennità di cassa integrazione. Se circa il 70% delle perdite è compensato dall'indennità per il Kurzarbeit (60% per i dipendenti senza figli, 67% per i dipendenti con figli; piu' aumenti parziali tramite i contratti collettivi), rimane una perdita di reddito pro-capite di circa 750 euro netti nei tre mesi del 2° trimestre.

Con circa 6,5 milioni di persone colpite (numero di cassintegrati nel 2° trimestre + 0,5 milioni di disoccupati in più), si dovrebbe tradurre in una perdita di reddito nel 2° trimestre di quasi 5 miliardi di euro. Se con un certo ottimismo ipotizzassimo che le perdite di reddito dovute al lavoro a orario ridotto e alla disoccupazione nel terzo e nel quarto trimestre saranno la metà di quelle del secondo trimestre (in parte perché le misure di chiusura sono state revocate, in parte perché l'indennità per il lavoro a orario ridotto è stata aumentata all'80-87%), ci saranno in totale altri 5 miliardi di euro di perdite reddituali. Ciò si traduce quindi in circa 10 miliardi di euro in meno di reddito disponibile e altri 10 miliardi di euro dovuti ad ulteriore probabile risparmio.

Il governo stima che lo sgravio per le famiglie derivante dalla riduzione dell'IVA sarà di circa 20 miliardi di euro, se il taglio dell'IVA dovesse essere trasferito integralmente ai consumatori. Ciò significa che lo sgravio dovuto alla riduzione dell'IVA, nella migliore delle ipotesi (cioè in un quadro molto ottimistico), compenserebbe il calo dei consumi privati da noi stimato. E' prevedibile inoltre che l'effetto positivo di questa misura nell'ultimo semestre di quest'anno, possa portare invece, già nel primo semestre del 2021, ad una nuova incertezza dovuta ad un calo dei consumi (dopo gli effetti di traino per il 2020, e dovuti ad un ritorno dell'IVA alla vecchia aliquota a partire dal 2021).

Anche il calo della domanda da investimenti sta chiaramente avendo un impatto negativo sullo sviluppo dell'economia. È improbabile che ciò possa essere compensato dalle misure annunciate, dato che l'utilizzo della capacità aziendale è catastroficamente basso. Come già rilevato all'inizio, inoltre, la domanda proveniente dall'estero, molto importante per la Germania, sta crollando senza alcuna possibilità di un rilancio nell'immediato. Il calo dell'80 % del saldo della bilancia commerciale con l'estero ad aprile, rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, non potrà essere attenuato in modo significativo nemmeno da un calo del turismo all'estero dei tedeschi: Il saldo di conto corrente nel mese di aprile, infatti, è diminuito di quasi due terzi rispetto all'anno precedente.

L'enorme surplus di domanda proveniente dall'estero, di cui i tedeschi da molti anni ormai hanno "bisogno" per smaltire la loro produzione - nel 2019 ha superato il 7 % del PIL - e per mantenere a galla il loro modello economico fondato sul dumping salariale, si manifesterà in misura estremamente negativa durante tutta la durata della crisi causata dal coronavirus. La distorsione strutturale verso l'export delle nostre attività produttive nel breve periodo non potrà essere corretta senza molte difficoltà. I lavoratori dei settori interessati, come ad esempio l'industria automobilistica, dovranno pagarne il prezzo con la perdita del loro posto di lavoro o i tagli salariali. L'indennità di cassa integrazione probabilmente è solo l'inizio.

E questo fenomeno ancora una volta é abbastanza simile alla precedente crisi finanziaria: per anni, il dumping salariale è stato utilizzato per costruire e promuovere una struttura insostenibile nel lungo periodo. Nel breve e medio periodo, infatti, i lavoratori dipendenti e i loro salari vengono privati della loro legittima quota di aumento in termini di produttività. I profitti derivanti dalle eccedenze nel commercio con l'estero vengono trattenuti dai datori di lavoro e distribuiti agli azionisti. Se questo modello dovesse crollare, lo Stato dovrebbe intervenire prima con l'indennità di Kurzarbeit, poi con l'indennità di disoccupazione e infine con la sicurezza sociale di base (Hartz IV). Questo non solo sarebbe iniquio, ma soprattutto avrebbe potuto essere evitato se il governo avesse affrontato in anticipo e senza pregiudizi gli aspetti negativi legati al ruolo di campione mondiale dell'avanzo commerciale con l'estero.

Nel complesso, il cosiddetto pacchetto di stimoli economici avrà molti effetti, ma la maggior parte di essi arriverà troppo tardi o comunque non sarà in grado di rilanciare l'economia. Effetti che sono attesi fra tre anni, oggi possono essere tranquillamente ignorati, se l'obiettivo è quello di stabilizzare le aspettative. Anche le misure di sgravio che impediscono possibili oneri aggiuntivi, non avranno alcun effetto positivo diretto sullo sviluppo economico.

Sarebbe stato molto piu' coraggioso se il governo, ad esempio, avesse deciso di abbassare permanentemente l'IVA, aumentare in modo significativo il salario minimo e portare le indennità Hartz IV a un livello doppio rispetto a oggi. Inoltre, dato il rischio di un drastico aumento della disoccupazione, che questa volta in realtà non è dovuto ad un "comportamento errato" da parte dei lavoratori, il sostegno alle indennità di disoccupazione avrebbe dovuto essere regolato in modo molto più generoso aumentando le indennità e prolungando il periodo delle prestazioni.


giovedì 11 giugno 2020

DW - La Germania può difendere i propri interessi strategici?

E' la domanda che si pone la Deutsche Welle, testata online pubblica e da sempre molto vicina alle posizioni del governo di Berlino, dopo gli ultimi scontri fra tedeschi ed americani. A Berlino si augurano apertamente una sconfitta di Trump alle elezioni di novembre, e stanno facendo di tutto per agevolarla, consapevoli che se l'attuale presidente dovesse essere confermato, il livello dello scontro salirebbe ancora e Berlino non potrebbe perseguire i propri interessi strategici. Dalla Deutche Welle, emittente radio-televisiva e testata online pubblica.


La Germania può avere dei propri interessi e perseguirli? La risposta di Washington sembra essere chiara: solo con la benedizione del governo americano! Minaccia sanzioni per le aziende europee che partecipano alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2, già completato al 96 %. Ricordiamo che il gasdotto servirà a trasportare sul fondo del Mar Baltico il gas naturale dalla Russia alla Germania, e da lì verso altri paesi dell'UE, bypassando tutti gli altri stati.

La Germania vive di esportazioni. La sua industria ha bisogno di sicurezza energetica. Per questo motivo l'industria e il governo federale sostengono la realizzazione del gasdotto. Ma Washington sta anche cercando di convogliare nella sua politica tutte quelle riserve che su questo progetto arrivano dagli altri paesi - soprattutto quelle provenienti dalla Polonia e dall'Ucraina.

Un ambasciatore come un agitatore

Ma niente di tutto ciò sembra aver convinto la Casa Bianca. Il Presidente Trump è determinato a fermare questo gasdotto con ogni mezzo possibile. Uno dei suoi agitatori è Richard Grenell, l'ex ambasciatore americano a Berlino. Nel frattempo, il diplomatico poco diplomatico ha dato un contributo significativo alle relazioni bilaterali: si è dimesso il 1° giugno lasciando la Germania.

Un altro forte agitatore contrario all'oleodotto è Ted Cruz, il senatore repubblicano di estrema destra del Texas. Un uomo che alcuni dei suoi compagni di partito definiscono "l'incarnazione del diavolo". Altri dicono: se Cruz dovesse sentirsi male al Congresso, nessuno chiamerebbe il pronto soccorso. Ted Cruz da anni viene sponsorizzato dall'industria  americana del fracking... che vorrebbe vendere il suo gas in Europa. Il loro problema: il gas americano, che tecnicamente può essere prodotto solo con grandi costi, è più caro di quello russo. Washington - chi l'avrebbe mai pensato dell'ex sostenitore dell'economia di libero mercato? - preferisce sottrarsi alla concorrenza. E' molto più facile sventolare il bastone delle sanzioni. Una politica che Trump chiama "America first". Così facendo, però, rischia di danneggiare i rapporti con uno dei suoi alleati più fedeli.


Sebbene elogi pubblicamente la Cancelliera Merkel, sia i media che i rappresentanti del governo invece continuano a ripetere che i loro colloqui sono molto duri. La Cancelliera probabilmente è di tutt'altro calibro rispetto a un capo di governo montenegrino che il Presidente degli Stati Uniti semplicemente spinge da parte quando si mette in mezzo o disturba. Con Merkel questo non è possibile. Lei non si fa intimidire. Il che sembra infastidire molto Trump.

Ritiro di quasi un terzo dei soldati americani

E ora vorrebbe punirla per la sua insubordinazione e ritirare quasi 10.000 soldati americani dalla Germania entro l'anno. La maggior parte dei tedeschi non sembra neanche esserne particolarmente colpita, almeno fino a quando il paese non sarà esposto a una minaccia militare esterna. Dopo tutto, da anni il rumore e l'inquinamento ambientale causato dalle truppe americane sono oggetto di forti critiche. Solo i sindaci e i dirigenti delle imprese presenti nelle città che ospitano le basi americane temono realmente un ritiro delle truppe. Ma soprattutto: gli americani sono presenti in Germania perché è nel loro interesse (da qui vengono controllate tutte le missioni in Iraq e in Afghanistan), ed è anche nell'interesse della NATO. Se Trump ora dovesse ritirare un contingente ancora più grande, farebbe soprattutto del male a se stesso e allontanerebbe ulteriormente gli Stati Uniti dall'Europa.

Il terzo che gode invece sarà la Cina. Ogni conflitto all'interno dell'Occidente rafforza la posizione di Pechino nei confronti di Washington. Per il modo in cui gli americani si stanno comportando, difficilmente potranno contare sull'aiuto dell'UE nella disputa commerciale con la Cina. Al contrario. Berlino a luglio assumerà la presidenza del Consiglio UE. La cancelliera Merkel continua ad attenersi al piano di voler tenere un incontro di tutti i capi di Stato e di governo dell'UE con il presidente Xi Jinping - anche se la data originaria di metà settembre nel frattempo è stata annullata a causa della pandemia di Coronavirus. Tenere un tale incontro immediatamente prima delle elezioni presidenziali americane, sarebbe stata ovviamente una provocazione diplomatica. Trump non sarebbe stato invitato. E come osservatore avrebbe solo potuto twittare.

Sperando per il 3 novembre

Se la sua amministrazione a novembre dovesse essere bocciata dagli elettori, le relazioni tra gli Stati Uniti e la Germania tornerebbero rapidamente alla normalità. Lo sfidante democratico Joe Biden semplicemente capisce che anche la Germania ha i suoi interessi, e che può perseguirli.



lunedì 8 giugno 2020

FAZ - L'Italia ha bisogno di un taglio del debito?

Ristrutturare o non ristrutturare il debito italiano? Friedrich Heinemann dello Zew di Mannheim, dichiara alla FAZ: "quando nel 2022 la fase acuta della crisi sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente, i detentori dei titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare in parte ai loro crediti". Anche Hans Werner Sinn è d'accordo nel far pagare il conto della crisi ai detentori dei titoli di stato italiani. Lars Feld, il consigliere del governo tedesco, invece è molto piu' cauto e tende ad escludere un taglio del debito pubblico italiano. Dalla FAZ e dalla Germania arriva l'ennesimo pistolotto sulla ristrutturazione del debito italiano.




(...) La situazione di partenza quindi è piuttosto tetra. La questione ora è la seguente: per risolvere i suoi problemi l'Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?. Ad ogni modo, un passo del genere non deve più essere considerato un tabù, raccomanda Hans-Werner Sinn, ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco di Baviera. "Per quanto io sia favorevole ad un generoso aiuto finanziario nei confronti dell'Italia: è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei invece di partecipare essi stessi alle perdite", dice l'economista. Sinn fa riferimento al "Club di Parigi", un circolo informale per la negoziazione internazionale nell'ambito del quale solitamente vengono regolamentate tali cancellazioni del debito. "Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito". Dalla seconda guerra mondiale in poi, sostiene Sinn, ci sono state circa 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. "E il mondo non è ancora finito". Anche nell'eurozona, un parziale taglio del debito per l'Italia, non sarebbe affatto una novità. Nel caso della Grecia, infatti, un taglio del debito è già stato effettuato durante la crisi dell'euro del 2012, ed è stato uno dei piu' grandi nella storia della finanza. A questi poi si sono aggiunti i controlli sui movimenti di capitale. "Temo che prima o poi dovremo farne uso anche nel caso dell'Italia, perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo", dice Sinn.

E questa è l'opinione anche di Friedrich Heinemann, esperto di finanze pubbliche dell'istituto di ricerca economica ZEW di Mannheim, il quale prevede: "il Fondo per la ricostruzione, alla fine non sarà in grado di risolvere i drammatici problemi finanziari italiani". Il denaro da mobilitare per gli aiuti è enorme - ma non sarà mai abbastanza per l'Italia. Molto più importante per l'Italia, dice, è che la Banca Centrale Europea (BCE) continui a sottoscrivere diligentemente i nuovi titoli di stato che il ministro delle Finanze a Roma contina ad emettere sui mercati. Ma in ultima analisi, saranno i contribuenti europei ad essere responsabili per i crescenti rischi che gravano sul bilancio della BCE.

Come Hans-Werner Sinn, Heinemann ritiene che non ci sia modo di evitare un taglio del debito pubblico italiano. "Il debito è troppo alto, il Paese non può uscirne", dice l'economista dello ZEW. "Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E, naturalmente, i detentori di titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti". Heinemann vuole far pagare il conto anche ai creditori.

Ma ci sono altri esperti che vedono le cose in maniera diversa. "L'Italia non ha bisogno di un taglio del debito", dice Lars Feld. L'economista di Friburgo presiede il Consiglio dei saggi economici, il cui compito è quello di consigliare il governo federale. In Grecia la riduzione del debito all'epoca si era resa inevitabile, ma questo confronto è fuorviante, spiega Feld: "L'Italia ha una consistenza economica completamente diversa. Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica". Egli conta sul fatto che il paese possa uscire dalla attuale situazione di indebitamento, in quanto la crescita economica sarebbe capace di generare maggiori entrate fiscali.

Un taglio del debito, d'altra parte, probabilmente farebbe piu' male che bene, sottolinea Feld: "Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l'esatto opposto di ciò di cui l'Italia ha bisogno". La Grecia ne è l'esempio ammonitore: il taglio del debito di otto anni fa ha ridotto solo temporaneamente il rapporto debito/PIL del paese. In assenza di una crescita economica, è tornato ad aumentare molto rapidamente - e ora è addirittura piu' elevato rispetto a prima della cancellazione del debito.

Nel caso dell'Italia, anche Feld considera troppo rischioso un taglio del debito. Il problema principale è che i maggiori creditori dello Stato italiano restano di gran lunga le banche italiane, che nei loro bilanci hanno delle quantità enormi di titoli di stato e crediti verso le istituzioni statali. A metà dello scorso anno le banche italiane erano creditrici nei confronti dello stato italiano per un totale di 690 miliardi di euro. Se questi titoli dovessero essere cancellati nell'ambito di una ristrutturazione del debito pubblico, molte banche finirebbero per trovarsi in difficoltà.

"Avremmo immediatamente una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei a causa degli stretti legami creatisi", dice Feld. Le banche francesi, in particolare, hanno dei crediti elevati nei confronti dell'Italia e subirebbero quindi delle perdite massicce. Ma non si tratta solo delle banche. Anche le assicurazioni, i fondi di investimento e altri importanti investitori sono anch'essi creditori dello Stato italiano e sarebbero quindi colpiti da una ristrutturazione del debito.

Ancora una volta, quello della Grecia è stato un esempio ammonitore: la ristrutturazione del debito del Paese nella primavera del 2012 ha portato il panico sui mercati, in una fase già molto critica. "Guardando indietro, va detto che il taglio ha accelerato l'incendio dell'eurocrisi", lo ammette anche Heinemann dello ZEW, sostenitore di un taglio del debito. Per questo motivo non convocherebbe immediatamente quella "conferenza internazionale sul debito italiano" da lui raccomandata, ma lo farebbe solo nell'anno successivo - e anche in quel caso farebbe gravare sui creditori detentori delle obbligazioni solo una parte dell'onere della ristrutturazione. "Ora, nel bel mezzo della crisi economica, non lo si può fare. I mercati sono troppo fragili per una scelta del genere".

Hans-Werner Sinn non nega il rischio di una crisi finanziaria associata a un taglio del debito, ma ritiene che questo rischio sia il minore fra i due mali. La Francia è abbastanza forte per sostenere le sue banche in caso di emergenza, dice. In definitiva, si tratta di soppesare i rischi - e i politici mancano di lungimiranza in questo senso: "Hanno sempre paura dei rischi di breve termine per i mercati finanziari e in cambio accettano rischi che nel lungo termine sono molto piu' minacciosi", critica il Sinn. "Il salvataggio dei creditori tramite una messa in comune del debito erode gli stati e crea il pericolo di un'enorme guerra debitoria in Europa, che potrebbe far crollare l'UE".

Una cosa però deve essere chiara: anche se non ci fosse una nuova crisi finanziaria in Europa, un taglio del debito pubblico italiano probabilmente non sarebbe comunque gratuito per i contribuenti tedeschi. Perché negli ultimi anni la BCE ha acquistato montagne di titoli di stato italiani, e anche la banca centrale sarebbe inevitabilmente colpita da un taglio del debito. La Germania dovrebbe farsi carico di una parte di queste perdite. "La Bundesbank dovrebbe poi essere ricapitalizzata dallo Stato tedesco", dice Sinn. In casi estremi, questo potrebbe costare fino a 150 miliardi di euro.

Qual è la conclusione? Gli argomenti di entrambe le parti possono essere riassunti approssimativamente così: un taglio del debito per un grande paese come l'Italia sarebbe una ripartenza radicale, dopo dieci anni in cui i contribuenti hanno sostenuto direttamente o indirettamente dei costi molto elevati per i salvataggi nella zona euro. Ma i rischi di questo cambiamento di rotta sarebbero notevoli. E se la riduzione del debito possa essere davvero d'aiuto per l'Italia e gli altri Stati dell'euro, nel lungo periodo non è affatto certo. "Non c'è una via d'uscita facile", dice Hans-Werner Sinn. "Ci siamo davvero impantanati".


domenica 7 giugno 2020

Der Spiegel - Bella Italia, wir kommen!

"Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché il piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire", scrive Alexander Neubacher su Der Spiegel. Anche per la cosiddetta "stampa di qualità" l'unione di trasferimento è già iniziata e i contribuenti tedeschi saranno chiamati a pagare il conto per lo stile di vita un po' troppo rilassato degli italiani. Un commento dal tono ironico da Der Spiegel.




L'Italia ha riaperto le frontiere ai turisti. E dato che fra qualche giorno sarà rimossa anche l'allerta sui viaggi all'estero del governo tedesco, non c'è piu' nulla che impedisca di fare una vacanza estiva nel paese della Sehnsucht tedesca: bella Italia, evviva, stiamo arrivando!

Quest'anno, tuttavia, i viaggiatori dovranno fare uno sforzo speciale per non ferire i sentimenti di chi li ospita. Solo poche settimane fa, infatti, nell'Italia martoriata dal Coronavirus, si aveva come l'impressione che l'amicizia italo-tedesca fosse ad un passo dalla rottura a causa dell'avarizia germanica.

Un senatore dei Cinque stelle, partito di governo a Roma, ha detto di averne abbastanza dei "dettami dei nipotini di Hitler". Decine di migliaia di italiani hanno condiviso un video nel quale un noto attore italiano accusava i tedeschi di essere degli "arroganti senza pietà" che si considerano ancora "una razza superiore". Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, invece, ha acceso gli animi accusando i tedeschi di essere egoisti e nazionalisti dopo che il governo di Berlino si era schierato contro i Coronabond.

E' stata davvero una fortuna per i turisti tedeschi, il fatto che Angela Merkel e il presidente francese Macron improvvisamente abbiano deciso di sostenere un programma di aiuti europei da 750 miliardi di euro. La maggior parte dei soldi, oltre 170 miliardi di euro, è destinata all'Italia, 80 dei quali dovrebbero essere a fondo perduto. Quale italiano avrebbe mai potuto credere che i tedeschi sarebbero stati così generosi?

Ad essere considerati degli avari restano gli olandesi, insieme ad austriaci, svedesi e danesi, i quali stanno ancora cercando di fermare quella parte del programma di aiuti a fondo perduto. Ci si chiede dove andranno quest'anno in vacanza gli olandesi.

Come turisti tedeschi, quali sono gli argomenti da evitare per non rovinare subito e un'altra volta i delicati legami tra Germania e Italia? Il mio consiglio è: non parlare di tutto ciò che ha a che fare con i soldi. Ecco alcuni esempi.

 - L'Italia è pesantemente indebitata, ma è già pronta a spendere altri tre miliardi di euro di denaro pubblico per Alitalia, anche se, a differenza di Lufthansa, da anni è in perdita? Lasciate perdere!

- Il produttore di auto Fiat Chrysler otterrà un prestito garantito dallo Stato di 6,3 miliardi di euro? Chiudete gli occhi e lasciate stare!

- Il Ministero delle Finanze italiano ha appena emesso - esclusivamente per i grandi investitori e i risparmiatori italiani - un'obbligazione ad alto tasso interesse, che i risparmiatori tedeschi si possono solo sognare? Non importa, non bisogna apparire meschini.

Se vi state chiedendo perché la famiglia italiana media ha un patrimonio superiore rispetto a quella tedesca, allora fatelo in silenzio. E non siate invidiosi quando verrete a sapere che il vostro co-vacanziero italiano con un reddito piu' basso, dovrebbe incassare fino a 500 euro di ferie pagate dallo Stato, a condizione che i soldi però restino in Italia.

Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire.


sabato 6 giugno 2020

Cosa c'è dietro la svolta europeista del governo tedesco?

A questa domanda prova a rispondere Sven Giegold, economista, eurodeputato e responsabile economia per i Verdi tedeschi, intervistato da Eric Bonse, giornalista freelance. Nell'intervista Giegold ci spiega cosa ci sarebbe dietro la recente svolta europeista del governo tedesco e perché i Verdi stanno cercando di intestarsi la paternità politica del nuovo corso di Merkel. Da Lost in Europe



Prima il "Bazooka", e ora "lo slancio": nella politica finanziaria tedesca sono stati infranti quasi tutti i tabù. Ma anche a livello europeo Berlino si è mossa nella giusta direzione, sostiene il responsabile in materia di politica economica e finanziaria dei Verdi Sven Giegold. Un'intervista.

Bonse: la Commissione UE intende finanziare a debito un programma di ricostruzione da 750 miliardi di euro. Anche la Cancelliera Angela Merkel si è espressa in favore di un debito dell'UE - anche se fino ad ora era sempre stata fortemente contraria. Cosa ne pensa di questa inversione?

Giegold: si tratta di una inversione a 180 gradi della politica europea della Germania. Per inciso, è un'eco tardiva delle elezioni europee dello scorso anno. Gli elettori allora avevano votato per avere più Europa. E ora tutta una serie di falsi tabù tedeschi sull'Europa di fatto stanno cadendo. È difficile credere che anche Wolfgang Schäuble e Friedrich Merz nel frattempo siano diventati favorevoli ad un programma europeo finanziato a debito! E' stato un successo per noi europeisti.

Bonse: a quali tabù si riferisce?

Giegold: mi riferisco alla tassazione europea, che potrebbe anche essere sotto forma di una tassa digitale europea, ai sussidi a fondo perduto invece dei prestiti e alla responsabilità condivisa. I cristiano-democratici e soprattutto la CSU fino ad ora non avevano mai voluto una tassa europea - e ora improvvisamente su questo tema c'è una grande apertura. Anche la Germania non aveva mai voluto trasferimenti - ma ora ci saranno 500 miliardi di euro di sovvenzioni a fondo perduto. E anche per quanto riguarda il debito, a Berlino fino a poco tempo fa si continuava a ripetere: non faremo mai i coronabond e in nessun caso! Ma ora stanno arrivando delle obbligazioni comuni in tempi di coronavirus. E questo rafforza l'Europa!

Bonse: ma il debito dovrebbe restare un'eccezione assoluta, Merkel parla di una misura speciale una tantum.

Giegold: tutti i budget sono unici. L'importante è che ora in Germania abbiamo una narrazione completamente diversa. La coesione europea ha bisogno di una politica fiscale e di investimenti comuni e solidali in Europa. Solo la FDP e AfD non hanno ancora sentito il colpo...

Bonse: come si spiega questa svolta?

Giegold: non sappiamo quali siano stati i veri motivi. Ma credo che la sentenza della Corte costituzionale tedesca sugli acquisti di titoli di stato da parte della Banca centrale europea abbia svolto un ruolo importante. Penso che questa sentenza sia discutibile e pericolosa per il diritto europeo - ma che in Germania ha scatenato un dibattito sul fatto che non possiamo lasciare alla BCE il compito di risolvere tutte le crisi. Il signor Voßkuhle forse merita un mazzo di fiori, dopo tutto quello che ha fatto...

Bonse: che ruolo ha avuto il presidente francese Macron? Per anni, del resto, ha cercato di convincere Merkel ad adottare una politica europea diversa, ci è riuscito?

Giegold: è stato un grave errore da parte di Merkel quello di non aver dato risposte alle iniziative di Macron per così tanto tempo. Alla fine Macron ha cambiato strada e ha coinvolto altri paesi - non solo sui coronabond, ma anche sulla politica climatica. Così facendo ha messo Merkel sotto pressione. Ma probabilmente anche l'Italia ha fatto molta impressione. Il fatto che durante la crisi causata dal coronavirus il sostegno all'Ue in Italia sia crollato, a Berlino ha fatto scattare l'allarme. E poi, naturalmente, la GroKo legge anche i sondaggi d'opinione. E allora è chiaro a tutti che la maggior parte dei tedeschi non sono così avari come si potrebbe pensare. I più capiscono che l'aiuto è necessario.

Bonse: ma gli aiuti hanno anche un rovescio della medaglia: l'UE dovrà rimborsare i debiti fino al 2058, il bilancio dell'UE per gli anni a venire sarà congelato, i sussidi saranno legati alle condizioni della politica economica...

Giegold: il rimborso del debito è ripartito su 38 anni. E' così lungo che il rimborso non avrà alcun ruolo macroeconomico. Il fatto che il quadro finanziario dell'UE non venga aumentato è una concessione fatta ai "Quattro paesi frugali". Ma i 750 miliardi di euro per la ricostruzione significano in realtà un bilancio dell'UE più alto. Potrebbero esserci anche dei sacrifici sbagliati. Ad esempio, il programma di scambio Erasmus potrebbe non essere ampliato. Il Parlamento su questo tema dovrà battersi.

Bonse:  e le condizionalità? La Commissione UE vuole farle rispettare con l'aiuto del "semestre europeo", ma si tratta di un intervento massiccio sui poteri in materia di bilancio dei parlamenti nazionali, senza il controllo democratico!

Giegold: giusto, ecco perché ora si tratta di parlamentarizzare il semestre europeo. Sarebbe un bene se il semestre europeo non restasse solo un esercizio burocratico senza alcun effetto vincolante, come è stato finora. Molte raccomandazioni di Bruxelles finora hanno avuto un'impronta troppo liberista. Le raccomandazioni pertanto ora dovranno essere adottate dal Parlamento. Altrimenti si corre il rischio che le priorità d'investimento vengano fissate senza l'approvazione del Parlamento.

Bonse: cosa ne sarà dell'"European Green Deal"? In molti nei Verdi, ma anche fra i socialdemocratici e la Linke criticano il fatto che nella bozza di Bruxelles sia stato annacquato.

Giegold: il pericolo è reale, poiché solo il 25 % del prossimo bilancio dell'UE sarà esplicitamente destinato alla lotta contro il cambiamento climatico. La protezione del clima deve essere il materiale da utilizzare per la ricostruzione economica. Merkel e von der Leyen, se vogliono l'approvazione del Parlamento europeo, devono fare di più per il clima. Si tratta non solo dell'importo delle sovvenzioni, ma anche della qualità della spesa. Non siamo ancora arrivati al punto.

Bonse:  e i "Quattro parsimoniosi" e gli altri stati dell'UE? Devono ancora dare il via libera e potrebbero di nuovo annacquare il fondo per la ricostruzione e il Green new Deal.

Giegold: il cancelliere austriaco Kurz sta già dando i primi segnali in favore di un compromesso. Almeno io lo interpreto cosi' quando parla di una unione del debito - perché nessuno l'ha prevista! Ma anche se Kurz dovesse mettersi di traverso: alla fine l'Austria e i "quattro frugali" non arrivano nemmeno al 10% della popolazione. I grandi Stati dell'Unione Europea, Germania, Francia, Spagna e Italia appoggiano la proposta. Il fatto che sia stato raggiunto un accordo nonostante la rinazionalizzazione avvenuta nella crisi causata da Coronavirus è un grande passo in avanti.