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lunedì 24 aprile 2017

La lezione tedesca per Trump

Schäuble è volato in America in occasione della riunione del FMI per difendere gli avanzi con l'estero tedeschi dalle accuse di Trump e della sua amministrazione. Der Spiegel pubblica i punti piu' importanti del documento con il quale i tedeschi intendono difendersi. La lezioncina dei primi della Klasse. Da Der Spiegel


Le partite correnti per il governo tedesco non sono un indice di riferimento rilevante, scrivono gli esperti che hanno redatto il documento per conto del governo tedesco. Il motivo: possono essere influenzate solo in maniera molto ridotta da misure di natura politica. "L'avanzo delle partite correnti tedesco è prima di tutto il risultato dell'incontro fra domanda e offerta, fra imprese e consumatori, sul mercato mondiale".

Circa la metà dell'avanzo commerciale sarebbe riconducibile ad elementi strutturali sui quali la politica nel breve periodo non puo' fare molto. Fra questi ci sono: "l'elevata competitività dei produttori tedeschi sui mercati mondiali", ma anche "la struttura delle produzioni complesse e di alto valore qualitativo". In parole povere: la Germania produce ed esporta beni richiesti in altre parti del mondo, che nessun altro paese è in grado di offrire.


Inoltre, nel documento si sottolinea che l'avanzo delle partite correnti tedesco avrebbe raggiunto e superato il picco. Nel 2015 era pari all'8.6% del PIL, nel 2016 era sceso all'8.3%. "Secondo le previsioni attuali l'avanzo corrente con l'estero quest'anno sarà del 7.5% e del 7% il prossimo anno", recita il documento con tono rassicurante.

Anche l'elevato ammontare di attività estere dei tedeschi, secondo il documento, sarebbe una conseguenza inevitabile degli elevati avanzi con l'estero. Sono una conseguenza dell'elevata esportazione di capitali: le imprese tedesche negli anni passati hanno investito molto denaro all'estero per conquistare nuovi mercati, mentre i risparmiatori privati erano in cerca di rendimenti piu' elevati. Gli investimenti esteri generano dei redditi che a loro volta alimentano il surplus delle partite correnti. Questo effetto da solo spiegherebbe circa un quarto degli avanzi esteri tedeschi, scrivono gli esperti governativi.

Dell'export di capitali tedeschi hanno beneficiato prima di tutto gli Stati Uniti. "Gli investitori tedeschi sono fra i piu' grandi datori di lavoro stranieri negli Stati Uniti". Partecipano ad oltre 3.000 società, che con oltre 672.000 occupati generano un fatturato di circa 466 miliardi di Euro. Solo nel 2016 sono arrivati negli Stati Uniti 63 miliardi di dollari di capitali tedeschi. Le imprese tedesche hanno investito fino al 2015 circa 319 miliardi di dollari negli Stati Uniti, cifra che li rende il terzo piu' grande investitore estero.

"L'alta attrattività degli Stati Uniti per gli investimenti di portafoglio esteri deriva anche dalla loro importanza economica e politica per l'economia globale e dal ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale.", ricordano gli esperti tedeschi. Detto diversamente: fino a quando gli Stati Uniti pretenderanno di essere una potenza mondiale, attrarranno capitali esteri, che in ultima istanza significa importare piu' beni di quanti se ne esportano.

Tali squilibri commerciali, piu' volte messi sul banco degli imputati dalla nuova amministrazione americana, continuano gli esperti tedeschi cercando di rassicurare gli americani, non sarebbero in fondo nulla di male, anzi "in un'economia aperta sono la norma". "Sono l'espressione di diversi vantaggi comparati e della conseguente specializzazione produttiva". Detto in tedesco: ognuno fa quello che sa fare meglio.

Piu' pensionati, meno surplus

La causa dei risparmi relativamente elevati investiti all'estero, secondo le valutazioni del governo tedesco, deve essere ricercata nella attuale situazione previdenziale. "Diverse stime parlano di una quota tra uno e tre punti percentuali di avanzo corrente con l'estero dovuti alla situazione demografica", è scritto nel documento. La prospettiva confortante: quanti più' tedeschi andranno in pensione e quindi inizieranno ad utilizzare i loro risparmi, tanto più' forte sarà la riduzione degli avanzi esteri tedeschi.

Gli autori non mettono in dubbio il fatto che uno squilibrio nelle partite correnti "potrebbe giustificare anche misure economiche da parte del governo". Tuttavia la Germania secondo Schäuble e Zypries ha già fatto abbastanza per ridurre il surplus. Fra le misure prese c'è anche il salario minimo, introdotto nel 2015 e incrementato nel 2017. Inoltre, i contribuenti in questa fase elettorale hanno beneficiato di una riduzione delle tasse di undici miliardi di Euro. "Si tratta di misure che aumentano la domanda interna".

Il governo ha inoltre incrementato gli investimenti pubblici nel bilancio federale di quasi il 45% e ha introdotto misure per aumentare gli investimenti privati. "La quota di investimenti in rapporto al PIL nel corso dell'anno dovrebbe crescere dal 20 al 20,2%"

Gli esperti governativi rispondono con veemenza alle accuse degli americani, secondo le quali la Germania si procurerebbe vantaggi commerciali ricorrendo a mezzi sleali: "la Germania non ha alcuna influenza sul tasso di cambio e non applica strumenti protezionistici", scrivono nel documento. Gli stati europei, come anche la Commissione UE, non possono in alcun modo modificare la politica monetaria della BCE.

Da una prospettiva globale, riassumono gli autori del documento, le partite correnti tedesche non sarebbero molto significative. Su scala globale ciò che conta è l'equilibrio complessivo della zona Euro con il resto del mondo. "Cosi' come la bilancia delle partite correnti della California verso la Cina non è l'oggetto della discussione, ugualmente non dovrebbe esserlo quella degli Stati Uniti con la Germania".

Se questi confronti riusciranno davvero a convincere lo staff di Trump tuttavia è discutibile. Wolfgang Schäuble aveva già fatto il confronto scherzoso con la California a metà marzo nel corso della visita iniziale del suo nuovo omologo Steven Mnuchin. Il quale pero' era rimasto impassibile. 

mercoledì 1 febbraio 2017

Le nuove ambizioni egemoniche di Berlino dopo l'elezione di Trump

Quale sarà il ruolo della Germania durante la presidenza Trump? Secondo German Foreign Policy le élite tedesche e i media mainstream vedono in Merkel la sola forza capace di opporsi all'avanzata di Trump: probabilmente resteranno delusi. Da German Foreign Policy


Il governo federale tedesco dovrebbe schierare "l'UE per riuscire a contrastare Donald Trump" e in questo modo diventare "il salvatore del mondo libero". E' questo l'invito che arriva al governo federale dai principali media tedeschi. Per Berlino è arrivato il momento "di diventare il paese leader" nell'UE e assicurarsi la "fedeltà" degli altri stati membri. La Germania deve assumersi "la responsabilità della leadership", scrive Die Zeit. La Repubblica Federale sarebbe "l'ultima grande potenza europea", scrive Die Welt, lanciando una frecciata alla Francia, paese che nella lotta di potere di questi ultimi anni non è stato in grado di tenere il passo con la Germania e per questo ha perso molta della sua influenza. Gli osservatori non tedeschi, tuttavia, mettono in dubbio le ambizioni tedesche di leadership. Nella capitale regnano "trionfalismo e il senso di avere una missione da compiere", racconta Hans Kundnani, esperto di politica estera con una lunga esperienza alle spalle; a Berlino si è diffusa la convinzione di "avere una missione in Europa, quella di guidare gli altri sulla retta via". Nella capitale tedesca si parla molto anche della Francia: i francesi, così si dice, "devono essere messi in riga". Il governo federale nel frattempo lancia un appello per una politica militare comune "e per un'azione congiunta" contro la Russia e contro la nuova amministrazione americana. 

Salvatori del mondo libero

Il dibattito tedesco sulla posizione geopolitica di Berlino dopo l’inizio della presidenza Trump è caratterizzato da aperte ambizioni egemoniche. Il governo federale, subito dopo le elezioni americane dell’8 novembre, ha iniziato a profilarsi sulla scena internazionale come forza in grado di contrastare il vincitore delle presidenziali, in modo da poter radunare dietro di sé i numerosi avversari di Trump; la Cancelliera Merkel, nella sua prima dichiarazione dopo le elezioni americane, ha parlato di una futura cooperazione transatlantica, possibile pero' solo se sottoposta a determinate condizioni – cercando in questo modo di profilarsi sin dall'inizio come l’antagonista liberale di Trump.[1] I politici di governo, gli esperti di politica estera e i commentatori sui media main-stream hanno rilanciato l’idea [2]; il settimanale Die Zeit, un tempo considerato di ispirazione liberal, titolava su Merkel: “leader del mondo libero? Si, certo!” La Cancelliera, è scritto nell'articolo, potrebbe addirittura “diventare la nuova salvatrice del mondo libero”.[3] Con l’avvio della presidenza Trump, i principali media tedeschi descrivono Merkel come “la vera antagonista del presidente americano”: Die Welt [4] scrive addirittura che ha il potenziale “per diventare il leader dell’occidente libero”.

“L’ultima grande potenza europea”

L’interventismo in ambito geopolitico di una parte delle élite tedesche fa da corollario alla frequente esibizione di supremazia di Berlino all'interno dell’UE. Se l’UE “dovesse trasformarsi in una forza antagonista di Donald Trump”, sarebbe “un importante presupposto per un ruolo di primo piano della Repubblica Federale”, scrive Theo Sommer, ex direttore dell’edizione settimanale di Die Zeit: la Germania ora ha “la responsabilità della leadership".[5] Per questo “Berlino deve assicurarsi la fedeltà dei partner europei”. Continua Sommer, abbiamo bisogno di una "nuova narrativa della fondazione" per l'UE, "un'idea convincente per il futuro": "chi altro potrebbe darcela se non Angela Merkel?". Proprio di recente il Presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Wolfgang Ischinger, ha parlato della Repubblica Federale come il "il potere centrale" dell'UE descrivendo il nuovo ruolo egemonico di Berlino. [6] Die Welt scrive addirittura che la Germania è "l'ultima grande potenza europea" [7] -  un colpo basso prima di tutto alla Francia, che nella lotta per il potere con Berlino non è riuscita a tenere testa ed è quindi scivolata in secondo piano.

Il senso della missione tedesca

Da molto tempo ormai gli osservatori non tedeschi criticano le ambizioni egemoniche dell'establishment tedesco. Cosi' il britannico Hans Kundnani che da molti anni lavora a Berlino come Senior Transatlantic Fellow per il German Marshall Fund of the United States (GMFUS) fa un parallelo con l'atmosfera "successiva alla riunificazione tedesca del 1871".[9] Kundnani in un'intervista a Taz.de parla  "del trionfalismo e del senso di una missione da compiere" che si respirano nella capitale tedesca: è diffusa la convinzione "che la Germania abbia in Europa una missione, guidare gli altri sulla retta via". C'è una "tendenza tedesca a pensare: solo noi sappiamo come agire in modo corretto - gli altri in Europa semplicemente non sono in grado di capirlo". Questo atteggiamento è evidente nei rapporti con Parigi. "Mi spaventa il modo in cui, fin dall'inizio della crisi Euro, a Berlino si parla della Francia", dice Kundnani: "alcuni funzionari tedeschi di alto livello oppure i collaboratori di qualche Think-Tank parlano dei francesi con un certo disprezzo: li trovano ridicoli o addirittura stupidi". E' molto diffusa l'opinione: "i francesi non hanno capito nulla e devono essere messi in riga".

La coalizione anti-tedesca

Kundnani tuttavia dubita che alla fine Berlino nel lungo periodo riuscirà ad imporre la sua egemonia nell'UE. Il governo federale con i suoi diktat sull'austerità "negli ultimi 6 anni ha imposto all'interno della zona Euro una politica brutale"; per questa ragione la "leadership tedesca" nell'UE incontra una certa resistenza. In Europa c'è "una pressione strutturale per la creazione di una coalizione antagonista nei confronti dell'egemonia tedesca". Sul "tema della coalizione anti-tedesca, tuttavia, in Europa sono ancora molto divisi": "anche i francesi, gli italiani e gli spagnoli la temono" - perché "eventuali coalizioni anti-tedesche" potrebbero "distruggere l'Europa".[10] Di fatto fino ad ora Berlino è riuscita a superare i tentativi di costruire un simile contro-potere.

Lamentele ingiuste

Per prevenire eventuali nuovi tentativi di creare un contro-potere anti-tedesco, il presidente del Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) Marcel Fratzscher ha recentemente pubblicato un appello. Sicuramente in "Europa ci sono sempre più' rimostranze nei confronti della Germania", ammette candidamente Fratzscher. Tuttavia molto spesso si tratterebbe di lamentele "ingiuste" oppure "dettate dai propri interessi".[11] "Col senno di poi è sempre facile trovare errori nella leadership e criticare gli altri"; mentre la Cancelliera Merkel ha sempre mostrato "una straordinaria tolleranza, apertura e lungimiranza". Per questo "gli altri governi europei dovrebbero smettere di prendersela con la Germania, solo per distogliere l'attenzione dalle proprie debolezze", chiede l'economista.

[1] S. dazu Ein wesentlicher Teil des Westens.
[2] S. dazu Der Trump-Impuls und Make Europe great again.
[3] Robert Misik: Anführerin der freien Welt? Aber klar doch! www.zeit.de 21.11.2016.
[4] Robin Alexander: Mit dieser Strategie will Merkel Trump beikommen. www.welt.de 19.01.2017.
[5] Theo Sommer: Angela Merkel hat das Wort. www.zeit.de 24.01.2017.
[6] S. dazu Die Stunde der Europäer.
[7] Daniel Friedrich Sturm: Mit Sigmar Gabriel geht es nicht. www.welt.de 23.01.2017.
[8] S. dazu Die Abkopplung Frankreichs und Auf dem Weg in die Zweite Liga.
[9], [10] Martin Reeh: "Deutschland ist nur Halb-Hegemon". www.taz.de 03.01.2017.
[11] Marcel Fratzscher: Wird Europa Deutschland die Führung erlauben? www.project-syndicate.org 27.12.2016.



mercoledì 25 gennaio 2017

Lo smarrimento dell'establishment tedesco dopo le prime dichiarazioni di Trump

Sebastian Müller e Heiner Flassbeck su Makroskop ripercorrono le prime dichiarazioni di Trump e le reazioni della politica tedesca. Il mercantilismo praticato dalla Germania è illegale e la posizione tedesca è sempre piu' indifendibile. Da Makroskop.de

Nel nostro paese c'è grande smarrimento dopo l'intervista di Trump alla Bild-Zeitung. Forse qualcuno ha davvero paura che il nuovo presidente americano capisca veramente cosa non funziona nel commercio internazionale?

Quando Donald Trump è stato eletto presidente, noi di Makroskop ne avevamo già parlato. E proprio all'inizio dell‘anno Trump ha minacciato la Cina di imporre tariffe doganali del 45% sulle importazioni cinesi. Era già chiaro dove il viaggio appena iniziato ci avrebbe portato. Poco dopo l'annuncio di Trump sulla Cina, il 13 gennaio Heiner Flassbeck sulle pagine di questo sito scriveva:

"La Germania dovrebbe fare molta attenzione a come Trump si comporterà nei confronti della Cina. In questa partita internazionale anche il paese tedesco – il membro del G20 con il più grande surplus commerciale (pari al 9% del PIL) – ha molto da perdere.

Gli Stati Uniti sono il partner commerciale con il deficit più grande nei confronti della Germania (60 miliardi di Euro). Presto o tardi Trump se ne accorgerà. È probabile che accada proprio quando il suo ministro delle Finanze gli presenterà il Currency Report annuale nel quale vengono elencati, dal punto di vista americano, i più grandi peccatori in materia di commercio internazionale"

Trump tuttavia se ne è accorto molto più' rapidamente di quanto da noi previsto. Dopo appena 2 giorni non solo ha preso atto del grande deficit commerciale nei confronti della Germania, ma in una importante intervista congiunta alla Bild e al Times ha annunciato anche le prime conseguenze. Il neo-presidente ha detto molto chiaramente alla Germania, come aveva già fatto con la Cina, che non è più' disposto a tollerare i grandi avanzi commerciali tedeschi nei confronti dell'America. Il commercio non può' essere una strada a senso unico, è stato il suo argomento principale. Inoltre ha minacciato di imporre dei dazi sui costruttori tedeschi, in particolare BMW, nel caso in cui intendano costruire in Messico le auto per il mercato americano:

"Possono costruire auto per gli Stati Uniti, ma per ogni auto importata negli Stati Uniti pagheranno il 35% di dazio" - Donald Trump

Il mercantilismo tedesco è illegale

Si può' forse non essere d'accordo, quando il presidente della piu' grande potenza economica mondiale ci ripete ancora una volta una verità indiscutibile, e cioè che il commercio non può' essere una strada a senso unico? Si puo' forse dare la colpa a Trump di fare sul serio quando dice di voler ridurre il deficit commerciale estero di 800 miliardi di Euro annui, deficit di cui anche gli altri presidenti americani avevano parlato, senza peraltro aver mai fatto nulla di concreto nei confronti dei paesi in surplus?

Il neo Presidente degli Stati Uniti nel caso di un ricorso al WTO potrebbe addirittura avere ragione. Perché se Trump decidesse di aumentare i dazi sui prodotti tedeschi importati, sarebbe in linea con le regole del WTO: i paesi con un elevato surplus commerciale possono essere legalmente minacciati e in caso estremo anche sanzionati. Dall’articolo XII del trattato GATT del 1947 emerge chiaramente come i grandi avanzi commerciali tedeschi siano illegali:

“…, allo scopo di difendere la loro posizione finanziaria verso il mondo e la loro bilancia dei pagamenti, le parti possono ridurre la quantità di importazioni… nell'esercizio delle loro politiche interne le parti si impegnano a garantire e salvaguardare l’equilibrio duraturo nella loro bilancia dei pagamenti e ad evitare uno spreco nell'impiego delle risorse economiche. Riconoscono che per il raggiungimento di questo obiettivo è auspicabile prendere tutte le misure necessarie per rafforzare il commercio internazionale“

In base a questo trattato, la Germania dovrebbe adottare delle misure per poter garantire un equilibrio nella bilancia commerciale. Dovrebbe in particolare promuovere l’import di merci estere, in quanto nel complesso il commercio internazionale sarebbe rafforzato. Beninteso, questo è un estratto da un trattato che la Germania ha firmato e al cui rigoroso rispetto si è impegnata, con gli altri paesi e con gli Stati Uniti.

Le reazioni del governo tedesco e di una larga parte della stampa non sono affatto giustificate. Il Ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, che dopo il messaggio di Trump alla Germania chiede il rispetto dei trattati internazionali, dovrebbe informarsi meglio, prima di rilasciare certe dichiarazioni arroganti:

“Ci aspettiamo che i nostri partner americani continuino a rispettare gli impegni internazionali e le norme del WTO”

Se fino ad ora la Germania è stata poco ragionevole, dipende probabilmente anche dal fatto che la politica di dumping salariale è stata protetta dal muro difensivo dell’unione monetaria ed in questo modo è riuscita ad evitare le sanzioni del WTO. Ma come spesso accade in ambito giuridico probabilmente fino ad ora è mancato solo qualcuno disposto a fare una denuncia formale.

L'articolo XII del Gatt non è stato fino ad ora preso in considerazione in quanto spesso ci sono stati altri modi piu’ eleganti per fermare l'esuberanza dei paesi con elevati avanzi commerciali. Negli anni '80 ci furono gli accordi di cambio che su pressione degli americani forzarono gli altri paesi ad accettare un deprezzamento del dollaro statunitense con il loro sostegno attivo. Nel caso dei grandi avanzi commerciali cinesi c'è stata invece una pressione verso l'apprezzamento. La Cina alla fine ha deciso di cedere alla pressione politica degli americani facendo aumentare notevolmente i salari domestici e in questo modo ha ridotto la competitività del paese.

I difensori tedeschi del libero scambio.

La critica che i media fanno al protezionismo trumpiano tuttavia si fonda su una doppia morale. Non solo perché anche il governo Obama ha applicato una politica simile nei confronti della Cina con l'introduzione nel settembre 2009 di un dazio del 35% sull'import di pneumatici cinesi. Anche la UE sta attualmente pensando di introdurre un dazio sull'acciaio cinese del 265%, invece dell'attuale 20% - come  sui prodotti americani. La motivazione suona alquanto trumpiana: per salvare l'industria siderurgica europea e contro la "concorrenza sleale".

Una guerra commerciale oppure una guerra valutaria combattuta a colpi di svalutazioni competitive non potrebbe tuttavia essere attribuita agli americani. Si tratterebbe probabilmente molto piu' dell’inevitabile conseguenza di una discutibile strategia commerciale tedesca, come scritto da Heiner Flassbeck nell’articolo sopra menzionato:

"In Germania e in Cina ci si dimentica poi di un altro aspetto: chi costantemente accumula surplus danneggia di fatto i paesi in deficit, inondando il mercato con i suoi prodotti ed esportando disoccupazione. Inoltre, l’incremento del benessere nel commercio estero non viene equamente distribuito fra i paesi in disavanzo e quelli in avanzo. Il Paese in surplus vince sempre, quello in deficit non può che perdere. Ciò contraddice l’idea stessa di libero scambio e la speranza che a trarne vantaggio siano tutti in egual misura."

Proprio in questa prospettiva è necessario interpretare il messaggio di Trump quando sostiene di essere per il libero scambio, ma non ad ogni costo. Il repubblicano avverte chiaramente che il successo dell'export tedesco si fonda su condizioni inique:

"Mi piace il libero commercio, ma deve essere un commercio intelligente, affinché io possa considerarlo anche giusto"

Con una ostinata autoesaltazione e con l’abituale unità di vedute, la stampa tedesca ha reagito in difesa dell’indifendibile posizione tedesca. Jan Schmidbauer, ad esempio, sulla SZ argomenta secondo il tipico punto di vista tedesco: “se i produttori tedeschi in America hanno una presenza più’ forte rispetto a quella dei produttori americani nel nostro paese”, secondo Schmidbauer, “non dipende dalle condizioni commerciali inique, ma dall'elevata qualità delle auto”. Il Ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, che dopo tutto è responsabile per il commercio estero, ha colpito esattamente sulla stessa linea. La sua geniale proposta per ridurre il deficit degli Stati Uniti è:

“Devono costruire auto migliori”

Il suo collega Wolfgang Schäuble non è da meno e sa che gli avanzi commerciali sono fondati sulla forza dell’economia tedesca. E aggiunge, per portare l’assurdità al livello più estremo, "questa economia forte è un importante contributo per l’Europa ed un contributo dell’Unione Europea per l’economia globale".

Ma un commercio internazionale equo non dipende solo dalla qualità delle merci, ma anche e soprattutto dal fatto che la qualità di ogni singolo prodotto si rifletta in maniera adeguata nel suo prezzo. Chi pero’ per anni ha esercitato una pressione politica sulle parti sociali spingendo verso il basso i salari, come è accaduto in Germania, e per farlo si è servito della protezione di un Euro debole (espressione usata da Schäuble), ha di fatto violato sistematicamente le regole del giusto commercio. Un commercio giusto può’ esistere solo se in ogni paese i salari crescono quanto la produttività più’ l’obiettivo di inflazione del paese, e se le differenze negli obiettivi di inflazione fra i diversi paesi sono recuperati con le rivalutazioni e le svalutazioni delle valute nazionali.

L'Europa è uno strumento della Germania

Alla fine, e questo è impressionante, Trump sembra capire (oppure indovinare) che il problema del mercantilismo tedesco non riguarda solo gli Stati Uniti. Il dumping tedesco viene fatto soprattutto a spese dei vicini europei. Che come l'Italia, ad esempio, possono sfuggirgli solo con una posizione di avanzo delle partite correnti, vale a dire con un'alta disoccupazione e molti annti di contrazione economica, e per questa ragione importano sempre meno beni. Quando Trump parla di "Europa come veicolo tedesco", centra il punto, e di fatto rende ridicola la posizione di Schäuble, in maniera incredibilmente precisa. Dopo che l'amministrazione Obama lo aveva chiesto più' volte alla Germania, ora c'è un presidente americano che si leva i guanti e lo dice con parole chiare:

"guardi la Gran Bretagna e guardi l'Unione Europea, che è la Germania. In sostanza, l'Unione Europea è un mezzo per gli obiettivi della Germania. Per questo io penso che per la Gran Bretagna l'uscita sia stata una scelta intelligente...Se me lo chiede, ci saranno altri paesi ad uscire"

La reazione della Cancelliera è arrivata ieri:

"Io credo che noi europei abbiamo il destino nelle nostri mani"

Quello che la Cancelliera non ha ancora capito e probabilmente non capirà mai: gli europei non ci sono piu'. Alcuni nelle prossime settimane, dopo le critiche di Trump, forse avranno anche il coraggio di dire delle verità abbastanza semplici sulle reali cause della crisi europea e sull'egemonia tedesca. 

domenica 27 novembre 2016

Trump e i turbamenti dell'establishment tedesco

Ricevo da Claudio e molto volentieri pubblico. Ottima traduzione di un illuminante articolo pubblicato qualche giorno fa da RT Deutsch sulle reazioni dell'establishment tedesco dopo l'elezione di Trump. Grazie Claudio per la traduzione!


Le reazioni del mainstream tedesco in seguito alla vittoria elettorale di Donald Trump sono particolarmente significative, in quanto palesano il fatto che la Germania non sia semplicemente un vassallo degli Stati Uniti, bensì un componente essenziale del Neoliberalismo

Jean-Jacques Rousseau, uno dei grandi illuministi europei, fu colui che attribuì all'ultima regina di Francia Maria Antonietta la frase “Se non hanno più pane, che mangino brioche1!”, che sarebbe stata pronunciata proprio alla vigilia dello scoppio della Rivoluzione Francese.

Questo motto è divenuto un'icona linguistica per rimarcare la distanza tra le élite e le masse da loro governate; esprime l'ignoranza nei confronti delle esigenze e degli avvenimenti da parte di una classe dirigente immobilizzatasi nel proprio solipsismo, e che generalmente è l'elemento che fa sprigionare l'evento storico della rivoluzione.

Non è invece archiviabile come mera leggenda il fatto che fu Maria Antonietta a optare per una soluzione militare e che fece sfociare gli Stati Generali in un colpo di stato. Il risultato fu un acuirsi delle tensioni che accelerò lo sgretolamento dell'Ancien Régime. Anche in questo caso l'élite riteneva possibile ripristinare l'ordine (da non confondere con la pace) attraverso un intervento militare, nonostante l'inadeguatezza di tale strategia diventasse sempre più evidente con il passare dei giorni: non ci vuole una laurea in Psicologia per comprendere le dinamiche di tale meccanismo.

Eppure, anche nel caso in cui i paralleli con il presente risultino innegabili, la storia non si ripete mai in modo identico. La cognizione circa la dissociazione tra le élite occidentali e la vita quotidiana della maggioranza delle persone è ancora oggi, di nuovo, un tema decisivo. E la sensazione di trovarsi alla vigilia di un nuovo ordine mondiale è stata ulteriormente rafforzata dopo l'elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti. È in questi momenti di sconvolgimento dell'ordine vigente che si manifestano apertamente le fondamenta e l'impalcatura sulle quali poggia l'ordine stesso. Per un istante gli effetti speciali del palcoscenico si inceppano e, nel frattempo, diventa visibile il meccanismo che è adibito alla riproduzione artificiosa della realtà. Questo è quanto è avvenuto quel mercoledì mattina, quando sono diventati definitivi i risultati delle elezioni americane. Questi momenti di scombussolamento si stanno verificando sempre più spesso: la loro frequenza aumenta e ciò indica che qualcosa alla base non funziona più correttamente.

Attraverso il turbamento nella struttura ordinaria dello schema politico generato dal risultato elettorale americano si è potuto riconoscere per un momento il vero volto dell'establishment tedesco. Il rimprovero più volte sollevato nei confronti della Germania, ossia di essere un vassallo degli Stati Uniti, deve essere questa volta sospeso, in considerazione della reazione aggressiva dei politici e dei media mainstream.

Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen esige da Trump una dichiarazione di lealtà riguardo l'alleanza NATO, la Merkel lancia ammonizioni circa il rispetto dei diritti umani e confonde per l'ennesima volta il concetto di identità sessuale, che nulla ha a che vedere con i diritti umani, professando con ciò la sua ignoranza a riguardo. Il populista (in materia economica), nonché Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble si mostra preoccupato per l'indipendenza della FED – la Banca Centrale americana – e, a sua volta, mette in guardia dai populisti. Il Ministro degli Esteri Franz-Walter Steinmeier, che viene proposto come candidato per la carica di Presidente Federale, perde il proprio aplomb diplomatico e per il momento non si congratula per la vittoria elettorale, screditandosi per un qualunque incarico che richieda un certa discrezione. Probabilmente otterrà ugualmente quella carica, giacché, in definitiva, in un Ancien Régime non sono le qualifiche a risultare determinanti, bensì la rete di conoscenze.


Ad ogni modo cosa rivelano questi atteggiamenti inauditamente aggressivi da parte del mondo della politica?

L'ultima copertina dello Spiegel raffigura Trump come una meteora impazzita diretta contro la Terra e annuncia la fine del mondo (come noi lo conosciamo), lo Stern tratteggia un futuro a tinte fosche, lo Zeit non perde l'occasione di imprecare contro gli elettori, il Süddeutsche Zeitung riproduce un respiro agonico, mentre lo Springer Verlag impiega una buona mezza giornata prima di riprendersi, poi però il massacro parte anche lì.
Dopo quasi un anno di resoconti apocalittici sulle elezioni statunitensi, che toccarono l'apice preconizzando un disastro, i media non si sono fermati un attimo mantenendo imperterriti la loro scadente qualità e tentando addirittura di abbassare ancor di più il loro già squallido livello di giornalismo.


Cosa può spiegare questa follia mediatica?

Improvvisamente ai rappresentanti della politica e dei media saltano in mente fatti relativi agli USA che sarebbero stati liquidati come americanismo da strapazzo qualora fossero stati pronunciati solo due settimane prima.


Cos'è successo?

Di attinente con i fatti che si sono verificati o con quanto Trump farà non c'è assolutamente nulla, e in definitiva la campagna elettorale è stata condotta in modo indegno e non certo come una discussione o uno scambio argomentativo. C'è un programma elettorale e un breve discorso in cui Trump, all'indomani delle elezioni, ringrazia i propri elettori e finanche Hillary Clinton per il suo impegno in favore degli Stati Uniti, annunciando la sua volontà di riappacificare i partiti e di essere il Presidente di tutti gli americani. Professa di voler istituire un governo al servizio dei cittadini e annuncia un vasto programma per le infrastrutture, un progetto di crescita nazionale. Parimenti la sua politica estera è improntata alla riconciliazione: Trump vuole certamente perseguire gli interessi degli Stati Uniti mantenendo tuttavia un atteggiamento collaborativo e non ostile nei confronti degli altri Paesi. Ma in realtà lui non aveva mai dichiarato nulla di diverso; stona con l'immagine di psicopatico con cui era stato dipinto e risulta invece essere alquanto ragionevole. “Gli uomini e le donne finora dimenticati non saranno più abbandonati a sé stessi” è la chiosa passionale del suo breve discorso.

Cos'è allora che ha fatto scattare questa furia insensata da parte della politica e dei media tedeschi?Cosa ha indotto i telegiornali che avevano accompagnato in modo orribilmente grottesco le elezioni americane a pubblicare a quattro giorni di distanza dal risultato degli scrutini un articolo in cui si tenta di collegare la vittoria di Trump a un rigurgito di violenza razzista negli Stati Uniti? Nessuna testata giornalistica seria si lascerebbe mai scappare un'affermazione del genere perché nessuna fonte sufficientemente attendibile sarebbe in grado di dimostrarla.

La ricerca va condotta, come al solito, su quanto non viene detto. C'è un particolare della campagna elettorale di Trump che non è stato discusso qui in Germania: il neo presidente aveva annunciato di voler ripristinare posti di lavoro negli Stati Uniti, lanciando in questo modo il guanto di sfida alla Cina. L'agenda politica di Trump prevede dazi doganali e la Cina, come è noto, produce più di quanto consuma; la sua imponente crescita economica degli ultimi anni è dovuta, in larga parte, proprio all'export. Ciò nonostante, ultimamente sta facendo sempre più affidamento sul suo immenso mercato interno, distanziandosi progressivamente dal modello di crescita incentrato sulle esportazioni.

Nel globo terracqueo vi è però un altro Paese che ha promulgato a più non posso questo modello economico, sui cui media il titolo “Campioni del mondo dell'export” viene venerato come il vitello d'oro. Trump è stato il primo presidente americano dopo la Seconda Guerra Mondiale ad aver osato mettere in discussione il paradigma economico tedesco, ritenuto “asociale2” nei confronti del resto del mondo; tale modello consiste, in poche parole, nel contenere i salari nel tentativo di aumentare la produttività, affinché i beni possano essere esportati più facilmente all'estero. Questo però comporta inevitabilmente anche “un'esportazione di disoccupazione”: in questo modo la Germania sta promuovendo la disgregazione dell'Unione Europea (in particolare dell'Eurozona) e si ritrova ormai sul banco degli imputati a causa del suo surplus, che, da un lato, sta compromettendo il benessere degli altri Paesi e, dall'altro, produce un tipo di crescita che richiede inevitabilmente l'esclusione dei dipendenti salariati dai profitti generati, altrimenti il modello di crescita economica andrebbe in tilt.


Con Trump gli accordi internazionali liberistici come il TTIP vengono meritoriamente messi in soffitta.


L'arrivo di Trump rende però anche visibile ciò che finora era rimasto nascosto. Le élite tedesche non sono semplicemente un vassallo degli Stati Uniti, bensì un motore fondamentale di quel consesso che vorrebbe far attecchire in ogni angolo del pianeta la forma attuale di Neoliberalismo. Lo si può notare dal modo in cui salutano la conseguente militarizzazione e la frattura della società. Tale consenso annovera personaggi provenienti dall'intero spettro politico e mediatico: in ogni partito e in tantissimi mezzi di informazione ci sono singoli elementi che perseguono un certo tipo di politica, e nel complesso tutti i partiti e la totalità del sistema mediatico condividono l'agenda neoliberale.

Grazie a Trump è inoltre visibile quanto le élite tedesche abbiano subordinato il pensiero politico in favore delle Relazioni Pubbliche e del Marketing. Da tempo, ormai, non c'è più traccia – e questo ormai lo percepiscono e lo sanno in molti – di una ricerca di alternative e di un compromesso per il bilanciamento degli interessi di tutti i gruppi sociali in gioco; al contrario si procede con la propaganda più convincente possibile di una presunta mancanza di alternative a scapito della maggioranza delle persone. Tutto ciò non è più accettabile.

Gli sconvolgimenti scatenati dalle elezioni americane mostrano anche che in Germania non c'è un'alternativa di sinistra ad un Donald Trump. La sinistra, in seguito alla pressione derivante dalla caduta dell'Unione Sovietica negli anni '90, ha smesso di sollevare la questione della ridistribuzione dei profitti, per rincorrere quella della partecipazione e dell'inclusione. In termini cromatici, bandiere arcobaleno al posto di bandiera rossa. Questo è stato un errore madornale, ormai difficilmente lo si può negare. Gli Antifa sventolano bandiere in una dimostrazione anti Trump davanti all'Ambasciata di Berlino e reclamano pace e il rispetto dei diritti umani. L'imbarazzo, la goffaggine e l'inconsapevolezza che quelle immagini esprimono a livello psicologico fanno male. La sinistra in Germania assomiglia a un piccolo conglomerato conforme al sistema. Grazie a Trump si verificherà un maggior numero di rivendicazioni degne della vera sinistra rispetto a quanto è stato fatto sotto Obama o quanto si sarebbe fatto con la Clinton.

La Germania, i suoi partiti e le sue corporazioni svolgono un ruolo centrale in seno al progetto neoliberale di riorganizzazione del mondo. In quest'ottica la reazione al voto americano diventa facile da interpretare. Si capisce come mai la notizia che il presidente venturo voglia cercare di conciliarsi con la Russia scateni quest'ondata di panico. Per un istante il telone è stato stracciato: pace e accordi con la Russia? Per il ministro della Difesa tedesco, per i politici di ogni partito, per gli articolisti, per gli Antifa, per i gruppi di sinistra, per tutti loro ciò rappresenta un pensiero raccapricciante. Molto meglio lasciare in piedi l'attuale aggressione strutturale.

L'immagine della Russia malvagia, che allunga la sua mano in direzione della pacifica Europa, è stata amplificata. Attribuirle un ruolo così nefasto e minaccioso significa essere spiccatamente disinformati circa gli sviluppi verificatisi nella Federazione Russa; la Russia sta sviluppando assieme ad altri Stati un'imponente rete di progetti all'impronta della collaborazione reciproca: i BRICS, le nuove vie della seta, l'unione doganale e il gruppo di Shanghai dovrebbero essere usati come semplici rimandi a concetti o realtà ben note. E quindi, invece di perseguire questo progetto tutt'altro che irrilevante, alla Russia salterebbe ora in testa l'idea di invadere militarmente la Lituania... non poteva esserci argomento più ridicolo. Il guaio è che questo è il livello della discussione politica in Germania.

In fondo i Tedeschi dovrebbero applaudire un Presidente americano che non ha intenzione di ridurre in cenere nucleare l'Europa; la Clinton sarebbe stata pronta a ciò. Dovrebbero acclamare chi osteggia apertamente il TTIP; la Clinton non avrebbe invece mollato la presa. Dovrebbero schierarsi dalla parte di chi vuole evitare la guerra; la Clinton invece – come ha fatto anche Obama – avrebbe calpestato ogni diritto internazionale pur di attenersi ad un'idea di America che sovrasta gli altri popoli e le altre nazioni.

Ma il fatto che ciò non accada, simbolo di un'evidente ignoranza politica del popolo tedesco, è assai preoccupante.

L'ultima regina di Francia Maria Antonietta aveva origini tedesche. D'altronde lo stesso valeva per la zarina russa Caterina la Grande; il suo nome incarna il fiorire della cultura e del sentimento nazionale russo. La recente tornata elettorale ha dimostrato che la Germania deve decidersi: in questo momento essa si trova avvinghiata all'agenda neoliberale, ponendosi pertanto in modo molto esplicito contro ogni progetto che miri alla pacificazione. Ma la posizione della Germania è sempre più isolata. Dobbiamo veramente attenerci al copione? Di nuovo “Deutschland über alles”? Così non può funzionare.

1 Si tratta ovviamente di una traduzione libera in quanto l'articolo originale riporta: “Se non hanno il pane perché non mangiano torte?”



2 A mio giudizio il termine tedesco asozial ha una valenza connotativa difficilmente traducibile in italiano (cfr. il suo impiego, nell'Umgangssprache, per descrivere gli atteggiamenti e i comportamenti di un particolare strato socio-culturale della società tedesca).