sabato 29 luglio 2017

Un giorno all'Arbeitsamt nella ricca Monaco di Baviera

Hartz IV dovrebbe essere un sistema di sicurezza sociale pensato per aiutare le persone in stato di necessità. Per molti disoccupati e sottooccupati invece si è trasformato in un sistema vessatorio ed inutilmente burocratico dove l'unico scopo sembrerebbe essere quello di scoraggiare le persone che effettivamente hanno bisogno di aiuto. La Abendzeitung racconta un giorno qualsiasi in un Jobcenter della ricchissima Monaco di Baviera. Da abendzeitung-muenchen.de


Sono le dieci al Job-center di Monaco Pasing. Dalla sala riunioni esce una donna sulla cinquantina, schiena curva, le mani serrate intorno ad un bastone da passeggio. Piange. 

La donna si chiama Alaya e da quasi un anno vive senza soldi. Durante il suo lavoro come donna delle pulizie è scivolata nella doccia e da allora non riesce piu' a camminare correttamente. L'AOK (cassa malattia) e l'associazione di categoria non riescono a mettersi d'accordo se si tratta di un incidente sul lavoro e sulla responsabilità. 

Fino a quando questa problema non viene risolto, Alaya non riceverà un sussidio di disoccupazione, sebbene ne abbia diritto. La scorsa settimana le è stato consigliato di fare domanda per Hartz IV. E per questa ragione oggi è venuta al Jobcenter.

Ma il certificato del medico relativo alla sua sua impossibilità di lavorare non è ancora arrivato al Jobcenter. Per questo le hanno dato un appuntamento per l'inserimento lavorativo. Se non si presenta sarà sanzionata. E' al suo settimo appuntamento in un ufficio questo mese. Sulla guancia di Alaya scorre una lacrima.

4.3 milioni di persone in Germania percepiscono un sussidio Hartz IV. Quasi il 10% di loro lo scorso anno è stato sanzionato dal Jobcenter. Essere sanzionati significa una decurtazione parziale o totale dell'indennità. Ogni mese a circa 7.700 persone viene tagliato l'intero sussidio di disoccupazione. Devono farcela senza soldi. Se questa pratica dal punto di vista costituzionale sia legale o meno è un tema ancora controverso.

E' possibile tagliare "un salario di sussistenza? Nell'agosto del 2016 il Tribunale Sociale di Gotha ha portato la questione davanti alla Corte Costituzionale. Ci sarà un giudizio nei prossimi mesi: le sanzioni ledono la dignità delle persone?

E' un triangolo delle Bermuda per i documenti

Michael Kuhn - 31 anni, andatura goffa, voce nervosa - è seduto su una delle panche di legno nel corridoio del Jobcenter e aspetta che il suo numero sia chiamato. Per l'ennesima volta questo mese. Deve presentare un documento, ancora una volta. 

Fino a quando non ci sono tutti i documenti il Jobcenter non può trattare la sua richiesta. E fino a quando la sua richiesta non viene elaborata, non riceverà nessuna indennità di disoccupazione. Ma c'è sempre un documento che manca. "Ogni volta", dice Kuhn, "chiedono documenti, che io ho già consegnato da tempo".


L'avvocato Sonja Hein-Schneide definisce i Jobcenter tedeschi come un "triangolo delle Bermuda". Un "triangolo delle Bermuda" per i documenti. "Quando chiediamo l'accesso agli atti", racconta, "negli atti troviamo spesso proprio quei documenti che secondo i Jobcenter sarebbero mancanti".

C'è bisogno dell'estratto conto del mese di dicembre, dice la signora del centro per l'impiego. "Io non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. Si guarda le mani. "E' un conto Wirecard, non è possibile stampare gli estratti". Cosa si puo' fare? La signora del Jobcenter non è sicura. Kuhn vorrebbe chiedere a Herr L. (impiegato del Jobcenter). Dovrebbe essere qui in poche ore. "Va bene", dice Kuhn.

Una volta un'impiegata del Jobcenter gli ha anche detto di capire perché la gente qui impazzisce. Sempre in attesa. Porta i documenti. Porta altri documenti. Aspetta. "Non c'è da meravigliarsi se le persone impazziscono e prima o poi si danno fuoco", gli ha risposto - e la signora del Jobcenter ha subito chiamato la sicurezza. 2 uomini grandi e robusti "che sembravano i muppets", dice Michael Kuhn.

"Il problema", afferma Martin Steidl, "di solito non è la malafede dei lavoratori dei Jobcenter, ma il sovraccarico di lavoro". Steidl è stato per quasi 30 anni impiegato in diversi Jobcenter in Germania. Da quando nel 2015 è andato in pensione lavora come volontario per il centro di consulenza per i disoccupati di Ver.di.

"L'intero sistema Hartz IV è stato progettato per fare in modo che per i disoccuppati sia il piu' difficile possibile ottenere soldi dallo stato", spiega Steidl. "Si chiama aiuto auto-repellente". Questo significa che "per ricevere l'aiuto dello stato è necessario superare degli ostacoli  cosi' alti che molte persone sono scoraggiate anche solo dal provarci".

Gli impiegati sono pochi e hanno troppo da fare

Quello di cui ci sarebbe davvero bisogno è una maggiore attenzione per gli utenti dei Jobcenter. "Ma i dipendenti sono pochi e hanno troppo da fare - e per farlo non hanno molto tempo".

Ci sarebbe bisogno dell'estratto conto bancario di dicembre, dice Herr L. del Jobcenter. "Non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. "Oh" dice Herr L. Non è possibile chiarirlo in qualche altro modo, chiede Kuhn. Herr L. non è sicuro: "ho inoltrato il suo caso all'ufficio legale", e dice. "Io stesso non posso piu' nemmeno visionarlo". "Va bene" dice Kuhn.

"Questo sistema è stato progettato in maniera cosi' complicata, che non si riesce nemmeno a capire come funziona", dice Tina Mayer - riccioli castani, occhi truccati di nero - si trova davanti al Jobcenter di Monaco Pasing e guarda con occhi socchiusi verso l'edificio. "Mi sto veramente arrabbiando".

Mayer è una madre single e lavora part-time. Poiché i suoi 830 euro mensili non sono sufficienti per sbarcare il lunario insieme alle sue due figlie, ha diritto ad integrare il suo salario con un sussidio Hartz IV.

Almeno fino a tre mesi fa, visto che la sua figlia piu' grande è diventata maggiorenne. "E secondo l'Arbeitsamt ora dovrebbe essere in grado di contribuire al bilancio familiare con il proprio reddito, per questa ragione mi hanno tagliato il sussidio", ci dice.

"Ogni volta che vengo qui, c'è sempre qualcosa che manca"

Sua figlia ha appena finito il liceo, non lavora e quindi non puo' contribuire al bilancio familiare: ha dovuto provarlo al Jobcenter. "Ma ogni volta che vengo qui c'è sempre qualcosa che manca", dice Mauer. Nei mesi scorsi ha fatto debiti, molti debiti: "con 830 € al mese per 3 persone è impossibile pagare l'affitto, i vestiti e il cibo".

Il vero nome di Tina Mayer è un altro. Come per Alaya. Uscire sui giornali con il loro vero nome o la loro foto per entrambe non è proprio possibile. Hanno paura di essere sanzionate dal Jobcenter se si lamentano.

"Non si sa mai quello che puo' succedere", dice Mayer. "Una cosa che ho imparato in questi mesi: quelli del Jobcenter hanno sempre ragione". Sempre."

lunedì 24 luglio 2017

2018 - Odissea in Piddinia

Tobias Piller è il corrispondente dall'Italia per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Sulle pagine del prestigioso quotidiano di Francoforte non perde occasione per raccontare ai tedeschi quanto la situazione italiana sia ormai irrecuperabile e il collasso del Belpaese alle porte. Per Piller, e probabilmente per molti lettori della FAZ, l'Italia resta un paese caotico ed inefficiente, un paradiso di bellezza abitato da un popolo incapace di pensare al futuro. Il giornalista si lancia poi in una profezia funesta: il 2018 sarà l'anno del collasso generale! Grazie Claudio per l'ottima traduzione. Da FAZ.net


All'Italia mancano gli strumenti per un nuovo slancio. La perenne campagna elettorale e una montagna di problemi quotidiani tengono il Paese paralizzato. Il prossimo anno si fa dura

Non è trascorsa nemmeno una settimana nella quale sui giornali italiani non siano comparse brutte notizie: banche stremate, immigrati straziati, caos politico. Il presente di questo superbo Paese è tutt'altro che roseo. Ma la nota più negativa è che l'Italia ha tutte la carte in regola per diventare l'epicentro della crisi europea nel 2018. Fra tutti i Paesi che hanno preso parte al recente G20 l'Italia è quello con le peggiori previsioni di crescita. Anche per questo il debito pubblico è il più elevato di tutti dopo quello giapponese. Eppure questi paragoni internazionali, in particolare quelli che consegnano risultati tanto amari per l'Italia, non interessano la politica romana.

A Roma ruota tutto attorno alle manovre politiche che al momento permettono ai loro protagonisti di restare tranquilli ai loro posti, l'attenzione ricade sugli spettatori nelle innumerevoli discussioni televisive o sul favore riscosso tra gli utenti internet. La stessa crisi dei migranti – con 80.000 sbarchi registrati dall'inizio dell'anno – non partorisce alcuna discussione approfondita in merito alle possibili soluzioni, bensì solo le declamazioni più incisive possibili per le telecamere: “Le ragioni di queste decisioni perverse, in seguito alle quali tutti i migranti sbarcano in Italia, vanno ricercate in oscuri accordi stipulati dal governo Renzi” dice Renato Brunetta, capogruppo del partito di Silvio Berlusconi. Il grande ammiratore della Le-Pen e leader della Lega Matteo Salvini è invece assai più coinciso: “L'Italia sta diventando un immenso campo profughi”.


Solo il 40% dell'acqua piovana

Ci sono parecchi problemi da risolvere intorno alla questione del flusso migratorio. Per anni infatti l'Italia si è abituata a dirottare i nuovi arrivati in direzione Austria e Germania. Adesso invece i profughi, una volta sbarcati, vengono registrati e devono rimanere in Italia. Però 5300 sindaci su 8000 non vogliono alcun centro d'accoglienza sul loro territorio. Perciò gran parte dei 4,5 miliardi di euro destinati all'alloggiamento dei migranti finiscono a delle cooperative non sempre limpidissime, alcune delle quali hanno come unico obiettivo quello di intascarsi il denaro. Questi problemi sono noti da tempo ma l'Italia resta ancora lontana dal poter garantire controlli efficaci e capillari. Molto più semplice lamentarsi continuamente del disinteresse dell'Europa, dal momento che Austria, Germania e gli Stati dell'Europa dell'Est non vogliono farsi carico dei migranti.

Lo stato di emergenza riguardante l'accoglienza e l'assistenza dei migranti è solo uno dei grandi problemi del Paese: vi si aggiungono altre questioni della vita di tutti i giorni. L'agenda quotidiana viene puntualmente scossa da nuovi scandali e spesso le criticità sono rappresentate da problemi ben noti. In questo momento l'Italia sta registrando un'ondata di calore straordinaria e si viene a scoprire – solo adesso – che nel 2017 le piogge ammontano solamente al 40% della media abituale. Il raccolto di riso nella Pianura Padana è minacciato, mentre una gran parte di quello del mais è già andato perduto. I Presidenti di diverse Regioni intendono proclamare lo stato di calamità in modo da ricevere degli indennizzi dallo Stato. Investimenti di lunga durata finalizzati al risparmio idrico nell'agricoltura? Quelli possono pure attendere...

Problemi abituali con l'aggiunta di qualche sgradita sorpresa

Quest'anno però l'emergenza idrica colpisce anche i cittadini che finora ne erano stati risparmiati. Che nelle zone interne della Sicilia città di anche 100.000 abitanti in estate abbiano accesso all'acqua solo ogni due o tre giorni rientra nella normalità. Ora però l'acqua viene razionata anche nell'hinterland napoletano e alcuni paesini vengono riforniti solo grazie alle autobotti. Le notizie riguardanti la penuria idrica sono anche in questo caso accompagnate dai dati circa la perdita d'acqua causata dalle condutture malfunzionanti: a Roma, secondo le statistiche, tali perdite ammontano al 43% dell'acqua trasportata, a Palermo al 45% e a Firenze al 46% (poco meno del 40% la media nazionale). Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti tuona: “Non è più tollerabile che ogni anno per alcune città il periodo di siccità si tramuti in un problema di approvvigionamento idrico”. 

A queste emergenze “abituali” si aggiungono altre sgradite sorprese come gli incendi che d'estate colpiscono le aree boschive. Si presume che alcuni di questi vengano appiccati dai forestali “stagionali” che in questo modo hanno la possibilità di prolungare il loro periodo lavorativo (e con ciò anche i loro stipendi). Quest'anno però è emerso che intere zone siano sprovviste di velivoli antincendio. I media riferiscono che, in seguito all'accorpamento dei forestali nel Corpo dei Carabinieri, la questione circa la capacità operativa dei mezzi antincendio sia stata notevolmente trascurata.

Cumuli di macerie nei paesi degli Appennini

La lista delle emergenze e dei disguidi nazionali prosegue senza sosta. A Roma il deposito dei rifiuti è stato chiuso; in mancanza di inceneritori però una gran parte dei rifiuti viene portata all'estero con i treni. A Napoli un edificio di quattro piani è crollato. Il ponte autostradale crollato a maggio nei pressi di Ancona è solo uno dei tre casi analoghi di cedimento verificatisi in sei mesi. Sempre a Roma uno sciopero di 24 ore indetto da due minuscole sigle sindacali ha paralizzato l'intera città: la motivazione era quella di opporsi a qualunque ipotetica proposta di privatizzazione delle linee dei bus e di rivendicare il “diritto allo sciopero”. A Roma ci sono a stento due linee e mezzo di metropolitana per una copertura di 44 km, un paio di tram obsoleti e bus consumati, senza i quali però il traffico va in tilt. Inoltre resta ancora un mistero il motivo per cui un terzo dei bus cittadini sia bloccato in deposito per manutenzione, mentre i meccanici delle officine dei bus il pomeriggio lavorano altrove. Da una parte non si trova il denaro per acquistare i pezzi di ricambio, dall'altra però si incoraggia l'acquisto delle ruote dei bus in modo da alimentare i fondi neri. Si è scoperto che un sindacalista operava da intermediario e grazie ai prezzi gonfiati riusciva a mettere da parte fino a 7 milioni di euro, ufficialmente per la mensa ma certamente anche per affari privati.

Se l'organizzazione quotidiana risulta così difficoltosa, non sorprende certo che le conseguenze dei terremoti verificatisi ad agosto e ottobre 2016 non siano ancora state superate. Nei paesini degli Appennini ci sono ancora cumuli di macerie. Di recente il sindaco del Comune di Visso ha dichiarato che se non verranno intraprese delle contromisure nessuno dei vecchi abitanti tornerà in paese.

Le emergenze a lungo termine cadono nel dimenticatoio

È possibile far peggiorare ancor di più questo stato d'emergenza? Sì, è possibile; e le cause sono molteplici. In Italia i politici si sentono impotenti dal momento che nessuno può prendere una decisione senza prima aver consultato tutte le autorità competenti in materia. Quando qualcuno alla fine osa intraprendere un'azione, corre il rischio di violare una delle 100.000 disposizioni in vigore, di finire a processo (per un indefinito numero di anni...) per via di una quisquilia e magari di dover anche pagare un risarcimento di parecchie migliaia di euro. C'è poi anche un conflitto di potere tra i diversi livelli decisionali ma soprattutto ci sono le prassi imposte dal clientelismo politico, secondo le quali ogni occasione è buona per ricompensare i propri raccomandati con posti di lavoro, incarichi e denaro. E quando sussiste il pericolo che un avversario riesca a mettere le mani su un incarico – e sulle relative prebende – si passa al contrattacco cercando di bloccare tutto nella speranza di propizi incroci politici.

A parte questi bassi istinti, progetti a lungo termine miranti a risolvere gli annosi problemi italiani rappresentano un'ardua impresa. Molto più appetibile impiegare le risorse a disposizione in provvedimenti come “il bonus aggiornamento docenti” o “il bonus cultura ai 18enni” (in entrambi i casi del valore di 500 Euro), oppure promettere la quattordicesima per le pensioni più basse, 400 Euro mensili di sussidio per i nuclei familiari più poveri e un bonus (al cui finanziamento si provvederà solo in un secondo momento) per le pensioni minime future dei giovani italiani. In prossimità del referendum del dicembre scorso Matteo Renzi aveva annunciato un “bonus mamma” di 800 Euro una tantum, senza però prestare attenzione alle norme di attuazione. Mancano invece i fondi necessari per rinnovare anche nel 2018 le deduzioni fiscali in favore delle imprese, che nel 2017 avevano potuto usufruire di questa “misura-esca” in caso di investimenti.

Non si possono concepire le riforme come regali da elargire prima delle elezioni, anche perché misure analoghe verrebbero poi proposte anche dagli altri partiti politici. E, soprattutto, chi vuole investire a lungo termine, non si può illudere di poter raccogliere i frutti politici di tali decisioni, semplicemente perché i cambi di governo sono troppo frequenti.

Il debito pubblico è salito al 133%

Quando nel 2014 l'allora 39enne Matteo Renzi divenne Presidente del Consiglio, promise di affrontare tutte queste inefficienze. Diceva che non gli stava a cuore il potere, bensì il futuro dei propri figli. Promise tante riforme, ne portò a termine una sola – quella del mercato del lavoro (n.d.t abolizione dell'articolo 18) – per poi spostare l'attenzione sulla riforma elettorale e su quella costituzionale. Per riuscire in questo intento si avviò spedito sul percorso del populismo condito da regali elettorali e slogan antitedeschi. La sua smodata sete di potere ha finito per renderlo talmente insopportabile che per gli avversari di Renzi è stato fin troppo facile convincere gli italiani a rigettare le sue riforme in modo da porre fine alle ambizioni di quel politico sempre più detestato. Risultato: la politica e le tante riforme si sono oramai arenate.

Renzi però è nuovamente a capo del PD, tuttavia all'interno del partito è in corso un'accanita diatriba circa le possibili coalizioni. La destra avrebbe buone chance elettorali se non fosse spaccata tra moderati ed euroscettici. Da qualche parte, nella terra di nessuno, si trova Beppe Grillo, privo di qualsiasi programma concreto ma sempre prodigo di ricette populiste e pronto a scagliarsi contro gli sprechi, il Fiscal Compact e l'ondata di migranti. Per le prossime elezioni del 2018 ancora non c'è nemmeno una legge elettorale in grado quantomeno di garantire proporzioni simili tra Camera e Senato, poiché la proposta di legge è stata ogni volta rigettata dalla Corte Costituzionale in riferimento ad entrambe le Camere.

Se la politica italiana dovesse risultare pressoché incapace di agire proprio nel momento della prossima scadenza elettorale, ciò si rivelerebbe un errore fatale. Perché se da un lato il Paese può tirare avanti per altri due anni con i soliti problemi, dall'altro le condizioni economiche potrebbero generare nel 2018 un collasso definitivo del sistema generale. Il debito pubblico ammonta attualmente al 133% del PIL, cui andranno sommati gli oneri per il salvataggio bancario. Non va però dimenticato che nel 2018 il periodo degli interessi tenuti artificialmente bassi sarà finito. Se l'Italia – come quest'anno – andrà nuovamente a bussare ai mercati per farsi prestare 400 miliardi di Euro, ci si porrà la domanda se un Paese tanto problematico, zavorrato da ostacoli alla crescita e da una classe politica disfunzionale, sia poi tanto degno di credito. Questo quesito ancora non aleggia nei pensieri dei politici romani. Matteo Renzi ha appena lanciato il nuovo motto: “Siamo di fronte a dieci mesi di campagna elettorale”.

[1]          Deposito di Malagrotta, chiuso ufficialmente il 1 ottobre 2013

mercoledì 12 luglio 2017

La nuova frontiera di Hartz IV

Su Hartz IV ci sono pareri discordanti: per alcuni è una manna per altri una condanna. Sicuramente farà molto discutere il nuovo progetto lanciato dall'Arbeitsamt di Brema: disoccupati di lungo periodo offerti come operai o manovali ad imprese private che per ben 5 anni sarebbero quasi completamente esentate dal pagamento dello stipendio e dei contributi sociali, visto che a farsene carico sarebbe lo stato. Per il disoccupato si tratterebbe di una offerta che non puo' rifiutare: i Jobcenter già al primo rifiuto possono far scattare le sanzioni e decurtare l'indennità di sussistenza. Da Junge Welt


Quasi un abitante su sei a Brema vive grazie ai sussidi pubblici di base. La proporzione di beneficiari di un sussidio sul totale della popolazione è solo leggermente inferiore rispetto alla capitale tedesca di Hartz IV, Berlino. Migliaia fra questi disoccupati sono ormai da molti anni senza un lavoro. Il Jobcenter e le agenzie di lavoro della città-stato (Brema) vorrebbero porre rimedio a questa situazione e allo stesso tempo cercare di rendere un servizio all'economia. La loro idea infatti è quella di obbligare i disoccupati di lungo periodo a lavorare come operai o manovali nelle aziende pubbliche o private della città. A pagare lo stipendio, pero', non dovrebbero essere coloro che beneficiano di questo lavoro.

L'iniziativa nasce all'interno del programma federale per la "partecipazione sociale al mercato del lavoro". Il concetto era già stato presentato in marzo dal presidente delle Agenzie federali del lavoro (BA), Detlef Scheele, e dal Ministro del Lavoro Andrea Nahles (entrambi SPD). Il programma è una riedizione del cosiddetto "lavoro civile". Tuttavia c'è una differenza significativa: i lavori sovvenzionati per i disoccupati di lungo periodo non dovranno piu' essere "necessariamente neutrali dal punto di vista concorrenziale". I Jobcenter potranno offrire i disoccupati a costo zero anche alle imprese private.

L'obiettivo sarebbe quello di "creare delle opportunità sostenibili per i disoccupati di lunga durata", ha dichiarato la portavoce del Ministero del Lavoro e degli affari sociali (BMAS), Nadja Jung. Dalle informazioni fornite, il progetto dovrebbe funzionare in questo modo: i Jobcenter potrebbero spedire a lavorare nelle fabbriche, fino ad un massimo di 5 anni, le persone con "difficoltà di collocamento". Il primo anno sarà lo stato a farsi completamente carico dello stipendio. Il secondo anno l'impresa dovrà contribuire con il 10%, nel terzo con il 20% e cosi' via. "L'elevato livello di sostegno pubblico dovrebbe dare al datore di lavoro un incentivo per impiegare i disoccupati di lungo periodo".

Le condizioni per le persone obiettivo di queste misure dovrebbero restare magre come quelle attuali: "dal primo di gennaio gli importi dei sussidi sono allineati al salario minimo per legge pari a 8.84 € l'ora lordi", ha chiarito la portavoce del BMAS Jung. La settimana lavorativa massima è di 30 ore. Un impiego di questo tipo, ad esempio come operatore nei parchi pubblici della città oppure come operaio nelle officine meccaniche, nel complesso dovrebbe essere sostenuto dallo stato con 1.370 € lordi. Nella somma è compresa anche la componente che l'imprenditore dovrebbe pagare per l'assicurazione sociale. L'occupato arriverebbe quindi ad un salario lordo di 1.125 €, netti sono 880 € al mese. Sarà possibile occupare le persone anche per solo 25, 20 o 15 ore settimanali. Il salario netto sarebbe quindi rispettivamente di 734, 589 oppure 445 €. 

Ad essere versati sarebbero solo i contributi per la pensione, la salute e l'assistenza infermieristica, è scritto nel concetto della SPD. La motivazione sarebbe la seguente: "l'esclusione dall'indennità di disoccupazione evita incentivi sbagliati che potrebbero spingere alla conclusione anticipata del rapporto di lavoro e quindi essere una porta girevole in termini di prestazioni sociali". In altre parole: il governo vuole evitare che le persone coinvolte dalle misure acquisiscano il diritto all'indennità di disoccupazione e quindi abbandonino in anticipo il programma. 

Nessuno tuttavia ha voluto chiarire se la partecipazione al progetto sarà volontaria o meno. Si puo' presumere che i Jobcenter come al solito allegheranno ai cosiddetti "posti vacanti" una indicazione sulle possibili conseguenze legali. Questo significa: chi rifiuta una "proposta di intermediazione" senza una "giusta causa" sarà sanzionato. Per i minori di 25 anni si tratta di tagliare per 3 mesi l'intero sussidio sociale. Chi ha piu' di 25 anni dovrà prendere in considerazione una sanzione pari al 30% del sussidio. Le imprese che beneficiano del lavoro potranno essere contente. Così è scritto nel documento di presentazione: "il sussidio salariale di 5 anni dovrebbe mantenere il piu' a lungo possibile le persone occupate innescando quindi il cosiddetto effetto adesivo".

martedì 11 luglio 2017

Secondo il Bundestag un programma nucleare europeo sarebbe perfettamente legale

Il dibattito sulla bomba atomica tedesca, come previsto, è stato insabbiato in vista delle elezioni federali di settembre. Se ne riparlerà probabilmente con il prossimo governo, tuttavia, lontano dai riflettori, prosegue la battaglia dei volenterosi sostenitori dell'arma atomica tedesca. Il Servizio Scientifico del Bundestag, su richiesta del deputato CDU Roderich Kiesewetter, ha dato parere positivo: nel diritto internazionale non ci sono ostacoli legali che impediscano alla Germania di partecipare ad un programma nucleare europeo. Da Telepolis


Il Servizio Scientifico del Bundestag riferisce che secondo il diritto internazionale sarebbe possibile una "condivisione nucleare" e il co-finanziamento di armi nucleari straniere.

Mentre il governo tedesco boicotta la conferenza delle Nazioni Unite per l'approvazione di un trattato sul divieto di proliferazione delle armi nucleari, sul fronte opposto il deputato CDU ed ex ufficiale di stato maggiore Roderich Kiesewetter, capo-gruppo per la CDU/CSU nella Commissione affari esteri del Bundestag, è tornato a sollevare la questione di una bomba atomica tedesca. Nei mesi scorsi ha percio' incaricato il Servizio Scientifico del Bundestag di esaminare gli obblighi internazionali della Germania in materia di armi nucleari con l'obiettivo di verificare la possibilità di "un co-finanziamento di armi nucleari straniere da parte della Germania".

Poiché con la Brexit la Gran Bretagna, in quanto potenza atomica, non poteva piu' essere della partita, si trattava di stabilire se la Germania, direttamente, oppure attraverso la UE, poteva prendere parte alla modernizzazione delle armi nucleari francesi - probabilmente nell'ambito di un programma nucleare interno all'UE. Se è vero quello che "Der Spiegel" scriveva nel 2007, l'allora presidente francese Sarkozy aveva offerto al governo federale una condivisione nucleare. All'epoca il Ministro degli Esteri Steinmeier e la Cancelliera Merkel avevano rifiutato l'offerta.

Il Servizio Scientifico ha pubblicato il suo rapporto in maggio, documento che tuttavia in Germania non ha riscontrato un grande interesse, come riferito da Thomas Wiegold. Tuttavia all'estero la discussione viene seguita con molta attenzione. Wiegold si riferisce ad un articolo comparso sul New York Times di mercoledì scorso, che già nel titolo esplicita le conclusioni, e cioè che un programma nucleare europeo secondo il rapporto finale sarebbe legale: European Nuclear Weapons Program Would Be Legal, German Review Finds.

Il NYT individua nel rapporto una prova del fatto che le riflessioni su di un ombrello nucleare paneuropeo o sul finanziamento di una bomba atomica francese o britannica, da far stazionare anche in Germania, "sarebbero passate dalla fase della discussione informale ai canali ufficiali delle decisioni politiche". Cio' non è necessariamente vero, visto che ogni deputato puo' rivolgersi al Servizio Scientifico del Bundestag, si puo' tuttavia ipotizzare che Kiesewetter non si sia mosso da solo, e che negli ambienti della CDU dopo Brexit e Trump sia iniziata una riflessione sulle alternative tedesche ed europee alla Nato, armi atomiche incluse.

Il Servizio Scientifico tuttavia non individua nessun ostacolo giuridico. Cosi' l'articolo 2 del Trattato di non proliferazione delle armi atomiche (NPT) non vieterebbe una partecipazione ad un potenziale nucleare straniero. Secondo l'articolo ogni stato non dotato di armi nucleari, che ha sottoscritto il trattato, "si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non produrre né altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, e a non chiedere né ricevere aiuto per la fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni nucleari esplosivi". La motivazione appare un po' furba, perché una condivisione nucleare implica che gli stati decidano congiuntamente sull'uso delle armi stesse, e ciò significa che le armi nucleari stazionerebbero in Germania, oppure che la Germania otterrebbe indirettamente il potere di disporne.

Nel trattato "2+4" la Germania unita ha confermato di voler rinunciare alla produzione e al possesso di armi nucleare. Il fatto che la Germania non partecipi ai negoziati delle Nazioni Unite per un accordo sul disarmo nucleare teoricamente non sarebbe di grande importanza. Il governo federale tedesco avrebbe quindi rifiutato di partecipare alla conferenza, non solo in seguito alla pressione degli Stati Uniti, ma anche e soprattutto per lasciare alla Germania una porta aperta? Nel testo all'esame della conferenza ONU ci sarebbe infatti un divieto di supporto e co-finanziamento che il trattato NPT, cosi' secondo la relazione, non vieterebbe "esplicitamente", inoltre nel trattato NPT non ci sarebbe nessun obbligo di completare il disarmo nucleare. Qui pare che si voglia favorire una interpretazione molto originale che intende mantenere lo status quo e garantisce alla Germania l'accesso alle armi atomiche:

"Il trattato NPT voleva di fatto "cementare" lo status quo dell'epoca e limitare il possesso di armi nucleari alle 5 potenze nucleari allora esistenti (USA, URSS, Francia, Gran Bretagna e Cina). Anche il vago riferimento all'obbligo di disarmo formulato dall'art. VI non cambierebbe molto"

Si potrebbe pensare che è stato formulato in questo modo dalle potenze nucleari di allora, ma senza un riferimento estremamente vago all'obbligo di disarmo nucleare, molti stati non avrebbero mai firmato l'accordo.

La relazione del servizio scientifico riporta anche, molto brevemente, che il Ministero degli Esteri avrebbe dichiarato di non essere a conoscenza di un caso in cui la Germania, nell'ambito della "condivisione nucleare" delle armi atomiche americane di stanza in Germania, "abbia partecipato al finanziamento dell'arsenale atomico di uno stato straniero partner della Nato". La relazione affronta molto brevemente anche un altro punto discutibile, soprattutto in considerazione del fatto che la Germania ha aderito al TNP nel 1975: "nella stampa specializzata viene riportato un presunto co-finanziamento da parte della Germania che avrebbe avuto luogo sotto il piu' stretto riserbo e che riguarderebbe l'arsenale nucleare di Israele negli anni '50 e '60; di queste informazioni tuttavia non esiste una conferma ufficiale".

Mentre nell'UE prima del co-finanziamento sarebbe necessario stabilire le regole relative ad un bilancio militare comune, presumibilmente per la Germania ci sarebbe già la luce verde:

"Nel complesso la mancanza di casi precedenti di co-finanziamento di un potenziale nucleare straniero non ne escludono la possibilità. Anche nel diritto internazionale  non ci sarebbe un divieto per la Germania di finanziare e sostenere un potenziale atomico straniero".

E poiché nel quadro giuridico internazionale non esiste il divieto di possedere armi nucleari oppure di modernizzare il proprio arsenale, il sostegno finanziario a questo potenziale non sarebbe in nessun caso un aiuto finalizzato alla violazione di norme internazionali. Ad essere proibita sarebbe solo la realizzazione di una propria bomba atomica. Tuttavia il documento menziona anche il fatto che il co-finanziamento di armi nucleari francesi o britanniche non avrebbe molto senso, dato che l'impegno alla difesa da parte della Nato e dell'UE, in ultima analisi, includerebbe anche l'assistenza nucleare in caso di attacco contro la Germania. Per questa ragione non ci sarebbe bisogno di una condivisione nucleare. Che pero', in considerazione della imminente uscita della Gran Bretagna dall'UE potrebbe essere interessante sia per la Germania che per la Francia al fine di modernizzare ed espandere il potenziale nucleare francese e per muovere i primi passi in direzione di una UE indipendente dalla Nato.

sabato 8 luglio 2017

Le riforme prossime venture ovvero quando un Jobcenter di Berlino obbliga una giovane madre a lavorare in un sexy shop

L'importanza di fare le riforme strutturali, anche in Italia, ma come funziona esattamente Hartz IV in Germania? La storia di una giovane madre di Berlino, laureata in fisica, è esemplare e chiarisce la natura di Hartz IV, un sistema burocratico e dal carattere spesso vessatorio. Il Jobcenter di Berlino-Pankow vorrebbe obbligarla a lavorare in un sexy shop per integrare il suo salario con l'indennità Hartz IV, la giovane donna si oppone alla minaccia di sanzioni. Grazie Claudio per l'ottima traduzione! Da berliner-zeitung.de


Frigga Wendt ha 36 anni, è madre di un bambino, ha studiato Fisica all'Università “Humboldt” e lavora come libera professionista presso associazioni, laboratori didattici e scuole. Però, secondo il Jobcenter di Pankow, il suo prossimo posto di lavoro sarà in un sexy-shop, dove venderà riviste e giocattoli erotici. La donna si è vista recapitare l'offerta, con tanto di intimazione a presentarsi al colloquio di lavoro, ma si è rifiutata, sporgendo a sua volta denuncia per coercizione.

“Quando ho letto la lettera non potevo credere ai miei occhi” dice la donna al Berliner Zeitung. “Mi era già capitato di fare esperienze del genere con il Jobcenter ma questa volta si è verificato un vero e proprio salto di qualità. Non ho alcuna intenzione di vendere dildo per nove euro l'ora, tantomeno quando provano a costringermi con la minaccia di eventuali sanzioni”.

Invece di inviare la propria candidatura (come richiesto dal Jobcenter), scrive direttamente una lettera di rifiuto al negozio erotico che si trova nei pressi del quartiere Kurfürstendamm. Nel frattempo invia anche una motivazione al suo diniego pubblicata sul sito internet del negozio: “Non sono i vostri dildo ad essere perversi, quanto il ricatto con cui vorreste obbligarmi a venderli. E tutto ciò a discapito di mio figlio e del mio lavoro con gli altri bambini. Nel caso in cui il Jobcenter volesse avere informazioni sulla mia candidatura, rispondetegli semplicemente che io non sono interessata a questo lavoro, senza fornire loro ulteriori indicazioni”.

Ciò non significa certo che Frigga Windt sia una scansafatiche disoccupata da parecchio tempo. “Vado nelle scuole, negli asili, nei laboratori didattici e lì faccio assieme ai bambini esperimenti tecnici, avvicinandoli in questo modo alla Fisica”. Però, dal momento che la sua condizione di libera professionista non le consente di guadagnare abbastanza per poter provvedere a sé stessa e a suo figlio, il Jobcenter le riconosce il diritto di vedersi integrato il proprio reddito con quanto le manca per raggiungere la soglia minima di sussistenza.

“Questo però non li autorizza a costringermi a lavorare in un sexy-shop”.

Da un punto di vista morale Frigga Wendt ha ragione, dal punto di vista giuridico invece la questione è assai controversa. Dopo la diffusione di questa notizia è intervenuta la presidente della Linke Katja Kipping (39 anni), la quale ha interpellato direttamente il Governo Federale per sapere se un'offerta di lavoro in un sexy-shop vada considerata un obbligo inderogabile.

“Il sottoporre proposte di mediazione nell'ambito del commercio e della distribuzione di materiale erotico non cozza con alcun principio giuridico”. Questa è stata la risposta del Segretario di Stato e parlamentare della SPD Anette Krame (49 anni). “In casi del genere però è necessario procedere con la dovuta cautela in modo da non ledere i diritti individuali”. Un eventuale rifiuto non dovrebbe pertanto comportare alcun tipo di sanzione. Ad ogni modo Frigga Windt è indignata. L'oscena offerta di lavoro l'ha talmente inquietata che ha ormai deciso di sporgere denuncia – per coercizione – nei confronti del Jobcenter di Pankow.

venerdì 7 luglio 2017

Hans Werner Sinn: "il boom immobiliare tedesco potrebbe durare fino al 2025"

Intervista molto interessante ad Hans Werner Sinn su die Zeit: il professore, ormai in pensione, torna ad ipotizzare un lungo boom immobiliare per la Germania, potrebbe durare fino al 2025; torna a parlare anche della crisi dell'Euro e lascia trapelare un certo pessimismo per quanto riguarda l'Europa del sud, secondo Sinn la strada imboccata da Merkel  porta all'unione di trasferimento. Da Die Zeit


Le aspettative sono alte quando si incontra il professor Hans Werner Sinn per un'intervista. E’ senza dubbio l’economista tedesco piu' conosciuto nonché ex-presidente dell'Ifo e anche ora che è in pensione non perde occasione per scagliarsi contro gli eurosalvatori e i loro errori, per mettere in guardia dalle conseguenze fatali della Brexit, oppure per evidenziare i peccati del governo federale. Sinn non ha mai avuto paura di utilizzare parole come fallimento, rovina o bancarotta di stato. Per questa ragione alcuni lo chiamano "professor senza pietà". Altri dicono che è il "dr. Doom della Germania", il profeta del crollo economico. Di crisi ne ha profetizzate diverse - crisi dell'Euro, crisi del debito e crisi economiche. 

Per lo meno ci si aspetta un Hans Werner Sinn di buon umore e rilassato, che si dà la carica con un Espresso, che apre le finestre, in modo che nell'ufficio con i pannelli di legno anche 2 persone possano respirare con le alte temperature estive. E poi inizia dicendo: "la Germania va bene".

L'ha detto veramente? "Si' la congiuntura è ottima, l'indice Ifo è al livello piu' alto mai raggiunto dal 1991, la disoccupazione al livello piu' basso degli ultimi decenni. Anche l'export sta andando molto bene". Ma poi dice anche: "se continua cosi' ci avviciniamo ad una zona di surriscaldamento". La crisi è ancora qui, almeno come possibilità futura. Perchè dopo ogni surriscaldamento segue tradizionalmente una crisi, giusto? Sinn non vuole trarre delle conclusioni troppo scontate: "naturalmente non potrà andare avanti cosi' per sempre, niente dura in eterno. Per il momento tuttavia possiamo essere soddisfatti della buona situazione economica".

"Non siamo ancora in una fase di boom"

Al momento. E quanto puo' durare ancora? Molti economisti vedono la crescita, ma siamo già nel boom? Il boom è il punto piu' alto, poi si torna a scendere. La Germania non è ancora arrivata a questo punto, almeno cosi' dice la maggior parte degli economisti, i salari restano ancora troppo bassi e i prezzi non sono ancora cresciuti abbastanza - se si fa un confronto con le fasi di ripresa del passato. "Comprendo questo argomento", dice Sinn. "Un boom in questo senso, probabilmente non lo abbiamo, siamo ancora nella fase di crescita. La congiuntura pero' è forte".

Come fa ad esserne cosi' sicuro? Dal basso livello della disoccupazione, dagli ordini degli architetti, che secondo i dati Ifo hanno già raggiunto i livelli massimi toccati durante il boom successivo alla riunificazione, e dalla forte crescita delle costruzioni nelle aree metropolitane. Sinn paragona il boom edilizio attuale con quello sperimentato dalla Germania negli anni '70. Inoltre, ci dice che aveva predetto la lunga fase di crescita immobiliare già all'inizio del 2010 "ma all'epoca nessuno voleva ascoltarlo. Nel frattempo abbiamo saputo che è iniziato proprio quell'anno". Recentemente anche la Bundesbank ha messo in guardia: nel mercato immobiliare si sta gonfiando una bolla immobiliare.

Nel complesso, secondo la statistica, un boom edilizio puo' durare anche 15 anni, "almeno la metà di questo periodo l'abbiamo alle spalle", secondo Sinn. Restano circa 7 anni. La ripresa economica tedesca in ogni caso "nel 2018 proseguirà a pieni giri". Cosi' almeno è previsto dall'istituto Ifo e dal Fondo Monetario Internazionale. Ma la Germania è veramente forte e stabile? E non ci sono già molti economisti che si sono sbagliati?

Sinn continua con i suoi avvertimenti.

Nel suo libro di maggior successo il professore si domandava se "La Germania puo' ancora essere salvata?”: i salari nel nostro paese sono troppo alti e la Germania a livello internazionale non è competitiva. Scriveva nel 2003. Negli anni successivi si è scagliato anche contro il salario minimo e contro gli avanzi commerciali con l’estero. Ancora oggi è d'accordo con quanto scriveva allora. Solo sul livello dei salari prova a relativizzare: "è passato molto tempo, ma era giusto", dice Sinn, "all'epoca eravamo il paese con il costo del lavoro piu' alto del mondo".

Negli anni successivi Schröder ha attuato le riforme previste dall'agenda 2010. Riforme che hanno portato ad una maggiore disuguaglianza salariale e ad una crescita ridotta delle retribuzioni. Negli anni successivi la disoccupazione di massa fra i lavoratori a basso salario ha iniziato a scendere. Lo dice spesso, e aggiunge: "Io credo che Schroeder all'epoca abbia imboccato la strada giusta, ma avrebbe dovuto proseguire con piu' convinzione. Perchè in realtà non dovremmo avere alcuna disoccupazione. Quando io studiavo, intorno all'anno 1970, nella Germania occidentale c'erano solo 150.000 disoccupati. Una piccola frazione del livello di oggi".

Nonostante cio' la Germania ha fatto i suoi compiti a casa, giusto? "E' stato fatto il necessario", secondo Sinn, "ma non tutto quello che c'era da fare. Abbiamo un gigantesco problema demografico, che non siamo in grado di risolvere. E abbiamo un problema con il sistema pensionistico - anche qui il treno è già passato". Inoltre la Germania esporta troppo. L'avanzo delle partite correnti è troppo grande a causa della sottovalutazione dell'Euro. "La Germania vende le sue esportazioni ad un prezzo troppo basso e per i suoi avanzi con l'estero ottiene dei titoli di credito che in futuro potrebbero non avere alcun valore. E una parte di queste esportazioni viene pagata solo con dei crediti contabili, di fatto è la Bundesbank che finanzia la metà del surplus".

E questo suona come uno dei tipici avvertimenti di Hans Werner Sinn quando si preoccupa seriamente per la competitività della Germania e dell'Europa. Il salario minimo nel complesso continua a considerarlo un errore. In uno studio di alcuni anni fa, al quale aveva preso parte anche un ricercatore dell'Istituto Ifo, era stato calcolato che l’introduzione di un salario minimo alla Germania sarebbe costato 900.000 posti di lavoro. In realtà dalla sua introduzione sono stati creati circa 5 milioni di nuovi posti di lavoro. Questo non smentisce la sua tesi?

 "Chi ci dice che senza il salario minimo non sarebbero stati addirittura di piu'?, domanda Sinn, "lo studio non conteneva nessuna previsione incondizionata, calcolava solo un effetto differenziale". La sua prova: nell'est, dove il salario minimo a causa di un piu' basso livello dei salari ha una maggiore efficacia, la dinamica occupazionale è stata piu' contenuta rispetto agli altri Laender. La sua conclusione pertanto è la seguente: "Il salario minimo non appartiene ad una economia di mercato. Nelle fasi di recessione diventa addirittura un ostacolo. Io abolirei il salario minimo e al suo posto introdurrei un sostegno al redditto con dei sussidi salariali per le fasce retributive piu' basse". Tutto il resto non è compatibile con le regole di una economia di mercato. "Ma a volte il paziente semplicemente non ne vuol sapere".

I problemi causati dal denaro a basso costo si stanno accumulando

O i medici, o in questo caso anche i politici, "che non sono degli economisti". Perchè non conoscono le leggi dell'economia di mercato e preferiscono moralizzare invece di lasciare al libero mercato e alla concorrenza la definizione del livello dei salari. La sua accusa piu' dura: "a causa della sottovalutazione dell'Euro e per mano di politici navigati stiamo consumando i nostri vantaggi competitivi. Di queste misure fanno parte il salario minimo, la chiusura delle centrali nucleari, la sistemazione di molti migranti economici da paesi non UE, il pensionamento anticipato e molto altro".

Dal suo punto di vista la causa del boom attuale è una sola, "la sottovalutazione dell'Euro". La bolla del credito nel sud Europa e il corso dell'Euro hanno contribuito ad inflazionare le economie del sud-Europa ed hanno reso la Germania relativamente piu' conveniente. L'espansione monetaria ha portato ad una svalutazione dell'Euro. "fino a quando noi continueremo ad investire e il sud continuerà a ricucire la mancanza di competitività con sempre piu' denaro, l'Euro starà in piedi". E fino a quando la BCE continuerà a inondare i mercati con sempre piu' liquidità, il corso dell'Euro resterà basso, "serve a tenere artificialmente alta la competitivà della Francia e del sud-Europa". Ma allora le esportazioni tedesche non sono una benedizione per noi? No, dice Sinn: "la Germania è il negozio nel quale il mondo si rifornisce di merci, dove pero' solo la metà delle merci viene pagata, perché la Bundesbank finanzia l'altra metà". E tutto cio' non è sostenibile.

Secondo Sinn non esiste un modo indolore per uscire dalla miseria attuale in cui si trova il sud-Europa - ci sono solo 4 possibilità: "Prima possibilità, si potrebbe creare una unione di trasferimento con il denaro tedesco. Seconda, l'Europa del sud dovrebbe accettare un trattamento drastico per ridurre i prezzi gonfiati e riportarli di nuovo ad un livello normale. Terza, si potrebbe inflazionare la Germania, per compensare l'inflazione eccessiva dei paesi del sud creata nel periodo precedente la crisi. Quarta possibilità, si potrebbe creare un'unione monetaria aperta con la possibilità di uscire per quei paesi che nell'Euro sono diventati troppo cari".

La sua scelta preferita ovviamente è la quarta opzione, ma è Angela Merkel ad averla esclusa, visto che tende molto di piu' verso una unione di trasferimento, come del resto anche il nuovo presidente francese Emmanuel Macron. Solo l'uscita dei singoli paesi potrebbe forse ancora impedire il loro fallimento. Fino a quando i politici e la Cancelliera non prenderanno in considerazione questo scenario, Hans Werner Sinn continuerà a scrivere e a discutere sul tema.

Nella situazione economica attuale Sinn è ottimista oppure pessimista? In sostanza è entrambi, dice: "Per la Germania sono ottimista - per l'Europa del sud, no".

martedì 4 luglio 2017

I 3 fronti tedeschi

Ottimo riassunto di German Foreign Policy sulla politica estera di Berlino. Come nella prima guerra mondiale i tedeschi sono impegnati su 3 fronti: sul fronte occidentale Merkel sta cercando di isolare Trump all'interno del G20; sul fronte orientale prosegue lo scontro, anche militare, con la Russia, che di fatto cancella quello che restava della Ostpolitik avviata da Brandt; mentre sul fronte europeo la Germania è impegnata a domare la resistenza del cosiddetto "Gruppo di Visegrad". Sullo sfondo ovviamente restano le ambizioni egemoniche di Berlino. Da German Foreign Policy


Guerra di potere per il gas

Con alcune dichiarazioni insolitamente taglienti il governo federale tedesco nei giorni scorsi ha preso posizione contro gli Stati Uniti. L'occasione è stata l'approvazione da parte del Senato americano di una legge che prevede un rafforzamento delle sanzioni nei confronti della Russia. Diversamente dalle sanzioni precedentemente approvate, questo provvedimento non era stato preventivamente discusso con Berlino e contiene un passaggio che va esplicitamente contro l'ampliamento a due ulteriori condotte del gasdotto Nord Stream, come previsto dal progetto realizzato dal consorzio internazionale di cui fanno parte la russa Gazprom e le tedesche Wintershall (BASF) e Uniper (E.ON). Nel provvedimento approvato Washington dichiara esplicitamente la sua opposizione al gasdotto "Nord Stream 2". Se la proposta, che deve ancora essere approvata alla Camera, dovesse diventare legge, allora le aziende che partecipano al progetto Nord Stream 2 potrebbero temere delle sanzioni in America. A ciò' si aggiunge il fatto che il provvedimento prevede un sensibile aumento dell'export di gas americano ottenuto dal Fracking "allo scopo di creare posti di lavoro in America". Il provvedimento lascia intuire che in futuro il gas di scisto debba essere esportato anche in Europa - al posto del gas russo.

Inaccettabile

In passato il governo federale quando le proposte di Washington danneggiavano gli interessi economici tedeschi era solito reagire con iniziative diplomatiche, questa volta invece il Ministro degli Esteri Gabriel ha pubblicamente assunto una posizione molto forte contro la proposta di legge. "Non possiamo accettare la minaccia di sanzioni extraterritoriali illegali contro imprese europee che partecipano allo sviluppo dell'approvvigionamento energetico europeo", ha detto Gabriel in una dichiarazione congiunta con il Cancelliere austriaco Christian Kern subito dopo l'approvazione del disegno di legge da parte del Senato americano. L'operazione porta ad una "dimensione nuova e completamente negativa nelle relazioni euro-americane". E' in gioco "la competitività della nostra industria ad alta intensità energetica". "L'approvvigionamento energetico dell'Europa è una questione europea", hanno commentato Gabriel e Kern: "chi ci deve consegnare l'energia e in che modo, lo decidiamo noi". [2] La presa di posizione di Gabriel è apertamente sostenuta anche dalla Cancelliera Angela Merkel. Washington procede in maniera "ostinata e sorprendente", ha detto il portavoce del governo Steffen Siebert. [3] Se Washington dovesse andare avanti con il suo piano, allora saremmo costretti a prendere contromisure, si dice a Berlino.

L'antagonista di Trump

Anche con l'ultima presa di posizione Berlino continua a portare avanti il riposizionamento della Germania nei confronti degli Stati Uniti, manovra iniziata subito dopo la vittoria elettorale di Donald Trump. Alla fine di maggio la Cancelliera aveva detto "noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani"; le sue dichiarazioni, sia a Berlino che a Bruxelles, avevano incontrato un'approvazione generale. Il Ministro degli Esteri Gabriel aveva addirittura diagnosticato "la fine degli Stati Uniti come nazione importante". Allo stesso tempo Berlino cerca di sfruttare la presidenza del G20 per sostenere le proprie ambizioni di leadership globale. La Cancelliera Merkel nelle scorse settimane ha viaggiato in alcuni paesi del G20 per promuovere le posizioni tedesche in tema di commercio internazionale e politica climatica in vista del vertice G20 di Amburgo. Recentemente è anche riuscita ad ottenere l'appoggio di Argentina e Messico. Al vertice, secondo il giudizio lapidario di un commentatore, "sarà considerata, che lo voglia o meno, come l'avversaria di Trump" [6]. Il Ministro degli Esteri Gabriel, in maniera alquanto dispregiativa, recentemente ha iniziato ad etichettare con il termine "trumpizzazione" le aggressioni in politica estera -  un passo che nel mondo della diplomazia e nei confronti di uno stretto alleato è alquanto insolito, per usare un eufemismo, ma che lascia chiaramente trasparire le ambizioni egemoniche globali di Berlino.

In marcia contro la Russia

Contemporaneamente Berlino minaccia una intensificazione dello scontro con la Russia. Mentre il governo federale la scorsa settimana si è pronunciato contro Washington, il Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier venerdì in un'intervista ha ribadito che "non possiamo aspettarci un riavvicinamento fra l'Europa e la Russia"; al contrario, è molto più' probabile un peggioramento delle relazioni fra le due parti: "se Mosca dovesse tentare di influenzare le elezioni politiche tedesche", allora "la possibilità di trovare un accordo diminuirebbero drasticamente". [8] Il governo federale ritiene necessario e giusto mantenere la Russia sotto pressione, anche dal punto di vista militare. Il prossimo fine settimana terminerà la piu' recente manovra Nato in Europa orientale, addestramento che prevedeva una forte partecipazione tedesca e che aveva l'obiettivo di verificare le capacità di difesa dell'Estonia e della Lettonia contro un nemico fittizio - che di fatto in questo caso è proprio la Russia. Un ruolo centrale è svolto dal corpo multinazionale del nord-est nella polacca Stettino, che funge da comando centrale per la gestione delle forze di terra coinvolte, il cui comando delle operazioni è stato assegnato al generale tedesco Manfred Hofmann. Anche i soldati tedeschi di stanza in Lituania presso Rukla prendono parte all'esercitazione.

La base della potenza mondiale

Berlino sta inoltre aumentando la pressione all'interno dell'UE sui quei paesi che rifiutano i piani tedeschi per l'Europa. Nelle scorse settimane la Commissione Europea ha infatti annunciato un'azione legale nei confronti di Polonia, Rep. Ceca, Ungheria e Slovacchia, in quanto questi paesi non sarebbero disponibili ad accogliere i profughi dalla Grecia e dall'Italia e in questo modo si rifiutano di applicare un provvedimento approvato dalla maggioranza dei ministri degli interni dell'UE nel settembre 2015. La Rep. Ceca, la Slovacchia, l'Ungheria e la Romania all'epoca avevano votato contro il provvedimento; Slovacchia ed Ungheria hanno poi presentato un ricorso alla Corte europea contro l'obbligo di dover accettare i rifugiati. Il processo e le iniziative della Commissione Europea dovranno chiarire se gli stati membri dell'UE possono essere costretti ad adottare misure che essi rifiutano; il processo in corso viene considerato come un precedente in merito alla limitazione delle competenze nazionali in materia di politica interna. Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria si sono unite in una libera alleanza di paesi chiamata "Gruppo di Visegrad" e si oppongono - sempre sulla base di una visione reazionaria - all'egemonia tedesca. La battaglia per la creazione di un potenza mondiale spinge Berlino a contrapporsi non solo a Washington e a Mosca, ma anche ad uno scontro con l'opposizione interna all'UE - vale a dire 3 fronti aperti. 

[1] An Nord Stream 2 sind zudem die österreichische OMV, die französische ENGIE und die britisch-niederländische Shell beteiligt. Aus juristischen Gründen ist Nord Stream 2 inzwischen im alleinigen Besitz von Gazprom; die involvierten Konzerne aus den erwähnten EU-Staaten werden offiziell als Finanzinvestoren geführt. S. dazu Die Umgehung der Ukraine.
[2] Außenminister Gabriel und der österreichische Bundeskanzler Kern zu den Russland-Sanktionen durch den US-Senat. Pressemitteilung des Auswärtigen Amts 15.06.2017.
[3] Alle gegen Russland-Sanktionen der USA. www.tagesschau.de 16.06.2017.
[4] S. dazu Das Ende einer Ära.
[5] S. dazu Der Anti-Trump (II).
[6] Majid Sattar: Da waren es nur noch sechs. Frankfurter Allgemeine Zeitung 29.05.2017.
[7] S. dazu Der Anti-Trump.

[8] "Ich bin gut angekommen". Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.06.2017.

domenica 2 luglio 2017

Lidl fra i grandi vincitori della crisi greca

La Grecia sempre piu' terra di conquista per i grandi gruppi tedeschi, dopo gli aeroporti, i porti e le infrastrutture finite in mani tedesche, questa volta è Lidl, il gigante della grande distribuzione del Baden Wuerttenberg ad approfittare della interminabile crisi greca. La catena di discount di Neckarsulm, con la sua politica dei bassi prezzi, ha messo fuori mercato piccoli e grandi negozi locali ed ha conquistato una posizione dominante nelle zone piu' redditizie. L'espansionismo economico tedesco nei paesi in crisi prosegue indisturbato. Da kontextwochenzeitung.de


Uno dei piu' grandi vincitori della crisi greca arriva proprio dalla Germania. "Conviene ogni giorno", cosi' LIDL si pubblicizza ovunque - sembra pero' che convenga più' che altro all'azienda stessa. Dall'inizio della crisi nel 2008 la catena di discount di Neckarsulm, nella zona fra la metropoli di Salonicco nel nord e il Peloponneso nel sud, secondo fonti ben informate, avrebbe avuto un aumento del fatturato anno su anno in doppia cifra.

In filiali completamente rinnovate, come quella nella provincia settentrionale di Drama, una zona con 30.000 abitanti, i clienti già oggi possono comprare nel negozio del futuro. La superficie di vendita, come il volume dei carrelli per la spesa, è più' che raddoppiata. Soffitti alti, corridoi ampi, molta luce. Della iniziale sensazione di squallore con mucchi di cartoni vuoti e scatolette in disordine qui non è rimasto nulla. Il gigante tedesco con il suo concetto di distribuzione attacca sia il piccolo e simpatico negozio di frutta e verdura dal nome caratteristico Oporopantopoleio, che le catene di supermercati locali. La concorrenza francese ha ammainato le vele già 3 anni fa. Il gigante globale Carrefour all'epoca aveva deciso di lasciare al partner locale Marinopoulos i suoi punti vendita. Che nel frattempo ha gettato la spugna e ha chiuso tutti i punti vendita nel paese. Le rovina dei negozi della catena di supermercati Marinoupolous restano ai bordi delle arterie stradali in quasi tutte le città.

"Sempre piu' conveniente"

La catena di Neckarsulm si presenta ovunque in ottima salute. Il logo giallo-blu è saldamente ancorato in ogni villaggio. Soprattutto nelle regioni turistiche, come nella regione di Chalkidiki nella Grecia del nord, le filiali Lidl sono onnipresenti. Oltre alla gente del posto ci sono molti turisti che vanno a rifornirsi di cibo. Nei grandi parcheggi durante l'alta stagione si trovano auto con targa rumena, bulgara e serba. La densità dei punti vendita qui raggiunge i livelli tedeschi. Le condizioni di partenza nel 1999 erano tutto fuorché semplici. A partire dal nome della catena, impronunciabile per la lingua greca. Molti dicono "Lind" o piu' semplicemente "dai tedeschi". Gli errori iniziali, come ad esempio quello di far pagare le buste di plastica ai clienti, sono stati rapidamente superati. "Sempre piu' conveniente" - con questo slogan, che spesso non corrisponde alla realtà, è arrivata la svolta. L'altro gigante tedesco dei discount, Aldi, qualche anno piu' tardi ha tentato il passo verso la Grecia - ma poco dopo si è dovuto arrendere. Lidl probabilmente aveva già una presenza troppo forte nel paese per poter lasciare al suo rivale una posizione redditizia. Nel frattempo la catena di Neckarsulm ha iniziato a comportarsi come se capisse veramente la crisi economica greca e ha scelto di chiedere ai suoi clienti di dare un contributo. All'uscita di ogni filiale c'è un carrello della spesa che i clienti possono riempire con uno dei prodotti appena acquistati. Alla fine di ogni giornata i bisognosi ricevono i beni donati.

Per i critici della globalizzazione l'assortimento del gigante giallo-blu resta una manna dal cielo. Tonnellate di bottiglie di acqua minerale italiana arrivano nei negozi con prezzi da dumping e chi ha voglia di acquistare un wuerstel tedesco lo trova tranquillamente nel frigorifero. Con i marchi propri greci Lidl cerca di soddisfare i gusti dei clienti normali. In generale vale sempre: quanto piu' esotica è la merce, tanto piu' alto sarà il prezzo. Cosi' il cliente per i prodotti cosmetici oppure per gli alimentari importati paga chiaramente di piu' che nelle filiali tedesche - e questo a fronte di un potere di acquisto nettamente inferiore. Nella frutta e verdura invece Lidl batte senza pietà tutta la concorrenza sul prezzo. Cetrioli, pomodori, cipolle ma anche le angurie sono molto piu' economiche della concorrenza. Con i suoi "distributori di pane" il discounter di Neckarsulm aggredisce anche le panetterie tradizionali. Con una certa spavalderia hanno chiamato la loro stazione per la produzione di pane "Fournos", che di fatto è un forno: tuttavia i pezzi di pasta di pane congelati e pre-prodotti hanno in comune con il pane uscito dal forno a legna di una panetteria tradizionale greca piu' o meno quello che il cantante di schlaeger Costa Cordalis potrebbe avere con un vero suonatore di Lyra. 

Forse solo dei concetti di marketing innovativi potrebbero avere successo contro il gigante tedesco. Chi si vuole tagliare i capelli dal barbiere Paschalis, nel centro di Drama, riceve un chilo di pesche gratis. "Garantisco che arrivano dal mio orto", conferma il barbiere dal rasoio affilato. Che Lidl sia tedesca per Paschalis non fa differenza. Va addirittura dal "sultano Erdogan", nella vicina Turchia, per rifornirsi di lame  e lamette per rasoi a buon mercato. "Sono sempre piu' convenienti", dice Paschalis. E' una frase in qualche modo familiare.